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sabato 20 agosto 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE – 3

Recentemente 10 parlamentari PD di diversa estrazione, tra cui Manconi-Corsini-Muchetti-Tocci-Monaco (e che per lo più, alla Camera o al Senato, nei mesi scorsi avevano disciplinatamente votato a favore del testo finale della revisione costituzionale), hanno manifestato il proprio pronunciamento per il NO al referendum confermativo su tale riforma.
La stima acquisita in passato da queste personalità e la pacatezza delle loro argomentazioni mi stimola a valutarne le proposizioni, anche se in parte mi troverò a ribadire quanto da me rilevato in precedenza sul documento di Zagrebelski e altri 55 costituzionalisti (più trascurabili mi sembrano invece come contenuto aggiuntivo le posizioni dell’ANPI, malgrado il prestigio della sigla).
Pur essendo abbastanza interessanti politicamente le lunghe parti relative al “metodo” della riforma in esame (mi riservo di ritornarci), ritengo che a ciascuno di noi elettori importi soprattutto il confronto nel MERITO della Riforma, cui i 10 riservano le seguenti 16 righe su un totale di 94 righe del testo.

“4) il merito. In estrema sintesi, la nostra opinione è che la riforma non riesca a perseguire gli obiettivi dichiarati: di semplificazione e di conferimento di efficienza e di efficacia al sistema istituzionale. Più specificamente, essa disegna un bicameralismo confuso - va da sé che siamo favorevoli al superamento del bicameralismo paritario - nel quale il Senato, privo per altro di adeguata autorevolezza e rappresentatività, rischia semmai di costituire un ulteriore ostacolo al processo decisionale (davvero si pensa che il problema sia quello di fare più celermente nuove leggi, anziché quello di farne meno e di scriverle meglio?); un procedimento legislativo farraginoso e foriero di conflitti; un Senato la cui estrazione locale mal si concilia con le rilevanti competenze europee e internazionali affidategli; una esorbitante ricentralizzazione nel rapporto Stato-regioni che revoca il principio/valore delle autonomie ex art. 5 della Carta (paradossalmente ignorando l'esigenza di ripensare le regioni ad autonomia speciale); una complessiva alterazione degli equilibri, delle garanzie e dei bilanciamenti di cui si nutre il costituzionalismo tutto a vantaggio del governo, un vantaggio ulteriormente avvalorato dall'Italicum; il conferimento ai futuri consiglieri regionali e sindaci senatori dell'istituto dell'immunità sino a oggi riservato ai soli rappresentanti della nazione in senso proprio”
Non mi sembra che si tratti di valutazioni sufficienti per preferire il NO alla Riforma (e quindi il rinvio a nuove non semplici procedure per una eventuale migliore riforma):
BICAMERALISMO CONFUSO: mi pare manchi una considerazione su quanto l’attuale bi-cameralismo, oltre che “paritario” risulti opaco nelle sue modalità, di fatto,  nell’insabbiare o disseppellire i disegni di legge nel calendario di lavoro delle 2 Camere e nelle relative Commissioni: il giusto proposito di fare meno leggi e di scriverle meglio può anziché da questa, imperfetta ma ormai pronta all’uso?
AUTOREVOLEZZA/RAPPRESENTATIVITA’/COMPETENZA DEL SENATO (ANCHE A FRONTE DI MATERIE INTERNAZIONALI) ED IMMUNITA’ PARLAMENTARE: la modalità di elezione dei futuri Senatori secondo la Riforma non è ancora definita nei dettagli, ma lo è nei principi, e contempla sostanzialmente 75 Consiglieri Regionali (+ 21 Sindaci) indicati dagli elettori nell’ambito delle elezioni dei rispettivi Consigli Regionali – francamente non capisco perché debbano risultare meno autorevoli, meno rappresentativi della Nazione. meno competenti (anche sui temi internazionali) e meno da proteggere con l’istituto dell’immunità, rispetto agli attuali 315 Senatori selezionati dai partiti e dai cittadini con altri meccanismi elettorali.
RI-CENTRALIZZAZIONE CONTRO LE AUTONOMIE LOCALI (REGIONI A STATUTO SPECIALE ESCLUSE): il concetto è enunciato in modo assai succinto, ma non si confronta con le problematiche emerse in 15 anni di applicazione della Riforma del Titolo V della Costituzione approvata nel 2001; non so se la nuova soluzione proposta è quella più valida (anche riguardo alle Regioni a statuto speciale, in parte però coinvolte in rapporti bilaterali con Paesi confinanti di comune madre-lingua) , ma non credo che per bocciarla sia sufficiente evocare i principi dell’art. 5, la cui formulazione infatti ha convissuto con un impianto assai centralistico del titolo V dal 1947 (e più concretamente dall’attuazione delle regioni nel 1970) al 2001.
ALTERAZIONE “COMPLESSIVA” DI EQUILIBRI-GARANZIE-BILANCIAMENTI A FAVORE DEL  ESTERNO DELL’”ITALICUM”: anche qui la proposizione è molto compressa e non supportata da valutazioni analitiche (i 10 parlamentari non erano costretti a limitare i giudizi di merito in 16 righe su 94); a mio avviso i bilanciamenti potevano essere scritti meglio, ma nel testo approvato non vedo (come d’altronde non li vedono Zagrebelski&C) uno stravolgimento in senso autoritario; mentre la nuova legge elettorale “Italicum” esula dal testo costituzionale (per scelta che risale alla stessa Assemblea Costituente del 1945-47), e sarà a breve giudicata nel merito dalla Corte Costituzionale, sia riguardo alla congruità dei premi di maggioranza che riguardo alle liste bloccate senza preferenze.

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Fuor dal merito, è probabile che in questa fase il No al referendum possa essere una ghiotta occasione per affossare il Renzismo e l’Italicum: è una partita politica aperta (molto aperta dopo l’esito delle elezioni comunali e anche del referendum britannico contro l’Europa), ma per ora non vedo convincenti disegni di ricostruzione di un quadro politico alternativo, se non a egemonia 5Stelle oppure di destra (e non certo di D’Alema, Fassina o Civati, e tanto meno di Speranza o di Mucchetti+9), previo probabile periodo di palude parlamentare e ritorno alla “effervescenza” dei mercati finanziari: non certo un clima favorevole a serene convergenze su migliori riforme costituzionali.