domenica 9 luglio 2017

UTOPIA21 - LUGLIO 2017: IL DIBATTITO SULLA CRESCITA E SULLA SOSTENIBILITA’ DEI FENOMENI URBANI E METROPOLITANI (PARTE 2^)

Cosa sono divenute “città” e “campagna”, in scenari di crescenti “metropolizzazioni”, ma molto differenziati nei diversi continenti; quale è il saldo della impronta ecologica di ogni porzione di territorio rispetto al resto del pianeta: a partire da queste domande preliminari, il presente articolo (2^ parte) prosegue un tentativo  di rassegna critica sulle principali teorie in materia di sostenibilità urbana, iniziata su UTOPIA21 di maggio 2017.
Confermando una qualche grossolanità dei confini tracciati nell’ambito dell’esame delle proposte in campo in materia di “sostenibilità urbana”, mentre la 1^ parte dell’articolo si è dedicata alle teorie più generali e meno strettamente “disciplinari”, in questa 2^ parte si inizia ad affrontare le principali scuole degli urbanisti e dintorni.
Sempre con necessarie approssimazioni, si cerca di suddividere le posizioni esaminate in questa 2^ parte (rispetto alla prossima, 3^ ed ultima) raggruppando qui quelle che – pur adeguate od aggiornate all’oggi – sembrano affondare le loro radici nel Novecento, assumendo quindi una certa qual “classicità”, e rinviando invece all’ultima puntata le proposte più attinenti ad un dibattito “post-moderno” ed imperniato sulla crisi ecologica.   

Riassunto:
Khronopolis e New Kabul: utopie metropolitane unilaterali
lo sviluppo locale autosostenibile, “localismo cosmopolita” ovvero scuola territorialista
la riscoperta degli archetipi ovvero gli aspetti strutturali e magici dello statuto dei luoghi
l’urbanistica riformista
il circolo di Eddyburg e “salviamo-il-paesaggio” tra la citta’ pubblica e i beni comuni
urbanistica e architettura – architettura della citta’
-           appendice 1: analogie formali tra Khronopolis, New Kabul e Stadtkronen
-           appendice 2: urbanisti assessori e urbanisti condotti
-           appendice 3: approfondimenti e divagazioni su “architettura della città”

PER LE IMMAGINI VEDI SUL SITO DI UTOPIA21 PRESSO UNIVERSAUSER VARESE

                                    
Figura 1 – territorio antropizzato : Langhe                                                    (foto dell’autore)

 


KHRONOPOLIS E NEW KABUL: UTOPIE METROPOLITANE UNILATERALI
Connessa a  “Green Life” 1,2 (vedi parte 1^ di questo articolo, su UTOPIA21 di maggio 2017), perché riportata nel suddetto testo e perché presente all’interno dell’omonima mostra del 2010, era l’ambiziosa proposta “Khrònopolis” del compianto Fabio Casiroli3, che – partendo dalla sua cultura trasportistica e da una affascinante rappresentazione delle “città dei flussi” (simile nella spettacolarità alle rilevazioni di SENSEable City Lab4, vedi ancora parte 1^) -  perveniva ad una  organica formulazione di uno schema generale “disegnato” di rifondazione delle aree metropolitane (supportato dalle visioni architettoniche di grandi firme, da Burdett a Piano, da Foster a Rogers), articolata  in moduli quadrati di 6 km di lato, affiancabili, caratterizzati da:
-          grande parco centrale (quadrato di lato 2 km, di estensione pertanto pari a 400 ettari)
-          elevata densità (densità abitativa territoriale pari a circa 30.000 abitanti/km2 ovvero 300 ab/ettaro)
-          distribuzione reticolare degli insediamenti e delle funzioni governata dal sistema dei trasporti, articolata questa in:
o   reti super-efficienti e gerarchizzate di trasporti pubblici: ferrovia, metropolitana, monorotaia o bus-rapid-transit
o   percorrenze ciclo-pedonali per il “primo e l’ultimo miglio” (cioè nei tratti più capillari del percorso, vicino all’origine e alla destinazione), sostenute da una rete capillare di eco-stazioni per il noleggio di mezzi innovativi (“veicoli elettrici compatti”, bici elettriche)  e tradizionali (taxi) 
-          scoraggiamento, senza divieti, per l’automobile privata tradizionale.

Di questa formulazione, che stupisce non sia stata quasi per nulla discussa sulle riviste di urbanistica, colpiscono, e non convincono, soprattutto i seguenti aspetti (pur nella consapevolezza del rapporto dialettico tra questa proiezione utopica e la prassi riformista degli urbanisti e ingegneri del traffico, a partire dallo stesso Casiroli, nella realtà concreta delle città esistenti, con esempi virtuosi quali in Europa Berlino, Bordeaux, ecc. e in America Latina Cutiriba, Medellin, ecc.):
-          la proiezione utopica verso una  rifondazione complessiva dei tessuti urbani, contempla indicazioni sul modo di arrivare alla sostituzione  delle attuali città?
-          la densità proposta, che  risulta  al livello massimo  suggerito classicamente da Lewis Mumford, cioè 250 abitanti/ettaro (e più alta di quella generalmente realizzata in Europa nei più recenti eco-quartieri, che oscillano tra 110 e 200 ab/ha, esclusi pochi casi, vedi mio articolo su UTOPIA21 di marzo 2017 5), ma assai più bassa di quella rilevata da Jane Jacobs 6,per assicurare la spontanea vivacità urbana/pedonale, cioè oltre i 500 ab/ha, è verificabile sia rispetto alla sua accettabilità sociale, sia rispetto all’efficienza socio-economica (oltre che trasportistica)?
-          quale attenzione si intende riservare pertanto alle componenti sociali ed economiche della sostenibilità, nonché alle componenti ambientali diverse da quella trasportistica (ad esempio i consistenti parchi centrali non risultano collegati a corridoi ecologici di scala territoriale)?
-          la motorizzazione privata, da scoraggiare solo mediante un sistema complesso e massiccio di investimenti pubblici e privati in infrastrutture e nuovo assetto insediativo, non deve essere intaccata da alcuna attiva politica tariffaria o normativa?
-          non sono contestualmente da immaginare e verificare ragionevoli mutamenti di scenario nell’andamento dei prezzi dei carburanti, dei pedaggi e delle stesse auto?

Architecture Studio7 propone le sue esperienze e riflessioni sulla città sostenibile a partire dalla scala edilizia, dove declina alcuni principi, comparabili quali  alternative ai precetti di Le Corbusier (Doppia pelle – Facciata attiva – Spazi tampone – Copertura dinamica), e spaziando sull’urbanistica, dagli eco-quartieri al rinnovo delle metropoli (sostenendo il ritorno a densità più elevate), ma culmina con la proposta di New Kabul che – se fosse mai  realizzata nella difficile  situazione politico-militare afgana – prevederebbe una occupazione ex-novo di 2.000 ettari.
[vedi in appendice 1: analogie formali tra Khronopolis, New Kabul e Stadtkronen di Bruno Taut, 1919]

Quanto tale piano è coerente con il principio del  risparmio nel consumo di suolo?
Come si declina tale imperativo in presenza di pressioni demografiche ed insediative sconosciute in Europa?
Simili dubbi – estesi anche alla compatibilità economica e sociale, nonché alla quantità di energia inglobata nel ciclo di costruzione delle città - sollevano altre proposte di nuove città super-ecologiche nel Medio e nell’Estremo Oriente: vedi in proposito l’articolo “Ecocittà” di Rosario Pavia su Urbanistica n°148 del 2011 8, che in positivo segnala invece, tra l’altro, le proposte, soprattutto metodologiche, di Bernardo Secchi per Grand Pari(s): reti ecologiche, porosità ciclopedonale, trasporti pubblici a diverse maglie  e velocità, riuso del suolo e ricucitura urbana; in parte ricordano le ipotesi di Khronopolis, ma declinate sulla metropoli esistente, il che è assai più utile, almeno per le prospettive europee.


LO SVILUPPO LOCALE AUTOSOSTENIBILE, “LOCALISMO COSMOPOLITA” OVVERO SCUOLA TERRITORIALISTA

Si cimenta con l’utopia anche Alberto Magnaghi, in “Il progetto locale” del 2000 e 2011 9, ma nel senso di una visione di nuovi rapporti complessivi tra globale e locale, città e campagna, produzione e consumo, utili per facilitare la partecipazione e la crescita dei progetti locali di sviluppo auto-sostenibile.
Nel volume, difficile da riassumere, benché breve, perché denso e problematico, più delle visioni utopiche risultano interessanti le analisi e le riflessioni dialettiche aperte.
Mettendo in guardia da approcci scorretti alla sostenibilità, quali:
-          l’approccio funzionalista, che subordina le mitigazioni ambientali alle tendenze del mercato globalizzato, in una continua rincorsa inefficace
-          l’approccio ambientalista “bio-centrico”, che assume la natura “come soggetto vivente dotato di anima” (vedi precedenti paragrafi 3 e 4), ma non può giustificare scientificamente l’interpretazione umana dei mutevoli equilibri naturali e rischia di dimenticare il sistema antropico, oppure di perdersi in battaglie settoriali,
-          ed anche l’approccio proceduralista, che punta sulla partecipazione senza indicare contenuti, e quello realista-rinunciatario di chi “trova ritmi musicali nella città diffusa”  (vedi parte 3^ di questo articolo),
Magnaghi contrappone l’approccio “territorialista o antropo-bio-centrico”, fondato su una lettura del territorio (antropizzato) come palinsesto storico di lunga durata, patrimonio di valori che vanno oltre quelli di scambio ed anche quelli di uso delle generazioni presenti (ma pur sempre solo da queste possono essere interpretati e tutelati).
Per Magnaghi la città-fabbrica fordista e la successiva metropolizzazione globalista costituiscono un processo negativo di de-territorializzazione: massimizzazione del profitto a breve termina indipendentemente ed in danno dei valori peculiari dei luoghi, con progressivo impoverimento dell’ambiente naturale ed antropico.
Arrivando a definire il territorio “come soggetto vivente  ad alta complessità”, Magnaghi però si preoccupa ampliamente di individuare nelle “tensioni, comportamenti, culture brulicanti” nella e contro la globalizzazione i possibili soggetti sociali concretamente coinvolgibili nella costruzione, dal basso, di alternative fondate sulla “ri-territorializzazione”, progetti locali di sviluppo auto-sostenibile, da collegare in nuove reti “non gerarchiche”: agricoltori, artigiani, commercianti e altri lavoratori autonomi e micro-imprese, volontariato e terzo settore, abitanti e consumatori che intendono sottrarsi alle nuove povertà derivanti dal degrado metropolitano; e le loro aggregazioni locali, neo-municipali (da sottrarre al localismo identitario di tipo chiuso e “triste”).
Il testo articola il concetto del “progetto locale” a partire dallo Statuto dei Luoghi (in una concezione più amplia e radicale di quella enunciata dalla Legge Urbanistica Regionale Toscana), nei suoi aspetti conoscitivi, aggregativi, normativi, che attraversano la produzione, i consumi, la chiusura “breve” dei cicli ecologici, e gli insediamenti, compresa la crescita culturale verso un controllo comunitario delle tipologie edilizie e della qualità architettonica;  senza escludere un ragionevole consumo di suolo, qualora coerente con il “codice genetico” ovvero con le regole insediative del luogo.
Magnaghi non prospetta successi lineari né automatici, e neppure orizzonti messianici o rivoluzionari, in questa contrapposizione “lillipuziana” alla globalizzazione ed alla sua endemica crisi ‘di ambientazione’; egli stesso si pone infatti le seguenti domande, cui risponde in modo aperto e dialettico:
-          è possibile una globalizzazione dal basso? a quali condizioni?
-          che ruolo possono svolgere le autonomie municipali europee? come si pone il dialogo con le esperienze anti-globalizzazione del terzo mondo?
-          è pensabile una più alta “produttività” dei nuovi modelli insediativi legati in reti non-gerarchiche, anziché la ricaduta nello schema centro-periferico?

A fronte di questa prospettiva complessa e affascinante, mi sembra però opportuno esplicitare ulteriori problemi, cui Magnaghi in parte accenna, ma forse sottovalutandoli:
- le tendenze in atto, misurate ad esempio da Manuel Castells 10,11, non solo verso una ulteriore espansione delle metropoli, sia nella regioni sviluppate che in quelle meno sviluppate, ma anche, complessivamente (per il peso delle aree di nuove industrializzazione), all’incremento percentuale del lavoro salariato, sia pure in forme contrattuali più frammentate, ed alla limitazione ai paesi sviluppati dei fenomeni di maggiore articolazione dei rapporti di lavoro;
- le resistenze e alternative locali alla globalizzazione e de-territorializzazione rischiano pertanto di essere fenomeni di nicchia, e non bastano le parole per distinguere il localismo aperto da quello reazionario e xenofobo;
- la spinta alla competitività, sia nel mercato locale che in quello globale, connota comunque la micro-impresa, ed alimenta i conflitti tra soggetti forti e deboli dentro alle “comunità” locali; la dimensione locale può favorire chiusure corporative a danno dei soggetti deboli (es. lavoratori dipendenti);
- non si intravvedono strumenti certi per dare voce ai “soggetti silenti” nei processi di partecipazione;
- affidare alle forze neo-municipali il successo di progetti dal basso su “come, quanto e dove quali attività produttive insediare”, in Europa si scontra con il dogma ed il diritto della “libertà di impresa”, che forse può essere più facilmente compressa ed indirizzata ad obiettivi di riequilibrio ambientale e socio-economico (green economy) con una riconversione democratica dei poteri statali e comunitari (certamente sulla spinta delle nuove esperienze locali), rendendo intelligente l’enorme leva della tassazione e della spesa pubblica (in Europa vicina alla metà del PIL), nella direzione finora teorica o minoritaria della TOBIN TAX e della CARBON TAX; il riformismo necessario è piuttosto radicale che “continuista”, ma questo è vero sia nell’approccio dal basso, dove i movimenti molecolari rischiano di non concretizzarsi in mutamenti stabili e profondi,  sia in quello dall’alto, che è meno probabile e reso difficoltoso anche dalla evanescenza dei poteri statali a fronte della globalizzazione finanziaria: merita forse di essere meglio valutata l’integrazione tra i due approcci (vedi la parte 1^ di questo articolo riguardo alle proposte del Wuppertal Institut 12,13 e all’analogo localismo, ma più conflittuale, enunciato da Guido Viale 14,15).


LA RISCOPERTA DEGLI ARCHETIPI OVVERO GLI ASPETTI STRUTTURALI E MAGICI DELLO STATUTO DEI LUOGHI

Muovendo dal filone culturale di Magnaghi, e cioè dalla scuola territorialista, Anna Marson in “Archetipi di Territorio” del 2008 16 approfondisce il rapporto storico tra uomo e luoghi, cercando nell’uno e negli altri gli “Archetipi”, antropologici e territoriali, che hanno presieduto agli insediamenti umani, fino alla rottura concettuale del Rinascimento ed alla definitiva lacerazione in epoca moderna, anche per effetto della strasbordante potenza tecnologica.
L’accattivante racconto attraversa dapprima Acqua, Terra, Aria, Fuoco, e poi Centro, Confine, Giardino, Selva, alla ricerca delle tracce archeologiche e storiche e delle speranze di rifondazione (in una nuova sacralità laica) dei principi ecologici nelle relazioni tra uomo/donna  e ambiente e delle radici antropologiche nella concezione dell’abitazione e dell’urbanità, rivisitando numerose ricerche e scuole di pensiero (tra cui spiccano quelle di Gustav Jung e Marija Gimbutas, Giovanni Ferraro17 e Joseph Rykwert18, Martin Heidegger e Christian Norberg-Schulz 19).
Marson propone una nuova cultura della progettazione, che preliminarmente ascolti con umiltà i sussurri e le grida dei Quattro Elementi, della terra e del fuoco,  nonché “quelle conoscenze, almeno parzialmente inconsce e poco codificate, che ognuno di  noi, come essere umano, porta con se geneticamente”, per – non solo – “adattarsi ai progetti che la natura ha già disegnato, ma di dialogarvi a partire dalle esigenze umane e quindi sociali essenziali, sedimentate nella stratificazione storica degli insediamenti a partire dalla quale possiamo ritrovare regole di lunga durata, codificate negli archetipi di territorio”.


Figura 2: dalla copertina di “Archetipi del Territorio”

Il limite dell’opera mi pare stia nella mancanza di indicazioni sociologiche e politiche per portare questa appassionante battaglia culturale fuori dalle accademie, e costruire consenso e tendenze alternative negli utenti (e quindi poi forse nei committenti) delle case, delle città e delle metropoli.
Considerando che l’individuo/consumatore può essere ancora facilmente indotto a pensare, acquistando od abitando o anche solo desiderando ad esempio una villetta a schiera - e quindi mentre concorre a distruggere o dissipare suolo, paesaggio, risorse naturali - di attingere privatamente a gran parte degli archetipi in questione, ma sotto la forma caricaturale di Piscina, Barbecue, Orto, Recinzione, “Godimento esclusivo terra/tetto” (come dice la pubblicità immobiliare), probabilmente con qualche forma di architettura vernacolare che risalga anche alla storia locale, e vantandosi di risparmiare energia perché la costruzione ricade in “classe A”.
[Vedi in appendice 2 alcune considerazioni a partire dall’esperienza di Anna Marson come Assessore Regionale in Toscana dal 2010 al 2015]


L’URBANISTICA RIFORMISTA

Giuseppe Campos Venuti, con l’articolo “Città sostenibili e austerità” del 2011 20, ha teso a riallacciare il ciclo di esperienze dell’urbanistica riformista (da Bologna anni 60 al paradigma INU per il nuovo piano a metà anni ’90 alle successive verifiche e riflessioni) alla battaglia culturale di Enrico Berlinguer (rimasta minoritaria anche a sinistra)  per “l’austerità” in risposta alla crisi degli anni ’70, così sintetizzata: “non una generica riduzione dei consumi ma la limitazione di quelli improduttivi e parassitari, allargando quelli produttivi e sociali”.
Rivendicando di aver affiancato la posizione berlingueriana, in particolare  con il volume “Urbanistica e austerità” 21, Campos Venuti ha ripercorso la “lunga marcia della sostenibilità urbanistica in Italia”, dalla riduzione all’indispensabile delle espansioni private al contenimento delle densità eccessive, dalla conquista degli standards di spazi pubblici alla tutela delle aree agricole “per la produzione alimentare e la difesa ambientale”, dall’attenzione al paesaggio alla introduzione “del verde indispensabile ad assorbire l’anidride carbonica emessa dalle nuove auto nei percorsi urbani”, fino al recepimento delle norme europee per la qualità energetica degli edifici.
Ha affrontato poi, in sintonia con il 27° congresso INU di Livorno (2011), il tema della crisi urbana sullo sfondo della nuova crisi socio-economica e finanziaria mondiale e nell’intreccio, specificamente italiano, con il peso del debito pubblico, la debolezza  dei bilanci comunali ed il ruolo delle rendite, finanziaria e fondiaria, proponendo interessanti elementi di riflessione (anche per il superamento di alcuni carenze e difetti applicativi delle leggi regionali ispirate dal modello INU), sui seguenti problemi, inerenti alle modalità attuali della pianificazione urbana e territoriale in Italia:
-          rafforzamento del carattere  non-conformativo delle previsioni di trasformazione dei piani strutturali e del carattere attuativo dei piani operativi (da non sovradimensionare e con scadenza della edificabilità non utilizzata nel quinquennio),
-          gestione attiva e non solo “regolativa” degli interventi sui tessuti esistenti,
-          “compensazione perequativa” e “contributi  di sostenibilità” finalizzati al contenimento della rendita ed al suo  recupero in favore della città pubblica e degli obiettivi ecologico-ambientali,
-          pianificazione di area vasta (integrati a tutti gli aspetti paesistici e ambientali) adeguata a fronteggiare e governare la “metropolizzazione”, sostituendo – ove necessario - i troppo angusti piani comunali, e connessa con piani regionali concentrati sulla localizzazione delle risorse di livello regionale/statale/comunitario.
In tal modo, secondo Campos Venuti, l’urbanistica (e quindi, come soggetto, gli enti locali virtuosi e l’arco delle forze politiche e sociali connesse) può contribuire ad una uscita positiva dalla crisi, combattendo la rendita che (resta) “la causa di fondo della crisi urbana, strettamente integrata alla crisi economica, entrambe legate alle scelte improduttive della finanza” “probabilmente la prima non si potrà risolvere separata dalla seconda”.
Le formulazioni più generali dell’Urbanistica Riformista (come riassunte da Campos Venuti 22, e senza assolutamente voler trascurare i meriti acquisiti nella sperimentazione e riflessione teorica), mi sembra pongano la necessità di approfondire le seguenti riflessioni di fondo, che trascendono in parte la specificità disciplinare (riflessioni in parte già lasciate aperte dallo stesso Campos Venuti):
-          la metropolizzazione può effettivamente essere governata ed “umanizzata” dalla pianificazione, in Italia ed altrove (sviluppando proposte tipiche dell’urbanistica riformista, come le nuove polarità ed il trasporto pubblico su rotaia)?
-          quali sono le forze, le alleanze e le modalità per suscitare il necessario consenso sociale nella battaglia per piegare la rendita a finalità urbane pubbliche ed ecologiche?
-          risulterà possibile, con queste battaglie locali, salvare il welfare urbano nello scontro economico e finanziario a livello “globale”?
-          la contrapposizione alle rendite può aprire la strada ad uno sviluppo veramente sostenibile, oppure i limiti ambientali comportano una più radicale revisione del concetto di sviluppo?


IL CIRCOLO DI EDDYBURG E “SALVIAMO ILPAESAGGIO” TRA LA CITTA’ PUBBLICA E I BENI COMUNI

All’ “urbanistica riformista” (ed in particolare al Piano Regolatore di Roma del 2008 – giunta Veltroni – redatto e poi sconfessato da Campos Venuti &C. , per le modifiche introdotte in fase di approvazione) si contrappongono nettamente:
-          le posizioni tradizionali degli urbanisti di stampo “decisionista”, nel senso di avocare alla pubblica amministrazione la piena potestà in materia di pianificazione del suolo, contro la crescente invadenza degli investitori privati  (che trova i suoi campioni nella legislazione e nella pratica lombarda e milanese, dai Programmi Integrati di Intervento alla borsa dei diritti di edificazione, fino al tramontato disegno di legge per una riforma urbanistica nazionale varato dall’ex-ministro Lupi),
-          i nuovi teorici del territorio e del paesaggio come “beni comuni”, che dalle esperienze movimentiste dei referendum sull’acqua (2011) sono approdati sia a derive comunitaristiche di scarsa credibilità (vedi Ermanno Vitale23 contro Mattei, e mia recensione su Utopia21 di ottobre 2016 24) sia ad interessanti premesse di carattere giuridico per una più contenuta concezione della proprietà privata (l’ex vice-presidente della Corte Costituzionale Paolo Maddalena in “Il territorio bene comune degli italiani” 25 , sviluppato a partire dall’art. 42 della Costituzione).

I primi si ritrovano soprattutto attorno al sito Eddyburg, 26 fondato da Edoardo Salzano, che negli anni ‘80 fu presidente dell’INU, e sviluppa critiche, fondate (ma forse talvolta ingenerose), non solo all’urbanistica contrattata di cui al “rito ambrosiano”, ma anche alla accettazione della “perequazione dei diritti volumetrici” (premi in edificabilità traslata altrove per la acquisizione di aree ad uso pubblico e per edilizia sociale) largamente praticata nei decenni scorsi anche dall’”urbanistica riformista” (vedi precedente paragrafo), mentre i reduci salzaniani ben vedrebbero un ritorno alla pratica espropriativa (dimenticando forse la sentenza europea che obbliga ad indennizzi ai prezzi di mercato).
I limiti principali delle resistenze salzaniane, a mio avviso, non stanno nella nostalgia di uno Stato autorevole e regolatore, ma nello scarso approfondimento sulle ragioni per cui oggi le scelte pubbliche, anche se fondate su procedure istituzionali democratiche e su impegnati esperimenti di partecipazione popolare, rischiano comunque di apparire “calati dall’alto”, sfasati rispetto alle veloci dinamiche dei bisogni e delle risorse finanziarie; cioè, al fondo, sulle motivazioni antropologiche che stanno alla base del crollo del “socialismo reale” e della crisi delle socialdemocrazie, e del pur contrastato successo, di fatto, della globalizzazione e della finanziarizzazione neo-liberista.
E non mi pare che la riproposizione del piano decisionista e delle procedure espropriative sia la chiave più efficace verso la sostenibilità urbana.
(Tuttavia il circolo di Eddyburg non è solo “passatismo”; si veda ad esempio, nella prossima 3^ parte, la mia valutazione positiva sulle controproposte di Sergio Brenna a Stefano Boeri in merito ai “grattacieli di Milano”). 

I secondi si radunano soprattutto attorno al sito “salviamo-il-paesaggio”, 27 da cui si attende tuttora, dopo le campagne contro il consumo di suolo e per il censimento degli edifici inutilizzati, il promesso disegno di legge alternativo che vada oltre le condivisibili critiche al progetto Catania (vedi mio articolo su Utopia 21 di novembre 2016 28). Si possono collegare inoltre ai movimentisti del “tactical urbanism” (riappropriazione immediata dei beni comuni), di cui parlerò nella parte 3^.
Il limite che finora ho riscontrato in tale ambito, oltra alla diversa ragionevolezza delle campagne dei vari comitati locali, tutte invece acriticamente sostenute a livello nazionale (e ad una oggettiva opacità verso il Grande Fratello del Movimento 5 Stelle, che incombe su tali movimenti, locali e nazionali, pur senza ancora dispiegare una leggibile articolazione propositiva, che superi gli slogan contro il cemento e le grandi opere), risiede nel mancato passaggio da una “opposizione quantitativa” (ovvero: basta consumare suolo) ad una “proposizione qualitativa”, che dica come – pur risparmiando suolo – si possano coniugare e soddisfare i bisogni delle società urbane, anche più vaste di Cassinetta di Lugagnano; tema su cui si cimentano invece autori come Lanzani o Nonni, di cui parlerò nella 3^ parte.
E su cui mi pare inciampino i successori di Berdini nella Giunta di Roma (vedi cemento dello stadio romanista, comunque ingente, ma ora più spalmato su più suolo e meno dotato di infrastrutture e servizi): vedremo nel tempo Guido Montanari a Torino con la Giunta Appendino.

Un curioso elemento che unisce, a partire da intenzioni e sensibilità opposte, i neo-liberisti alla lombarda ed i neo-comunitari dei “beni comuni”, è una certa volatilità o “mobilizzazione” dei diritti immobiliari, gli uni spingendo verso una transustanziazione o “gassificazione” in direzione finanziaria, ed i secondi verso una compressione che comunque tende la proprietà ad uno stato più liquido.

Ambedue soluzioni ancora aperte e problematiche, ma a mio avviso più utili ad un orizzonte di sostenibilità urbana rispetto alla rigidità tradizionalista della proprietà immobiliare privata, immobile (e se possibile esente da IMU): penso a tutti i casi di edifici e fondi sotto-utilizzati per liti pendenti, eredità contese, fallimenti annunciati e pignoramenti inefficaci. 


URBANISTICA E ARCHITETTURA

Un limite di fondo delle posizioni teoriche dell’Urbanistica Riformista di Campos Venuti e Oliva, anche se più varia è la prassi, e vivace l’attenzione culturale dell’INU (vedi le riviste dell’Istituto) è a  mio avviso anche la separazione  tra pianificazione e architettura urbana: la giusta considerazione sulla inefficacia dei Piani Regolatori Generali “disegnati” e la coerente separazione tra Piani Strutturali e Piani Operativi  rischiano di impoverire ambedue i livelli riguardo alla necessaria attenzione alla ‘forma’ della città e di delegare tutte le scelte tipologiche e morfologiche, relative ai fabbricati ed agli spazi pubblici, al momento della progettazione architettonica, isolata dal dibattito generale sulla trasformazione urbana, e quindi alla auto-referenzialità degli architetti ed all’impronta costruttiva dei committenti (immobiliaristi, imprese, singoli privati).
Il tema sembrerebbe non riguardare strettamente la sostenibilità, mentre secondo me è centrale per cercare di perseguire una effettiva vivibilità collettiva degli spazi urbani, e quindi valori culturali e sociali che sono però anche ambientali (paesaggio urbano, qualità edilizia, qualità della vita) ed economici (efficacia della densificazione, successo della mobilità ‘dolce’, costi e benefici delle aree ed attrezzature ad uso collettivo).
Lo affrontano con brillante esposizione Graziella Tonon con l’articolo “Urbanistica e architettura: un rapporto da rinnovare” del 2011  29 e nel testo “La citta’ necessaria”  del 2013 30, così come Giancarlo Consonni, nel testo “La difficile arte. Fare città nell’era della metropoli” del --- ed in altri successivi, 31,32,33 articolando la proposta di una diversa urbanistica che divenga architettura della città:
Consonni:
-          sia nella lettura della genesi storica della metropoli contemporanea (a partire dagli opposti caratteri della città antica e medioevale, e dallo sviluppo e crisi della città industriale) e dei limiti della risposta che architetti e urbanisti del “movimento moderno” hanno dato ai problemi della modernità (con Jane Jacobs 6 e Ildefonso Cerdà – tra gli altri - contro il Le Corbusier teorico dei CIAM  ed i suoi epigoni, e soprattutto contro i contemporanei cantori della bellezza del caos e del frammento, tipo Koolhaas – vedi parte 3^ di questo articolo): schematicamente si può riassumere che per  Consonni la metropoli contemporanea tende a innestare contenitori isolati (architettura dei bunker) su una ipertrofica rete di trasporti e comunicazioni, finendo per consumare, con lo “sprawl”, non solo lo spazio (frammentato e disperso dalle reti),  ma  anche il tempo (spostamenti obbligati su lunghe distanze, congestione), degradando la campagna e disperdendo gli spazi della socialità, della convivenza tra diversi e della conseguente sicurezza spontanea, surrogata dalla segregazione e “militarizzazione”;
-          sia nella formulazione di criteri alternativi per la progettazione, come “luoghi” a misura d’uomo  degli spazi urbani e paesaggistici, valorizzando la complessità dei “contesti” (cum-texere: operare su tessuti storicamente stratificati, polimorfi e polifonici), spaziando, con ampia competenza letteraria e poetica (vedi soprattutto il cap. “L’ospitalità dei luoghi – la riconquista possibile”)  anche sui campi attigui delle altre arti: danza, teatro, romanzo, musica: secondo Consonni (se mi è possibile riassumere in breve prosa una poetica espressa in linguaggio letterario alto) è necessario e possibile ricreare, anche nella modernità, isole urbane a misura pedonale, orientate alla liberazione del tempo, riconfigurandone la stratificazione diacronica con la progettazione di nuovi spazi di relazione (archetipo della “radura” e ripristino di corretti rapporti tra cielo e terra, tra verticale e orizzontale) e collegandole con “strade vitali”; contro l’isolamento estremizzato di tecnica (funzionalismo), natura (illusione della città giardino) e storia (mimesi stilistica), occorre trovare l’equilibrio tra opposte polarità, quali artificio/natura, ordine/complessità, aperto/chiuso, moto/quiete (ecc.), riscoprendo - nella massima attenzione alla dimensione sociale (necessità che la VAS sia “Valutazione Sociale Strategica) - altri archetipi progettuali, tra urbanistica ed architettura: la soglia, la penombra, l’interferenza, la permeabilità.
Tonon contrappone ai teorici contemporanei della “bellezza del caos anti-urbano” una serie di corposi argomenti, fondati appunto sulla dimensione del corpo umano e sul benessere della “mente”, negando che l’architettura e l’urbanistica possano essere gestite come “produzione di oggetti artistici” (analogamente a pittura e/o scultura) e tanto meno come occasioni per rappresentare e celebrare il disordine della modernità (assecondando nel frattempo tutti i più banali appetiti della speculazione fondiaria).
Richiamando l’armonia della città antica (ed anche di quella ottocentesca) ed in particolare la sapiente costruzione e/o progettazione degli spazi vuoti tra i fabbricati (cortili, strade, piazze) come “interni urbani”, luoghi di vita e interazione sociale, Graziella Tonon, oltre  criticare con veemenza le odierne periferie metropolitane, propone all’attenzione di architetti e urbanisti la necessità di re-inventare nuovi spazi urbani vivibili, mediante un approccio “olistico”, che superi la separazione (teorica e pratica) tra l’architettura e l’urbanistica e tra una ragione astratta (che isola le singole funzioni) e la concretezza della vita, che è mente e corpo (e poesia).

Le riflessioni e proposte di Tonon e Consonni non sono scevre dalla consapevolezza delle ragioni strutturali della crisi della città e delle dominanti socio-economiche (con frequenti riferimenti a Mc Luhan) ed anche ideologico-culturali (il “nemico … non sta solo fuori di noi …: è la diffusa perdita di senso”; mentre outlets, centri commerciali e cinema multi-sale godono di un effettivo successo di massa), che rendono difficile l’immane compito di “civilizzare” la metropoli contemporanea.
Ma gli autori sembrano concentrati soprattutto ad un approccio intellettuale, sia ‘dall’alto’ (interessanti considerazioni, e suggerimenti ai legislatori, sui limiti concettuali della attuale legislazione sul suolo, ridotto a concetto catastale-geometrico, e sulla mancanza di relazioni tra “beni paesaggistici” e “beni culturali”, e cioè di attenzioni ai luoghi, ai tessuti e per l’appunto alle stesse “relazioni” tra i diversi elementi di interesse), sia ‘dal basso’, ma limitatamente ad una battaglia culturale per “addetti ai lavori”, progettisti e amministratori, senza una prospettiva di articolazione strategica dei modi e dei mezzi, dei soggetti e delle alleanze, per avvicinarsi alla rifondazione urbana e paesaggistica auspicata (e dichiarata, ma non dimostrata, necessaria e possibile).
Valgono quindi, a maggior ragione, le domande poste nel precedente paragrafo all’Urbanistica Riformista.
[Vedi in appendice 3: approfondimenti e divagazioni su “architettura della città”]





APPENDICE 1: ANALOGIE FORMALI TRA KHRONOPOLIS, NEW KABUL E STADTKRONEN

Colpisce sul piano formale la non dichiarata analogia – fatta salva la diversità di scala – tra lo schema di Khronopolis di Casiroli, il piano per la nuova Kabul, pubblicizzato dagli autori di AS. Architecture Studio A-S 7(nel 2009) ed il progetto utopico “Stadtkronen” di Bruno Taut del 1919.


                       


Figura 3: segmenti di utopie urbane:
Bruno Taut: Stadtkronen 1919
AS. Architecture-Studio: nuova Kabul 2008
Fabio Casiroli: Khronopolis 2008
Idem , visione di Narinder Sagoo, Richard Miller, Foster + Partners




APPENDICE 2: URBANISTI ASSESSORI E URBANISTI CONDOTTI.

La difficoltà di raffrontare una visione utopica con la realtà sociale e politica sono da valutare anche in relazione al coraggioso impegno diretto della professoressa Marson come Assessore Regionale al territorio per la Toscana dal 2010 al 2015 (mentre la scuola territorialista di Magnaghi si è cimentata attivamente con la redazione dei Piani Territoriali e Paesaggistici di importanti territori, dalla provincia di Prato alla Regione Puglia), in analogia storica con l’impegno politico-amministrativo diretto di importanti maestri dell’urbanistica riformista, da Astengo a Detti, da Campos Venuti (e di molti suoi allievi milanesi) a Cervellati, nonché Lodovico Meneghetti (di cui sono stato allievo), che in proposito teorizzò anche il ruolo dell’”urbanista condotto” (ripreso in questi tempi in altra forma da Arturo Lanzani, vedi parte 3^).
Di Urbanisti-Professori-Assessori è ricca anche la cronaca politica recente, da Angela Barbanente in Puglia a Giovanni Caudo a Roma con la Giunta Marino, e poi con le Giunte del M5Stelle a Torino (Guido Montanari) e ancora a Roma, dove però il prof. Paolo Berdini è durato troppo poco all’Assessorato per sperimentare le sue cure sulle “città fallite”: “la finanza dominante ha deliberatamente rotto lo storico patto sociale su cui è fondata la vita delle città ed è stata conseguentemente minata alla radice la stessa concezione del vivere comune”.34,35


APPENDICE 3: APPROFONDIMENTI E DIVAGAZIONI SU “ARCHITETTURA DELLA CITTÀ”

Ho scelto di commentare Tonon e Consonni (oltre che per personale simpatia ed antica vicinanza studentesca), per il peculiare fascino della loro scrittura, ma è doveroso segnalare che analoghe proposte orientate alla qualità urbana della città compatta sono avanzate in Italia, da diverse altre scuole (vedi ad esempio Dal Pozzolo, Giovannini, Colarossi e Latini 36,37,38)  e che a simili attenzioni si perviene anche attraverso i ragionamenti eretici di Marco Romano 39, nonché – a mio avviso – seguendo gli esiti meno formalistici e auto-referenziali della scuola di Aldo Rossi e della sua “Architettura della Città” 40 (meno meccanicista nella parte propositiva della “analisi urbana” di Muratori e Caniggia, 41,42 ritenuta da Consonni inadeguata a descrivere “le manifestazioni mature della metropoli contemporanea”).



Figura 4: dalla copertina di “Architettura della città”



Un percorso analogo di riflessione sulla città sostenibile, in quanto eco-sistema, e non semplice sommatoria di macchine per abitare energeticamente virtuose, si trova nel testo “Ecopolis” di Sergio Lironi 43,  che parte dalla critica al funzionalismo del Movimento Moderno, cui contrappone la concezione olistica ed organica di Mumford e Geddes, ed approda ad una proposta attenta agli aspetti comunitari e partecipativi, affiancata da una recensione sugli sviluppi concreti della bio-architettura e degli eco-villaggi europei negli ultimi decenni.

Fonti:
1.    Maria Berrini e Andrea Poggio “GREEN LIFE” - Edizioni Ambiente, Milano 2010
2.    AA.VV. a cura di Maria Berrini e Aldo Colonetti “GREEN LIFE. Costruire città sostenibili.“ Catalogo della mostra (Milano, 5 febbraio-28 marzo 2010) - Editore: Compositori, Milano 2010
3.    Fabio Casiroli “KHRONOPOLIS – città accessibile, città possibile” – Idea books/ idearte, Viareggio 2008
4.    Anna Frisa, Carlo Ratti “PROGETTARE LA CITTÀ: COME?” Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico di Torino - School of Architecture and Planning, MIT, 2001 www.senseable.mit.edu/.../20011116_Frisa_Ratti_ProgettareCitta_Proceedings CittaDiffusa
5.    Aldo Vecchi “LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE NELLA PROGETTAZIONE DI NUOVI QUARTIERI IN EUROPA” su UTOPIA21, marzo 2017 https://universauser.it/utopia21.html
6.    Jane Jacobs “VITA E MORTE DELLE GRANDI CITTA’  saggio sulle metropoli americane” Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2009
7.    AS - Architecture-Studio “LA CITTÀ ECOLOGICA” Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2009
8.    Rosario Pavia “ECOCITTA’” su URBANISTICA n° 148 del 2011
9.    Alberto Magnaghi “IL PROGETTO LOCALE – verso la coscienza di luogo” Bollati Boringhieri, Torino 2000 e 2011
10. Manuel Castells  “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” UBE Paperback, Milano 2002
11. Manuel Castells “LA CITTÀ DELLE RETI” Marsilio, Padova 2004
12. Wolfgang Sachs e Tilman Santarius  (2007) “PER UN FUTURO EQUO. Conflitti sulle risorse e giustizia globale” Feltrinelli, Milano 2007
13. Wolfgang Sachs e Marco Morosini (2011) “FUTURO SOSTENIBILE” Edizioni Ambiente, Milano 2011
14. Guido Viale “LE SBERLE DELL’ECONOMIA” su “Il Manifesto” quotidiano del 18-06-2011; anche sul sito www.eddyburg.it
15. Guido Viale “I SEI PILASTRI DELLA CONVERSIONE” su “Il Manifesto” quotidiano del 02-02-2012; anche sul sito www.eddyburg.it
16. Anna Marson “ARCHETIPI DI TERRITORIO” Alinea, Firenze 2008
17. Giovanni Ferraro “IL LIBRO DEI LUOGHI” Jaca Book, Milano 2001
18. Joseph Rykwert “LA SEDUZIONE DEL LUOGO. Storia e futuro della città” Einaudi, Torino 2003
19. Christian Norberg-Schulz (1979) “GENIUS LOCI” Mondadori Electa, Milano 1979
20. Giuseppe Campos Venuti “CITTÀ SOSTENIBILI E AUSTERITÀ” su “URBANISTICA INFORMAZIONI” n° 236 del 2011
21. Giuseppe Campos Venuti “URBANISTICA E AUSTERITÀ” CLUP, Milano 1978
22. Giuseppe Campos Venuti “IL CONTENUTO STRUTTURALE DEL NUOVO PIANO” in “Il nuovo piano – atti del XXVI Congresso nazionale INU – Ancona 2008, su “URBANISTICA DOSSIER” n° 111 del 2009
23. Ermanno Vitale “CONTRO I BENI COMUNI – UNA CRITICA ILLUMINISTA” – Editori Laterza, Bari 2013
24. Aldo Vecchi “ERMANNO VITALE: UN ILLUMINISTA CONTRO IL BENE-COMUNISMO” su UTOPIA21, Ottobre 2016 https://universauser.it/utopia21.html
25. Paolo Maddalena “IL TERRITORIO BENE COMUNE DEGLI ITALIANI” Donzelli, Roma 2014
28. Aldo Vecchi “LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO: PARTE 2^ - LA LEGGE CATANIA E GLI SVILUPPI DELL’URBANISTICA ITALIANA” su UTOPIA21, Novembre 2016 https://universauser.it/utopia21.html
29. Graziella Tonon “URBANISTICA E ARCHITETTURA: UN RAPPORTO DA RINNOVARE” su URBANISTICA n° 145 del 2011
30. Graziella Tonon “LA CITTA’ NECESSARIA” Mimesis, Milano 2013
31. Giancarlo Consonni “LA DIFFICILE ARTE. Fare città nell’era della metropoli” Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2008
32. Giancarlo Consonni “LA BELLEZZA CIVILE. Splendore e crisi della città” Maggioli, Santarcangelo di Romagna, 2013
33. Giancarlo Consonni “URBANITA’ E BELLEZZA. Una crisi di Civiltà” Solfanelli, Chieti 2016
34. Paolo Berdini “LE CITTA’ FALLITE. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano” Donzelli, Roma 2014
35. Aldo Vecchi “LE CITTA’ FALLITE” DI PAOLO BERDINI COME STIMOLO AD UNA VERIFICA FATTUALE” sul blog http://aldomarcovecchi.blogspot.it
36. AA.VV. a cura di Luca Dal Pozzolo “FUORI CITTÀ, SENZA CAMPAGNA. Paesaggio e progetto nella città diffusa” Franco Angeli, Milano 2002
37. Paolo Giovannini “IL PROGETTO URBANO PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE” Dipartimento di Urbanistica e Pianificazione territoriale, Università di Firenze (atti convegno “dalla città diffusa alla città diramata”, Torino 2011)
38. AA.VV. a cura di Piero Colarossi e Antonio Pietro Latini (2009) “LA CITTÀ DEL BUON ABITARE E LA PROGETTAZIONE URBANA” in URBANISTICA n° 140 del 2009
39. Marco Romano “COSTRUIRE LE CITTÀ” Skira, Milano 2004
40. Aldo Rossi “L’ARCHITETTURA DELLA CITTÀ” Città studi, Milano 2006 (ristampa)
41. Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei “LETTURA DELL’EDILIZIA DI BASE” Marsilio, Padova 1979
42. Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei “IL PROGETTO NELL’EDILIZIA DI BASE” Marsilio, Padova 1984

43.   Sergio Lironi "ECOPOLIS - bioarchitettura ed ecologia urbana" Edizioni GB, Padova 2011