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sabato 15 ottobre 2016

REFERENDUM COSTITUZIONALE - 4 - ZAGREBELSKI E LE ISTITUZIONI APERTE VERSO I CONFLITTI SOCIALI

Nell’ambito di una discussione alquanto accademica con Eugenio Scalfari sui concetti di “oligarchia” e di “democrazia”, Gustavo Zagrebelski ha recentemente esposto su LA REPUBBLICA i seguenti concetti, per me abbastanza condivisibili:
“Dal punto di vista degli esclusi dal governo, la democrazia non è una meta raggiunta, un assetto politico consolidato, una situazione statica. La democrazia è conflitto. Quando il conflitto cessa di esistere, quello è il momento delle oligarchie. In sintesi, la democrazia è lotta per la democrazia e non sono certo coloro che stanno nella cerchia dei privilegiati quelli che la conducono. Essi, anzi, sono gli antagonisti di quanti della democrazia hanno bisogno, cioè gli antagonisti degli esclusi che reclamano il diritto di essere ammessi a partecipare alle decisioni politiche, il diritto di contare almeno qualcosa.
Le costituzioni democratiche sono quelle aperte a questo genere di conflitto, quelle che lo prevedono come humus della vita civile e lo regolano, riconoscendo diritti e apprestando procedimenti utili per indirizzarlo verso esiti costruttivi e per evitare quelli distruttivi.”
Quello che non capisco è l’ostilità di Zagrebelski al “combinato disposto” tra la riforma Boschi e la legge elettorale “Italicum”, perché, a mio avviso, per aprire gli assetti oligarchici della società e dello stato alle spinte “outsider” (di cui il M5Stelle è secondo me un recente esempio, seppure da me non apprezzato) giovano molto di più:

-    -   Una legge elettorale maggioritaria con ballottaggio (migliorabile, ad esempio re-introducendo i collegi), che mette aria nel sistema dei partiti e offre agli elettori la possibilità di una scelta finale sull’assetto di governo, rispetto alle leggi elettorali proporzionali, che affidano la formazione delle maggioranze alle alchimie tra le segreterie dei partiti e consegnano spesso un enorme potere di interdizione a formazioni politiche minoritarie (cosa c’è di più oligarchico del poco compianto Ghino di Tacco? o anche del suo emulo Bertinotti?);

-       -     Il superamento del bicameralismo paritario, rispetto al suo mantenimento, che spesso rende opache le modalità secondo cui i disegni di legge accelerano o (più spesso) rallentano nei cassetti delle Commissioni, durante il defatigante ping-pong legislativo;

-    -   I (seppur modesti) miglioramenti in materia di sovranità diretta (introduzione del principio del referendum propositivo, abbassamento del quorum per i referendum abrogativi, obbligo di esame dei disegni di legge di iniziativa popolare) rispetto a quanto previsto in materia dalla Costituzione vigente.


Fuori dalle materie della contesa in atto, a mio avviso l’apertura del sistema attuale dei poteri si gioverebbe di straordinarie spinte democratiche attuando gli articoli della Costituzione vigente relativi ai partiti ed ai sindacati, per renderli trasparenti e contendibili (tutti, compreso il M5S di non-statuto assai privatistico); articoli non a caso inattuati tanto nella “prima repubblica” quanto nella “seconda”.

lunedì 10 ottobre 2016

UTOPIA21 OTT16 - LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO - PARTE 1^

LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO: PARTE 1^ - RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016 E INDIRIZZI SOVRANAZIONALI
di Aldo Vecchi

Il rapporto I.S.P.R.A. 2016:
-  misurare il consumo di suolo
-  come e dove avviene il consumo del suolo
-  le trasformazioni dei suoli e le valenze eco-sistemiche
-  ipotesi di valutazioni monetarie
Indirizzi sovranazionali e iniziativa people-4-soil


Riassunto: nel quadro di una crescente ma contradditoria sensibilizzazione degli organismi europei e dell’ONU sul tema del risparmio nel consumo di suolo, il Rapporto 2016 dell’I.S.P.R.A. costituisce un punto fermo nei criteri di misurazione, localizzazione e qualificazione del fenomeno, con attenzione alle molteplici valenze eco-sistemiche del suolo stesso.


IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016 - MISURARE IL CONSUMO DI SUOLO
La pubblicazione del “Rapporto 2016” sul suolo a cura di ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale, organo del Ministero dell’Ambiente), dal titolo “CONSUMO DI SUOLO, DINAMICHE TERRITORIALI E SERVIZI ECOSISTEMICI” (edito nel luglio 2016 e disponibile on-line come tutti i documenti e materiali di ISPRA) segna un passaggio alla maturità della consapevolezza scientifica su queste tematiche, sia riguardo alla definizione ed alla misurazione del consumo di suolo, sia riguardo alle interrelazioni qualitative con i numerosi fenomeni connessi.
Per suolo consumato si intende l’insieme delle superfici terrestri che - in quanto cementificate, impermeabilizzate, compresse (esempio: cortili, depositi e strade sterrate) o scorticate (esempio: cave, miniere, cantieri) – hanno perso totalmente od in gran parte le capacità naturali di scambio tra atmosfera e sottosuolo che invece caratterizzano i suoli, liberi o coltivati, che ospitano varie forme di vegetazione.
La misurazione avviene attraverso l’interpretazione delle immagini satellitari della superficie terrestre, che consentono di rappresentare la situazione con reticoli sempre più stretti, ormai anche solo di 5 metri per 5, integrata con rilievi a campione e con informazioni cartografiche e data-base da diverse fonti (con più difficoltà viene misurata la situazione nei precedenti decenni, sulla scorta delle riprese aeree disponibili negli archivi).
L’approssimazione del dato riguarda condizioni ibride od incerte, come ad esempio i vialetti dei giardini, pubblici e privati, gli impianti sportivi, le coperture a verde di volumi edilizi interrati, ecc.: ma le tecniche di misurazione si vanno affinando in tutta Europa (pur senza raggiungere ancora una omogeneità assoluta) e soprattutto, con la stabilizzazione delle metodologie, offrono valide possibilità di comparazione geografica (essendo costante il margine di errore al variare dei luoghi) ed anche di confronto diacronico e transcalare (anche se cambiando tempo e scala l’incidenza degli errori non è costante, è però controllabile).  
Il rapporto 2016 indica per l’Italia un consumo di suolo medio superiore al 7% (sul totale del suolo), [FF1] con regioni quali Lombardia e Veneto collocate oltre il 10%, e con punte del 40% nella provincia di Monza e Brianza (i dati sono disponibili fino al livello comunale), e segnala un abbondante raddoppio rispetto alla situazione degli anni 50, ed una progressione ulteriore, tra 2012 e 2015 (in conclamato stato di crisi economica e di stagnazione demografica) stimata pari ad un decimo del precedente livello di consumo (dal 6,9% al 7,6%, cioè più 0,7%), corrispondente a 15.000 ettari; il dato medio di consumo di suolo nell’Unione Europea è invece del 4,3% e l’Italia figura al 5° posto tra i maggiori consumatori, dopo i 3 paesi del BeNeLux, che risultano oltre il 10% e la Germania, poco superiore al 7%.

IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016  - COME E DOVE AVVIENE IL CONSUMO DEL SUOLO
La gravità di questi numeri, e della tendenza espansiva finora inarrestabile, si coglie compiutamente osservando la dislocazione dei suoli consumati, che ricadono in prevalenza nelle aree pianeggianti, fertili ed in precedenza coltivate, e che sono enormemente frazionati lungo le maglie di una rete infrastrutturale ipertrofica (essa stessa protagonista del consumo di suolo), secondo logiche insediative anarco-individualiste non solo dove regna  l’abusivismo edilizio, ma anche all’ombra di compiacenti piani urbanistici che di fatto assai poco hanno pianificato (secondo alcuni interpreti, ospitati nel “Rapporto 2016” la situazione e la dinamica italiana vanno oltre lo “sprawl ” urbano – tipica espansione a macchia d’olio lungo gli assi stradali, indotta dalla motorizzazione privata - per raggiungere invece una condizione di “sprinkling”: qualcosa che, si potrebbe dire, va oltre lo stato liquido, rasenta il gassoso).
L’impatto indiretto di infrastrutture ed insediamenti moltiplica così i suoi effetti negativi sul circostante suolo agricolo o naturale, minandone la continuità e l’efficacia ecologica; da un approfondimento presentato nel “Rapporto 2016”, attribuendo ad ogni porzione di suolo consumato una fascia circostante (buffer) di larghezza di 100 metri quale “suolo disturbato” (per i potenziali effetti indotti), viene coinvolta oltre la metà del territorio nazionale.
L’analisi del consumo di suolo è inoltre declinata dal “Rapporto 2016” per le parti più delicate del territorio, quali le fasce costiere del mare e delle acque interne, i parchi e le aree protette, le aree montane o comunque a forte declivio, le zone a rischio sismico ed idrogeologico.
Il “Rapporto 2016” propone inoltre varie forme di classificazione degli insediamenti urbani e di quelli dispersi, suggerendo criteri interpretativi derivanti da algoritmi, che a mio avviso non sono immediatamente significativi, ma che potrebbero utilmente stimolare gli studiosi del territorio (geografi, urbanisti, sociologi, ecc.) per aggiornare e incrociare le rispettive chiavi di lettura degli odierni rapporti tra città e campagna.

IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016 - LE TRASFORMAZIONI DEI SUOLI E LE VALENZE ECO-SISTEMICHE
Il “Rapporto 2016” analizza altresì, in termini qualitativi e quantitativi, i flussi di trasformazione tra i diversi usi del suolo (le aree coltivate si riducono non solo per effetto diretto e indiretto della “cementificazione”, ad esempio per l’abbandono in attesa di utilizzi più redditizi, ma anche per il puro e semplice abbandono, per  motivi socio-economici, nelle aree montane e collinari più marginali, a vantaggio di una riforestazione spontanea di modesta qualità) e soprattutto le molteplici valenze ambientali del fenomeno “suolo”, ovvero i servizi eco-sistemici che le aree non trasformate rendono a beneficio degli insediamenti umani, tra cui:
            sequestro del carbonio e filtro di altre componenti atmosferiche (particolato, ozono, ecc.),
            assorbimento della pioggia e protezione dall’erosione,
            depurazione delle acque,
            biodiversità e impollinazione,
            produzione agricola e di biomasse forestali,
            mitigazione dei micro-climi,
            riequilibrio psico-fisico per la specie umana.
Tutti questi argomenti, approfonditi nel ”Rapporto 2016”, meriterebbero anche riassunti e commenti altrettanto approfonditi, qui impossibili per motivi di spazio (con riserva di ritornarci).

IL RAPPORTO I.S.P.R.A. 2016  - IPOTESI DI VALUTAZIONI MONETARIE
Meno maturo e convincente mi sembra invece il tentativo del “Rapporto 2016” di tradurre in moneta la quantificazione dei suddetti “servizi ecosistemici” ovvero dei costi ambientali occulti, che comporta il consumo di suolo, a danno delle comunità umane, attuali e future: operazione ancora esplicitamente embrionale, come dichiarato dagli stessi ricercatori, indubbiamente utile per richiamare l’attenzione sulle diverse qualità dei suoli potenzialmente vittime delle trasformazioni, ma ancora da sviluppare non solo nei suoi aspetti  concreti (ad esempio l’effetto cumulativo tra i diversi “servizi” resi dal suolo libero), ma soprattutto nel nocciolo teorico sostanziale del rapporto con il mercato, che al momento ignora tali valori, mentre potrebbe riconoscerli esso stesso, a mio avviso, all’interno di un sistema di regole fiscali poste dalla mano pubblica (ad esempio rendendo cogenti forme di compensazione ambientale preventiva per ogni tipo di intervento di trasformazione urbanistica, anche nella rigenerazione dei suoli già consumati, in funzione del carico ambientale, positivo o negativo, analiticamente derivante per ogni parametro ecologico considerato).
In mancanza di un effettivo sforzo per “internalizzare” nei valori di mercato i costi sociali ed ambientali, la valutazione monetaria astratta può apparire una inutile rincorsa alla moda anglosassone di voler tutto quantificare (e monetizzare) in campo scientifico.
La valutazione in € dei singoli “servizi eco-sistemici” comporta tra l’altro qualche paradosso, come quello emergente al paragrafo 43 (e nella tabella 52.1), dove risulta che ai fini della “purificazione delle acque” i consumi di suolo di tipo urbano sarebbero più virtuosi di quelli agricoli; il che dovrebbe spingere ad una maggior attenzione a quell’altro importante capitolo che è la sostenibilità di molte attuali attività agricole, in termini di consumo di acqua e di energia, di carichi inquinanti, di resilienza ai fenomeni atmosferici ed idrogeologici, di esaurimento delle capacità naturali di riproduzione biologica, ecc.

INDIRIZZI SOVRANAZIONALI E INIZIATIVA PEOPLE-4-SOIL
L’attività scientifica sul tema del suolo condensata nel “Rapporto ISPRA 2016” si inquadra nell’ambito  delle ricerche ed esperienze internazionali, rappresentate da ultimo  nei convegni “Global Soil Week Berlin” del  2013 e 2015, ed in gran parte recepite in documenti di indirizzo degli organismi mondiali (Conferenza “Rio+20” del 2012; indirizzi ONU del 2015) e soprattutto dell’Unione Europea, già dal 2002 e nel 2006, ed in modo più serrato dal 2011, con la delineazione di obiettivi anche quantitativi per il 2020 e 2030, culminanti nel traguardo di “consumo di suolo zero al 2050” (traguardo già tradotto in normative cogenti nella sola Germania).
Tuttavia la Commissione Europea nel 2014 – nell’ambito dell’incertezza decisionale e della debolezza politica che si euro-diffondono negli ultimi anni - ha ritirato una proposta di Direttiva, che avrebbe reso operativi tutti gli studi e gli auspici di cui sopra: pertanto le associazioni ambientaliste si propongono di rilanciare dal basso queste proposte con l’iniziativa “PEOPLE-4-SOIL” che si svilupperà nel prossimo autunno.

Fonti:
  1. I.S.P.R.A. – CONSUMO DI SUOLO, DINAMICHE TERRITORIALI E SERVIZI ECOSISTEMICI edizione 2016 www.isprambiente.gov.it
  2. I.S.P.R.A. & SALVIAMO-IL-PAESAGGIO & SLOW FOOD ITALIA – CONVEGNO “RECUPERIAMO TERRENO” – MILANO 06-05-2015 – atti, sessione poster, Volume I e II www.isprambiente.gov.it
  3. SALVIAMO IL PAESAGGIO www.salviamoilpaesaggio.it
  4. CENTRO RICERCA CONSUMO SUOLO (Istituto Nazionale di Urbanistica & Dipartimento DAStU del Politecnico di Milano & LegaAmbiente) – “RAPPORTO 2014” tramite www.inuedizioni.com (a pagamento)



UTOPIA21 OTT16 - CASA ITALIA?

CASA ITALIA?
di Aldo Vecchi

Governo, forze politiche e sociali  ed élites intellettuali alle prese (finalmente?) con il nodo della prevenzione antisismica per i territori a rischio.

Riassunto – la frammentazione della società italiana tra élite intellettuale, gruppi dirigenti decisori, mass media e “popolo”, e la mancanza di effettiva comunicazione sulle opzioni strategiche di carattere ecologico, quali la prevenzione anti-sismica. L’iniziativa di consultazione del Governo tra propaganda e svolta effettiva, a partire dalla sostanziale assenza storica di attenzione delle forze politiche verso una seria priorità per le politiche di prevenzione rispetto ai rischi del territorio. La difficile stima dell’entità delle risorse necessarie e l’impatto sulla politica economica nazionale, già gravata dall’enorme debito pubblico. La complessità della prevenzione antisismica nell’intreccio con le altre problematiche insediative, tra carenze culturali e vischiosità amministrative, ed a fronte della articolazione fisica e sociale del patrimonio edilizio, soprattutto nelle zone interne.


Sul tema della protezione preventiva del territorio in chiave antisismica (e similmente in materia di prevenzione idrogeologica), come più in generale sugli argomenti strategici della salvezza del Pianeta Terra (cambio climatico, esaurimento risorse, vivibilità) la società italiana (ma parimenti avviene in molte altre nazioni) appare frazionata in segmenti che non sviluppano un dialogo effettivo, malgrado la pervasiva “comunicazione globale” in cui siamo immersi:
-          una élite intellettuale abbastanza ristretta, consapevole dei problemi e interessata alla loro soluzione, per cultura professionale (geologi, ingegneri, urbanisti) NOTA 1 o per vocazione (intellettuali “verdi” o comunque meditativi); una élite poco ascoltata ma tuttavia abbastanza paga di “averlo detto prima”, affezionata al suo poco o tanto potere accademico/culturale e poco avvezza ad ingaggiare battaglie campali (mai visti geologi che si incatenano a palazzo Chigi, né urbanisti che digiunano per protesta contro la legge finanziaria…); in questo ruolo da Cassandre si è recentemente aggiunto parte del Clero e questo Papa in particolare, le cui prediche comunque non distraggono i ben-pensanti ed i mal-decidenti;
-          i gruppi dirigenti che detengono gli effettivi poteri decisionali nella politica, nella finanza, nelle imprese (ed anche nei sindacati), che sono evidentemente informati, per dovere professionale e contiguità  con la suddetta élite intellettuale, ma di fatto non assumono mai come vere priorità gli investimenti necessari per la protezione del territorio e dell’ambiente, perché il loro rapporto con il potere (ricerca del consenso elettorale e anche sindacale, conseguimento della valorizzazione aziendale) passa fino ad oggi sempre per il +1% del PIL, dell’occupazione, del profitto a breve termine;
-          i mezzi di comunicazione di massa, che disperdono le informazioni sui problemi strutturali di territorio e ambiente in una melassa generica, privilegiando nella comunicazione gli aspetti spettacolari, sensazionalisti, personalistici: ad esempio ricordiamo la persistente campagna di “la Repubblica” nel porre 10 domande a Berlusconi sul suo peculiare mix tra pubblico e privato e la martellante campagna di Rizzo e Stella sul “Corriere della Sera” contro le malefatte della Casta, ma nessuna campagna sistematica per la prevenzione dei disastri ambientali, ampiamente però descritti ex-post con fiumi di immagini e parole;
-          infine il “popolo”, cioè tutti i lavoratori e i piccoli imprenditori, i consumatori, gli elettori che – pur subendo di volta in volta i danni sismici, idrogeologici ed ambientali – si comportano nei fatti con modalità coerenti con i gruppi dirigenti e con i mass media, anche se manifestano negli ultimi decenni un crescente disagio, dovuto principalmente alla crisi economica, espresso con la disaffezione al voto e con la preferenza per partiti e movimenti di protesta, risultanti finora piuttosto generici sui temi della prevenzione ambientale (ho riletto il programma elettorale del M5Stelle nel 2013: nulla in materia vi è nei “20 punti” di Beppe Grillo, che spaziavano dell’abolizione delle Province e quella dell’IMU e di Equitalia, e nulla ho trovato in un testo ufficiale più esteso del Movimento, che invece prevedeva altri dettagli ambientalisti, quali  l’obbligo di parcheggi per biciclette nei condomini).

L’iniziativa del Governo di “riaprire la sala verde” di Palazzo Chigi (quella storicamente dedicata alla “concertazione”) per l’inizio di una ampia consultazione di associazioni di categoria ed istituzioni culturali sul tema del terremoto – ricostruzione e prevenzione – a mio avviso non costituisce solo una mossa tattica nell’ambito del nuovo corso comunicativo del Presidente del Consiglio (il Renzi 2.0, meno decisionista in vista del difficile referendum costituzionale), ma potrebbe rappresentare una possibile svolta più sostanziale nell’approccio dei gruppi dirigenti della nazione ai temi della protezione del territorio e dell’ambiente se le élites intellettuali riusciranno a cogliere l’occasione per farsi ascoltare effettivamente dei decisori e – attraverso i mass media – anche dai comuni cittadini (ma finora mi sembra che  poche testate, tra cui “Il Sole - 24 ore”, seguano l’argomento con sufficiente impegno).
La massiccia disattenzione dei predecessori e dei concorrenti politici, nessuno dei quali può sbandierare di aver rivendicato prima la prevenzione che ex-post si rivela necessaria NOTA 2, può consentire a Renzi di presentarsi come l’iniziatore di un nuovo corso, nuovo anche a lui stesso, perché nella mozione congressuale con cui ha vinto le primarie del PD nel 2014 il tema della spesa per la Tutela Ambientale era trattato solo per inciso, in mezzo tra Turismo e Meridione, per affermare che si potrebbe risparmiare sui 5 miliardi annui di intervento sui disastri ambientali “se decidessimo di investire in prevenzione”; ma non si diceva quanto investire, come, dove prendere le risorse: tutte le questioni che ora vengono al pettine, se si intende fare sul serio.
Infatti a risparmiare qualche miliardo all’anno in riparazioni ci si potrà arrivare solo al termine di un ciclo di massicci investimenti diffusi in tuti i territori a rischio, perché durante tale periodo di due o più decenni  purtroppo saranno comunque possibili eventi calamitosi su aree non ancora tutte abbastanza protette.
In teoria sarebbe un perfetto esempio di convenienza per un intervento finanziario in debito, ripagabile a lungo termine dai risparmi in riparazioni (come semplicisticamente propone il governatore toscano Enrico Rossi), ma mi sembra difficile che possa permetterselo l’Italia di oggi, quand’anche lo consentissero le norme europee, partendo dal cospicuo debito pubblico che già abbiamo accumulato e che deve reggere sul mercato dei capitali.
E se non si può contare troppo sul [av1] debito pubblico occorre modificare qualche altra priorità nella politica economica, aumentando le odiate tasse o tagliando altre spese, con tutte le difficoltà del caso (e senza sperare in aiuti dal sistema creditizio, che di suo già boccheggia).
Perché non si tratta di spostare 1 o 2 miliardi nel bilancio dello Stato (il che è già difficile), ma molto di più: anche se le stesse “élites intellettuali” espongono stime differenziate (in attesa dei necessari approfondimenti), l’ordine di grandezza per l’adeguamento anti-sismico di infrastrutture, pubbliche e private, è attorno ai 100 miliardi di € (140 secondo Mauro Dolce della Protezione Civile: 90 per i privati e 50 per i pubblici), per cui, tra interventi diretti  ed agevolazioni fiscali/contributive per i privati, se si vuole affrontare il problema in 20 anni e non in 30 o 50, e tenendo conto dell’intreccio con la prevenzione idrogeologica e gli altri aspetti della riqualificazione edilizia ed urbana (vedi oltre), l’onere a carico dello Stato dovrebbe orientarsi approssimativamente verso i 5 miliardi di €/anno, e riuscire a mobilitare contestualmente consistenti risorse private, modificando quindi le modalità di consumo e di risparmio di gran parte delle famiglie (anche se  Matteo Renzi ha già preannunciato l’esclusione del ricorso ad assicurazioni obbligatorie, come in uso in altri paesi, che invertirebbero i ruoli tra pubblico e privato, per il patrimonio privato). 
L’entità delle risorse necessarie è il più “serio” dei problemi, per capire se per l’appunto si intende finalmente fare “sul serio” anziché limitarsi a caroselli propagandistici (lasciando la spesa per prevenzione a livelli irrisori, come è stato finora, anche all’indomani dei terremoti devastanti dell’Umbria, dell’Abruzzo e dell’Emilia+Mantovano, per citare solo gli ultimi).
Ma l’intera questione è ricca di complessità, come hanno avvertito molti osservatori ed innanzitutto gli autorevoli intellettuali coinvolti dal Governo, come Renzo Piano e Giovanni Azzone (rettore del Politecnico di Milano), ed in particolare anche l’Istituto Nazionale di Urbanistica (LINK):
-          per la mancanza di studi analitici sullo stato di conservazione sia dei singoli fabbricati sia dei sistemi urbani, e quindi sull’entità degli interventi e sui criteri di priorità, mentre anche le mappe del rischio sismico richiedono affinamenti locali, cui correlare i piani di protezione anti-sismica (aree, edifici e percorsi strategici);
-          per l’inestricabile intreccio con tutti gli altri aspetti, già in sofferenza, degli insediamenti abitativi, dal rischio idrogeologico a quello ambientale (bonifiche mancate e altre comunque necessarie per suolo, acque, emissioni in atmosfera), dal deficit energetico al risparmio del consumo di suolo, dalla crisi delle periferie al degrado delle aree interne (il che significa qualità edilizia e qualità urbana, servizi e trasporti, lavoro e istruzione, contrasto alle sacche di povertà e al disagio sociale): tali intersezioni di problematiche richiedono il coordinamento degli interventi pubblici, per evitare sprechi in logiche settoriali, ed una visione integrata della progettazione, in chiave di “rigenerazione urbana” e di ricerca di insediamenti “resilienti” alle varie ipotesi di rischio (aggravate dal cambio climatico);
-          per l’evidente arretratezza di una parte consistente delle amministrazioni locali e degli uffici tecnici, nonché degli studi di progettazione e delle imprese edilizie, protetti dal clientelismo locale nelle pieghe sulla normativa degli appalti (dilagare degli incarichi “fiduciari” sotto le soglie che obbligano a gare trasparenti), che emerge dalle prime cronache giudiziarie su Amatrice ed Accumoli, anche ipotizzando l’assenza di fenomeni più gravi di corruzione (su cui si pronuncerà la Magistratura); a fronte invece della necessità di una elevata efficienza tecnica ed amministrativa e di uno sforzo tecnologico innovativo per supportare effettivamente la riqualificazione insediativa di mezza Italia (anche nelle aree storicamente infiltrate da culture mafiose);
-          per l’articolazione fisica e sociale del patrimonio edilizio privato, che include proprietari ricchi e proprietari poveri, case in proprietà ed in affitto, famiglie prive di una abitazione adeguata,  condomini e attività produttive, seconde case per vacanze e abitazioni avite in semi-abbandono; queste ultime soprattutto nelle zone interne appenniniche, dove gli agglomerati edilizi storici impongono per ragioni tecniche interventi estesi talvolta ad interi isolati e fortemente sconsigliati invece su singole porzioni di fabbricati (uno dei problemi che rallenta la ricostruzione al centro di L’Aquila); non si può pensare di gestire una situazione così differenziata con strumenti semplici e di uso facoltativo, del tipo degli incentivi fiscali, ma non è chiaro chi abbia il coraggio di affrontare la frammentazione proprietaria con provvedimenti anche coattivi, quali consorzi obbligatori, espropri e permute, ed escludendo, anche nella prevenzione, le strade rivelatesi erronee per la ricostruzione (inefficienza e corruzioni a parte) nel Belice ed in Irpinia, del trasferimento degli abitanti in nuovi quartieri “moderni”, privi dell’identità storica e paesaggistica e dei connessi rapporti di vicinato.    
-           
NOTE
1 - personalmente rammento che agli inizi degli anni 70 (ai tempi del terremoto di Ancona) il prof. Duilio Benedetti, nel tentativo di ri-conciliare l’Istituto di Scienza delle Costruzioni del Politecnico di Milano con noi eversivi studenti di Architettura (un po’ eversivi e renitenti alle scienze esatte) ci coinvolse in una interessante ricerca sugli (enormi) costi necessari per il consolidamento statico del patrimonio edilizio di tutte le aree allora considerate a rischio sismico in Italia; ricerca sommaria che l’ing. Benedetti approfondì poi in parte su incarico del Ministero dei Lavori Pubblici, ma senza alcuna conseguenza operativa
2 - tranne l’ex ministro ”tecnico” Clini, del governo Monti, che si vanta di aver presentato (invano) nel 2012 un piano di spesa di 40 miliardi di € in 15 anni; oltre al programma del M5Stelle ho riletto il documento “Italia Bene Comune” di Bersani, e quello di “Scelta Civica con Monti” (socialmente vicino alle élites intellettuali) per le medesime elezioni del 2013, senza trovare elementi specifici; generiche litanie erano presenti pochi mesi dopo nelle mozioni congressuali del PD, concorrenti a quella di Renzi (Civati e Pittella), con un buon ragionamento preliminare solo in quella di Cuperlo (ma senza cifre e modalità di reperimento delle risorse); poche vaghe parole nel contemporaneo documento di Vendola per il congresso di Sinistra-Ecologia-Libertà; non ho speso tempo per consultare i programmi della Destra, che in materia si era già distinta abbastanza affossando ogni tentativo di obbligare i proprietari di casa a dotarsi del “libretto di fabbricato”.

Fonti:
  1. “URBANISTICA” N° 154 (nominalmente “luglio/dicembre 2014”, edita aprile 2016 – www.inuedizioni.com (a pagamento)
  2. Recensione di “Urbanistica” n° 154 su uesto blog di Aldo Vecchi “relativamente, sì” in  data 02-06-16  - aldomarcovecchi.blogspot.com
  3. Contributo dell’INU per Casa-Italia (slides) - www.inu.it
  4. Posizione di Enrico Rossi – facebook/EnricoRossi 29-08-2016
  5. Articoli di Giorgio Santilli e Alberto Quadrio Curzio su il Sole/24 ore del 26-08-16 e 07-09/16; Santlili su “Edilizia e Territorio” del 31-08-16 www.ilsole24ore.com e www.ediliziaeterritorio.it
  6. Posizione di Corrado Clini del 24-08-16 su www.l’inkiesta.it
  7. Articoli di Nicola Caputo  e Angelo De Mattia su l’Unità del 30-08-16 www.unita.it
  8. Blog di Andrea Bellelli 30/08/16 su www.ilfattoquotidiano.it
  9. Articolo di Giovanna Faggionato del 24/08/16 su www.lettera43.it
  10. Articolo di Antonio Scalari del 24/08/16 su www.valigiablu.it
  11. Programmi elettorali e mozioni congressuali, raccolti dall’autore sui siti web delle rispettive forze politiche e reperibili al momento della scrittura del presente articolo, altrimenti disponibili presso l’archivio dell’autore






UTOPIA21 OTTOBRE 2016

DA QUESTO MESE UNA PARTE DEI MIEI COMMENTI E DELLE MIE RECENSIONI SARANNO OSPITATI, OLTRE CHE SU QUESTO BLOG, NEL NUOVO SITO “UTOPIA21”, PROMOSSO DA FULVIO FAGIANI NELL’AMBITO DI UNIVERSAUSER VARESE.
DI SEGUITO UNA SINTESI DELLA LETTERA DI PRESENTAZIONE, CON L’INDICE DEI TESTI OTTOBRE 2016: I MIEI VENGONO RIPRODOTTI ANCHE COME SUCCESSIVI POST DI QUESTO BLOG.


Il sito di UTOPIA21, dove trovate gli articoli ed altre informazioni, è www.universauser.it/component/content/?id=83&Itemid=217




Con questo numero iniziamo la pubblicazione di testi, commenti e riflessioni raccolti sotto il nome di “Utopia21”, l’Utopia del 21° secolo, raccogliendo idealmente la sfida di Agenda21, il documento conclusivo del summit della Terra di Rio del 1992.

Governo, forze politiche e sociali ed élites intellettuali alle prese (finalmente?) con il nodo della prevenzione antisismica per i territori a rischio.

Le rinnovabili si sono diffuse e crescono a ritmi inimmaginabili fino a pochi anni fa. Ma anche con i miglioramenti tecnologici e le riduzioni di costo previste, senza decisioni politiche non rispetteremo gli obiettivi della conferenza di Parigi.

Ci sono ormai molte evidenze che le variazioni climatiche sono state causa di collassi locali e conseguenti migrazioni. Che cosa potrà succedere con i cambiamenti climatici alle porte?

Il rapporto I.S.P.R.A. 2016:
-  misurare il consumo di suolo
-  come e dove avviene il consumo del suolo
-  le trasformazioni dei suoli e le valenze eco-sistemiche
-  ipotesi di valutazioni monetarie
Indirizzi sovranazionali e iniziativa people-4-soil

Ermanno Vitale denuncia i pericoli di derive plebiscitarie e autoritarie che si nascondono dietro le pratiche di comunanza uomo-natura, di assemblearismo unanimista e di democrazia partecipata, in danno alle prerogative inalienabili dell’individuo, che a suo avviso possono essere comunque la base per un solidarismo progressista.