martedì 18 febbraio 2014

ANCORA SULLA RESISTIBILE ASCESA



Nelle file del centro sinistra perdura un notevole “sconcerto” sulla staffetta Letta/Renzi, sconcerto in cui si mescolano il disgusto per la spregiudicatezza di Renzi, (ben riassunto da Livia Turco su l’Unità del 16-02), l’incomprensione per l’accaduto e la speranza “comunque” perché pare che la sinistra “si stia giocando l’ultima carta” (Tabacci).
Non sono molto d’accordo sull’incomprensione, non perché pretenda di aver capito il tutto, ma perché mi pare ragionevolmente che le alternative si riducano a due (entrambe invero disdicevoli):
-          Renzi aveva programmato tutto da tempo e mentiva spudoratamente dicendo a Letta di “stare-sereno”, negandogli i contributi programmatici per rimproverarlo nel contempo nei ritardi verso un nuovo programma
-          Renzi pensava di mandare avanti un governo Letta, facendo il “regista-critico” e nel contempo il “grande riforma istituzionale”, ma si è accorto dopo i primi passi che la gestione pratica del tavolo istituzionale nei vari passaggi politico/parlamentari è cosa molto più lenta complessa ed incerta (che non il consiglio comunale di Firenze o le primarie del PD), e quindi si è buttato in corsa sull’ipotesi B, per non bruciarsi tra adesso e le elezioni europee.   
C’è di che scegliere, insomma, tra il cinismo e l’avventurismo.

Quello che mi sembra resti costante è l’inconsistenza e subalternità di ogni seria alternativa (di sinistra), che viene da lontano, e che si sviluppa in diversi toni, tra l’opportunismo dell’area Cuperlo/Giovani Turchi e il velleitarismo dei Civatiani, ed anche fuori del PD, perché l’operazione Tzipras assomiglia molto alla meteore Ingroia e Vendola, sempre alla ricerca di marketing di un nome da spendere, riproducendo in piccolo il personalismo giustamente imputato a Renzi (ed a Berlusconi).

Non oso pensare se il Renzismo durerà 3 mesi o 30 anni, e se farà gravi danni (mi auguro di no, quanto meno perché “tengo pensione”); certamente non assomiglia alla sinistra cui penso (ed a cui pensano ancora in molti, e di cui credo che il mondo abbia un gran bisogno).
Mi preoccupo anche pensando agli storici che studieranno dal futuro questo periodo: riusciranno a capire, oltre alla staffetta del febbraio 2014, perché nessuno a sinistra – soprattutto nel 2012/2013 - riuscì a contrastare seriamente la resistibile ascesa del Renzismo?

martedì 11 febbraio 2014

IL VERO SCOOP

Il vero "scoop" sarebbe se Napolitano avesse sondaro la disponibilità di Monti DOPO averlo nominato Primo ministro

MASPES O GAIARDONI?



Tutta questa manfrina di Letta e Renzi non mi stimola molto i neuroni.

Però mi ha fatto scattare un “amarcord”, di quando eravamo piccoli e il ciclismo era, oltre a Pambianco Battistin Adorni e Gimondi (Coppi Bartali e Magni quando ero piccolissimo), anche Maspes e Gaiardoni, i “velocisti su pista” (sport oggi alquanto dimenticato).
La bravura, in quelle sfide dirette tra 2 ciclisti, non era solo o tanto “essere veloci”, ma soprattutto “essere furbi”: di solito vinceva chi riusciva a mettersi dietro e – sfruttando la scia aerodinamica del rivale – scattare poi al penultimo minuto sorpassando (come è anche per le volate nel ciclismo di gruppo su strada).  
I grandi campioni quindi inventarono la “souplesse”: sfruttando i pedali a scatto fisso, si bloccavano per lunghi minuti sfidandosi in duelli da pistoleri del Far West (che mi rammentano anche il gioco popolare veneto che mi insegnava mia nonna: gara a stare tutti zitti, e “chi parla e chi ride una bella reciada” ovvero tirata d’orecchi).
Più adatto l’esperto Maspes, nella souplesse,   del giovane e irruente Gaiardoni.

Renzi come noto non mi piace, però ho saputo apprezzare il suo modo velocistico di entrare in pista e dimostrare cosa si può fare semplicemente prendendo l’iniziativa, dopo anni a rimorchio delle agende altrui.
Da qualche giorno invece si è messo a fare questa assurda melina, una sorta di “sciopero dell’iniziativa” (a danno soprattutto del cosiddetto “job act”: a parlare di lavoro già si è stanchi?), regalando spazio mediatico a tutti (da Berlusconi e Grillo giu giù fino a Scelta Civica ed allo stesso Cuperlo), e allora mi chiedo: “è furbissimo e sa vincere anche con la souplesse, o è un finto-furbo, come D’Alema, e tra qualche tempo ci porta tutti quanti a sbattere il muso contro un muro?”

mercoledì 5 febbraio 2014

LA BLUE ECONOMY TEORIZZATA DA GUNTER PAULI



Un'altra variante dell’ottimismo tecnologico è la “Blue Economy” proposta dall’economista belga Gunter Pauli, segnalato da “Left” del 28-12-2013, e di cui ho trovato il testo “Blue Economy/nuovo rapporto al club di Roma: 10 anni, 100 innovazioni, 100 milioni di posti di lavoro“ Edizioni Ambiente -2010 (vedi mio blog,  PAGINA 2, PARAGRAFO 9) in ampi estratti sul sito ambientalista di Gianni Girotto (attualmente senatore M5S).
Al di là dell’ottimismo complessivo e del tono propagandistico (ben leggibili nel titolo), e delle puntuali ed interessanti singole “ricette” scientifiche indirizzate alla innovazione tecnologica in disparati settori della produzione e del consumo,  mi sembra rilevante l’assunto centrale, molto “ecologico” ed assai più ampio della mera rivoluzione energetica di Rifkin (VEDI PAGINA 2, PARAGRAFO 10), ovvero, come enunciato nell’introduzione, “far sì che i nostri sistemi produttivi siano in grado di imitare al meglio ciò che la natura ha lungamente sperimen­tato in miliardi di anni di evoluzione”.
Tale proposta di una scienza “mimetica” guarda, più che al comportamento delle singole specie (che a mio avviso spesso agiscono egoisticamente, ed infatti talvolta si estinguono, oppure distruggono altri inquilini del pianeta) alle dinamiche complessive della biosfera, ovvero al “sistema di flussi di nutrienti”, al “metabolismo altamente efficace della natura ----- in cui il concetto stesso di rifiuto non esiste(perché il rifiuto degli uni divine il nutrimento degli altri, e così via attraverso la catena ecologica).
Ne conseguono, secondo Pauli,  i seguenti indirizzi (rilevo però che - come spesso avviene - non risultano accompagnati da indicazioni socio-politiche sulle vie per conseguire il consenso per tali tipi di decisioni) :
“1.La crescita della popolazione e del capitale deve essere rallentata, e infi­ne arrestata, da decisioni umane prese alla luce delle difficoltà future, e non da retroazione derivante da limiti esterni già superati.
2. I flussi di energia e di materiali devono essere ridotti aumentando l’ef­ficienza del capitale. In altri termini, occorre ridurre l’impronta ecologica e ciò può avvenire in vari modi: dematerializzazione (utilizzare meno ener­gia e meno materiali per ottenere il medesimo prodotto), maggiore equità (ridistribuire i benefici dell’uso di energia e di materiali a favore dei pove­ri), cambiamenti nel modo di vivere (abbassare la domanda o dirottare i consumi verso beni e servizi meno dannosi per l’ambiente fisico).
3. Sorgenti e serbatoi devono essere salvaguardati e, ove possibile, risanati.
4. I segnali devono essere migliorati e le reazioni accelerate; la società deve guardare più lontano e agire sulla base di costi e benefici a lungo termine.
5. L’erosione deve essere prevenuta e, dove sia già in atto, occorre rallen­tarla e invertirne il corso.”
Mi sembra una prospettiva affascinante, che trascura però:
-          il conteggio dei flussi occupazionali, tra nuovi posti di lvoro che si creano e quelli che necessariamente si distruggono
-          l’assetto necessariamente instabile degli equilibri eco-sistemici, che non esclude affatto le catastrofi, anche in assenza di specie particolarmente perturbative quali l’uomo (ed altri prima di loro, come i dinosauri)
-          la duplice valenza dell’uomo come specie invasiva e pensante, capace quindi forse di sviluppare i precetti di Pauli, ma anche di seguire facilmente altri e forse “più falsi” profeti, che pongono l’attenzione sugli interessi egoistici a breve termine di singoli ristretti gruppi entro la più vasta umanità, oppure su punti di vita comunque divergenti (basti pensare al rapporto tra religioni e natalità).

sabato 1 febbraio 2014

LEGGE ELETTORALE, BANKITALIA E BARRICATE



Non ho ancora commentato la difficile gestazione di una nuova legge elettorale, perché mi sembrano già troppo chiari i numerosissimi commenti professionali, di giornalisti e giuristi, anche di opposto parere (con la tentazione di dar ragione sia agli uni che agli altri), e perché a questo punto attenderei la fine della vicenda, sia per valutare il merito della legge (che certo non sarà la miglior legge: sarà almeno il miglior compromesso possibile?), sia per capire chi ha vinto e chi ha perso: di certo Renzi si gioca tutto (e con lui il PD, variamente i partiti minori e forse la stessa Italia), per Berlusconi è una partita in più, forse insperata, mentre Grillo ha scelto di mettersi fuori gioco da solo, e cerca di ribaltare il tavolo con iniziative propagandistiche sopra le righe, dal ridicolo impeachment verso Napolitano (il “partiam partiam” di mesi e mesi si è tradotto in ben modeste motivazioni, come d’altronde non poteva non essere) all’esaltato ostruzionismo sul decreto Bankitalia (per tacere delle brillanti prestazioni personali dei singoli deputati del M5S).

Nel merito di tale decreto, invece, mi è parso che l’informazione sia stata piuttosto carente e tardiva, visto che l tema è annoso ed il decreto è arrivato alla scadenza dopo circa due mesi dall’emanazione.
Ad esempio, solo oggi “La Stampa” vi ha dedicato una paginetta esplicativa, mentre l’Unità si è limitata ad un tempestivo articolo di Mucchetti, molto chiaro e critico su diversi aspetti del provvedimento, senza più tornare ad approfondire le ragioni della disputa.
Il blog di Gad Lerner ieri ha ripreso brevemente la critica di Mucchetti, senza ulteriori spiegazioni, dando così la stura ad una valanga di contumelie anti governative da parte dei grillini che si annidano tra i suoi commentatori abituali.
Poiché non sono un esperto in materia, vorrei riferire brevemente quanto sono riuscito a capire, e cioè in sostanza che si è trattato un po’ di una furbata, ma non certo dell’attentato ai beni comuni dipinto dal M5S:
-          premesso
o   che i decreti compositi non sono una bella cosa, anche se dilagano da almeno trent’anni (il che non è una buona ragione per continuare; ma per smettere forse ci vuole una salda maggioranza di parlamentari per bene, ed una coerente modifica ai regolamenti parlamentari)
o   che la cancellazione una tantum dell’IMU per il 2013 è stata una penosa capitolazione di letta e Saccomanni ai diktat di Brunetta/Berlusconi, senza positive conseguenze sull’economia, ma per fortuna (anzi grazie agli Alfaniani …) confinata al solo 2013  e quindi da coprire con entrate per l’appunto una-tantum: il governo ha riesumato la question Bankitalia, e per questo ha associato i due temi nel medesimo decreto (in questi mesi sta associando cose molte più eclettiche cin altri decreti
-          la Banca d’Italia era già “privata”, cioè appartenente ad un consorzio di banche, come altre Banche centrali e per una lunga storia che risale all’800
-          quindi non è stata “privatizzata”; poteva essere “nazionalizzata” (come prevedeva anni addietro Tremonti), ma non certo senza indennizzi adeguati al valore di mercato (e non ai valori nominali del 1936);  in merito sono ferree le direttive europee
-          nazionalizzando, lo Stato avrebbe dovuto versare alle banche alcuni miliardi, invece di incassarne quasi uno di tassazione sulle plusvalenze
-          rivalutando il capitale, e confermando lo statuto di “public company”, di fatto sotto il controllo pubblico, si regala alle banche non la liquidità di 7 miliardi circa, ma un valore patrimoniale teorico, utile soprattutto per le nuove verifiche europee di stabilità
-          tale valore sarà in futuro commerciabile (con obbligo di vendita per gli istituti che detengono attualmente le quote maggiori), ma sempre con molti limiti: solo a banche e assicurazioni italiane, solo fino al 3% del capitale, con nessun potere di governo sulla stessa Banca d’Italia, con modeste prospettive di dividendi (è sulla contraddittorietà di tali aspetti che si concentra la critica di Mucchetti)
-          pertanto non c’è nessun furto di liquidità ai danni dei contribuenti, né è rivendicabile un immediato effetto di credito più facile per famiglie ed imprese, ma si tratta di un discutibile sostegno al sistema bancario da parte di un discutibile governo.
Se è come mi pare di aver capito, le barricate teniamole per qualche occasione più seria.

XVII CONGRESSO C.G.I.L.

E’ in corso il congresso della CGIL: mi sono recato alla sede del Sindacato Pensionati e ho deposto la mia brava scheda nell’urna, pro-Camusso e contro Cremaschi, dopo avere, con qualche fatica, letto le 2 mozioni e (quasi tutti) gli emendamenti, nel formato grafico poco accattivante del giornale sindacale “SPI/insieme” (di noi pensionati).
Oltre all’impaginazione, anche il linguaggio sembra un po’ vetusto, e soprattutto un po’ stanco: ma non voglio farmi condizionare dalle apparenze (mi basta il Renzismo, ed anche la grafica di Cuperlo non era male) e quindi vengo ai contenuti.

L’insieme dei documenti si presenta come “complessivo”, forse anche troppo, ma i testi mi sembrano più “enciclopedici” che “strategici”: una sorta di “pansindacalismo virtuale” a fronte di una  capacità operativa limitata di fatto alla contrattazione di categoria e di azienda (troppo spesso purtroppo nella difficile difesa dei posti di lavoro che sfuggono), a fronte di una scarsa capacità di mobilitazione (rispetto al passato anche di soli pochi anni orsono – rammento Cofferati al Circo Massimo per l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori) e connessa limitata influenza culturale.

Guardando nella mozione firmata Camusso, ho ritrovato diversi spunti positivi, ma obiettivamente piuttosto deboli nel loro sviluppo: l’attenzione a cosa produrre (“la riconversione eco-compatibile dei prodotti”), il desiderio di ricomposizione del mondo del lavoro, frammentato de precarietà e varietà contrattuali, un’aspirazione alla riduzione degli orari lavorativi.

Ed un solo punto decisamente negativo: l’accettazione degli sgravi fiscali per il salario di produttività (vedi mio post), attenuata (o forse aggravata)  e peggio (sgravi – per fortuna temporanei - per gli interi aumenti  contrattuali: alla faccia dei lavoratori che non i percepiscono, e quindi pagano l’IRPEF intera).

Il limite generale del documento a mio parere è il quadro internazionale di fatto limitato a Europa/migranti/Mediterraneo, senza riflessioni su paesi emergenti e popoli sommersi (dalla miseria, dallo sfruttamento e talora sommersi anche materialmente dai livelli del mare che salgono a causa del mutamento climatico: manca il nesso tra crisi del sistema/limiti ecologici/sfruttamento internazionale.
Perciò le proposte neo-keynesiane di rilancio dello “sviluppo” – con articolazione di proposte per modificare radicalmente entrate ed uscite dalle casse pubbliche (per me molto condivisibili, ma per quanti altri lo sono? non c’è un ragionamento sulle necessarie alleanze sociali per concretizzarle) – non fanno i conti con le ragioni intrinseche della crisi, che non risiedono solo nell’austerità europea, ma anche, mi sembra:
-          nella natura stessa del finanz-capitalismo internazionale (e non esclusivamente nella cattiveria del FMI, come indica la mozione Cremaschi, confondendo la “casta” con il tutto)
-          nell’artificiosità del rilancio dell’economia USA fondato sul denaro facile e l’ulteriore espansione di tutti i debiti
-          nel progressivo - benché non lineare –impatto con l’esaurimento delle risorse ambientali.  

Mi sembra comunque valido il discorso sull’Europa e la rivendicazione di una diversa politica economica e sociale a questa scala, anche se non vi corrisponde un’adeguata prospettiva di iniziative sindacali, né organizzative né di mobilitazione (mi rendo ben conto che non è facile, ma mi aspettavo qualcosa di più).

Anche riguardo al precariato rilevo una discrepanza tra ricchezza di analisi e rivendicazioni, da un lato, e la genericità delle indicazioni  operative per l’azione sindacale (come sopra, mi rendo ben conto che non è facile, ma mi aspettavo qualcosa di più).

Nella mozione Cremaschi ho riscontrato, grosso modo sul medesimo asse culturale, una maggior chiarezza e radicalità rivendicativa, ma una certa vaghezza su strumenti e lotte; la differenza fondamentale tra le due linee, a quel che ho capito, è che il gruppo dirigente uscente intende  rifondare la democrazia sindacale attraverso gli accordi (e l’eventuale legge) sulla rappresentanza, cui sta arrivando  attraverso l’accordo con la Confindustria di Squinzi (ben lontana dagli accordi separati alla Marchionne) e l’unità con UIL e CISL (che pertanto rinuncia al suo postulato storico della democrazia per i soli iscritti, radice anche della conservazione degli apparati), mentre il gruppo più estremo propone la rottura e l’autonomia della CGIL per nuova democrazia sindacale dal basso.
Visti i tempi, e l’oggettiva debolezza delle lotte operaie, preferisco scommettere (da pensionato) sulla esplorazione di una nuova democrazia nella elezione dei delegati e nella ratifica degli accordi, piuttosto che sulla rottura e l’agitazione delle avanguardie (non capisco Landini e gruppo dirigente FIOM che – partiti dalla linea Camusso – si impuntano sulla singola questione della “esigibilità” degli accordi e connesse possibili sanzioni alle organizzazioni sindacali: negli accordi qualcosa si deve ingoiare, e in altri casi si è ingoiato ben di peggio).