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giovedì 28 settembre 2017

UTOPIA21 - SETTEMBRE 2017: LA FILOSOFIA DEI BENI COMUNI RAPPRESENTATA DA LAURA PENNACCHI



La dotta articolazione di una proposta di antropologia alternativa all’individualismo economicista come premessa ad un programma di politica economica neo-keynesiana.



Riassunto. L’Autrice muove dalle correnti più sociali dell’illuminismo (fraternité), dal personalismo cattolico e dal femminismo, mantenendo invece le distanze dal comunitarismo (sia identitario sia “bene-comunista”), per impostare una critica radicale al neo-liberismo ed al finanz-capitalismo, sia in termini filosofici, sia sul concreto campo della politica economica. Solo sullo sfondo il tema dei “beni comuni”, mentre mi pare rimossa ogni ricerca sui motivi del fallimento del socialismo reale e sulle ripercussioni psicologiche del suo crollo.



Laura Pennacchi (già parlamentare PDS e PD e sottosegretaria nel 1° governo Prodi) in “FILOSOFIA DEI BENI COMUNI. Crisi e primato della sfera pubblica” si occupa in realtà più di filosofia (e di macroeconomia) che di “beni comuni”.

L’operazione principale del suo testo infatti mi pare che consista nella ambiziosa ricerca di una antropologia (definibile come “personalista”), che si contrapponga al riduttivo utilitarismo dell’ “individuo” neo-liberista, e su cui fondare una teoria delle relazioni sociali, idonea a riqualificare la “sfera pubblica”  e rilanciare una politica economica neo-keynesiana.

A partire dalla riscoperta del filone piuttosto trascurato della “fraternità”, all’interno della triade illuminista con “libertà ed uguaglianza”, la Pennacchi propone una ricomposizione (fin troppo pacificata, a mio avviso) di molte altre diverse correnti di pensiero, dal personalismo cattolico al femminismo della “cura degli altri”, ed un superamento del razionalismo astratto per includere a pieno titolo intuizioni ed emozioni, sia nella fase cognitiva (cercando di risolvere d’incanto le più insolute problematiche filosofiche della modernità in poi), sia nella lettura dei comportamenti umani, individuali e collettivi.

“L’antinomia tra razionalismo (per cui la ragione è totalmente aliena dalla passione) e sentimentalismo (….) va, dunque, superata, e va  scoperto il ruolo epistemologico (…) che le emozioni svolgono nell’articolazione della ragione …” “l’Io quindi non è sostanza, ma relazione, esiste solo nella misura in cui si riferisce ad un Tu la cui esistenza, a sua volta, è data dalla parola con cui risveglia alla vita l’Io.”

In tal modo l’Autrice si contrappone frontalmente al neo-liberismo, cui imputa da un lato l’incapacità di comprendere (e quindi di regolare) tutti i fenomeni sociali di gratuità, dall’amicizia al volontariato, dal dono alla abnegazione sul lavoro di non pochi dipendenti pubblici (anche se mal pagati) e dall’altro le clamorose smentite in merito alla presunta cieca saggezza della “mano invisibile” del mercato, costituite da ripetute instabilità e crisi locali e da ultimo dalla grande crisi finanziaria ed economica quasi mondiale esplosa nel 2007 (di cui l’Autrice descrive modalità e perversioni, non molto diversamente dall’ormai classico “Finanz-capitalismo” di Luciano Gallino2,3).  

Meno sviluppate le demarcazioni che il testo traccia rispetto alle concezioni comunitariste, sia quelle abbarbicate alle identità locali e tradizionali, sia quelle protese alle mitologie “bene-comuniste” (su questo fronte mi è sembrato più chiaro ed esauriente Ermanno Vitale4, da me recensito su Utopia21 nell’ottobre 20165), così come contro i sostenitori del “reddito di cittadinanza”, cui la Pennacchi oppone sia la realtà variegata dei bisogni, sia l’alternativa del “lavoro di cittadinanza”.

Infatti mi pare che l’Autrice tenda più a rivitalizzare, nelle virtù civiche dei soggetti sociali e dei movimenti, la categoria dei beni pubblici, che non a distinguere da questi, approfondendone la natura, i cosiddetti beni comuni (vedi invece ad esempio Paolo Maddalena6 ); di cui per altro paventa giustamente i possibili rischi di uso non-inclusivo da parte delle comunità che si attivano attorno ad essi.

Nella parte finale la Pennacchi traccia una sorta di programma di politica economica per una uscita dalla crisi dell’Europa in direzione neo-keynesiana (simile al Piano per il Lavoro che la stessa Pennacchi ha suggerito alla CGIL nel 20137), attraverso un rilancio qualificato della spesa pubblica e la priorità ai “consumi collettivi” (come scuola, sanità e cultura) ed una non ben precisata attenzione ecologica.

Su siffatte proposte di uscita dalla crisi (pur sapendo che in giro c’è di peggio) mi permetto di ribadire le mie critiche riguardo a:

-          Scarsa credibilità di un uso tattico di un maggior debito pubblico, soprattutto da parte di paesi già super-indebitati, come l’Italia (e privi del peso imperiale degli U.S.A., che ha giovato comunque alle operazioni in deficit di Obama);

-          Forte difficoltà a mutare il segno della crescita rispetto agli squilibri sociali, come ha mostrato lo stesso limitato successo di Obama (minor disoccupazione ma bassi salari e  aumento delle disuguaglianze);

-          Subalternità culturale al mito della crescita permanente, senza una seria considerazione dei limiti oggettivi allo sviluppo, insiti nell’esaurimento tendenziale delle risorse e non solo nei problemi di clima ed energia;

-          Mancata riflessione sulla debolezza sostanziale delle proposte di intervento pubblico nell’economia, conseguenti al tramonto del “socialismo reale”, non solo, ma soprattutto della dimostrazione di una non-riformabilità del mondo socialista, sancita dalla sconfitta della linea di Gorbaciov: elementi che pesano tuttora nell’immaginario collettivo almeno quanto la attuale palese inefficienza e iniquità della globalizzazione neo-liberista.



Riguardo al modo di scrivere della Pennacchi, in questo testo risulta a mio avviso fin troppo trapuntato di citazioni, che l’Autrice utilizza per conferire autorità ai propri assunti, rischiando però di conseguire l’effetto contrario, cioè di apparire incerta nelle sue affermazioni, se privata dalle preziose fonti (che, per contrappasso, evito di citare).



Fonti:

1.    Laura Pennacchi “FILOSOFIA DEI BENI COMUNI. CRISI E PRIMATO DELLA SFERA PUBBLICA” - Donzelli editore, Roma 2012

2.    Luciano Gallino “FINANZ-CAPITALISMO” – Einaudi, Torino 2011

3.    Commento a “FINANZ-CAPITALISMO” su questo blog  PAG. I^ FILOSOFIA-SOCIOLOGIA-ECONOMIA

4.    Ermanno Vitale “CONTRO I BENI COMUNI – UNA CRITICA ILLUMINISTA” – Editori Laterza, Bari 2013

5.    Aldo Vecchi “ERMANNO VITALE: UN ILLUMINISTA CONTRO IL BENE-COMUNISMO” su UTOPIA21, Ottobre 2016 https://universauser.it/utopia21.html

6.    Paolo Maddalena “IL TERRITORIO BENE COMUNE DEGLI ITALIANI” Donzelli, Roma 2014

7.    CGIL “IL PIANO DEL LAVORO 2013” – www.cgil.it/admin_nv47t8g34/wp-content/.../Piano_Del_Lavoro_CGIL_gen13.pdf

UTOPIA21 - SETTEMBRE 2017: SETTE PASSI CON BECCHETTI, PER CAPIRE L’ECONOMIA (O ALMENO PROVARCI?).




Una introduzione alla moderna economia politica, a metà strada tra un approccio didascalico e la formulazione di critiche e proposte per umanizzare il capitalismo.



Riassunto. Famiglie, imprese, mercati, moneta, prezzi, finanza: a partire dalla illustrazione di questi concetti fondamentali dell’economia moderna, Becchetti introduce elementi critici sia riguardo ai limiti del mercato, che non riesce ad integrare e ad ottimizzare valori pur basilari nelle relazioni umane, quali la “fiducia”, sia riguardo alla finanza, che distorce ulteriormente le funzionalità dell’economia e della società in direzione di un ristretto utilitarismo; da qui la proposta di interventi correttivi innanzitutto da parte degli stessi consumatori, orientando gli acquisti in favore delle “imprese virtuose”.  Ne segnalo limiti, sottovalutazioni e sopravalutazioni.



Ho letto “CAPIRE L’ECONOMIA IN SETTE PASSI” 1di Lorenzo Becchetti, ordinario di economia a Tor Vergata, giornalista di Avvenire e blogger su Repubblica (nonché pensatore ascoltato dal MoVimento5Stelle): qualcosa ho capito, ma molti dubbi mi sono rimasti.

Certamente la capacità didascalica dell’Autore rende facile l’acquisizione dei concetti basilari dell’economia contemporanea, a cui comunque in buona parte siamo abituati per necessità, decenni di economicismo dominante sulla vita quotidiana, tanto in fase di magnifiche sorti dell’Occidente (dagli anni novanta al 2007) sia in fase di “crisi globale”, dopo il 2008.

Famiglie, imprese, mercati, moneta, prezzi, finanza sono ben raccontati, anche se in qualche misura in termini “statici”, come in una fotografia che coglie un attimo di equilibrio del complesso sistema (e non nei termini più dinamici e drammatici che ho invece riscontrato ad esempio in Paolo Leon “Il capitalismo e lo stato” 2, in un testo altrettanto didattico del defunto esponente neo-keynesiano, ma incentrato sulla impossibilità dell’equilibrio insita nel mercato capitalistico, ruotando attorno alla caduta tendenziale del saggio di profitto che consegue dallo stesso principio di concorrenza). 

“I mercati … sono un meccanismo quasi provvidenziale che automaticamente incrocia i gusti dei consumatori con la disponibilità/scarsità dei beni e le possibilità offerte dalle tecnologie …” “I mercati hanno molti pregi ma altrettanti difetti …”: dentro a questo racconto, Becchetti sviluppa una sua vena critica, evidenziando da un lato la parzialità della visione del mondo della disciplina economica classica, che non riesce ad occuparsi delle molteplici pulsioni e dimensioni delle persone, riducendone i comportamenti all’utilitarismo dell’homo economicus (senza saper dominare variabili pur essenziali e misurabili, come il grado di “fiducia” tra i vari soggetti nel mercato), e dall’altro le degenerazioni del sistema finanziario, che si auto-alimenta perdendo le funzioni essenziali di servizio allo sviluppo dell’economia reale, ed anzi recandole danno.

(Talune argomentazioni si approssimano a quelle di Laura Pennacchi in “Filosofia dei Beni Comuni” 3, che recensisco su questo stesso numero di Utopia21)

Becchetti evidenzia come l’economia classica trascuri il “capitale sociale”, il cui “hardware … sono le organizzazioni e le associazioni …. che segnalano il grado di coesione di un determinato territorio “ (come per l’Italia in Trentino ed in Emilia) ed il cui “software ….”  è costituito da cinque elementi chiave: la fiducia, la meritevolezza di fiducia …, il senso civico, la disponibilità a pagare per i beni pubblici … e la fiducia nelle istituzioni” .

Ed illustra tali concetti anche con il resoconto di divertenti test comportamentali, quali quello del “trustor”, in cui al primo giocatore si regala un gruzzoletto, con la possibiltà di sub-regalarne quota-parte al secondo giocatore e con la sola regola che l’eventuale restituzione di parte di questo sub-regalo al primo giocatore, come spontanea gratitudine del secondo giocatore, sarà raddoppiata dal “banco”.

L’autore mostra inoltre come le stesse imprese possano sfuggire alle definizioni rozze quali “massimizzatrici di profitti”, assumendo il profilo di “imprese responsabili” (di Olivettiana memoria4).



Da queste critiche alle teorie dominanti, l’Autore deriva una serie di proposte, dalla valorizzazione di indici alternativi al PIL (quali l’indice di benessere BES, teoricamente ormai ben definito in Europa ed in Italia dallo stesso ISTAT) alla crescita di consapevolezza dei consumatori (e risparmiatori), in favore delle imprese responsabili e contro le distorsioni del mercato, fino a fare di questa “leva di Archimede”, costituita dalla capacità di “votare con il portafoglio” (di cui Becchetti riporta concreti esempi, quali quello dei fondi etici che incentivano le imprese a ridurre le emissioni di CO2), uno strumento quasi rivoluzionario verso una nuova “economia civile”.

Una rivoluzione innanzitutto culturale, attorno ad una nuova “teoria della relatività”, che riesca a integrare negli strumenti di governo delle nazioni e delle imprese i fattori di socialità insiti nell’uomo, dalla fiducia alla solidarietà, oggi considerati quasi come una “materia oscura” dalle teorie economiche dominanti: “I beni relazionali [sono…] ancora una particella oscura e in via di definizione. Il fatto di non averla ancora messa a fuoco è uno dei maggiori problemi dell’economia che da questo punto di vista è un po’ come la fisica prima della scoperta dell’elettrone”.

Il tutto senza uscire dal mercato, bensì forzandolo a subire le ragionate e ragionevoli pretese dei consumatori.

Ritengo molto interessante questo tentativo di sistematizzare i benefici che un orientamento organizzato dei consumatori (ed elettori?) potrebbe apportare per superare distorsioni e storture dell’attuale sistema economico e sociale;  mi permetto però di segnalare quelle che a mio avviso sono le rilevanti sottovalutazioni e sopravvalutazioni nella visione di Becchetti (e che lo rendono in qualche misura subalterno alla cultura dominante che vorrebbe avversare).

Sottovalutazioni:

-          riguardo alle problematiche ecologiche, anche se avverte che “esiste … una contabilità delle risorse ambientali che non può e non deve essere trascurata”, il testo assume come solo esempio i combustibili fossili, in quanto esauribili ma anche inquinanti, e individua nel meccanismo dei prezzi un potenziale alleato in favore della ricerca ed applicazione delle energie alternative (la relativa scarsità di petrolio e carbone rende convenienti le altre risorse energetiche, finché la loro abbondanza e convenienza, con qualche ragionevole aiuto pubblico e sociale, può mettere fuori gioco i fossili); ma non si fa carico per nulla del tema generale dell’esaurimento tendenziale delle materie prime e del degrado ambientale accumulato, che possono surriscaldare i prezzi e “bruciare” il pianeta prima che la svolta dei consumatori consapevoli si decida a civilizzare l’economia;

-          riguardo al divario tra i ricchi e i poveri, il testo lascia molto sullo sfondo alcuni nodi centrali, ovvero che nelle imprese la formazione del valore (o chiamiamolo ancora plus-valore) è ancora e sempre funzione diretta dello sfruttamento del lavoro altrui (anche se non sempre nella forma canonica del lavoro salariato) e quindi che la esistenza dei “poveri” (soprattutto su scala mondiale) è fattore necessario, e non conseguenza accidentale, della accumulazione delle ricchezze (che finisce per alimentare la superfetazione  finanziaria); se i consumatori possono influire sulle imprese, ad esempio penalizzando quelle che sfruttano oltre ogni regola risorse naturali ed umane, perché non assegnare più alcun ruolo alla possibilità di organizzarsi degli stessi lavoratori sfruttati?

-          riguardo alla circolazione della moneta ed alla crescita dei debiti, le immissioni di liquidità variamente sviluppate dalla banche centrali, per uscire da questa crisi, forse richiedono qualche specifica riflessione e preoccupazione sulla futura tenuta strategica degli equilibri macroeconomici (ovvero: vuoi vedere che si stanno alimentando nuove pericolose bolle finanziarie?).

Sopravvalutazioni:

-          riguardo alla estensione delle “lobbies positive” verso nuove forme di democrazia e di civilizzazione dal basso dell’economia, il testo reca (alcuni) esempi positivi, ma non si confronta con un panorama alquanto preoccupante che include nei fatti:

o   gli esempi non esaltanti delle auto-promosse micro-associazioni dei consumatori, che in Italia finora mi sembrano piccole burocrazie in affannosa rincorsa delle più consolidate (e purtroppo un po’ burocratiche) associazioni dei produttori (Confindustria ecc.; sindacati),

o   il mal funzionamento dei social media come amplificatori di campagne non sempre fondate su oggettivi riscontri scientifici (dai vaccini all’olio di palma: nel primo caso una criminale disinformazione, nel secondo una ambigua demonizzazione, che non assicura affatto migliori tutele per la salute, l’ambiente ed il terzo mondo attraverso l’uso di altri grassi alimentari), 

o   la parabola emblematica del MoVimento5Stelle, che parte da una concezione semplicistica del “cittadino eguale”(ovvero “uno-vale-uno”) per approdare alla formazione di un partito politico che nega di essere tale, ma tale si comporta, senza però mai sottoporre a discussione la leadership dei fondatori (ed eredi), in quanto  elemento a-priori ed “indiscutibile”;

o   la frequente cecità parziale dei “movimenti”, dai NoTAv, che mettono a ferro e fuoco la Val di Susa contro i trafori ferroviari, ma nulla dicono e fanno contro il contemporaneo raddoppio del traforo autostradale del Frejus (che trasferirà lì di fatto anche parte del traffico veicolare dal M.Bianco), fino all’acqua-bene-comune che strilla allo scippo referendario contro la presenza dei privati in qualunque ruolo gestionale, mentre altri beni comuni altrettanto delicati e strategici, dall’energia alle telecomunicazioni, dall’informazione ai social media sono per lo più tranquillamente in mani private (e spesso straniere o internazionali), sia come proprietari che come gestori, con poche e instabli eccezioni (RAI, ENEL, ENI, di cui solo la prima con controllo pubblico per legge);

o   la stessa crisi storica delle socialdemocrazie (ed anche dei partiti cattolici solidaristici) e dei connessi sindacati, perché in teoria basterebbe la concorde volontà degli elettori (che sono anche lavoratori, consumatori e risparmiatori) a piegare verso il meglio stati ed imprese: una concordia che oggi appare decisamente poco conseguibile.

Mi sembra che nei limiti delle scienze economiche, anche nella versione civilizzata di Becchetti (anzi soprattutto in questo suo tentativo di organizzare a tal fine  i consumatori), manchi una profonda integrazione con le scienze sociali, che – nell’analisi dei comportamenti dei singoli soggetti: individui, famiglie, imprese – oltre allo studio dei caratteri socializzanti dell’uomo e alle modalità di sedimentazione del “capitale sociale” tendono a includere specificamente le “forme” dei rapporti di aggregazione tra i soggetti (e l’eventuale definizione di “soggetti sociali”): dalla “microfisica del potere” di Foucault5 alla “società liquida” di Bauman6, dalla formazione di “nuove tribù” di Maffesoli7 alla sempiterna selezione delle élites politiche (Pareto, Michels, Revelli)8, dalla costituzione del villaggio globale (McLuhan)9 al funzionamento specifico delle reti (Castells10-11, Morozov12).  E anche Marx può ancora essere utile (il capitalista singolo ed il capitale collettivo)13.



Fonti:

1.    Lorenzo Becchetti “CAPIRE L’ECONOMIA IN SETTE PASSI” - Minimum fax, Roma 2016

2.    Paolo Leon “IL CAPITALISMO E LO STATO” – Castelvecchi editore, Roma 2014

3.    Laura Pennacchi “FILOSOFIA DEI BENI COMUNI. CRISI E PRIMATO DELLA SFERA PUBBLICA” - Donzelli editore, Roma 2012

4.    Adriano Olivetti “SOCIETA’, STATO, COMUNITA’. PER UN’ECONOMIA E POLITICA COMUNITARIA” Edizioni di Comunità, Milano 1952

5.    Michel Foucault “MICROFISICA DEL POTERE: INTERVENTI POLITICI”  Einaudi, Torino 1977

6.    Zygmunt Bauman “VITA LIQUIDA” - Laterza, Bari 2006

7.    Michel Maffesoli “IL TEMPO DELLE TRIBÙ. IL DECLINO DELL'INDIVIDUALISMO NELLE SOCIETÀ POSTMODERNE” - Guerini e Associati, Milano 2004

8.    Marco Revelli “FINALE DI PARTITO” – Einaudi, Torino 2012

9.    Marshall McLuhan “IL VILLAGGIO GLOBALE. XXI SECOLO: TRASFORMAZIONI NELLA VITA E NEI MEDIA” – SugarCo, Milano 1992

10. Manuel Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” - UBE Paperback, Milano 2002

11. Manuel Castells “LA CITTÀ DELLE RETI” Marsilio, Padova 2004

12. Evgeny Morozov “SILICON VALLEY: I SIGNORI DEL SILICIO” – Codice, Torino 2017

13. Karl Marx “IL CAPITALE. CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA (libro III)” –Editori Riuniti, Roma 1964

14. Commenti a  Bauman, Castells, Maffesoli su questo  blog PAG.I^ “FILOSOFIA-SOCIOLOGIA-ECONOMIA” 

15. Recensione su MARCO REVELLI/FINALE DI PARTITO su questo blog “ULTERIORI LETTURE”


UTOPIA21 - SETTEMBRE 2017: IL DIBATTITO SULLA CRESCITA E SULLA SOSTENIBILITA’ DEI FENOMENI URBANI E METROPOLITANI (PARTE 3^).




Cosa sono divenute “città” e “campagna”, in scenari di crescenti “metropolizzazioni”, ma molto differenziati nei diversi continenti; quale è il saldo della impronta ecologica di ogni porzione di territorio rispetto al resto del pianeta: a partire da queste domande preliminari, il presente articolo (3^ parte) prosegue un tentativo di rassegna critica sulle principali teorie in materia di sostenibilità urbana, iniziata su UTOPIA21 di maggio 2017 e proseguita sul numero di luglio.

Confermando una qualche grossolanità dei confini tracciati nell’ambito dell’esame delle proposte in campo in materia di “sostenibilità urbana”, la 1^ parte dell’articolo si è dedicata alle teorie più generali e meno strettamente “disciplinari” e la 2^ parte ha iniziato ad affrontare le principali scuole degli urbanisti e dintorni.



Sempre con necessarie approssimazioni, si è cercato di suddividere le posizioni esaminate nella 2^ e 3^ parte raggruppando nella 2^ quelle che – pur adeguate od aggiornate all’oggi –  sembrano affondare le loro radici nel Novecento, assumendo quindi una certa qual “classicità”, e rinviando invece a questa 3^ ed ultima puntata le proposte più attinenti ad un dibattito “post-moderno” ed imperniato sulla crisi ecologica.  



Nota: per una panoramica più completa sul dibattito attuale in Italia su questi temi rimando agli atti del convegno Urbanpromo del novembre 2016 presso la Triennale di Milano1 ed ai cicli di incontri dal titolo CITTA’-BENE-COMUNE promossi annualmente dal prof. Riboldazzi presso la Casa della Cultura di Milano dal 2013 2.



Riassunto:

l’urbanistica riformista dai nuovi standard ecologici alla rigenerazione urbana

nuovi piani settoriali e territoriali

l’esplorazione della citta’ diffusa come premessa per nuove alternative

Stefano Boeri e i grattacieli milanesi

Arturo Lanzani e il governo dei flussi di usi dei suoli

“tactical urbanism” e resilienza partecipata

bio-urbanistica a faenza, di Ennio Nonni & c.



                  

Figura 1 - METROPOLIZZAZIONE                                                                                                                  Aldo Vecchi 2010

Ai confini della città metropolitana di Milano:

- a nord, provincia di Varese

- a sud, provincia di Milano  (ora “Città Metropolitana” di Milano)

Fonte: Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Varese, 2006



L’URBANISTICA RIFORMISTA DAI NUOVI STANDARD ECOLOGICI ALLA RIGENERAZIONE URBANA



Federico Oliva, in quanto presidente dell’INU (fino al 2016), ha svolto considerazioni analoghe a quelle di Campos Venuti 3, richiamate nel paragrafo “Urbanistica riformista” (nella 2^ parte di questo articolo), in particolare nella relazione introduttiva al 27° Congresso dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, Livorno 2011 4, mentre nel precedente 26° Congresso ad Ancona nel 2008 5 l’INU aveva promosso una larga integrazione delle tematiche ambientali nel dibattito sulla pianificazione urbanistica e territoriale; inoltre, con precedenti testi 6-7 e con le pubblicazioni sui piani progettati, tra cui quello di Reggio Emilia del 2008, aveva assunto frontalmente parte della tematica ecologica nella teoria e nella prassi dei piani comunali urbanistici, proponendo una precisa gamma di densità edilizie (per Reggio Emilia comprese tra 0,3 e 1,2 m3/m2 di densità territoriale)  e formulando nuovi standard specifici di verde pubblico e privato (con quantità minime di piantumazioni, arboree e arbustive), al fine di raggiungere un equilibrio tra emissioni ed assorbimento di CO2.

Tali prescrizioni di Oliva&C hanno il pregio di essere concrete e precise; però si pone il dubbio se non comportino:

-          alcune semplificazioni positivistiche (assumendo di fatto come costanti le variabili relative a motorizzazione, modalità di trasporto, emissioni in atmosfera di case e  veicoli);

-          qualche sottovalutazione delle problematiche

o   del consumo di suolo, perché non spingono a densità molto elevate (anche riguardo ai livelli necessari per conseguire una efficienza del trasporto pubblico e per innescare positivi effetti di multi-funzionalità e  vivacità urbana),

o   della rete ecologica, perché tendono ad equiparare il verde urbano (pubblico, privato e condominiale) al verde agro-forestale, sostenendo anzi che il verde urbano inquina meno di certa agricoltura intensiva (e per giunta assistita). Ciò può essere vero oggi, ma la continuità dei suoli agricoli extra-urbani dovrebbe essere considerato come un valore positivo, paesaggistico ed ambientale (come il buio ed il silenzio, necessari per valorizzare il suono e la luce) ed inoltre ‘un’altra agricoltura è possibile’ (vedi gli esperimenti di “Terra madre” e di “Kilometro zero”), per cui occorrerebbe conservare questi spazi come riserva strategica per una possibile alternativa verso una relativa auto-sufficienza alimentare alla globalizzazione, attualmente drogata dalla esternalizzazione dei costi ambientali dei trasporti su terra e su mare; il che sembra più difficile (ma forse non impossibile) a partire dal verde pubblico e condominiale.

Occorre dare atto inoltre sia all’INU (congresso di Cagliari nel 2016 6) sia allo stesso Oliva (ora direttore della rivista “Urbanistica”), di aver ulteriormente elaborato le proprie posizioni, sia con qualche autocritica sul modello di pianificazione emanato al Congresso di Bologna del 1995 (e variamente applicato, ma anche distorto, dalle più attive amministrazioni regionali) sia aprendo nuovi orizzonti culturali verso la “città resiliente” e la  rigenerazione urbana, senza tuttavia raggiungere ancora nuovi assetti disciplinari altrettanto chiari e definite (vedi intervista dello stesso Oliva alla presidente Viviani su URBANISTICA n° 155 8 - vedi anche il tentativo di sistemazione “manualistica” di Stefano Boato su Urbanistica Informazioni n° 269-270, dall’ambizioso titolo “come fare un nuovo Piano Regolatore negli anni 2000”, con oggettivo orizzonte nel TriVeneto 9).



Lungo questo percorso emergono altri possibili ”standard ecologici”, più adattabili alla riqualificazione dei tessuti urbani al fine di migliorarne le prestazioni eco-sistemiche (ciclo delle acque, micro-clima, qualità dell’aria) quali il berlinese B.A.F. (Biotope Area Factor), che in sostanza persegue e quantifica, con opportuni parametri, l’introduzione nell’edificato di nuove superfici verdi, non solo in piena terra (ovunque é possibile, anche per restituire permeabilità al suolo e maggiore bio-diversità), ma anche nelle coperture di fabbricati ed autorimesse, e sulle pareti verticali. Similmente il B.A.F.Mo. (BAF adattato a Modena) 10, il R.I.E. del comune di Bolzano (orientato soprattutto verso le coperture vegetali) ed altre esperienze più complesse da Malmoe (Svezia) e Seattle (U.S.A.).





Weighting factor /
per m² of surface type
Description of surface types
Sealed
surfaces

0.0
Surface is impermeable to air and water and has no plant growth
(e.g., concrete, asphalt, slabs with a solid subbase)
Partially sealed
surfaces

0.3
Surface is permeable to water and air;
as a rule, no plant growth
(e.g., clinker brick, mosaic paving, slabs with a sand or gravel subbase)
Semi-open
surfaces

0.5
Surface is permeable to water and air;
infiltration; plant growth
(e.g., gravel with grass coverage, wood-block paving, honeycomb brick with grass)
Surfaces with vegetation,
unconnected to soil below

0.5
Surfaces with vegetation on cellar covers or underground garages with less than 80 cm of soil covering
Surfaces with vegetation,
unconnected to soil below

0.7
Surfaces with vegetation that have no connection to soil below but with more than 80 cm of soil covering
Surfaces with vegetation,
connected to soil below

1.0
Vegetation connected to soil below, available for development of flora and fauna
Extensive and intensive coverage of rooftop with greenery
Rainwater infiltration per m² of roof area

0.2
Rainwater infiltration for replenishment of groundwater;
infiltration over surfaces with existing vegetation
Vertical greenery up to a maximum of 10 m in height

0.5
Greenery covering walls and outer walls with no windows;
the actual height, up to 10 m, is taken into account
Greenery on rooftop

0.7








ABACO DEL B.A.F. BERLINESE (tratto da Internet)





Analogo procedimento parametrico, ma assai più raffinato perché riferito a tutti i possibili ”servizi eco-sistemici” offerti dai suoli (qualità degli habitat, sequestro del carbonio, trattenimento dell’acqua, purificazione dell’acqua, protezione dall’erosione, impollinazione, produzione agricola), e finalizzato ad una migliore specificazione delle Valutazioni Ambientali Strategiche per i Piani comunali, è sperimentato da Salata e Giaimo nel progetto europeo LIFE+SAM4CP 9, a partire dalle ricerche per il risparmio del consumo di suolo.

La parametrazione è ponderata attraverso valori monetari fittizi; anche altre ricerche convergono su simili obiettivi e criteri (vedi rapporto ISPRA 2016 11 e convegno “Recuperiamo terreno” 12 e mio articolo su UTOPIA21 di ottobre 2016).

Il “reinverdimento” dei lotti edificati ed il ruolo del verde nelle relazioni eco-sistemiche, vengono altresì sperimentati in possibili “giochi combinatori” con i più classici indici di edificabilità sul “mercato” delle procedure di compensazione e mitigazione, talora anche con risvolti monetari (vedi Piani di Trieste e di Reggio Emilia 2015) 12.





NUOVI PIANI SETTORIALI E TERRITORIALI



Nel contempo si elaborano nuovi Piani settoriali specifici per l’adattamento climatico delle città ed i PAES – Piani di Azione per l’Energia Sostenibile – ovvero “Patto dei Sindaci” per l’attuazione dell’obbiettivo europeo di abbattimento dell’anidride carbonica denominato 20-20-20 (diminuzione delle emissioni di CO2 del 20% entro il 2020): con il rischio di esiti un po’ tecnocratici e settoriali (così come è spesso per i progetti di riassetto idrogeologico); anche se la stessa Unione Europea ha sancito, attraverso un pronunciamento formale dei ministri degli Stati membri (dichiarazione di Toledo 2010 14, ad implementazione della Carta di Lipsia del 200715) l’importanza di un approccio olistico e del coinvolgimento attivo dei soggetti sociali nei processi auspicati di rigenerazione urbana.

Vitillo e Galluzzi 16 (siamo ancora nello Studio FOA, Federico Oliva Associati), occupandosi di Palermo, definiscono la ‘rigenerazione’ come operazione diversa dalla mera ‘riqualificazione’ fisica, proprio perché deve includere una evoluzione delle attività di uso dei luoghi ed evidenziano che il passaggio alla rigenerazione comporta il “disaccoppiamento tra crescita e sviluppo”, sollecitando nuove forme di utilizzo economico delle risorse urbane variamente recuperate.

Ritengono anche, con Bonfantini 17, che tra i piani urbanistici recenti stiano già maturando nuovi paradigmi progettuali adeguati a queste problematiche (vedi oltre: Lanzani).

Un approccio discretamente olistico e spesso culturalmente assai ben articolato, e contenuti potenzialmente utili al miglioramento di città e dintorni, mi pare mostrino molti dei nuovi Piani Paesaggistici Regionali, in attuazione della specifica direttiva europea, e spesso intrecciati ad opportuni aggiornamenti dei rispettivi Piani Territoriali: il limite principale di questo livello di pianificazione, così come quello espresso dalle martoriate Provincie, sta nella scarsa efficacia che le norme emanate dalle stesse Regioni (e Provincie) conferiscono ai propri Piani, lasciando troppo spesso eccessive autonomie ai Comuni in materie che si rivelano troppo delicate per siffatte generalizzate deleghe e/o disattenzioni.

(Di paesaggio intendo occuparmi in successive uscite di UTOPIA21).

Lastricato di buone intenzioni, ma totalmente ignorata dai mezzi di informazioni generalisti è risultata anche la conferenza Habitat III, tenutasi a Quito nell’ottobre 2016, sotto l’egida dell’ONU, 21 anni dopo la conferenza Habitat II di Instanbul, con un significativo passaggio teorico dal “diritto alla casa” al “diritto alla città” (e con significative divaricazioni tra posizioni neo-liberiste e posizioni – o almeno declamazioni – più social-progressiste); pregevoli anche i documenti presentati per conto dell’Italia (con la partecipazione dello stesso I.N.U.); documenti per altro assai distanti dalle iniziative legislative e amministrative quotidiane del governo italiano 18. 





L’ESPLORAZIONE DELLA CITTA’ DIFFUSA COME PREMESSA PER NUOVE ALTERNATIVE



Interessanti mi sembrano i tentativi di esplorare e comprendere non solo in generale, ma analiticamente e nel concreto, con strumenti adeguati e senza demonizzazioni, le fattispecie della realtà metropolitana e della circostante “città diffusa”, non per elogiarla acriticamente (alla maniera di Rem Koolhaas), ma per fondare proposte alternative specifiche, da sottoporre al confronto con i soggetti presenti in tali territori (vedi ad esempio in campo teorico i lavori del Gruppo di Lavoro INU sulla ‘città diffusa’19).

Abbastanza rappresentativo di tali attenzioni, sul versante più proclive a ‘lisciare il pelo’ allo ‘stato di cose presente’  è il testo “L’anticittà” di Stefano Boeri, del 2011 20, che, riprendendo precedenti scritti e ricerche, e con l’ambizione di proporre radicali mutamenti dei punti di vista e di interpretazione della realtà urbana, individua come “anticittà”

-          sia i fenomeni di emarginazione ed antagonismo (anche illegale) di una periferia che non è più “una cintura” bensì un “arcipelago”,

-          sia le “presenze edilizie solitarie ed ammassate senza una logica evidente” di villette, palazzine, capannoni, centri commerciali, disseminati nel territorio, in un processo di “erosione”, “frammentazione”, “dissipazione” e “diluizione delle relazioni urbane”: “un fiume che raccoglie in rivoli le energie vitali … e le spinge verso l’individualismo e la frammentazione”.

Il testo espone una ricognizione su vari e nuovi modi di lettura e interpretazione del mondo attuale e in particolare della città europea, proponendo come:

-          osservare (dall’alto, da mezza altezza, dal basso, in diagonale),

-          denominare (città e periferia, confini e flussi, modi di abitare e coabitare),

-          fotografare e narrare (per indizi, per campioni, per sequenze)

mirando così a costruire e valorizzare “atlanti eclettici” :

“la moltitudine si ricompone in un numero ridotto di figure spaziali introverse e ripetute all’infinito, specializzate anche se ibride”, “razionalità settoriali che condensano la moltitudine dei sussulti individuali”; “un arcipelago di sottosistemi decisionali, protagonisti di una competizione orizzontale”.

Il testo, nel proporre i nuovi punti di vista, mostra una costante e variamente motivata insoddisfazione per il sapere consolidato (che a mio avviso nel frattempo si è evoluto e non è rimasto poi così bi-dimensionale e zenitale come Boeri racconta, dalla “forma della città” secondo Aldo Rossi alle applicazioni terragne ed oblique di Google-earth, passando anche per i migliori piani comunali e di area vasta), e talora banalizza il pensiero altrui (ad esempio attribuendo a Manuel Castells una concezione dello ‘spazio dei flussi’ come “liscio … supporto piano e orizzontale” che non ho trovato nei suoi testi, molto attenti invece alle differenze locali e globali, ed a cui Boeri contrappone l’esistenza di corrugazioni, muri e recinti, a mio avviso già ben presenti in Castells 21,22 così come in Saskia Sassen 23).

Verso la conclusione il testo assume ‘d’ufficio’ un punto di vista ambientale (criteri di sostenibilità pienamente condivisibili, ma non desunti dal racconto dell’Anticittà) ed avanza una serie di proposte praticabili, per valorizzare le spinte spontanee dell’Anticittà (e riconciliarle alla Città?), proposte denominate nell’insieme “urbanistica dei luoghi”, che si articolano in:

-          promuovere comunità locali di impresa,

-          sviluppare la democrazia deliberativa dal basso, in nuovi municipi entro le aree metropolitane,

-          produrre e scambiare energia attraverso una rete di edifici virtuosi,

-          limitare il consumo di suolo e valorizzare l‘agricoltura peri-urbana ed intra-urbana come produttrice di alimenti e benessere,

-          trasformare in vegetali parti minerali della città (tetti e muri verdi, boschi-in-città),

-          accettare la rinaturalizzazione selvaggia di parte dei vuoti urbani (secondo le intuizioni di Gilles Clément), 

-          densificare gli insediamenti se prossimi ai nodi del trasporto pubblico,

-          prevenire l’abbandono di parti di città con una attiva politica immobiliare e di housing sociale.

Si tratta di un paniere di proposte in gran parte presenti negli altri testi esaminati in questa rassegna, o comunque con essi compatibili: sfugge però in questa parte del testo la peculiarità dell’asse politico-culturale avanzato da Boeri in relazione alle premesse descrittive specifiche, ovvero al dualismo tra città ed anticittà ed alla pretesa insufficienza delle altre scuole di pensiero.













STEFANO BOERI E I GRATTACIELI MILANESI    



                                                       



Figura 2 – IL “BOSCO VERTICALE” – MILANO, PORTA GARIBALDI



Divenuto negli ultimi anni molto noto per il suo progetto dei grattacieli “bosco-verticale” nel complesso di Milano Porta Nuova (che a mio avviso incarna in modo alquanto parziale e distorto le “raccomandazioni” sopra riportate), Boeri si trova ora schierato – con le idee e con le prime simulazioni progettuali 24– sul versante “densificatore” del dibattito milanese relativo a cosa e quanto costruire sulle consistenti e diffuse aree degli scali ferroviari dismessi, ove Boeri, con Cino Zucchi ed altri (e con i promotori immobiliari del gruppo Ferrovie dello Stato) sostiene la realizzazione quasi continua di case molto alte ai margini di un “fiume verde” (con punti nodali con altre torri): contrari comitati e professori “rarefatori”, tra cui l’urbanista Sergio Brenna 25 (vicino al sito Eddyburg), e chi sostiene che forse tutto questo nuovo cemento a Milano non è necessario, che i grattacieli non possono essere sparsi in tutta la città, che il “fiume verde” con bordi così alti rischia di separare anziché integrare i quartieri limitrofi e che l’operazione immobiliare dovrebbe soddisfare in loco tutti gli standard di spazi pubblici (anche relativi al fabbisogno di parchi urbani) senza ancora una volta monetizzarli ed esportarli verso l’esterno della metropoli.






Figura 3  -  SIMULAZIONE DEL RIUSO DEGLI SCALI FERROVIARI – MILANO 2017





Nel concreto si tratta di applicare o meno (secondo Brenna scendendo di circa un terzo)  l’indice di densità territoriale massimo previsto dal Piano di Governo del Territorio, che di 0,65 m2/m2 (cioè circa 2 m3/m2 ovvero 200 abitanti/ettaro), ma con una fortissima concentrazione della densità fondiaria (aree private), per poter conseguire l’effetto “fiume-verde”.  

Un esempio plastico del confronto sulla sostenibilità di trasformazioni urbane più o meno dense (con analogie al caso romano del nuovo Stadio-della-Roma, dove si è fermata l’esperienza assessorile di Paolo Berdini – vedi parte 2^ di questo articolo), che nel caso di Milano forse dovrebbe allargarsi ad un riesame più complessivo del Piano comunale di Governo del Territorio e dell’ancora indefinito Piano per la Città Metropolitana.





ARTURO LANZANI E IL GOVERNO DEI FLUSSI DI USI DEI SUOLI



Arturo Lanzani, già intervistato da UTOPIA21 nel numero di maggio 2017 a proposito del risparmio del consumo di suolo, a partire dal  suo testo “CITTA’ TERRITORIO URBANISTICA TRA CRISI E CONTRAZIONE” 26, in cui condensa anche le sue esperienze di paesaggista e di urbanista militante nell’area brianzola, fonda le sue proposte di ri-generazione urbana sulla analisi generale della fase di staticità (media) dei fabbisogni insediativi in Europa  e sul concreto manifestarsi, nei diversi paesaggi europei e soprattutto italiani, di una diffusa coesistenza tra nuove iniziative immobiliari (spesso su aree agricole fertili) e crescenti porzioni di insediamenti dismessi o degradati; in un contesto di complessiva valorizzazione di tutte le potenziali risorse patrimoniali (oggi sotto-utilizzate) dei singoli territori e di potenziale chiusura in loco dei cicli ecologici connessi alla sfera produttiva ed a quella sociale (con una lettura non lontana dalla “scuola territorialista”).

Lanzani avanza alcuni suggerimenti di radicale riforma sugli enti locali (ridurre i comuni da 8.000 a 1.000), sui piani di area vasta (cui affidare in esclusiva le decisioni sulle poche aree da trasformare ancora in senso edilizio, per necessità produttive e logistiche) e sulla fiscalità urbanistica (detassare totalmente gli interventi di recupero e porre a carico dei pochi nuovi interventi insediabili su aree verdi tutti i costi di bonifica e rinaturalizzazione di equivalenti porzioni di aree dismesse, chiudendo quindi sistematicamente i cicli ecologici dell’edilizia), mentre affida comunque ai piani comunali compiti puntuali di ricucitura dei tessuti naturali, a grande maglia (corridoi ecologici di valenza territoriale) e di più piccola maglia, associata alla cura dei tessuti urbani e della rete degli spazi pubblici (richiamandosi, con le dovute correzioni, agli insegnamenti di Bernardo Secchi sul “progetto di suolo” come armatura urbana 25 ed alle intuizioni di Gigi Mazza sulla permanenza delle “maglie territoriali” 26); con specificazione e duttilità nelle normative per il patrimonio edilizio esistente, compreso quello del secondo novecento, in modo tale da favorirne la riqualificazione, anche senza ipotizzare sistematiche operazioni di demolizione e ricostruzione.

Il risparmio del consumo di suolo quindi non si configura come un dogma aprioristico né come un processo automatico di densificazione urbana (vedi invece oltre Nonni), bensì come un processo di governo dei flussi nei cicli di uso e ri-uso dei suoli (con molta attenzione anche ai possibili usi temporanei, con bonifiche anche solo parziali – attenuando le severissime normative italiane in materia -), con attenzione alla concretezza dei “nuovi paesaggi urbani” della città diffusa (in gioventù studiati da Lanzani assieme a Boeri e a Edoardo Marini27) ed apertura positiva verso il potenziale consolidamento di una “città diramata”, a densità media anche piuttosto bassa, purchè innervata sul sistema dei trasporti pubblici (e ,quindi senza nostalgie verso gli antichi poli urbani concentrici della città compatta – vedi invece, più oltre, Ennio Nonni).

Simile l’orientamento di Carta e Lucchesi 28, che intendono ‘conferire senso’ alla slabbrata situazione di “cantiere interrotto” a cui riconducono l’insieme delle contradditorie forme assunte dai paesaggi italiani, tra espansioni, crisi e degrado.

Del pensiero di Lanzani non mi convince soprattutto il postulato che un riequilibrio dei flussi, tra domanda di nuovi suoli insediabili e offerta di aree dismesse riutilizzabili oppure ri-naturalizzabili, sia grosso modo possibile in tutte le variegate situazioni del territorio italiano di oggi; inoltre, mentre le sue proposte operative locali si dimostrano effettivamente praticabili (ed infatti tradotte in Piani Comunali 29 oppure in Parchi Locali di Interesse Sovracomunale, a Monza Desio e Seregno) le sue proposte legislative nazionali, pur semplici e pregnanti, mi sembrano assai lontane dal recepimento nel quadro politico che fino ad oggi conosciamo.











“TACTICAL URBANISM” E RESILIENZA PARTECIPATA



La tematica degli usi temporanei delle aree dismesse si collega anche alle esperienze di numerose (ma forse sopravvalutate)  iniziative di riappropriazione  “dal basso” di spazi urbani negli interstizi delle metropoli, per usi culturali (centri sociali) e colturali (orti autogestiti, orti didattici), iniziative talora antagonistiche e talora in collaborazione con le amministrazioni locali; su cui taluni autori hanno fondato ambiziose teorie più generali quali il “tactical urbanism” 30,31,32,33.

Tali teorie (tattiche alla ricerca di una strategia?) muovono da recenti certezze da un lato sulla impossibilità di formulare previsioni socio-economiche oltre il breve termine e d’altro lato sulla connessa inutilità di Piani urbanistici che pretendano di definire le forme future della città; però rischiano di privilegiare il presente ed il fattibile senza approfondire i criteri di priorità e di valutazione delle scelte, cui eravamo abituati mediante visioni di insieme, e prospettive di orizzonti anche non immediati (insomma, solo l’uovo oggi, senza più nessuna gallina domani).

Sullo sfondo matura inoltre anche l’ipotesi di una resilienza urbana più complessiva, che vada al di là del mero adattamento oggettivo di edifici e strade ai cambiamenti climatici ed agli eventi naturali eccezionali, e divenga capacità di reazione e adeguamento soggettivo, possibile solo con il protagonismo degli abitanti, assimilando così la rete urbana ad un organismo “vivente” e applicandole (talora forzatamente) concetti tipici delle scienze ecologiche.





BIO-URBANISTICA A FAENZA, DI ENNIO NONNI & C.



Di Ennio Nonni (dirigente del comune di Faenza) avevo già letto precedenti interventi sulle riviste dell’INU e dintorni, apprezzando in particolare la sua concretezza, legata all’esperienza militante di pubblico funzionario (simile alla mia, nel mio piccolo), e però connessa ad una visione urbanistica di ampio respiro, che ha anticipato di alcuni anni la tematica del risparmio del suolo, intrecciata con le problematiche energetiche ed ambientali (infatti Nonni auto-cita suoi testi del 1990).

Ora, con il  volume “Biourbanistica – Energia e Pianificazione” 34, Nonni (insieme ad importanti collaboratori) tenta una sintesi più ambiziosa di tali percorsi nella pianificazione urbanistica ed energetica della città romagnola, introducendo il concetto di “bio-urbanistica”.

Come afferma il Sindaco Giovanni Malpezzi nell’introduzione del testo, “quanto messo in campo è il tentativo di evitare la semplificazione per cui se tutti isolano la propria casa, la città sarà più sostenibile e più attrattiva” (tema su cui ho avuto occasione di esercitarmi anch’io, sempre nel mio piccolo).

Il testo esplica puntualmente le operazioni svolte dalla città di Faenza per dotarsi di una peculiare pianificazione energetica, con analisi puntuale dei tessuti edilizi (e – ad esempio –con ulteriore articolazione della classe energetica “G” nazionale, la peggiore, in ulteriori 6 sotto-classi, per meglio definire le condizioni e le azioni di intervento sui tessuti edilizi più datati e più dissipatori di energia), affiancando tale ricerca (che mi è sembrata accurata, ma non molto diversa da altri Piani Energetici Comunali), presentata da Federica Drei (funzionaria comunale) e Massimo Alberti (ingegnere consulente) con interessanti approfondimenti teorici di  Alessandro Rogora e Matteo Clementi (Politecnico di Milano), nonché Nicola Marzot (Architettura Ferrara), che evidenziano le interrelazioni tra consumi energetici, microclima, tipologie edilizie e morfologia urbana, mostrando come l’impostazione progettuale per la riqualificazione energetico-ambientale della città esistente debba affrontare olisticamente numerosi fattori anche conflittuali.

In particolare, il saggio del prof. Rogora pone al centro dell’attenzione (richiamando altri autori contemporanei, tra cui Sergio Los) il clima dell’ambiente urbano esterno ai fabbricati, cercando di definirne, attraverso un ampio excursus storico e geografico, una sorta di teoria generale alla ricerca del miglior equilibrio tra compattezza urbana e soleggiamento/ombreggiatura, particolarmente importante nelle fasce del globo a clima temperato, dove gli spazi urbani esterni sono potenzialmente più vivibili in modo sociale; l’Autore affronta le singole variabili: altitudine (assoluta e relativa, in situazioni vallive), ventilazione (naturale ed indotta dagli stessi insediamenti), acque superficiali, vegetazione ed alberature, in correlazione con le opzioni tipologiche e morfologiche (ad esempio case a torre e corti urbane alla maniera di Cerdà), ideali e reali, ed alle possibili modifiche, sempre assumendo come unità minima l’aggregazione urbana (la strada o la piazza) e non il singolo fabbricato. 

(La parte analitica di questo saggio mi appare illuminante e paragonabile alle lezioni del compianto Gianfranco Caniggia 35,36 sulle regole basilari degli insediamenti, in particolare riguardo ai crinali/versanti/fondovalle; un poco deludente è forse la parte finale, dove le proposte operative per i Regolamenti Edilizi si arenano su un  meccanismo di punteggi, poco gerarchizzato, per cercare di contemperare le diverse componenti conflittuali della progettazione; d’altronde anche in Caniggia la parte propositiva non è appagante come quella analitica).

L’intervento di Nicola Marzot si sviluppa con analoghe finalità, focalizzandosi sulle alternativa morfologiche per gli isolati urbani densi e sulla capacità degli stessi di generare ombra e ventilazione, illustrata attraverso esempi recenti di nuovi quartieri europei sorti (o progettati)  nel recupero di aree produttive dismesse.

Matteo Clementi espone criteri di valutazione ambientale per la progettazione degli interventi di trasformazione urbana impostati su un concetto di “sostenibilità forte”, con calcolo sia delle emissioni di CO2 che dall’impronta ecologica complessiva degli insediamenti, includendo tutto il ciclo dei consumi di risorse indotti dallo “stile di vita” degli abitanti, esemplificato su una ipotetica “persona media” di Faenza, e mostra l’incidenza di fattori come il trasporto privato, che possono essere ridotti solo con la nuova organizzazione di una città densa (e resiliente, citando ancora Sergio Los).

Nelle parti redatte direttamente, Ennio Nonni espone una compiuta proposta di “nuova urbanistica” che, marginalizzando le tecniche perequative (in quanto tipiche dell’urbanistica espansiva), da cui riprende però compensazioni ed incentivazioni, ed esaltando una seria valutazione ambientale (vedi sopra Clementi), non ridotta alla santificazione ex-post delle scelte di piano (come di frequente purtroppo avviene), affida in buona misura alla spontaneità dei singoli interventi (anche in auto-costruzione) il conseguimento di una nuova bellezza ed attrattività della città, attraverso l’imposizione di alcune fondamentali nuove regole e la contestuale liberazione da alcune vecchie regole errate.

Limitandomi alle indicazioni più originali (e dando per scontato quanto riguarda la sicurezza sismica ed idrogeologica, il risparmio energetico, ecc.), segnalo:

-           Recingere la città esistente con una cintura verde invalicabile (con il valore iconico e quasi sacrale delle mura medievali) e costringerla a crescere all’interno del recinto, soddisfacendo i nuovi bisogni con il riuso delle aree dismesse e/o sotto-utilizzate;

-           Riqualificare la campagna, finalizzandola alla produzione alimentare per la città, e sopprimere anche con incentivi di compensazione edilizia (in città) gli interventi edilizi sparsi, incongrui e dissipatori di energia trasportistica;

-           Favorire lo sviluppo degli orti urbani e di ogni forma di gestione creativa delle aree verdi, pubbliche e private;

-           Consentire la densificazione edilizia, sopprimendo gli obblighi di distanza tra fabbricati (restano però le norme nazionali) e gli indici di densità edilizia, e indicando solo allineamenti, altezze e coperture (nonché indici di permeabilità del suolo e di piantumazione minima), facilitando e quasi imponendo nel contempo il mix funzionale, soprattutto riguardo alle funzioni non residenziali nei piani terra fronte strada;

-           Sostituire le norme prescrittive con obiettivi prestazionali, dinamizzando così la progettazione  con incentivi qualitativi, premiando sia i miglioramenti ambientali  e sicuritari (es.  anti-sismici) sia quelli identitari (arte e attrattività urbana);

-           Generalizzare le alberature in tutte le strade e rallentare il traffico con la compresenza di varie funzioni ed utenze nelle aree stradali (senza specializzarle tra pedonali e veicolari, queste pericolosamente e inutilmente veloci);

-           Dare spazio all’arte ed ai creativi, comunque attratti da una città compatta e vivace, e capaci di renderla ancor più attrattiva.

Dall’insieme di tali complesse politiche innovative, secondo Nonni, matura una sinergica crescita della bellezza della città compatta e della qualità della vita, con miglioramento energetico anche riguardo ad una minore e migliore mobilità.

Nonni sostiene anche che i valori positivi insiti in queste scelte non sono soggettività estetiche, ma opzioni auto-evidenti: “si preferisce vivere a Siena o nella periferia nebulosa?” è per Nonni una sorta di domanda retorica.

Ed è qui che meno mi convince. Perché a mio avviso è invece palese che non solo per una congiura di immobiliaristi o di vetero-urbanisti, ma per una spontanea adesione degli utenti, il modello della villetta continua a permanere come mito antropologico, e non nascono facilmente nuove Siene.

(D’altronde non è escluso che un tessuto di villette sia dotato di viali alberati e gradevoli spazi pubblici, anche se restano tutti i problemi trasportistici e sociali della bassa densità). 

Non mi convince nemmeno la densificazione delle espansioni novecentesche attuata a colpi di interventi edilizi singoli, senza una pianificazione dettagliata di quartiere (anche come guida ad eventuale auto-costruzione): probabilmente è anche necessaria una potente leva finanziaria per acquisire immobili da demolire e/o accorpare e poi rivendere/ri-assegnare .

Infine mi sembra un po’ meccanico associare strettamente la battaglia per limitare il consumo di suolo con la delimitazione della città esistente (vedi invece sopra Lanzani): occorre forse una pianificazione d’area vasta, fondata sui flussi delle aree trasformabili, ma un po’ più flessibile, perché non ovunque coincidono la domanda di nuovi insediamenti e l’offerta di aree dismesse o sottoutilizzate (comprese le residenze del secondo dopoguerra).









Fonti:



1. Urbanpromo presso Triennale di Milano, novembre 2016: 

www.urbanpromo.it – registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni

2. incontri CITTA’-BENE COMUNE www.casadellacultura.it Milano 2013-2014-2015-2016-2017

3. Giuseppe Campos Venuti “CITTÀ SOSTENIBILI E AUSTERITÀ” su “URBANISTICA INFORMAZIONI” n° 236 del 2011

4. www.inu.it > Congressi > XXVII Congresso nazionale “La città oltre la crisi: risorse, welfare, governo”, relazione introduttiva di Federico Oliva, aprile 2011

5.  Congresso nazionale INU – Ancona 2008, in “Urbanistica Dossier” n° 111

6. Federico Oliva “LA QUALITÀ AMBIENTALE DEL PROGETTO URBANISTICO”   convegno presso Comune di Modena, novembre 2004

7. Federico Oliva, Paolo Galuzzi, Piergiorgio Vitillo “PROGETTAZIONE URBANISTICA: MATERIALI E RIFERIMENTI PER LA COSTRUZIONE DEL PIANO COMUNALE” Maggioli Editore, Rimini 2005

8. intervista di Federico Oliva a Silvia Viviani “INU, URBANISTICA FUTURA, PROGETTO PAESE” su “Urbanistica” n° 155/1° semestre 2015 (data nominale)

9. Stefano Boato “COME FARE UN NUOVO PIANO REGOLATORE NEGLI ANNI 2000” su “Urbanistica Informazioni” n° 269-270/2016 (data nominale)

10. Andrea Di Paolo “Rigenerazione urbana, L’applicazione dell’indice B.A.F.MO come strumento per il miglioramento del comfort ambientale di un ambito produttivo. Il caso studio del villaggio artigiano di Modena” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure www.media.planum.bedita.net/.../Sezione_2_Tra_Tattica_e_Strategia_Urbanpromo_2016_Planum

11. I.S.P.R.A. – “CONSUMO DI SUOLO, DINAMICHE TERRITORIALI E SERVIZI ECOSISTEMICI” edizione 2016 www.isprambiente.gov.it

12. I.S.P.R.A. & SALVIAMO-IL-PAESAGGIO & SLOW FOOD ITALIA – CONVEGNO “RECUPERIAMO TERRENO” – MILANO 06-05-2015 – atti, sessione poster, Volume I e II www.isprambiente.gov.it

13. Valentina Palermo e Viviana Pappalardo “POLITICHE E PRATICHE URBANE LOCALI: NUOVI APPROCCI PER NUOVE ISTANZE” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in https://issuu.com/planumnet/docs/fra_tattica_e_strategia_atti_...





16. Paolo Galuzzi, Piergiorgio Vitillo “PALERMO. PROGETTARE LA RIGENERAZIONE URBANA” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in https://re.public.polimi.it/.../Galuzzi,%20Vitillo_Palermo.%20Progettare%20la%20rigenerazione..

17. Bertrando Bonfantini “RITORNO ALLA SOSTANZA DEL PIANO” in “Urbanistica” n° 154/2° semestre 2014 (data nominale)

18. AA.VV. “LA CONFERENZA HABITAT III” su “Urbanistica Informazioni” n° 269-270/2016 (data nominale)

19. AA.VV. a cura di Maurizio Piazzini “LA CITTÀ DIFFUSA” su Urbanistica Informazioni n° 232/2010

20. Stefano Boeri “L’ANTICITTÀ” Laterza, Bari 2011

21. Manuel Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” UBE Paperback, Milano 2002

22. Manuel Castells “LA CITTÀ DELLE RETI” Marsilio, Padova 2004

23. Saskia Sassen  “LA CITTÀ NELL’ECONOMIA GLOBALE” Il Mulino, Bologna 2010




26. Arturo Lanzani “CITTA’ TERRITORIO URBANISTICA, TRA CRISI E CONTRAZIONE” Franco Angeli, Milano 2015


28. Massimo Carta e Fabio Lucchesi “RI-AVVIARE IL CANTIERE INTERROTTO DELLA ‘GRANDE TRASFORMAZIONE’. RI-CONOSERE NUOVI PAESAGGI, LAVORARE PER TESSUTI E COMPONENTI” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in www.academia.edu/.../Ri-avviare_il_cantiere_interrotto_della_grande_trasformazione

29. Arturo Lanzani “FARE URBANISTICA DOPO LA CRESCITA: RIFLESSIONI AI MARGINI DI DUE PIANI” su “Urbanistica” n° 154/2° semestre 2014 (data nominale)

30. Francesca Calace, Alessandro F.Cariello, Carlo Angelastro “CONIUGARE TATTICHE E STRATEGIE NEGLI SPAZI MARGINALI” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in https://issuu.com/planumnet/docs/fra_tattica_e_strategia_atti_conferenza...

31. Carlo Pisano “VENETIAN BASSORILIEVI.LA MESSA A SISTEMA DI UNA TATTICA TERRITORIALE” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in https://issuu.com/planumnet/docs/fra_tattica_e_strategia_atti_conferenza...

32 – Francesco Alberti, Matteo Scamporrino, Annalisa Rizzo “PROMUOVERE L’AZIONE TATTICA. LA TEMPORANEITA’ NELLA PRATICA URBANISTICA” in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in www.media.planum.bedita.net/.../Sezione_6_Tra_Tattica_e_Strategia_Urbanpromo_2016_Planum…

33. Valeria Lingua “FROM TACTICS TO STRATEGIES AND BACK: REGIONAL DESIGN PRACTICES OF CONTAMINATION” (il testo è però in italiano) in atti del convegno “Tra tattica e strategia”, Urbanpromo/Triennale di Milano, Novembre 2016 – in www.urbanpromo.it (registrarsi nell’ “area riservata” per accedere agli atti dei convegni) oppure in https://issuu.com/planumnet/docs/fra_tattica_e_strategia_atti_confer/8

34. Ennio Nonni ed altri “BIO-URBANISTICA – ENERGIA E PIANIFICAZIONE” Comune di Faenza/Tipografia Valgimigli, Faenza 2013 (progetto Europeo EnSURE, Energy Saving in Urban Quarters trough Rehabilitation and New Ways of Energy Supply)

35. Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei  “LETTURA DELL’EDILIZIA DI BASE” Marsilio, Padova 1979

36. Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei  “IL PROGETTO NELL’EDILIZIA DI BASE” Marsilio, Padova 1984