sabato 28 ottobre 2017

ROSATELLUM


ROSATELLUM 1 - INSIEME

Non è facile dire bene della nuova legge elettorale, e tanto meno del metodo con cui è stata approvata a colpi di fiducia, come autorevolmente denunciato anche dall’ex Presidente Giorgio Napolitano.

(A posteriori, tanto valeva mettere la fiducia sul precedente “Tedeschellum”, che a me non piaceva altrettanto, ma che invece aveva il pregio di non dispiacere ad un arco maggiore di gruppi parlamentari).

Del “Rosatellum” il pregio principale è di essere abbastanza coerente, e soprattutto di superare il cumulo di detriti derivanti dalla demolizione parziale, ad opera della Corte Costituzionale, del Porcellum per il Senato e dell’Italicum per la Camera.

Il difetto principale invece, a mio avviso, è quello di non facilitare l’emergere di una chiara maggioranza parlamentare, come invece faceva in qualche misura il Mattarellum (con il 75% - e cioè il doppio – di collegi uninominali) e avrebbe potuto fare l’Italicum se opportunamente corretto (ad esempio con l’introduzione di piccoli collegi, e soprattutto delle coalizioni al secondo turno, come è per i Sindaci; nonché, per quanto possibile, con idonea estensione al Senato, che il referendum costituzionale ha tenuto in vita immutato).

Berlusconi (cui la nuova legge tatticamente più che ad altri conviene; per il PD c’è aria di autogol) ha affermato che soluzioni maggioritarie sarebbero inadatte con rivalità tra 3 poli anziché 2: sono convinto del contrario, come dimostrano sia le esperienze inglesi (da un secolo Tory, Lib e Lab) e francesi (centro-destra/centro-sinistra/terzi incomodi), sia lo stesso esordio vittorioso di Forza Italia&alleati nel 1994 (allora i Popolari di Segni correvano separati dai Progressisti); tutti casi in cui la scelta su chi far governare risulta esercitata dagli elettori, con uno oppure due turni di votazione.


ROSATELLUM 2 - DETTAGLI

Con riferimento ad altre critiche di merito alla nuova legge elettorale, condivido quelle sul “Capo Politico” (che cos’è?), per giunta riferito solo alle singole liste e non alle coalizioni (così pure per i programmi: su cosa ci si coalizza?), mentre apprezzo la limitazione degli effetti negative delle pluri-candidature ovvero candidature di uno stessa persona in più collegi (attraverso l’automatismo dei subentranti in base ai voti ricevuti e non più per opzione del pluri-eletto); infine NON mi accodo a chi avrebbe voluto il ritorno alle “preferenze”, contro “il Parlamento dei nominati”.

Mi pare infatti che il suggerimento delle “liste corte”, emerso dalla Corte Costituzionale, vada in parte incontro alle esigenze di trasparenza su chi si sta eleggendo, e rammento i buoni motivi per cui nel 1991 si votò il referendum CONTRO le preferenze (grossa fonte di corruzione e di connubi opportunistici tra candidati e tra candidati e clientele); ma soprattutto vorrei considerare che COMUNQUE le liste elettorali, su cui si vorrebbero esercitare le preferenze, le compilano le Segreterie Nazionali dei Partiti e Movimenti (fatta salva l’autonoma volontà di esercitare selezioni tramite “primarie”): pertanto è sempre una scelta tra “nominati”.

La vera garanzia, per le minoranze interne alle singole forze politiche (che rischiano di non esprimere candidati in posizioni utili nelle liste), nonché per gli elettori, è che risulti praticabile l’accesso di nuove forze nel Parlamento, soprattutto a scala locale (ad esempio con la formazione di liste di dissidenti in risposta a dispotiche esclusioni partitiche): il che è comunque più possibile con piccoli collegi (come è nel Rosatellum), rispetto alle grandi circoscrizioni del Porcellum e della vecchia legge proporzionale della “prima Repubblica” (leggi che per altro non hanno fermato l’irruzione di nuovi soggetti, come la Lega negli anni ’90 e il M5Stelle negli ultimi anni)

Sulla possibilità di “nuovi ingressi” pesano anche meccanismi di dettaglio, quali il numero di firme da raccogliere per ogni singola circoscrizione e le soglie di sbarramento (nella nuova legge pari 3% nazionale per le singole liste e 10% per le coalizioni); ma per l’elezione nei collegi uninominali vince comunque chi arriva primo, senza verifica di soglie nazionali di lista, il che dovrebbe scoraggiare la candidatura di “impresentabili”.  

(In questo senso poteva essere positiva anche l’ipotesi di “voto disgiunto”, che più in generale mi lascia perplesso, perché può combinarsi con scambi clientelari e giochetti di potere interne/esterne ai partiti).

(Questa mia attenzione ai “nuovi ingressi” non è in contraddizione con le mie preferenze persistemi eletorali maggioritari a doppio turno, perché da un lato mi interessa che i “nuovi ingressi” siano sempre potenzialmente praticabili, più che non siano effettivamente praticati, d’altro lato perché i conti per l alleanze si fanno in quel caso soprattutto dopo il primo turno,  e i numeri li decidono gli elettori e non i sondaggi; alcune opposizioni, soprattutto a sinistra, forse dovrebbero cessare di coltivare una insistente “vocazione minoritaria”, che difficilmente porta a divenire maggioranza).    

  

ROSATELLUM  3 –  IL MOVIMENTO 5 STELLE

Dall’opposizione frontale e propagandistica del M5Stelle (pur in apparenza sfavorito da collegi uninominali e coalizioni), emerge a mio avviso tutta l’inconsistenza strategica di tale MoVimento, che aveva invece buttato, con il No al referendum, l’occasione per convergere sull’Italicum: a prescindere dalla varie proposte avanzate dallo stesso M5stelle, un sistema maggioritario a doppio turno – sulla carta – poteva invece favorirli, come favorevole hanno spesso trovato la legge elettorale per i Sindaci.

La vulgata originaria del MoVimento (ai tempi ormai remoti del “uno vale uno” e della totale trasparenza in “streaming” delle riunioni politiche, nonché delle “scatole di tonno” da svelare agli italiani), era quella della imminente morte dei partiti e contestuale liberazione dei cittadini, che presto sarebbero convenuti  a votare M5S e conseguente crescita di una democrazia diretta e digitale (una concezione che mi sembra squisitamente e letteralmente “totalitaria”).

Poiché, malgrado gli indubbi successi locali e nazionali (meglio tacere sulla collocazione al Parlamento Europeo), al momento l’orizzonte più ottimistico per il M5Stelle è quello di profilarsi alle elezioni come “primo partito”, mi pare manchi una organica teoria per la transizione al “potere dei cittadini”, fermo restando (ad oggi) il loro principio di non-alleanza con altre (ed immonde) forze politiche.

Ripetizione delle elezioni fino allo sfinimento (con il triste precedente della repubblica di Weimar)?

Convergenza post elettorale di parlamentari eletti in altre liste, ma improvvisamente perdonati dal loro passato partitario (come ha accennato il candidato alla presidenza della Sicilia Cancelleri, in un contesto tradizionalmente trasformista, dal Milazzismo” degli anni ’50  alle maggioranze variabili di Crocetta)?

Richiesta di benevoli astensioni ed “appoggi esterni” in nome del diritto a governare del “primo (non)partito” (come negato in streaming dallo stesso M5S a Bersani nel 2013)?.