mercoledì 25 marzo 2015

ARROGANZA

I giudizi di D’Alema sull’arroganza (quanto meno politica) di Renzi, non mi sembrano sbagliati, e penso che sia sufficiente a tal fine rammentare la liquidazione di Enrico Letta e la indifferenza ai ragionevoli emendamenti promossi da Damiano sul tema dei licenziamenti, benché approvati dalla stessa direzione del PD e dalla Commissione Parlamentare consultiva sul “job act”.
A moltissimi (me compreso) invece è apparso incongruo che ad esprimerli fosse proprio D’Alema, maestro di equivalente, sebbene diversa, supponenza politica (bicamerale, Kossovo, abbandono di Prodi) e soprattutto umana: anche se l’intervento di D’Alema forse non era inutile al suo uditorio, perché tra le correnti non-Renziane del PD una adeguata consapevolezza dei pericoli della real-politik renziana è alquanto flebile, e certamente è mancata all’ultimo congresso, quando a contrapporsi (per così dire) furono separatamente Cuperlo e Civati (più Pittella) e non un serio ed unico fronte alternativo.

Tra i più avversi a D’Alema, pur condividendone le valutazioni su Renzi, sono risultati Fassina (che promuove ora una tardiva rottamazione/bis per i vertici storici della sinistra PD) e lo stesso Cuperlo, che ha alzato il tiro sulla necessità di una più ampia auto-critica sulle carenze strategiche del socialismo europeo.
Su tale auto-critica concordo largamente da tempo, ma se fossi in Cuperlo abbasserei anche il tiro dell’auto-critica alla sostanza sociale e antropologica della cosiddetta “ditta”, cioè alla praticaccia largamente opportunista (quando non lesiva del codice penale, come solo le inchieste giudiziarie e i processi potranno verificare per i vari Penati, Bargone. Lorenzetti, Mussari, Consorte) di consistenti quote del vecchio partito (non solo di origine PCI, ma di certo molto PCI), misurabile anche nelle scorrettezze alle primarie di parte degli stessi candidati “cuperliani”, rimasti tali o divenuti renziani di complemento.
Controprova di questa pochezza è la perdurante assenza di iniziativa politica e sociale della sinistra PD, al di fuori delle aule parlamentari e delle riunioni di corrente: ad esempio nessuno ha tentato di coinvolgere i non-iscritti su battaglie fattibili, come quella sul fu art. 18 o sulle riforme di legge elettorale e Costituzione; il che rende spuntata (per mancanza di consenso) anche l’arma letale di un potenziale voto contrario al Senato su tali riforme.
L’impressione, da tempo, è quella di un ceto politico auto-referenziale, staccato dai bisogni e dal linguaggio delle persone comuni, ed incapace anche di inchiesta verso la stessa “base” del partito: a parte Fabrizio Barca, chi si occupa anche di una elementare “sociologia del partito”?


NON VIOLENZA 1975-2015

Mi sembra interessante la posizione pacifista di Guido Viale (su Huffington Post, in replica ad un articolo di Gad Lerner su Repubblica, considerato un po’ guerrafondaio verso il Califfato Islamico), e condivido gran parte del suo testo (cui rimando per una comprensione di insieme), tra cui la seguente conclusione: Gli interventi militari possono anche giustificarsi: le popolazioni esposte alle guerre spesso li invocano. Ma senza lotta contro discriminazioni e cultura patriarcale, senza fermare il traffico di armi, senza vie di uscita diplomatiche, non si fa altro che avvitarsi in un gorgo senza fondo.”, nonché le sue valutazioni sulla centralità della risposta delle donne all’oppressione fondamentalista, e la sua centrale convinzione  che “Ciò da cui siamo minacciati non è l’invasione delle armate dell’Isis, la moltiplicazione dei giovani indotti o costretti a farsi in bombe umane, che possono agire ovunque senza che se ne possano prevenire le mosse, soprattutto perché crescono sempre più spesso proprio tra di noi, nelle situazioni di emarginazione o umiliazione, sia in Europa che nei paesi arabi in quelli islamici dell’ex impero sovietico. ---- Dovremo abituarci a conviverci per molto tempo”.

Mi sembrano infondate invece alcune sue altre asserzioni, complementari, ma assai categoriche, e decisive riguardo alla discussione sul “che fare”:
“Contro quest’arma letale non c’è esercito, né intelligence, né guerra, né “missione umanitaria”, né “repulisti etnico” che abbia possibilità di successo.”
Per parte mia, invece, vorrei sperare che almeno l’intelligence possa servire a qualcosa, e anche la guerra, nel senso, almeno, che se in Africa e Medio Oriente il Califfato si dimostrasse invincibile, anche la baldanza degli attentatori oltre le linee del fronte aumenterebbe alquanto.
“Interventi di polizia internazionale ne abbiamo visti tanti e ogni volta hanno lasciato una situazione peggiore di quella precedente, sia per l’ordine internazionale, sia per le popolazioni che ne sono state vittime.”
Anche di questo non sono convinto, dal confine Libano/Israele a parte dei faticosi e contradditori interventi dell’ONU in ex-Jugoslavia, dove ad esempio Srebrenica fu un disastro per mancato intervento e non per eccesso di intervento.


Ancora sulle divergenze tra il compagno Viale ed il modesto scrivente: circa quarant’anni or sono, Guido Viale stroncò un mio emendamento “non-violento” alle “Tesi” del 1° Congresso di “Lotta Continua” …

mercoledì 18 marzo 2015

URBANISTICA 152

Con il n° 152 inizia una “nuova serie” della rivista “Urbanistica”, ora diretta da Federico Oliva (già presidente dell’INU), con una nuova redazione, concentrata nel Politecnico di Milano (8 redattori su 11, più i 2 vice-direttori, targati “polimi”) ed un nuovo Comitato Scientifico, di respiro nazionale ed internazionale, non più coincidente con il direttivo nazionale dell’INU. 

La linea dichiarata da Oliva, in discontinuità solo parziale rispetto alle precedenti serie, è orientata a studiare, più che i piani urbanistici, la realtà della città italiana ed europea, con accento in particolare:
-          al territorio “metropolizzato”, “una città porosa e discontinua”, i cui vuoti non sono da candidare ad automatico riempimento,
-          alla condizione sociale frammentata ed alle connesse “nuove forme di ingiustizia spaziale”,
-          alla insostenibilità della “erosione delle risorse ambientali fondamentali”.

I contenuti del n° 152 spaziano dalle riflessioni sulla specificità europea e sulle fatiche e debolezze della pianificazione urbana a scala europea (interessante il saggio di Fabrizio Barca sul riformismo possibile in alternativa alla rassegnazione e rincorsa del mercato) alla attenzione prioritaria ai “tessuti ordinari” della città, con un focus su Milano (e una inedita rivalutazione del “Piano Beruto” di fine ‘800), le grandi trasformazioni in sospeso e l’aggiustamento del PGT a cura della Giunta Pisapia; in appendice utili considerazioni sui risultati dei censimenti ISTAT 2011 da parte di Giuseppe Roma (CENSIS – sui nuovi bisogni sociali), Giuseppe Campos Venuti (INU – sul patrimonio edilizio residenziale obsoleto) e Claudio De Albertis (ANCE – sulla crisi del settore produttivo edilizio).

Mi sono riconosciuto molto nelle tematiche della “città ordinaria” e della manutenzione (già cara a Bernardo Secchi), in alternativa ai grandi interventi ed alle architetture strillate, ed in particolare nella “finestra” dell’Assessora del Comune di Trieste, Elena Marchigiani, “Goccia dopo goccia: da Trieste cronache di manutenzione della città” ho scoperto quanto siano oggi all’avanguardia esperienze simili a cui ebbi occasione di contribuire, ma già negli anni ’80, come la formazione di orti urbani e l’autogestione degli spazi pubblici da parte di organismi di quartiere; mentre invidio a Trieste la fortuna di convincere i commercianti di aree attigue alle isole pedonali a chiederne l’estensione (tuttavia nemmeno la attuale Giunta di destra del mio paese si sognerebbe di ridurre quel poco che si riuscì a strappare pezzo dopo pezzo).

Ho trovato condivisibili anche i servizi sulle correzioni di Pisapia&C. al PGT di Milano (e soprattutto sullo sforzo di ricucitura delle grandi e piccole trasformazioni in sospeso): mi pare però che gli articoli sul PGT eludano un giudizio su quel che resta – e non è poco – della impostazione originaria del PGT stesso, e cioè:
-          il carattere “liquido” della perequazione fondiaria, con i diritti di edificabilità che – almeno in teoria – decollano senza atterrare immediatamente in nessun luogo di “atterraggio”, bensì aleggiano nella “borsa” (inflazionistica?) dei diritti vaganti;
-          la mixitè funzionale tra le diverse destinazioni d’uso ancora largamente indefinita ed affidata al mercato;

aspetti che forse potrebbero essere già misurati nei loro concreti effetti.    

COALIZIONE SOCIALE

La pretesa di Landini di “non fare un partito”, nel suo tentativo di aggregare i soggetti “sociali” già correttamente individuati in una intervista di Rodotà (FIOM, Libera, Emergency, ecc.), si può leggere a 3 livelli:
-          come una pura “foglia di fico” rispetto alle regole statutarie ed alle “buone maniere” in materia di incompatibilità con il ruolo di sindacalista;
-          come una rincorsa propagandistica (vedi il “non-partito” di Grillo) ai furori anti-partito che percorrono l’opinione pubblica, e che – con qualche fondamento – accomunano anche i partitini della estrema sinistra nell’immagine della “casta”;
-          come un serio proposito di anteporre nuove pratiche sociali - adeguate alla realtà della crisi e della “società liquida” – ad ogni forma di organizzazione politico-elettorale, e pertanto privilegiare i movimenti concreti sui contenuti (vedi referendum sull’acqua, e ora ad esempio suolo, paesaggio, cibo) e verificare se una nuova sinistra sa tornare in mezzo a chi ha bisogno (e dove finora spesso ci sono solo la Caritas e gli oratori).

Gli osservatori superficiali (ad es. Gramellini) si sono soffermati sul primo, quelli più profondi sul secondo e sul terzo: ad esempio Diamanti, che evidenzia la possibilità di una “politica extraparlamentare”, feconda sui tempi lunghi (ed a mio avviso anche potenzialmente vincente su singoli temi) a fronte di evidenti difficoltà elettorali per una alternativa da sinistra a Renzi sui tempi brevi.

Il terzo livello mi sembra un percorso da studiare con attenzione ed a cui partecipare con cautela nei fatti, se crescono iniziative credibili.

Non mi pare che aiuti molto l’ennesima manifestazione nazionale: in ogni caso sconsiglio di convocarla quando Marchionne ordina gli straordinari, perché gli operai difficilmente possono sottrarsi.

ANZIANITA’

Ascoltando un passo della conferenza-stampa del Presidente del Consiglio sul disegno di legge “la buona scuola” (su cui mi riservo di tornare; mi sembra alquanto cambiato, ma non in peggio, rispetto al testo base da me al tempo analizzato) mi ha colpito un particolare: Renzi, che si vanta di trascurare i sindacati, all’improvviso ha dichiarato di essersi ravveduto, proprio ascoltando i sindacati, riguardo alla abolizione degli scatti di anzianità per gli insegnanti, perché altrimenti sarebbero stati discriminati rispetto agli altri settori del pubblico impiego.

Peccato che non sia vero, perché – al di fuori di forze dell’ordine, militari e magistrati – gli scatti di anzianità nel pubblico impiego risultano da tempo soppressi: di nome dagli anni ’80 e di fatto (con il nuovo nome di “progressioni orizzontali” – che comunque erano ridotte e non automatiche - ) da quasi dieci anni, cioè da quando sono congelati i relativi contratti nazionali di lavoro (per i dettagli vedi mio post di dicembre). 

RIPRESA?


Anche sulle assunzioni si intravedono spiragli di ripresa (facilitati dall’accumulo di attese che ha portato molte imprese a rinviarle, contando nel frattempo sui contratti a termine).
E’ presto per capire se chi assume apprezza di più gli sconti contributivi oppure la riduzione delle garanzie: si apre una nuova storia contrattuale, tutta da giocare anche per i lavoratori, seppure su un campo in salita.

Il successo della ripresa promossa da Draghi (e quindi la tenuta di Renzi) dipende da molti fattori, anche esterni (petrolio, Grecia, Ucraina, ISIS, accumularsi delle bolle finanziarie qua e là nel mondo).

Anche se il governo promette un “green act”, per “rinverdire” le politiche industriali (dopo  gli opposti  danni dello “sblocca-Italia”), è comunque chiaro che questa possibile uscita parziale dalla crisi ricalca in gran parte il vecchio modello di sviluppo, molto poco scremato dalla crisi stessa.

Mi pare però di intuire che se il tentativo Draghi-Juncker-Renzi fallisse, le alternative possibili a breve in Europa sarebbero a destra e non a sinistra: Siriza e Podemos avanzano in paesi periferici, e non al centro dell’Europa.

Se invece il tentativo riesce, le contraddizioni “a sinistra” (lavoro, ambiente, vivibilità urbana) restano aperte, seppure con le rappresentanze storiche indebolite e de-legittimate: molto filo però per chi voglia ri-tessere.