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venerdì 18 settembre 2015

POLITICA-SPETTACOLO


1 -  La politica-spettacolo non è una novità.

Soprattutto le tirannie degli antichi regimi (e connesse religioni) e le moderne dittature hanno utilizzato ampiamente sfarzo, imbonitura e propaganda per affiancare, al timore, il consenso tra gli strumenti del potere (vero in parte pure per gli oppositori).

Ed anche le moderne democrazie non hanno disdegnato di valorizzare ed esaltare elementi simbolici ed irrazionali nella ricerca ed aggregazione del consenso; penso ad esempio a Churchill, Roosevelt, De Gaulle, ma anche a personalità più austere e riservate come De Gasperi o Togliatti.

Con l’avvento della televisione (e poi di Internet) è stato ampiamente verificato e teorizzato lo strapotere dei nuovi media nella formazione del consenso, elettorale e para-elettorale (sondaggi) in regimi considerati democratici, dalle Americhe (del Nord e del Sud) all’Estremo Oriente, passando anche per l’Europa, con Berlusconi tra i paradigmi sommi.

Tuttavia la spregiudicatezza di Renzi su questo fronte riesce ancora a stupirmi, soprattutto quando va oltre la messinscena ed intacca la sostanza programmatica dell’azione di governo.

Mi riferisco ancora una volta all’iper-annunciata abolizione della tassa sulla prima casa (TASI, già IMU ed ICI), abolizione della cui iniquità ed inefficacia (come già ho scritto) sono assai convinto, confortato dall’opinione di importanti commentatori ed autorità indipendenti, o addirittura abbastanza filo-renziani, come l’industriale e politico  Riccardo Illy.

Qualche giorno addietro, al convegno di Cernobbio, rispondendo alle sensate obiezioni di Illy, Renzi avrebbe argomentato che la TASI  va abolita per come è percepita dai contribuenti e perché così la sua abolizione creerà fiducia nella ripresa economica.

La percezione pertanto diviene più importante della realtà, e la fiducia viene cercata – esplicitamente – sulle emozioni e non sulle ragioni.

Ed il Governo, di fronte ad altre valide alternativa, e comunque sempre in carenza di mezzi, si prepara a togliere 5 miliardi – e responsabilità fiscali dirette - ai Comuni (quindi a tutti i cittadini, compresi inquilini, sfrattati, senza casa) per regalarne 4 ai cittadini più ricchi e più propensi a consumi di lusso e ad investimenti speculativi (senza benefici per il ciclo economico, come hanno dimostrato le precedenti cancellazioni berlusconiane dell’IMU sulla prima casa); e torna  a far dipendere gli enti locali dalle elargizioni del governo centrale (con tasse pagate da tutti quelli che le pagano, lavoratori dipendenti e pensionati in testa a tutti).

(Affossando nel contempo la riforma del catasto, che avrebbe dovuto portare equità anche nella tassazione di tutti i fabbricati, comprese le seconde e terze case).

Mi chiedo se il ruolo di un leader (di una moderna sinistra europea) sia quello di correre dietro ai pregiudizi, per avere voti e fiducia, oppure quello opposto di acquisire fiducia perché dimostra, con la ragione, di avere giudizio.










2 – Spinto dalla tragedia dei rifugiati e degli altri migranti in viaggio verso il cuore dell’Europa, ed in parte anche grazie agli ambigui contenuti dell’EXPO sulla nutrizione del pianeta, il tema del rapporto tra la ricchezza dell’Occidente e dell’Europa e la povertà di troppi popoli degli altri mondi è tornato in qualche misura di attualità, dopo anni di sostanziale eclissi, accentuata a seguito della crisi che dal 2007 ha colpito anche del nostro mondo, soprattutto a danno dei meno ricchi.

Eclissi che ha significato, per i governi di centro-destra del ciclo berlusconiano, un drastico taglio degli aiuti alla cooperazione internazionale, in spregio agli impegni assunti ed alla faccia degli slogan anti-migranti “aiutiamoli a casa loro”.

E che ha significato, per le forze del centro-sinistra, una sostanziale disattenzione, a parte forse Romano Prodi (e Tabacci), come ho potuto più volte rilevare studiando e criticando le mozioni ai vari congressi del PD, dopo Valter Veltroni ed i suoi iniziali vagheggiamenti filo-africani (presto dimenticati da Veltroni stesso): argomento totalmente assente nella mozione vittoriosa di Renzi (e – mi pare – più in generale nelle retoriche della Leopolda), ma anche in quella di Civati, e solo ritualmente richiamato in quelle di Cuperlo e di Pittella.

Quindi non posso che rallegrarmi nel vedere riaffiorare una corposa corrente solidale nell’opinione pubblica europea, anche se nasce dalle emozioni (anziché attraverso ragionate mozioni), e posso addirittura apprezzare perfino il duetto mediatico tra Renzi e Bono Vox contro la fame nel mondo.

Vedo però il rischio che ci si fermi ad una momentanea politica-spettacolo (oppure alla valutazione sui possibili interessi dell’Italia a posizionarsi bene commercialmente in relazione ai frammenti più dinamici del continente africano), e che continui a mancare, tra le forze politiche italiane ed europee(*)  una riflessione profonda sui nessi tra la prosperità (diseguale ed indebitata) dell’Occidente e la miseria dei popoli più subordinati od emarginati nella globalizzazione, nonché tra tale groviglio di contrapposizioni sociali e la crisi ecologica del pianeta, arrivando a mettere in discussione il dogma della continua crescita del PIL.

Nessi che invece sono ben chiari, pur in assenza di una alternativa complessiva e capace di egemonia, presso singoli intellettuali e organizzazioni minoritarie, da Carlin Petrini a Serge Latouche, alla galassia della sinistra; e mi sembra siano molto chiari anche nella recente enciclica di papa Bergoglio (testo su cui mi riservo di tornare analiticamente).    

(*) basti pensare che tra i paesi dell’est-Europa più contrari ai rifugiati e migranti vi sono Cekia e Slovacchia, ai cui governi partecipano i locali partiti aderenti al PSE!




3 – Autocritica?

Trovandomi a criticare l’altrui politica-spettacolo, mi viene da riflettere sull’esperienza di politica attiva che in varia forma ho vissuto lungo il decennio 67-77, nei movimenti e nei gruppi della sinistra di allora.

E devo ammettere che – dapprima inconsapevolmente, facendo spettacolo dei nostri stessi bisogni esistenziali - e poi più consapevolmente, inventando slogan, immagini, manifestazioni, in quei movimenti ed in quei gruppi molto spesso abbiamo puntato sulle emozioni e non solo sulle ragioni, o meglio sulle emozioni per promuovere le ragioni, costruendo, con mezzi poveri e militanza capillare, con il contagio dell’esempio tra simili, una macchina comunicativa poderosa, anche se infine perdente o comunque storicamente sconfitta.

Mi sembra di ricordare, però, che ci fosse tra noi l’attenzione ad un limite nella possibile demagogia, un dibattito sulle rivendicazioni (che non tutte fossero comunque buone, anche se avevano un potenziale seguito), e soprattutto un rifiuto della strumentalità e della confusione tra i fini ed i mezzi: sia che si trattasse di opporsi a talune mediazioni tipiche della sinistra tradizionale (svendendo le lotte per posizioni di potere), sia di esibire o non esibire il disagio ed il dolore delle persone in funzione della propaganda (il cinismo dei talk shaw televisivi è venuto dopo e spero non da noi).

I miei ricordi sono corretti o distorti da un’ansia senile di auto-assoluzione?

E certamente non è esistito più di tanto un “noi” la storia di quel decennio deve essere analizzata studiando correnti e  frammenti, ben oltre lo spazio di questo testo.

E poi, perché siamo stati sconfitti? (innanzitutto dall’estremismo armato cresciuto al nostro fianco). Perché il progetto era sbagliato (probabile) o anche perché eravamo troppo sinceri?