domenica 28 dicembre 2014

AUTO-RETE?

Il sistema politico tradizionale continua a darsi da fare parecchio per tenere in piedi il consenso al Movimento 5 Stelle (in quanto principale forza dell’“antipolitica”):
-          nella sua parte sommersa, il sistema politico tradizionale si impegna a fondo con la diffusa e persistente corruzione, di cui l’inchiesta su Roma mostra un impressionante campionario
-          nella sua parte ufficiale, il sistema politico tradizionale si applica innanzitutto con l’incapacità o non-volontà di incidere sul suddetto sommerso (ad esempio il pacchetto delle proposte governative sulla giustizia aveva perso pezzi e priorità, riguadagnandole in parte solo in rincorsa allo lo scoppio dello scandalo romano) e poi con una serie di decisioni o non-decisioni di dettaglio molto discutibili, pur nell’ambito della linea Renzi (che comunque genera necessariamente un certo scontento, dal job act ai confini della platea dei destinatari degli 80 euro): penso alle partite IVA, cui vengono dedicate promesse all’indomani della legge di stabilità che le ha appena trattate non tanto bene, oppure al mancato rinvio delle scadenze fiscali per gli alluvionati; e al fondo la mancata riduzione del numero e delle indennità dei deputati, riservando i tagli per i politici  solo a Senato e Provincie (ma coinvolgendo invece gli incolpevoli dipendenti provinciali).

Tuttavia mi pare che il M5S resti strategicamente in crisi, e che l’iniziativa della raccolta-firme-per-una-legge-di-iniziativa-popolare-per-avvicinare-un-possibile-referendum-contro-l’Euro ne evidenzi le drammatiche dimensioni:
-          per lo strumento giuridico debole e indiretto che sta al centro della proposta
-          per il contenuto avventurista di una uscita unilaterale dall’Euro senza paracadute (come si pagano i debiti pregressi in euro e dollari? Oppure, come si pensa di poter commerciare con l’estero senza pagare il debito pregresso? A che prezzi salgono le importazioni?)
-          per la difficoltà di avvicinare con le firme il numero di elettori in precedenza raggiunto (8.688.231 nel 2013): anche superare 1 o 2 milioni di adesioni alla proposta di legge sarebbe una sostanziale sconfitta
-          per il ripiegamento sulle firme “cartacee” da parte di un Movimento che sbandierava la “rete” come nuovo orizzonte della democrazia (ma riserva il diritto di voto interno “on line” ai soli soci fondatori, per paura di cimentarsi con la viva realtà del popolo cliccante, e del popolo in generale).

E che rasenti il patetico quando il “non-leader” Grillo rispolvera ancora contro Napolitano il mito della “vittoria mutilata”; in tale “mistero doloroso” il Presidente della Repubblica nel 2013 avrebbe dovuto conferire l’incarico di formare il governo ai M5S in quanto lista più votata:
-          anche se il M5S scavalcò il PD solo alla Camera ed esclusi i voti all’estero
-          anche se la vigente legge elettorale conferiva il premio di maggioranza alla prima coalizione (nella fattispecie PD+SEL+altri) e non al primo partito

-          anche se la Costituzione non vincola il Presidente della repubblica a conferire incarico al partito che ha preso più voti, bensì gli affida la responsabilità di individuare chi potrà trovare la fiducia di una maggioranza parlamentare.

giovedì 18 dicembre 2014

VICOLO CIECO?

Nel 2002 la sola CGIL, mediante manifestazioni, e senza sciopero, riuscì a difendere i lavoratori dai licenziamenti-individuali-senza-giusta-causa (art. 18 dello Statuto dei Lavoratori), di fronte ad una maggioranza  governativa di centro-destra.
Nel 2014 CGIL e UIL, pur scioperando, e manifestando, non sono riuscite ad incidere sulle decisioni in materia di una maggioranza di centro-sinistra, con cui l’art. 18, che già era stato de-potenziato nel  2012 da un governo di larghe intese a dettatura europea, viene ulteriormente smantellato, malgrado le attenuazioni ottenute in Parlamento (vedremo poi i dettagli nei Decreti Delegati del cosiddetto Job Act).
Questa parabola mostra, al di là delle contingenze storiche e delle qualità soggettive dei gruppi dirigenti sindacali e politici, l’indebolimento oggettivo del potere contrattuale dei lavoratori dipendenti italiani, minato dalla globalizzazione e logorato dalla crisi, sottoposto alla pressione “dei mercati”  e della politica filo-padronale dei poteri sovranazionali (Commissione Europea, BCE, FMI).

Tanto meno i sindacati, pur raccogliendo un discreto consenso nella protesta, riescono a rendere credibile una complessiva correzione roosveltiana (patrimoniale, investimenti pubblici) alla politica economica del governo Renzi, condizionata anch’essa dal mercato finanziario internazionale e dalle suddette connesse istituzioni sovranazionali e che appare priva di serie alternative (al di là dei suggerimenti più o meno attendibili di alcuni intellettuali, come Luca Ricolfi o il gruppo Gallino/Silos Labini/ecc., le opposizioni propongono ricette propagandistiche  e decisamente immangiabili: maggior debito, flat tax, uscita dall’euro, ecc.).

Non so se la linea Renzi-Padoan(-Draghi?), con i ristretti margini cui la costringono Merkel e Junker, può aspirare ad effettivi successi contro la crisi, ma non credo ci sia da augurarsi un suo fallimento, che  ci farebbe stare tutti peggio, e aprirebbe, temo, più spazi a destra che non a sinistra.
Insomma mi pare ci sia un po’ un’aria da vicolo cieco (nei cui rivoli, ad esempio, SEL tuona contro il PD, ma continua ad affiancarlo nelle elezioni regionali).

Tuttavia mi sembra importante che il disagio e il dissenso si esprimano e che si continuino a cercare modi razionali per raccoglierli, oltre la rabbia anti-casta e l’astensione.

Non sappiamo quali svolte può nascondere il vicolo cieco. 

I 10 COMANDAMENTI DI PIPPO CIVATI

Tra lo sciopero generale indetto da CGIL e UIL del 12-12 e l’assemblea nazionale del PD del 14-12, Civati ha fatto in tempo a infilare un assemblea a Bologna, interna/esterna al PD, per esporre un suo (ambizioso?) “patto repubblicano (e del non-nazareno)” in 10 punti.
Però sui giornali e TG si è parlato di Civati solo per ipotizzare se esce o non dal PD: perché mai lo faccia o non lo faccia, non fa notizia.
Il che è certo colpa dei giornalisti, ma anche un po’ di Civati, che se credesse di più ai suoi contenuti, anziché di preoccuparsi che “lo notino di più se viene o non viene, oppure viene e sta in disparte”, forse cercherebbe di tradurli in 2 slogan che bucano il video (ed emergono dal suo blog, che è invece pieno delle ultime infiorettate polemiche, e dove il testo dei 10 punti bisogna andarselo a cercare).

E, poiché ho fatto lo sforzo di trovare i 10 punti, ve li ri-propongo, con qualche commento in corsivo (nessun commento = “mi piace”), per capire se per caso si annidino lì le discriminanti decisive rispetto alla linea-Renzi e per rifondare una sinistra del XXI secolo.
Oppure no (anche se aderiscono, tra gli altri, Nadia Urbinati e Silvia Prodi).

Premessa: la sovranità appartiene al popolo
(ed in Europa gli investimenti dovrebbero essere esclusi dai limiti di Maastricht).
(il breve passo sull’Europa coincide con quello che già chiede Renzi, e Civati non spiega come meglio fare per ottenerlo)
1 - Ritorno alla legge Matterella (modello già in uso per il senato) e primarie obbligatorie per le candidature uninominali.
A parte l’obbligo di primarie, che forse vanno sperimentate, perché potrebbero comunque essere luogo di “plutocrazia” e/o clientelismo, non capisco la bontà intrinseca di una legge maggioritaria a turno unico, che può produrre un Parlamento frammentato ed ingovernabile; meglio correggere i difetti dell’Italicum
2 - Legge sulla democrazia interna ai partiti e tetto alle spese elettorali
3 - Referendum abrogativi con quorum meno elevati e referendum propositivi
4 - Diminuzione numero parlamentari e relative indennità e bicameralismo parziale (il Senato resta elettivo, con minori competenze)
Mi pare meglio dell’attuale riforma del Senato, ma non spiega se risolve lo strapotere della maggioranza (possibile anche con l’ex-Mattarellum) nella nomina di Presidente della Repubblica e altri organi di garanzia
5 - Legge conflitto interessi
6 - Istruzione università ricerca
Generico, non spiega cosa propone in più rispetto alla “buona scuola” di Renzi
7 - Green economy, rifiuti zero, zero consumo suolo, trasporti pubblici
Mi piace più dello “Sblocca-Italia”, ma mi sembra un po’ semplicistico
8 -  Contratto unico a tutele veramente crescenti (fino all’ex art. 18) e reddito minimo
Non spiega con quali risorse si estende il reddito minimo oltre a quanto promesso dal Job Act
9 - Diritti, matrimonio anche omosex, fine vita
Mi piace, ma trascura la cittadinanza ai figli degli immigrati
10 - Legalità, anti-corruzione, de-penalizzazione droghe leggere (perché qui?) e lotta all’evasione fiscale

Anche se gran parte delle proposte “mi piace”, e così credo piacciano a gran parte dell’elettorato storico di centrosinistra, e questo gradimento possa tradursi in consenso ad una formazione diversa dal PD (oppure ancora in future alternative congressuali inerenti al PD), mi pare che per una vera alternativa politica, volta a rifondare la sinistra in Italia (e non solo a raccogliersi in un club minoritario delle buone proposte) manchino:
-          uno sfondo approfondito sull’economia internazionale (sfruttati del terzo e quarto mondo e sfruttatori emergenti, finanza globale, limiti ecologici e climatici)  ed i rischi di guerra
-          una strategia sociale e politica per cambiare gli indirizzi di governo a livello europeo (se non si vuole proporre come Grillo e Salvini e di fatto anche Berlusconi di andarsene o farsi cacciare dall’Europa)
-          una tattica politica per far passare almeno qualcuna delle 10 proposte in questo parlamento, o anche nel prossimo, spiegando con quali elezioni e quali liste ci si vuole arrivare.

Quindi, direi, per ora “oppure no”.

Non c’è una vera alternativa alla linea e alla retorica renziana, a mio avviso, ma solo una sorta di “massimalismo minimalista”: obiettivi non estremisti, ma oggi difficilmente raggiungibili, senza una parola sul percorso per raggiungerli, come se bastasse enunciarli.

MACELLERIA PROVINCIALE

Nei chiaroscuri della Legge di Stabilità, mi sembra di capire che i tagli alle fu-Provincie si configurino come punto molto oscuro, che forse verrà rischiarato con gli ultimi giri di emendamenti (occorre ringraziare il bi-cameralismo?).
Le province sono state private dalla scorsa estate, con la riforma DelRio, di autonoma rappresentanza politica (dai consigli provinciali ad una assemblea di amministratori comunali) e tendenzialmente di una parte delle funzioni, che dovrebbero essere distribuite (a cura delle singole regioni) tra i comuni e le regioni stesse.
Per attuare tali trasferimenti, la legge di stabilità, da un lato taglia drasticamente le risorse finanziarie a disposizione delle medesime provincie, dall’altro impone un taglio omogeneo del 50% delle “piante organiche” (solo del 25%  per quelle promosse ad “aree metropolitane”).
Il personale in esubero potrebbe essere riassorbito da regioni e comuni, ma solo se e quando le regioni definiscono le nuove competenze, e soprattutto se e quando regioni e comuni troveranno od otterranno le necessarie risorse (oppure per coprire eventuali vuoti di organico pregressi, ma già coperti in bilancio).
Mi chiedo che serietà ci sia in tutto questo, non solo riguardo alla sorte di quota parte dei lavoratori dipendenti, avviati ad un percorso di cassa-integrazione/mobilità/licenziamento, frustrante ed umiliante per loro, ma non privo comunque di costi (improduttivi) per le finanze pubbliche, ma anche per le funzioni dichiarate a priori “mediamente inutili” per il 50%, in percentuale costante tra tutte le provincie italiane e tra tutte le provincie di ogni singola regione. 
Poi magari scopriremo che non c’è più nessuno a monitorare le frane ad Ascoli Piceno, oppure a conteggiare i turisti a Como (e che avanzi comunque qualcuno di troppo invece altrove, a Sondrio, o probabilmente ad Avellino): così, a pois.

Più che “spending review” mi sembra pura macelleria istituzionale (e sociale).

martedì 2 dicembre 2014

PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO, SECONDO ACEMOGLU E ROBINSON

Nel lontano 1970 partecipavo ad una “Commissione Riforme” del movimento degli studenti di architettura di Milano, il cui assunto era - grosso modo - quanto anche il capitalismo “avanzato” fosse piuttosto cattivo, e non ci fosse da fidarsi delle sue “riforme”;  rammento che ai margini di quella ricerca mi rimaneva il dubbio (eretico) su perché comunque in Scandinavia si vivesse (socialmente parlando) meglio che in Italia, ma non ebbi molto tempo per coltivarlo, perché forti dosi di repressione erano alle porte e con la crisi (non solo “petrolifera”) del 72-73 il riformismo in Italia comunque non era più di moda.

Alle mie domande di allora pensavo che potesse rispondere il ponderoso e celebrato saggio degli accademici americani Daron Acemoglu (di origine turca) e James A. Robinson, edito negli USA nel 2012 ed in Italia nel 2014 (“PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO - Alle origini di potenza, prosperità, e povertà” – Il Saggiatore - cartaceo € 22 - eBook €10.99), ma al termine delle oltre 400 pagine mi dichiaro abbastanza deluso.
               
Il testo è di facile lettura, in quanto povero di dati statistici e ricco invece di racconti ed aneddoti, con numerose incursioni non-cronologiche su oltre 10.000 anni di storia in tutti i continenti, (quasi in antinomia speculare con “Debito: i primi 5.000 anni” di Graeber – vedi mio post - e per me un utile ripasso per le vicende dell’emisfero nord, e informazioni prima quasi sconosciute sull’emisfero sud), ma risulta anche ripetitivo, assertivo e talora apodittico.

                La tesi degli autori (che ripeto qui anche se è già stato ben riassunta in altre recensioni: segnalo in particolare quella de “IL POST”) è che il successo economico (ed il benessere) delle nazioni non dipendono da clima&risorse, né da fattori culturali (inclusa la presunta “ignoranza dei ceti dirigenti”), bensì dalla qualità delle istituzioni politico-amministrative:
-         le istituzioni “inclusive” (ovvero pluralistiche), attraverso la certezza del diritto (in primis di proprietà privata) ed il possibile ricambio delle élites, consentono l’apertura al nuovo e il benefico processo della “distruzione creatrice” e perciò l0 sviluppo (paradigmatica l’evoluzione inglese, prima e dopo le rivoluzioni del 17° secolo);  occorre però la premessa di una discreta centralizzazione dello stato;
-         le Istituzioni “estrattive” mirano solo ad accumulare e perpetuare i privilegi delle élites, paventando le innovazioni e bloccando gli accessi a nuovi metodi di valorizzazione delle risorse (esemplari le chiusure contro l’introduzione di fabbriche e ferrovie da parte degli imperi austro-ungarico, russo ed ottomano nel primo Ottocento); con il rischio che nelle fasi di crisi succedano nuove élites altrettanto “estrattive” oppure che il territorio si frammenti in spinte centrifughe, per effetto della ricerca diffusa di poteri esclusivi (così sarebbe terminato l’impero dei Maya).
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Le prove addotte da Acemoglu e Robinson sono ampie (a partire dagli insediamenti “natufiani” che nel medio oriente del 9500 a.C. pervennero all’agricoltura previa formazione di villaggi stanziali, e non viceversa), ma non sempre convincenti; ad esempio:
-         il paese di Nogales, diviso tra USA e Messico, con crescenti divergenze nei livelli di prosperità: però dallo stesso testo risulta che ambedue le comunità sono state fondate dopo la definizione del confine (e non dividendo in 2 un preesistente insediamento), per cui diverse a mio avviso sono state anche dall’origine
-         la colonizzazione del Sud e del Nord America, la prima fondata sullo sfruttamento schiavistico degli indigeni sottomessi e sulla depredazione delle risorse naturali, la seconda invece necessariamente basata sul lavoro degli stessi coloni bianchi: Acemoglu e Robinson però trascurano il particolare del genocidio perpetrato a danno dei più riottosi indigeni “pellerossa” e isolano da questo ragionamento le loro pur ampie dissertazioni sulla deportazione degli schiavi africani
-         il relativo successo del (solo) Botswana, che - dopo l’indipendenza dal colonialismo britannico e grazie ad una qualche persistenza di preesistenti strutture tribali di tipo “inclusivo” – avrebbe raggiunto un PIL pro capite al livello di Lettonia o Ungheria, cioè assai alto se raffrontato con il disastro di gran parte del restante continente africano, ma non con il benessere di popoli ugualmente remoti, ma non assoggettati al colonialismo europeo, come ad esempio il Giappone.

Più interessante che non la tesi centrale del libro, è – a mio avviso – il metodo di indagine sugli sviluppi storici (benché minato dalla separazione degli argomenti e dalla mancata concatenazione di fondamentali fattori a livello internazionale), che cerca di evitare ogni determinismo nella trasformazione delle istituzioni, e di assimilare invece le acquisizioni tipiche della genetica e della linguistica, e cioè la (piuttosto casuale) accelerazione delle divergenze in presenza di particolari fasi critiche (ad esempio la “Peste Nera” sul finire del Medioevo in Europa, che – riducendo drasticamente la forza-lavoro disponibile - porta in Occidente alla estinzione della servitù della gleba ed invece in Oriente ad una  sua recrudescenza).
                Ma tale raffinatezza di analisi (che contrasta con un certa grossolanità di approccio – a mio avviso – sull’esperienza del comunismo sovietico e mostra la corda nella difficoltà di interpretare l’odierno regime cinese, che secondo gli Autori non potrà svilupparsi a lungo senza profonde riforme) non può superare il peso
-         delle enormi carenze di lettura della storia complessiva del mondo da parte degli Autori, e cioè la correlazione necessaria tra il benessere degli uni (ad esempio gli anglosassoni, inclusivi a casa loro) ed il malessere degli altri (direttamente colonizzati o sfruttati per inique sperequazioni commerciali di carattere imperialistico, ad esempio dagli stessi anglosassoni, estrattivi  casa d’altri, a partire dalla vicina Irlanda) 
-         dei giudizi aprioristici e comunque non-dimostrati quali quello sulla ricchezza materiale come unica misura del benessere, oppure la necessità di proprietà privata ed incentivi economici per ogni sviluppo del progresso umano (che dovrebbe quindi essere  assente anche nei “settori pubblici” delle società avanzate, mentre mi pare che non manchi in università ospedali e centri di ricerca, anche poveri di progressioni economiche, come spesso è in Europa) od ancora sulla “distruzione creatrice”, che sempre agirebbe positivamente (mentre qualche volta distrugge valori non riproducibili, sociali oppure ambientali).    
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Non mi convince inoltre l’eccessiva autonomizzazione degli aspetti istituzionali dal retroterra socio-economico (vedi un certo Marx) e dagli stessi fattori culturali (ad esempio l’influenza dei movimenti di riforma protestante nelle divergenze istituzionali e di sviluppo tra le diverse nazioni europee – vedi un certo Weber).

                Appendice: tra le numerose recensioni, alcune encomiastiche, altre detrattive, e molte variamente dialettiche, mi hanno colpito quelle su Repubblica nell’agosto 2012, a cura di Simonetta Fiori l’una e di Francesco Domenico Moccia l’altra, che mi sono sembrate alquanto distratte:
-         la prima lamenta la mancanza di protagonisti italiani nelle storie (a parte Giulio Cesare) e di autori italiani nella bibliografia, mentre a me risulta che sia trattata ampliamente la Repubblica di Venezia e che tra gli autori (seppure di testi in inglese) figurino almeno Tabellini e Guiso-Sapienza-Zingales

-         il secondo trova il testo limitato alla fortuna delle nazioni intere e carente sulle divergenze di sviluppo interne, mentre a me pare ben evidenziato il divario tra stati del sud e del nord degli U.S.A., prima e dopo la fine dello schiavismo, nonché qualche cenno ai divari interni, ad esempio, della Sierra Leone, del Sud Africa, dell’Australia.

PUBBLICO IMPIEGO

C’è un argomento che mi pare non venga sollevato dai sindacati, in favore della vertenza del pubblico impiego, forse per pudore di tipo confederale: il privilegio relativo degli scatti di anzianità, che permangono in varie forme per gli insegnanti, come anche per  magistrati e forze dell’ordine; ed agli insegnanti precari (o meglio a gran parte di essi) la legge di stabilità ed il progetto “la buona scuola” promettono l’immissione in ruolo con la “ricostruzione della carriera (cioè il riconoscimento dell’anzianità pregressa), e – per il futuro- scatti “meritocratici”, ma comunque garantiti a 2/3 degli insegnanti.

Invece i dipendenti ordinari del settore pubblico (ministeri, INPS, enti locali ed enti vari), esaurite probabilmente le facoltà di “progressioni orizzontali” previste dai vecchi contratti, ed esaurite quasi certamente le risorse disponibili, sono di fatto privi di ogni adeguamento automatico in assenza dei rinnovi contrattuali.
(Per cui paradossalmente, la mia pensione del 2007, malgrado qualche stop di Monti e l’incidenza delle addizionali IRPEF comunali e regionali, è riuscita almeno nominalmente ad aumentare, più degli stipendi dei miei colleghi rimasti al lavoro in Comune, dove un laureato “semplice” credo difficilmente raggiunga i 1500 € mensili netti).

E’ vero che il governo Renzi ha assegnato gli 80 Euro ai lavoratori dipendenti, giusto fino alla fascia dei 1500 € circa; però a tutti, e nei settori privati, pur colpiti da riduzioni di organico e licenziamenti, almeno non sono congelati i contratti da oltre 8 anni.

Il blocco dei contratti è una ingiustizia che i pubblici dipendenti devono subire perché i loro posti di lavoro continuano a essere mediamente più sicuri di quelli privati?
Oppure perché nelle loro file si annidano i “fannulloni”, e comunque i lavoratori pubblici devono pagare per la conclamata (e talora veritiera) inefficienza della pubblica amministrazione?
(Una bella gara tra ingiustizie..).
Oppure l’Italia potrà tornare un paese normale (come anche pare lo “spread” sui titoli del debito pubblico si vada normalizzando) in cui i contratti collettivi di lavoro, quando scadono, vengono rinnovati?

E, se c’è crisi e scarsità di risorse, i sacrifici vengono distribuiti nel modo più equo possibile (cioè un po’ meno “casual” di così)?