giovedì 19 novembre 2020

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2020: ALDO SCHIAVONE E IL PROGRESSO

 Una rapida storia della specie umana e delle sue trasformazioni biologiche, tecnologiche e socio-politiche, che ne evidenza il contraddittorio “progresso”, con i rischi e le potenzialità aperte in questo presente e futuro. Con una post-fazione sulla Pandemia.

 

”Progresso”1 di Aldo Schiavone è un testo breve, scritto in modo chiaro e brillante, che – dopo aver puntualmente rievocato la “recente” parabola della stessa idea di progresso, emersa dal Rinascimento all’Illuminismo e magnificata ed infine avversata attraverso le vicende del Novecento - riepiloga l’intera storia della specie umana, dagli albori biologici (non ne ripercorro le tappe in questa recensione), e ne ricava infine la constatazione di un effettivo, duplice e contradditorio, progresso (progresso da un punto di vista esclusivamente umano, non certo di altre specie):

-       l’evoluzione, sia genetica che culturale, che ha modificato le condizioni materiali di vita, accelerando negli ultimi secoli e decenni fino ad una trasformazione tecnologica sempre più rapida e pervasiva, tale da lambire artificialmente la stessa struttura genetica, perché “siamo sul punto di staccare completamente la vita dell’umano dalla naturalità della specie”;

-       le faticosa rincorsa del pensiero (religioso, filosofico, politico) e delle organizzazioni socio-politiche nel controllare, gestire e governare tali trasformazioni, valorizzandone comunque l’intima umanissima natura di scoperte potenzialmente utili al vivere civile.

 

Secondo l’Autore, “lo scompenso che stiamo vivendo … è il rovesciamento speculare di ---  quanto accaduto nella storia dell’antichità greco-romana, dove fu invece la tecnica a ristagnare e rimanere indietro [1], rispetto all’esplosione … di altri saperi” ecc.; fino a costituire un “… primato schiacciante dell’io interiore e del legame politico … sugli aspetti materiali dell’esistenza”; mentre  “una gerarchia rigidissima di ruoli e di funzioni … era indispensabile, nelle condizioni produttive delle società antiche per … poter assicurare almeno ad alcune ristrette minoranze il tempo e le risorse necessarie per lo sviluppo di una cultura superiore…”.

 

Il che comporta una sorta di indiretta ‘giustificazione storica’ di schiavismo e maschilismo, perché per Schiavone solo il moderno livello di sviluppo delle forze produttive avrebbe determinato le condizioni per poter immaginare (ed in parte anche praticare) l’universalismo dei diritti.

 

In questa visione, esplicitamente orientata in senso “progressista” ma non lineare, anzi  aperta a considerare la dialettica di tutte le biforcazioni passate e presenti della evoluzione biologica e della storia, fenomeni come il nazismo e la Shoah, oppure il fallimento comunista, o ancora le tragiche applicazioni e le incombenti minacce delle armi nucleari, sono considerati come temporanee sfasature e prevalenze delle brute forze dello sviluppo tecnico, rispetto ad un umanesimo in affanno, che comunque ha saputo circoscriverli ed in parte superarli.

Infatti nel senso comune della stra-grande maggioranza dei contemporanei i deliri totalitari e razzisti sono da condannare, così come soprusi largamente condivisi in passato (colonialismo, e schiavismo), e le armi nucleari – di fatto - non sono più state usate dopo Hiroshima e Nagasaki.

 

Parimenti, secondo Schiavone, le principali problematiche di questi ultimi decenni, dalla globalizzazione alla crisi delle democrazie, fino al rischio climatico-ambientale (e pandemico, in una post-fazione aggiunta al testo già pronto all’inizio del 2020), non sono ineluttabili ed insuperabili, ma richiedono un salto di paradigma nel pensiero e nella prassi socio-politica, paragonabile a quello – elaborato in un paio di secoli – che si rese necessario per fronteggiare e umanizzare la “rivoluzione industriale”.

 

Meno convincente mi sembra il testo nel tentativo di delineare i contenuti di questa svolta, auspicabile, ma non scontata: se il pensiero dell’era industriale ha variamente elaborato come pilastri l’individuo liberale e la persona neo-cristiana (ripresi deformati nello stesso collettivismo socialista), occorrerebbe approdare, secondo Schiavone, ad una ”concezione impersonale”, che contempli alla radice sia l’io che il noi (un noi universalista e non localista), l’uomo e le altre specie ed il resto della natura: “L’economia globale, che rimane più che mai un modo dell’organizzazione capitalistica del mondo, e dunque essa stessa una forma storica destinata prima o poi a esaurirsi, esige, per potersi riequilibrare, di essere messa a confronto con una soggettività altrettanto globale: che non può essere costituita se non dall’impersonalità dell’umano nel suo complesso”.

 

“Un’impersonalità che si fa soggetto … - conclude Schiavone – ma che … deve costruire la propria soggettività soltanto per inclusione…”.

Primo corollario postulato dall’Autore è che sul delicato fronte della manipolazione genetica “..ogni ipotesi di modifica ereditariamente trasmissibile … possa essere presa in considerazione solo se fruibile, in condizioni di assoluta parità, da parte di tutto l’umano.”

 

Una ricerca che mi sembra assomigli a quella di papa Francesco sulla fratellanza umana e la cura del pianeta, oppure di Marc Auge’ verso il “planetarismo” 2,3, ed anche all’insegnamento dei grandi non-violenti, come Gandhi, M.L. King e Mandela (nonché l’attuale dibattito sull’etica della transizione, ben raccontato da Fulvio Fagiani su Utopia21 di settembre 4): ma non ho capito quanto aiuti in queste direzioni il nuovo concetto di “impersonalità”, che di primo acchito assume un sapore di fredda terzietà, piuttosto che di afflato fraterno.

 

Interessante mi è sembrata anche la post-fazione sulla Pandemia Coronavirus, in cui Schiavone, nel confutare la tesi secondo cui la presente pandemia deriverebbe dall’essere “andati troppo oltre nel sottomettere la natura alla tecnica”, rammenta che quando “la natura era intatta nella sua presunta sacralità, si moriva come mosche … massacri accettati dal senso comune come eventi inevitabili, ‘naturali’ “ …”l’esistenza quotidiana nelle campagne europee … era di una durezza spaventosa, anche senza epidemie. E quando queste si scatenavano – senza medici, senza ospedali, senza medicine, senza disinfezione, ‘senza tecnica’ – accadeva l’inimmaginabile”.

L’Autore non nega che “l’economia capitalistica – questa, non la tecnica in quanto tale – possiede intrinseci tratti rapinosi e predatori, che tendono a moltiplicare …squilibri e ferite sociali e ambientali di vastità imprevedibili”

Evidenzia però il valore che oggi si tende a conferire ad ogni singola vita, il che ci fa giustamente considerare insufficiente la capacità raggiunta di prevenire e curare (pur altissima rispetto ad un recente passato, dalla Spagnola all’Asiatica).

L’Autore pertanto auspica una adeguata collaborazione mondiale per elevare tali livelli, ma coglie anche il costituirsi di embrioni positivi, sia nella cooperazione internazionale tra medici e scienziati, sia nella – seppur contraddittoria – condivisione dei “protocolli” di comportamento da parte delle istituzioni e delle popolazioni dei diversi paesi.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Aldo Schiavone – PROGRESSO – Il Mulino, Bologna 2020

2.    Marc Augé - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE - Torino, Codice edizioni, 2017

3.    Aldo Vecchi – UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, PER MARC AUGÈ – SU utopia21, GENNAIO 2028 - https://drive.google.com/file/d/15pVwRQGfv1YgVwfggi8FofhkUeQZY8qx/view.

Fulvio Fagiani – DIBATTITO SULLA TRANSIZIONE ETICA – su UTOPIA21, settembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1XdZ4VyLAywGkHbQI0XdgNGFIQXkRA9b5/view


[1] Il compito è impari, perché Schiavone proprio di storia antica è tra i sommi conoscitori, ma mi permetterei di avanzare il dubbio che “dopo l’introduzione della metallurgia” il mondo greco-romano NON sia entrato in una stasi tecnologica, anche se le classi dirigenti acculturate poco se ne occupavano (per lo meno negli scritti a noi rimasti): mi riferisco alle trasformazioni riscontrabili nell’archeologia – tra il V secolo avanti Cristo ed il IV dopo Cristo - nel modo di costruire (ne testimonia tra gli altri il Colosseo), di urbanizzare e colonizzare (acquedotti e fognature; ponti e strade), di manipolare e conservare gli alimenti (vedi ad esempio la cittadella operosa di Baelo Claudia, per produrre dal pesce atlantico il ‘garum’ per la metropoli romana), di navigare e di  commerciare (vedi la complessità delle vestigia archeologiche di Ostia).

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2020: SUL DECRETO SEMPLIFICAZIONI

 



Semplificazioni, semplificazioni che complicano, e qualche ulteriore favore ai soliti noti

 

Sommario:

-       appalti: ulteriore rialzo delle soglie per affidamenti senza gara

-       edilizia privata: la contorta strada per ridurre i controlli sugli interventi di demolizione e ricostruzione

 

Tra i vari Decreti-Legge assunti dal Governo (e poi convertiti in Legge dal parlamento) sotto il segno dell’emergenza pandemica, il Decreto ‘Semplificazioni’ (ora legge n° 120 del 11-9-2020)1, a mio avviso merita un commento, anche in relazione agli elementi di continuità/discontinuità rispetto al Decreto ‘Sblocca-Cantieri’ del Governo Conte-1 (a maggioranza Lega+5Stelle).

Mi limito infatti al campo Edilizia/Lavori Pubblici, di mia affezione disciplinare, senza affrontare il complesso insieme del provvedimento, che spazia – mi pare con lodevoli intenti - dai servizi digitali connessi alla Pubblica Amministrazione agli impianti per l’energia rinnovabile (ed altro).

 

 

APPALTI: ULTERIORE RIALZO DELLE SOGLIE PER AFFIDAMENTI SENZA GARA

 

In materia di Appalti Pubblici, la legge 120/2020, oltre ad una serie di snellimenti temporali e procedurali sulle Conferenze di Servizi ed altri provvedimenti volti a prevenire il contenzioso tra Enti ed Imprese, all’art. 1 sostanzialmente innalza da 40.000 € a 150.000 €, per i lavori, ed a 75.000 €, per le forniture ed i servizi (compresi quelli di progettazione), la soglia entro cui è consentito l’affidamento diretto, senza alcuna forma di gara (che nel precedente ‘sblocca-cantieri’ era già limitata al confronto tra 3 o 5 preventivi); mentre oltre i 150.000 € e fino alla soglia “europea” (circa 5.300.000 €) saranno consentite gare  a trattativa privata, ma con un congruo numero di offerte.

 

Mi sembra doveroso perciò ripetere – aggravato dalle suddette elevazioni quantitative - il commento da me espresso su tale aspetto dello ‘sblocca-cantieri’ 2:

“…oltre al contenuto… di maggiore discrezionalità, attribuita formalmente a funzionari responsabili, dispersi in una miriade di Enti …, ma spesso di fatto ai politici locali (quando non direttamente ai Sindaci e Assessori dei piccoli Comuni, che possono assumere ruoli operativi) …, l’estensione degli affidamenti diretti può alimentare una ‘palestra clientelare’, dove a farsi le ossa, accumulando curricula e fatturati da esibire poi nelle gare ‘sopra-soglia’, sono principalmente le imprese degli ‘amici degli assessori’, a danno dei concorrenti sprovvisti delle opportune amicizie.”

 

La negatività di questa scelta – che mi spiace sia sostenuta da un Governo meno peggiore del precedente – è rafforzata dalla conferma implicita delle altre manomissioni al Codice degli Appalti, disposte dallo ‘sblocca-cantieri” come norme provvisorie, per lo più relative al biennio 2020-2021 [1], che vanno così a combinarsi con lo sbragamento sulle soglie per le gare, proiettandone le ombre su gran parte degli appalti che saranno resi possibili, nel 2021, dagli attesi fondi europei del cosiddetto Recovery Fund.

Anche se in proposito, il testo governativo delle Linee Guida per il Recovery Fund (che commento in altro articolo di questo numero di Utopia21) promette un nuovo “regolamento unico”, dai contorni ancora imprecisati: non si può capire se vi sia la effettiva volontà di pervenire ad una ri-stesura organica della disciplina degli Appalti, dopo una così intensa de-costruzione.

 

 

EDILIZIA PRIVATA: LA CONTORTA STRADA PER RIDURRE I CONTROLLI SUGLI INTERVENTI DI DEMOLIZIONE E RICOSTRUZIONE

 

Per quanto riguarda l’Edilizia Privata il decreto ‘sblocca-cantieri’ del 2019 si era limitato a consentire – nell’ambito della ‘ristrutturazione edilizia’ – anche la demolizione e ricostruzione con il rispetto delle sole distanze (dai confini e dai fabbricati) ‘legittimamente preesistenti’ (al momento della originaria costruzione), senza adeguamento alle norme sopravvenute riguardo alle distanze stesse.

Ora l’articolo 10 del decreto ‘semplificazioni’1 (oltre a facilitazioni minori, come le modifiche di facciata incluse nella ‘manutenzione straordinaria’ e all’estensione da 90 a 180 giorni della posa di manufatti provvisori inclusi nella ‘edilizia libera’ – cioè senza bisogno di autorizzazioni -) ritorna sull’argomento delle demolizioni e ricostruzioni, inserendole con fatica e parzialmente nella stiracchiatissima categoria della ‘ristrutturazione edilizia’:

-       includendo anche contestuali ampliamenti in altezza (ma non nei ‘centri storici’, dove tale facoltà è ammessa solo con Piani Attuativi) [2]

-       Includendo “gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche" (esclusi anche qui i centri storici).

 

Richiamando l’originaria e limpida dottrina della legge 457 del 1978 sul recupero edilizio ed urbanistico (in quel contrastato decennio dei ’70, di conflitti e riforme, quando era all’apogeo la ‘centralità del Parlamento’ e le leggi – anche sbagliate, come a mio avviso quella dell’’equo canone’ per gli affitti – venivano mediamente scritte piuttosto bene), gli interventi sul tessuto edilizio esistente erano classificati con una ragionevole gradualità come segue:

-       Manutenzione ordinaria

-       Manutenzione straordinaria

-       Restauro e risanamento conservativo (sdoppiato da qualche Regione)

-       Ristrutturazione edilizia (anch’essa sdoppiata in leggera o pesante in qualche Regione)

-       Ristrutturazione urbanistica.

Rimaneva equiparata a ‘nuova costruzione’ la sostituzione edilizia sul singolo lotto, tramite demolizione e ricostruzione (mal vista dalla cultura dell’epoca; ora invece è tornato maggiormente in voga il piccone demolitore).

 

La smania di assimilare la sostituzione edilizia alla ristrutturazione cresce dopo che i colpi di mano berlusconiani per il silenzio-assenso in materia edilizia degli anni ’90 erano stati risistemati e riassorbiti nel Decreto Presidenziale n° 380 del 2001, “Testo unico… in materia edilizia” 3, che – con successivi pesanti modifiche – ripartisce gli interventi edilizi in distinti canali procedurali (distribuzione in parte modificabile dalle Regioni), ovvero:

-       l’attività edilizia “libera”

-       la comunicazione di inizio lavori ‘asseverata’ (da un tecnico abilitato), C.I.L.A.

-       la segnalazione certificata di inizio attività, S.C.I.A.

-       e (finalmente) il permesso di costruire rilasciato dal Comune (entro tempi certi, definiti dalla legge stessa), P.D.C..

Anche se gli interventi tramite C.I.L.A. e S.C.I.A. sono comunque assoggettati alle medesime normative di merito, rispetto alla procedura con P.D.C., ed alla emanazione degli eventuali pareri di altre autorità, sotto la responsabilità dei tecnici progettisti, pare che il Legislatore sia molto affezionato, dal 2001 ad oggi, a forzare la mano verso l’alto, restringendo il campo del Permesso di Costruire, in favore delle suddette procedure autocertificate: ciò può essere letto benevolmente (ridurre i tempi, responsabilizzare i privati, concentrare l’attenzione degli uffici comunali sui controlli delle auto-certificazioni), oppure un po’ meno benevolmente (ridurre i controlli preliminari degli uffici comunali, confidando nel contempo che i controlli ex-post non siano così frequenti né efficaci, anche per i contestuali tagli agli organici di molti comuni…).

 

A mio avviso, sarebbe stato più onesto, ma soprattutto più chiaro, e quindi meno foriero di incertezze e contenziosi interpretativi, se il Legislatore (chiamando le cose con il loro nome, ovvero ristrutturazione un intervento che trasforma senza demolire, e sostituzione un intervento che demolisce/riscostruisce, con la possibile categoria intermedia della ‘ricostruzione fedele’) avesse avuto il coraggio di proclamare che – in nome del risparmio nel consumo di suolo e dei benefici congiunturali – anche le ricostruzioni sono conseguibili con S.C.I.A. (anziché Permesso di Costruire), escludendone nettamente i centri storici e le aree vincolate per il paesaggio ed altro.

 

E magari unificando C.I.L.A. e S.C.I.A. in una unica procedura, rendendo però cogenti i controlli comunali “ex-post”, anche sulle autocertificazioni finali per l’abitabilità: ad esempio mediante sorteggio, con quantità di controlli annuali predefinite, sia sulla documentazione, sia sui cantieri.

 

Così invece la normativa risulta molto pasticciata, perché quanto concesso modificando gli articoli 2/bis e 3 del D.P.R. n° 380 del 2001 (come sopra da me riassunto), viene poi in parte limitato dalle modifiche all’art. 10, relativo ai Permessi di Costruire, perché qui si precisa che restano assoggettati a PDC gli interventi di ristrutturazione iper-pesanti (cioè che mutano “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche”), qualora comportino anche incremento volumetrico, mentre per gli immobili in aree vincolate l’obbligo di PDC viene esteso dalle sole modifiche di sagoma anche a quelle relative a volume e prospetti.

 

Non credo che sia questo il modo migliore per avviare la auspicata “rigenerazione urbana”.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1.    Testo della Legge n° 120 del 2020 - https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/2020/07/16/178/so/24/sg/pdf

2.    Aldo Vecchi - INDOVINA CHI VERRA’ AVVANTAGGIATO DAL DECRETO “SBLOCCA-CANTIERI” – su UTOPIA21, luglio 2019

3.    Testo del Decreto del Presidente delle Repubblica n° 380 del 2001 -

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/11/15/01A12340/sg



[1] “- il ritorno all’appalto diretto da parte di piccoli comuni ed altri enti, in precedenza obbligati a ricorrere a stazioni appaltanti più qualificate,

- il rinvio/soppressione dell’albo dei commissari di gara,

- il riemergere dell’ “appalto integrato”, in cui la gara viene fatta su un sommario “progetto definitivo”,

- la gara al minor prezzo

- i subappalti al 40%, senza previa comunicazione dei nominativi in sede di offerta per la gara.”

[2] Tale cautela verso i centri storici, introdotta per emendamento della maggioranza parlamentare, ha sollevato gli strali del giornalista, già ‘anti-casta’, Sergio Rizzo, che vi legge un ritorno alla burocrazia contro i giusti snellimenti in favore dei privati (recente articolo su “la Repubblica”).

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2020: LE LINEE GUIDA GOVERNATIVE PER IL “RECOVERY FUND”

  

Un documento ambizioso che rischia di invecchiare (a causa della seconda ondata pandemica) senza essere seriamente dibattuto, come invece comunque meriterebbe, sia per ciò che contiene, sia per ciò che non contiene

 

Sommario:

-       premessa: la seconda ondata della pandemia stinge le polemiche su consultazioni e procedure 

-       orizzonte e obiettivi

-       assi portanti?

-       riforme collaterali

-       note a margine e nota conclusiva

(in corsivo le osservazioni più personali)

 

PREMESSA: LA SECONDA ONDATA DELLA PANDEMIA STINGE LE POLEMICHE SU CONSULTAZIONI E PROCEDURE

 

Leggendo in novembre il documento emanato a metà settembre dal Governo1 (una trentina di pagine, poi ripetute in forma di ‘slides’), si ha purtroppo l’impressione di leggere un testo favolistico (nelle favole il tempo è imprecisato, “c’era una volta”, ecc.), che collocava la Pandemia Covid-19 in un passato chiuso e superato, e si preoccupava solo della ripresa socio-economica, in un quasi-radioso avvenire.

Invece ci troviamo pienamente nella bufera della ‘seconda ondata pandemica’ (con la sola consolazione che gli altri paesi occidentali non stanno meglio) e quindi nella necessità di un continuo aggiornamento in peggio delle previsioni socio-sanitarie e macro-economiche per i prossimi anni, che degli investimenti prospettati dai fondi straordinari europei “Next Generation EU” sono premessa e cornice.

 

Poiché tuttavia la difficile strada per il superamento della crisi dovrebbe passare comunque per l’impiego dei fondi europei (se confermati, date le tensioni politiche intra-europee, acuite dal ritorno pandemico), sembra abbastanza utile esaminare il documento governativo, che si pone come sintesi delle precedenti consultazioni di primavera/estate (commissione Colao2 e tavoli di villa Doria Pamphili) e terreno di confronto per il pronunciamento, sia del Parlamento italiano, sia delle stesse Autorità comunitarie, in vista poi della raccolta e selezione dei singoli progetti che saranno presentati da soggetti pubblici e soggetti privati (od anche in parternariato pubblico/privato).

 

In questo processo non trovo per nulla comprensibili le numerose critiche al Governo in termini di ‘eccesso di decisionismo’ o di ‘soffocamento del dibattito’, viste le consultazioni preliminarmente svolte, e l’ampio spazio ancora aperto per modifiche e correzioni, nonché per proposte operative che sorgano dai territori; non è poi colpa del Governo se il Parlamento, da metà settembre, non ha ancora calendarizzato un serio dibattito; e neppure se i giornalisti preferiscono scrutare nella palla di vetro del ‘rimpasto di governo’, anziché leggere e commentare 30 paginette di documento.

Semmai il rischio è l’opposto, perché le Linee-Guida si presentano sotto molti aspetti come generiche ed ecumeniche, e non idonee a raccogliere organicamente i “progetti” in quella griglia di “sfide”, “missioni” e “cluster” enunciata dal documento stesso, tenendo conto che i criteri preannunciati per la selezione dei “progetti”, per quanto ragionevoli, non appaiono per nulla cogenti.

 

 

ORIZZONTE E OBIETTIVI

 

L’orizzonte culturale delle Linee Guida, pur rappresentando a mio avviso una sintesi alta rispetto ai contributi politici delle componenti governativa (in raffronto, ad esempio, ai limiti dei rispettivi programmi elettorali 3,4) ed abbastanza aggiornata rispetto al linguaggio delle istituzioni comunitarie 5 (anzi, con un eccesso di inutili anglicismi, del tipo “reshoring, life-long learnig, target, milestones, profit shifting”), cerca di declinare una visione di sviluppo sostenibile in cui si contemperano le tradizionali istanze industrialiste (imprenditorialità, competitività, produttività, sburocratizzazione, incremento del PIL) con parte delle più aggiornate parole d’ordine ambientaliste (inclusione, circolarità, resilienza, risparmio di suolo: manca però totalmente la ‘bio-diversità), evitando di fare i conti con le contraddizioni di fondo che – su tali fronti – si apriranno oggettivamente nel prossimo futuro (ad esempio quanti posti di lavoro si perderanno, e non solo si creeranno, con la riconversione ‘verde’ della produzione; quanto occorrerà ridurre i consumi per conseguire effettivamente gli obiettivi climatici; quanto sarà duro lo scontro sulla digitalizzazione – in termini di posti di lavoro in pericolo, ma anche di predominio sulle libertà personali - in mezzo tra i monopoli americani e la dinamica cinese; ecc.).

 

Il non voler fare di conto appare eclatante nel capitolo “II.1 GLI OBIETTIVI E LE SFIDE PER L'ITALIA”, che enumera 12 obiettivi quantificabili, ma ne quantifica solo i primi 4 (crescita dallo 0,8 all’1,6% del PIL; investimenti pubblici al 3% del PIL, spesa per ricerca dall’1,3% al 2,1% del PIL, occupazione dal 63% al 73%), – “mo’ abbiamo quantificato abbastanza” - e non i successivi 8, ovvero:

·         “ Elevare gli indicatori di benessere, equità e sostenibilità ambientale

·         Ridurre i divari territoriali di reddito, occupazione, dotazione infrastrutturale e livello dei servizi pubblici

·         Aumento dell'aspettativa di vita in buona salute

·         Promuovere una ripresa del tasso di natalità e della crescita demografica

·         Abbattere l’incidenza dell'abbandono scolastico e dell'inattività dei giovani

·         Migliorare la preparazione degli studenti e la quota di diplomati e laureati

·         Rafforzare la sicurezza e la resilienza del Paese a fronte di calamità naturali, cambiamenti climatici, crisi epidemiche e rischi geopolitici

·         Promuovere filiere agroalimentari sostenibili e combattere gli sprechi alimentari

·         Garantire la sostenibilità e la resilienza della finanza pubblica”.

 

 

 

ASSI PORTANTI?

 

Partendo da un’analisi in buona parte condivisibile delle arretratezze italiane, rispetto alle medie europee (leggibile anche dal suddetto elenco degli obiettivi), il testo ribadisce più volte che le direttrici principali delle trasformazioni prospettate sono:

-       la riconversione energetica/ecologica dei settori produttivi e della mobilità (anche con riferimento a programmi più dettagliati presenti nel PNIEC; Piano Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima, dello scorso gennaio 2020 6),

-       la digitalizzazione del Paese, a partire dalla disponibilità delle infrastrutture di comunicazione (‘banda larga’), dalla formazione e dai rapporti con la Pubblica Amministrazione,

assieme alla modernizzazione delle infrastrutture per la mobilità, ed al rilancio del sistema di istruzione/formazione/cultura/ricerca; rassicurando nel contempo l’attenzione alla riduzione dei divari sociali (e di genere) e territoriali (Sud, aree interne, periferie).

 

Però il discorso governativo non si articola già in grandi progetti portanti, come potrebbero essere a mio avviso ed a titolo di esempio, con riferimento anche a temi da me già trattati:  “elettrificazione di tutti i bus urbani entro 5 anni 7 (e non verso il 2033, vedi PNIEC 6)” “elevazione in 5 anni dell’obbligo scolastico a 18 anni”, “dimezzamento dell’abbandono scolastico in 3 anni” “asili nido per il 50% dei bambini entro 5 anni” “risanamento anti-sismico di tutti i fabbricati a rischio, mediante progetti a scala di isolato, entro 20 anni” 7.

Cerca invece di essere un grande cappello sotto cui raccogliere il meglio tra “cento fiori [che] fioriscano” 8 (privilegiando probabilmente quelli più rapidamente ‘cantierabili’), il rischio che concretamente si profila, a mio avviso, è che le conclamate “priorità” e “attenzioni” si riducano ad una prudente modalità di selezione tra progetti anche disorganici, curando soprattutto che non vi siano troppi scontenti (con quote % di garanzia minima a favore del Sud o delle donne, dell’ambiente, delle imprese o del terzo settore, e via ‘lottizzando’, anche se potenzialmente con una versione non ignobile di tale pratica consociativa; cioè, per chiarire, non penso ad una lottizzazione del tipo di cui all’inchiesta giudiziaria “Mensa dei Poveri”, per capirsi qui nel Varesotto).

 

Correttamente le Linee Guida (diversamente da alcuni propagandisti dei partiti di maggioranza, e soprattutto del MoVimento 5Stelle) puntualizzano che la destinazione dei fondi debba essere indirizzata a spese per investimenti (anche immateriali, come la formazione), e finalizzata a migliorare complessivamente la produttività del sistema-Italia (e quindi a determinare un futuro di maggior occupazione e capacità di reddito).

E non possa quindi essere sostitutiva delle partite correnti della spesa, che sono per lo loro natura ripetitive, e quindi verrebbero a mancare alla fine del programma di sostegno (il che è insito nel carattere una tantum di tali risorse europee, in buona parte anzi prestiti da restituire, reperendo nel tempo capitale e – seppur modesti – interessi).

 

 

RIFORME COLLATERALI

 

Pertanto le Linee Guida affiancano ai propositi di buon governo dei progetti di investimento, un programma di “politiche e riforme di supporto”, che lo Stato italiano dovrebbe perseguire nel contempo, contando sulle proprie forze, relativamente a:

-       Pubblica Amministrazione: ringiovanimento degli organici, digitalizzazione spinta, “interventi radicali di innovazione organizzativa e un cambio di paradigma del lavoro pubblico”

-       Fisco: con un ambiguo slogan “dalle persone alle cose” (ma tra queste cose non è chiaramente delineato un aumento dell’IVA – a mio avviso auspicabile per i soli beni di lusso e/o energivori 10 -  né tanto meno un ritorno alla tassa sulle prime case) si raccolgono progetti già avviati, come la revisione pro-ceti-medi e pro-famiglie della curva dell’IRPEF e degli assegni per i figli, ad altri più incerti (ma benemeriti) come la soppressione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi e la battaglia europea per tassare i giganti del Web; però, coerentemente con i profili fiscalmente moderati di PD e M5S, cercando risorse solo dalla limitazione dei contanti e dalla riduzione dell’evasione, senza osare parlare di patrimoniale e di inasprimento delle aliquote si redditi più alti come invece va facendo il governo spagnolo di Sanchez ed Iglesias (notizia piuttosto trascurata dai media generalisti, così come la vittoria elettorale della sinistra in Bolivia, a valle della estromissione dell’ex-presidente Morales)

-       Giustizia: riorganizzazione complessiva, con velocizzazione dei processi, sia civili che penali; revisione del Codice Civile e del diritto societario;

-       Mercato del lavoro: rafforzamento dei Contratti Collettivi e introduzione del salario minimo; regolamentazione dello “smart working”; riforma degli ammortizzazioni sociali connessa alla formazione per le riconversioni produttive (nonché estensione degli incentivi fiscali al ‘welfare aziendale’ che a mio avviso premiano i settori dove i salari sono già più alti, con effetto anti-egualitario, e determinano nuove disuguaglianze in materia di servizi alle persone, senza che sia prima conseguita una seria garanzia di accesso universale ai servizi essenziali).

 

 

NOTE A MARGINE E NOTA CONCLUSIVA

 

A margine rilevo qualche contraddizione nelle pagine iniziali, dove le Linee Guida raccontano (dignitosamente, direi) il “contesto”, includendo però anche le  raccomandazioni del Consiglio Europeo all’Italia per il 2020 (abbastanza blande ed orientate alla ripresa post-Covid) e per il 2019: queste, ovvero le famose “riforme” o “diktat di Bruxelles”, sono invece alquanto dettagliate (ed a mio avviso anche in gran parte condivisibili), ma non altrettanto puntualmente recepite nel successivo proseguire delle Linee Guida: ad esempio riguardo all’adeguamento dei valori catastali dei fabbricati, a “quota 100” (da abbandonare) per le pensioni, alle agenzie per il lavoro, agli asili-nido, ecc., mentre altre voci sono riprese ma in qualche modo stemperate nella narrazione programmatoria senza scadenze (ulteriore limitazione dei contanti; innalzamento dei risultati scolastici, durata dei processi civili e penali…).

Rilevo anche qualche imbarazzo, riguardo ai provvedimenti-cornice per gli investimenti pubblici e privati nel promettere un uso virtuoso dello strumento delle concessioni (vedi nel frattempo Autostrade) ed un serio riesame del Codice degli Appalti (vedi nel frattempo Decreto Semplficazioni).

 

Come commento sintetico, mi sentirei di smentire in parte l’autorevole parere di Enrico Giovannini 11, che - da una analisi lessicale – riscontra nelle Linee Guida una scarsa propensione al FUTURO: a mio avviso dal documento esce una visione strategica (un Italia rinnovata, digitale, competente e competitiva, allineata e agganciata all’Europa, e però anche socialmente  inclusiva e rispettosa dell’ambiente), visione però

-       non abbastanza articolata nel merito concreto di numerosi dei singoli settori,

-       non sorretta da un attendibile bilancio tra bisogni e risorse (prevale un ottimismo contabile che contempla per lo più solo i possibili scenari positivi; in parallelo con l’infondato ottimismo sanitario sul “vaccino anti-Covid per Natale”),

ma – mi sembra - soprattutto non adeguata (o almeno non ancora) alle sfide che attendono non il solo sistema Italia/Europa, ma l’intero sistema/mondo: clima, esaurimento relativo delle risorse, bio-diversità, spinte monopolistico/manipolative (giganti del web, potenze autoritarie) e crescenti conflitti economico-finanziari (anche per l’accumularsi dei debiti), politico-militari e social-religiosi.

 

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.                    https://www.startmag.it/economia/linee-guida-recovery-fund-il-documento-integrale-del-governo/

2.                    Fulvio Fagiani - DOCUMENTO COLAO, TANTO RUMORE PER NULLA - su UTOPIA21, luglio 2020

3.                    Aldo Vecchi - LETTURA E CRITICA DEI PROGRAMMI ELETTORALI PER IL 4 MARZO 2018 – su UTOPIA21, marzo 2018

4.                    Aldo Vecchi - VERSO LE ELEZIONI EUROPEE – su UTOPIA21, maggio 2019

5.                    Fulvio Fagiani – LA DECARBONIZZAZIONE IN EUROPA – Quaderno n° 20 di UTOPIA21, novembre 2020  

6.                    Testo del PIANO NAZIONALE INTEGRATO PER L’ENERGIA ED IL CLIMA , gennaio 2020 https://www.mise.gov.it/index.php/it/198-notizie-stampa/2040668-pniec2030

7.                    Aldo Vecchi - CONVERSAZIONI SU CITTA’ E MOBILITA’ – su UTOPIA21, maggio 2020

8.                    Aldo Vecchi - CASA ITALIA? – su UTOPIA21, maggio 2020

9.                    Mao Tse Dong - https://it.wikipedia.org/wiki/Campagna_dei_cento_fiori#:~:text=Il%20termine%20deriva%20da%20una,avr%C3%A0%20realmente%20inizio%20nel%201957.

10.                 Aldo Vecchi - VERITA’, EQUITA’, PARTECIPAZIONE – su UTOPIA21, gennaio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1f0_9ohXmvwLdZP_6_XpKqMNHqycGHlV7/view?usp=sharing.

11.                 Enrico Giovannini – intervista rilasciata a “la Repubblica” il 27 ottobre 2020 https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/10/27/news/next-generation-eu-giovannini-1.354756