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APPENDICI

INDICE DELLE APPENDICI

APPENDICE I - estratto da IL DIFFICILE  PERCORSO DALLA “CASA SOSTENIBILE” ALLA “CITTA’ SOSTENIBILE” Gennaio 2010, pubblicato in bozza non corretta su “Urbanistica Informazioni” n° 229 Autori:  Aldo Vecchi e Anna Maria Vailati


APPENDICE II - appello per un'IVA ecologica - 2012



APPENDICE III - parte IV del saggio sulla Sostenibilità urbana (al tempo della crisi): PROPOSTE DI LEGISLAZIONE  A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA
versione 2012 
 





APPENDICE I - ESTRATTO DA

IL DIFFICILE  PERCORSO DALLA “CASA SOSTENIBILE” ALLA “CITTA’ SOSTENIBILE”

Gennaio 2010, pubblicato in bozza non corretta su “Urbanistica Informazioni” n° 229

Autori:  Aldo Vecchi e Anna Maria Vailati

 

omissis

 

PROPOSTA DI ARTICOLAZIONE DEI PROBLEMI CHE VANNO APPROFONDITI 

Le seguenti riflessioni tentano di articolare le problematiche in merito a densità e tipologie, assumendo una griglia di variabili tipica di una “Valutazione Ambientale Strategica”, e privilegiando l’attenzione verso gli indicatori più sensibili agli agenti locali; con l’avvertenza che la necessaria analisi non consente comunque mai di isolare i singoli fattori dal quadro complessivo di interazione:

A)      un primo gruppo di valori risulta abbastanza neutro rispetto alle alternative di progettazione urbana, nel senso che le “buone pratiche” possono consentire di minimizzare comunque l’impatto insediativo, a prescindere dalle tipologie e densità ipotizzate:

a.       CONTROLLO DEI CONSUMI IDRICI INTERNI ALLE ABITAZIONI (i consumi esterni, per irrigazione, giardinaggio, lavaggio sono invece molto variabili);

b.       QUALITA’ DEGLI SCARICHI LIQUIDI;

c.        IMPIEGO DI MATERIALI DA COSTRUZIONE TERMO-COIBENTI, SANI E RICICLABILI (con qualche limite tecnologico: ad esempio, per case alte con struttura in legno);

d.       CONTROLLO DELLE EMISSIONI SONORE (mentre l’inquinamento acustico passivo risulta influenzato dalle morfologie edilizie, a parità di materiali isolanti);

e.       LIMITAZIONE DELL’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO (anche se insediamenti più compatti possono limitare le interferenze con le reti di telecomunicazioni e di trasporto dell’energia elettrica, facilitandone la razionalizzazione)

f.         LIMITAZIONE DEGLI INQUINAMENTI DURANTE IL PROCESSO COSTRUTTIVO ED AL TERMINE DEL CICLO DI VITA DEI FABBRICATI;

B)      all’estremo opposto, un gruppo di valori fondamentali, benché fortemente inter-agenti con i contenuti progettuali quali-quantitativi, non sono riconducibili a valutazioni generali, perché sostanzialmente condizionati dal “genius loci” e dalla specificità delle condizioni socio-economiche locali:

a.       TUTELA  E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO E DEI BENI CULTURALI;

b.       INSERIMENTO NEL CONTESTO STORICO E GEOGRAFICO LOCALE;

c.        ESPRESSIONE DI VALORI SIMBOLICI COLLETTIVI E DEL LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEI PROGETTISITI

C)      nel mezzo invece si collocano i valori per i quali più determinanti risultano gli approfondimenti scientifici, con particolare attenzione alle reciproche interferenze (anche con i valori del gruppo “B”), e quindi attraverso comparazioni multi-criteri, e comunque con un’ottica di tipo olistico; si tratta in parte di variabili fisicamente misurabili, in qualche  misura proporzionali,  o variamente funzionali, rispetto alle grandezze edilizie:

a.       CONSUMO DI SUOLO AGRO-FORESTALE, proporzionale alla superficie complessiva occupata per usi urbani (anche di verde pubblico);

b.       PERMEABILITA’ DEI SUOLI, che è funzione inversa della superficie coperta da edifici oppure variamente impermeabilizzata;

c.        PERMEABILITA’ ECOLOGICA DEI TERRITORI NON URBANIZZATI, evidentemente maggiore con insediamenti compatti (ma non si può escludere una virtuosa progettazione che consenta forme di continuità della rete ecologica anche nelle maglie verdi dei tessuti urbani meno densi)

D)      Infine, la parte restante, e più complessa, riguarda variabili che hanno grande rilevanza ai fini della sostenibilità ambientale degli insediamenti, ma non rivestono funzioni di carattere lineare rispetto alle singole grandezze edilizie:

a.       BILANCIO IDRICO COMPLESSIVO, sia relativo alle risorse idro-potabili sia al ciclo pluviale, considerando l’insieme dei consumi umani (anche per irrigazione, giardinaggio e lavaggio), la permeabilità dei suoli, l’estensione e le caratteristiche delle pavimentazioni semi-permeabili, nonché la possibile introduzione di coperture verdi (che influiscono sulla velocità di corrivazione, sulla evaporazione e sul micro-clima);

b.       EFFICIENZA ENERGETICA, che, non solo può variare al mutare di densità e tipologie – a parità di materiali e tecnologie -, ma anche esserne radicalmente condizionata, nel senso che determinate tecniche costruttive ed impiantistiche risultano congruenti con determinate tipologie e densità, e non con altre: in un contesto in rapida evoluzione;

c.        EFFICIENZA DEI TRASPORTI, considerando le alternative, i conflitti e le possibili integrazioni tra le diverse modalità di spostamento, con mezzi pubblici o privati, ed i limiti di accettabilità sociale alle eventuali limitazioni o accentazioni della mobilità: i campi di variabilità differiscono in funzione di altimetria e clima, per esempio riguardo alla fattibilità ed usabilità delle piste ciclabili, come anche per le distanze pedonali massime ammissibili; anche questo settore è fortemente influenzato dal modificarsi degli elementi tecnologici, così come del contesto sociale ed economico, anche a scala globale (es. prezzi dei carburanti);

d.       QUALITA’ DELL’ARIA, per quanto deriva dai fattori locali, sia riguardo alle emissioni dirette dagli insediamenti, per la climatizzazione artificiale (vedi sopra punti D/a e D/b), sia indirettamente dal sistema dei trasporti (vedi D/c)

e.       BENESSERE BIOCLIMATICO (interno alle abitazioni) E MICRO-CLIMA URBANO, risultante dalla combinazione  di fattori complessi;

f.         CLIMA ACUSTICO, anch’esso derivante da molti elementi, locali e sovra-locali;

g.       RACCOLTA DEI RIFIUTI SOLIDI: gli insediamenti compatti riducono i percorsi di raccolta, ma la raccolta differenziata risulta più efficiente negli insediamenti, radi, che impongono maggiore responsabilizzazione ai singoli utenti, e dove gli orti rendono possibile una riduzione del consumo di imballaggi e la pratica del compostaggio diretto dei rifiuti umidi;

h.       EFFICIENZA ECONOMICA COMPLESSIVA, considerando i costi diretti ed indiretti degli insediamenti, in tutto il loro ciclo – dal cantiere alla dismissione finale – e passando per la durata delle possibilità di manutenzioni ed adattamenti, per il cumulo dei costi energetici

i.         EFFICIENZA ED ACCETTABILITA’ SOCIALE, che risulta di assai difficile misurazione, sia per una certa labilità delle discipline sociologiche ed antropologiche, sia per la complessità delle mediazioni tra i soggetti coinvolti nelle decisioni (politici, tecnici, agenzie immobiliari, promotori, imprese) ed i diversi segmenti dell’utenza finale della città: insediamenti ad alto costo iniziale ma di lunga durata e bassi costi di gestione e manutenzione (e limitato inquinamento ambientale) possono essere acquisiti direttamente solo dai ceti più abbienti, mentre latita una domanda organizzata dai potenziali eslusi, o perché non rappresentati (o non rappresentabili istituzionalmente, come le nuove minoranze degli immigrati), o perché paradossalmente rappresentati da esponenti politici degli stessi ceti più abbienti.

E)       non si considera in questo testo l’IMPRONTA ECOLOGICA COMPLESSIVA degli insediamenti, comprensiva cioè di tutte le risorse primarie utilizzate nel ciclo di vita degli insediamenti, rapportate alle aree necessarie per produrle e riprodurle – a scala globale - , inclusi energia, alimenti ed altre materie prime, perché da un lato si coinvolgono comportamenti indipendenti dalla conformazione urbana (ad esempio cosa si mangia e come si coltiva, sotto casa od in altro continente; come si produce la quota di energia importata), dall’altro si investono variabili macro-economiche internazionali  - dal prezzo del petrolio alla tassazione dei trasporti -, il cui controllo, anche concettuale, non può che esulare da queste poche pagine: con l’auspicio però che  qualcuno se ne occupi, dalle forze politiche ai governi, e soprattutto ad esempio la Comunità Europea).

 

Nella seguente tabella 1 si evidenziano alcuni importanti temi settoriali  della sostenibilità urbana, su cui alcuni autori, su Urbanistica Informazioni n° 226/09, sono pervenuti a formulare una sorta di standard in merito agli indici di densità insediativa minimi e massimi:

 

TABELLA 1: DENSITA’ MASSIME E MINIME IN FUNZIONE DI SINGOLI ASPETTI DELLA SOSTENIBILITA’
 
Densità residenziale minima
Densità edilizia massima
Note
Efficienza dei sistemi di captazione passiva dell’energia solare
 
4,5 m3/m2
Per case in linea orientate est-ovest
Efficienza dei sistemi di teleriscaldamento, in particolare con centrali elio-termo-dinamiche
Elevata,
non quantificata
 
 
Efficienza del sistema dei trasporti, con efficacia della mobilità pedonale
170 abitanti/ettaro
 
 
 
Efficienza delle nuove centralità rispetto alla vitalità urbana
2,5 m3/m2, ovvero
120 abitanti/ettaro
 
Con allineamenti dei fabbricati sui fronti di strade e piazze, funzioni commerciali ecc.

 

 


UNA SIMULAZIONE DELLA CASISTICA CONCRETA IN MATERIA DI DENSITA’ E TIPOLOGIE


Per compiere una comparazione dei possibili effetti ambientali tra schemi di composizione urbana caratterizzati da diverse tipologie edilizie e densità insediative, occorre considerare che non vi è una correlazione lineare tra “tipologie” e “densità”, bensì una discreta sovrapponibilità ed intercambiabilità (anche se mediamente un quartiere di case a torre è  più denso rispetto ad un quartiere di villette).

Nella seguente tabella 2 si propone una simulazione sugli effetti quantitativi, in termini di densità fondiaria, densità territoriale e superficie coperta, tra le tipologie più diffuse, assumendo nella premessa una griglia di condizioni “ragionevoli” comune a tutti i tipi di tessuto urbano selezionati, ed esplorando una gamma di densità compresa tra 1 e 10 m3/m2..

 

TABELLA 2: DENSITA’ E TIPOLOGIE
Premessa:
simulazione sviluppata per destinazioni residenziali, con taglio di alloggi medio di 90 m2, senza calcolare il volume  di scale (e androni) ed  autorimesse (ipotizzate interrate, tranne che per ville singole e case a patio, e distribuite ove necessario su più piani, per non uscire dalla superficie coperta fuori terra) e assumendo i seguenti vincoli compositivi:
- ricerca della massima densità fondiaria possibile, nel rispetto delle altre condizioni assunte
- doppio affaccio per ogni alloggio
- manica edilizia non superiore a 12 metri
- altezza convenzionale interpiano di metri 3 ed esclusione di sottotetti abitabili
- altezze dei fabbricati non superiori alle reciproche distanze tra pareti finestrate (ad esclusione della tipologia a torre, dove si dimezza data la discontinuità delle ombre portate)
- distanza minima dai confini dei lotti e dalle strade metri 5 (zero per il tipo a corte)
- esclusione di distribuzione a ballatoio
- superficie territoriale “ristretta” intesa come minimo necessario con la sola sommatoria di residenza, strade carrabili e ciclo-pedonali, parcheggi, verde elementare (e l’esclusione di parchi, servizi ed altre funzioni, che si ipotizzano astrattamente costanti con i diversi tessuti tipologici esaminati)
- superficie coperta, calcolata sulla superficie territoriale, al lordo di scale ed androni
 
 
N° piani
Densità fondiaria
max
m3/m2
Densità territoriale “ristretta” (v.sopra)         m3/m2
Superficie coperta
(sulla superficie territoriale)
m2/m2
Ville singole
2
1,33
1,18
0,34
Ville binate
2
1,88
1,56
0,28
Case a patio
2
2,07
1,52
0,44
Villette a schiera
2
2,00
1,61
0,31
Palazzine
4
2,40
1,98
0,19
Case alte in linea
6
3,00
2,40
0,15
Corti
8
5,80
4,03
0,34
Torri
10
7,87
6,14
0,22

 

Inoltre, combinando le tipologie edilizie, il taglio degli alloggi e le modalità di aggregazione in tessuti urbani, si determinano diversi fabbisogni quantitativi di aree stradali, di parcheggi ed autorimesse e di aree ad uso pubblico e/o sociale; ad esempio:

-          gli spazi per gli autoveicoli possono essere progettualmente dilatati o compressi, in relazione al ruolo che si ipotizza o si affida alla mobilità ciclo-pedonale ed al trasporto pubblico, con modalità coattive oppure consensuali;

-          i quartieri con giardini privati comportano una minor domanda di parchi pubblici ed in generale di spazi di aggregazione;

-          l’introduzione di un mix funzionale con le attività produttive, commerciali e di servizio, più consono alla città compatta e favorevole a percorsi di mobilità più brevi, ma più intensi, influisce ovviamente sul consumo di suolo urbanizzato, sia in caso di stretto intreccio con le funzioni residenziali, sia in caso di separazione da tessuti più omogeneamente residenziali, perché le destinazioni non residenziali da qualche parte vanno comunque collocate, e conteggiate (così come le funzioni sgradite e respinte ai margini dei quartieri, dai cimiteri agli ospizi, dagli ospedali alle carceri, dai depuratori agli impianti di riciclaggio e smaltimento dei rifiuti, dagli impianti per la produzione di energia alle altre fabbriche,  dalle infrastrutture di trasporto alla logistica delle merci).

 

Si rammentano inoltre nella tabella 3  le seguenti caratteristiche peculiari delle tipologie edilizie più diffuse (come individuate nella precedente tabella 2), che non sono correlate strettamente ai valori dimensionali:

 

 

TABELLA 3: ALCUNE PECULIARITA’ NON DIMENSIONALI DELLE DIVERSE TIPOLOGIE EDILIZIE
 
Esposizione eliotermica
Ventilazione *
Immissioni acustiche
Autonomia costruttiva
 e flessibilità
Privacy
Sicurezza
**
Ville singole
Massimo
Elevato
Elevato
Massimo
Massimo
Minimo
Case a patio
Medio
Minimo
Minimo
Elevato
Medio
Basso
Case a schiera
Elevato
Medio
Medio
Elevato
Medio
Basso
Palazzine
Elevato
Elevato
Elevato
Minimo
Basso
Massimo
Case alte in linea
Elevato
Medio
Medio
Minimo
Basso
Elevato
Corti
Minimo
Basso
Basso
Minimo
Minimo
Medio
Torri
Medio
Massimo
Massimo
Minimo
Basso
Elevato
Note: * valore positivo o  negativo secondo luoghi e stagioni  ** valore influenzato da molti altri fattori complessi

 

 


ALCUNE VALUTAZIONI SULLE PROPOSTE IN CAMPO

 

Il campo delle esperienze e delle proposte concrete in materia di “quartieri e città sostenibili” appare abbastanza ricco in Europa (anche se l’accento è posto ancora molto più sulle singole “architetture sostenibili”) e molto meno in Italia.

 

Da una rassegna sommaria di esempi europei, si ricava nella tabella 4 la seguente comparazione, che evidenzia densità medie relativamente elevate, comprese tra 110 e 220 abitanti per ettaro, tranne il caso limite di Amsterdam quartiere GWL, che presenta densità largamente superiori ai 10 m3/m2 (presumibilmente attorno a 600 abitanti per ettaro).

 

TABELLA 4:  DENSITA’ E TIPOLOGIE IN ALCUNI “QUARTIERI SOSTENIBILI” EUROPEI 
(dati disponibili in biblioteche ed Internet)
 
 
Estensione
ettari
Alloggi
Abitanti
Alloggi/ettaro
Abitanti/ettaro
OLANDA
 
 
 
 
 
Amersfoort,
Quartiere Nieuwland
70
4.700
15.000
67
215
Alphen aan der Rijn,
Quartiere Ecolonia
2,7
 
300
 
111
AUSTRIA
 
 
 
 
 
Linz
Quartiere Solar City
32
1.317
 
41
 
SVEZIA
 
 
 
 
 
Malmo, Oresund/Expo
Quartiere Bo01
12
800
 
67
 
GERMANIA
 
 
 
 
 
Stoccarda
Quartiere Burgholzhof
10,5
950
 
90
 
Friburg im Breisgau
Quartiere Rieselfeld
70
4.200
11.000
60
157
Friburg im Breisgau
Quartiere Vauban *
34
 
5.000
 
147
FRANCIA
 
 
 
 
 
Toulouse
Quartiere Malepere
 
7.000
15.000
 
169
Nota: * del quartiere Vauban di Friburg im Breisgau sono note anche le seguenti densità fondiarie:
- ville unifamiliari 1,88 m3/m2, bifamiliari 3,34
- schiera da 2,14 a 3,00 m3/m2
- palazzine 1,77 m3/m2

 

 


In Italia si segnalano le proposte di Federico Oliva e collaboratori, che – teorizzando le esperienze compiute in diversi piani Comunali, con Campos Venuti ed altri - propone una precisa gamma di densità edilizie e formula nuovi standard specifici di verde pubblico e privato (con quantità minime di piantumazioni, arboree ed arbustive), al fine di raggiungere un equilibrio tra emissioni ed assorbimento di CO2, assumendo frontalmente parte della tematica ecologica nella prassi urbanistica.

Gli indici applicati nel vigente PRG di Reggio Emilia sono così schematizzati nella seguente tabella 5.

 

TABELLA 5 – INDICI CARATTERIZZANTI DEL PIANO STRUTTURALE  DI REGGIO EMILIA
 
Utilizzazione territoriale
m2/m2
Densità edilizia
m3/m2
Verde pubblico e privato
% su sup. territoriale *
Tipologie suggerite
Aree di trasformazione urbana
0,4
1,2
50%
A blocco o in linea con 6 piani di altezza e mix funzionale 20-25% di terziario
Nuclei frazionali
0,2
0,6
60%
 
Aree di trasformazione ambientale
0,1
0,3
80%
Ville a 2 piani, mono o bifamiliari oppure  a schiera
Note: * con precisi obblighi di permeabilità e piantumazione (non risultano espliciti vincoli di continuità ecologica)

 

 omissis

 


APPENDICE II  - APPELLO PER UN’IVA ECOLOGICA

 

Governo, partiti e parti sociali si affannano soprattutto sulla ripresa della crescita, cercando di superare i colpi che il tradizionale modello di sviluppo subisce, sia per la crisi più generale, sia per gli effetti recessivi specifici delle manovre finanziarie correttive approvate dal Parlamento.

Tra queste incombe, per il 4° trimestre del 2012, anche un ulteriore pesante aumento di 2 punti percentuali dell’IVA, su gran parte dei prodotti, esclusi quelli con la tariffa agevolata del 4% (articoli di prima necessità), che avrà evidenti effetti inflazionistici sui prezzi e depressivi sui volumi complessivi di consumo.

Mi chiedo se non sia il caso di utilizzare questo intervallo temporale non trascurabile (se nel frattempo tengono Euro, Italia ed Europa) per lanciare e approfondire una seria proposta alternativa (preferibilmente a scala europea), finalizzata ad un superamento della spirale oscillatoria tra recessione e tentativi di rilancio (sempre più difficoltosi) del vecchio modello di sviluppo, ed orientata, invece che a contenere o rilanciare  i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a partire per l’appunto dalla leva fiscale ed in particolare dalla differenziazione “ecologica” delle aliquote IVA, generalizzando una logica da “carbon tax”.

Si tratterebbe ad esempio di introdurre una quarta aliquota, nettamente superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel contempo con i medesimi criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3 aliquote inferiori, magari riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per i prodotti di lusso e/o particolarmente superflui (od inutilmente esotici), e per tutti quelli che presentino negativi risvolti ambientali, sia nelle fasi di produzione e commercializzazione, sia nelle fasi di utilizzo e smaltimento finale, riguardo a:

-          consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)

-          consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)

-          emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)

-          produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.

Una incentivazione e disincentivazione fiscale, decisa (ma, volendo, anche con gradualità) ed esplicitamente orientata, potrebbe innescare virtuosi processi di selezione dei consumi (limitando il peso inflazionisitico per i redditi più bassi e per i consumatori più saggi) e di riorganizzazione produttiva.

Con questa ipotesi di rimodulazione ecologica dell’IVA, se nel frattempo le promesse di revisione della spesa pubblica improduttiva e di lotta all’evasione fiscale dessero buoni risultati, se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul fronte IVA, bensì su quelli più strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo sull’IRAP (Anche qui con discriminanti qualitative, legate anche all’innovazione) sia soprattutto sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito più bassi, restituendo in permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa il prelievo improprio costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante insulto al concetto di “equità”.

Non so se il risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si cercasse di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.

Credo che si debba  cogliere positivamente l’occasione di una crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla saturazione di  alcuni settori merceologici nei paesi avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie prime a fronte della crescente domanda mondiale) per mettere in discussione (sfidando le lobbies di settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici sociali e ambientali di ogni prodotto) i contenuti della realtà economica italiana ed europea; all’opposto di chi vuole modificare l’art. 41 della Costituzione per consentire tutto ciò che non è vietato: è più che mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove produrre (e trasportare) merci.

Altrimenti parlare di ambiente, ecologia e “green economy” continuerà a rimanere un orpello decorativo per i programmi dei governi e dei grandi partiti, ed una mera nicchia di rendita propagandistica per i piccoli partiti verdi e per i movimenti di opposizione radicale.



PARTE QUARTA: PROPOSTE DI LEGISLAZIONE  A SOSTEGNO DELLA SOSTENIBILITA’ URBANA
versione 2012 

INDICE DELLA PARTE QUARTA
19     - PREMESSA
20     – CASA
21     - MOBILITA’
22     - SUOLO URBANO
23     – ENERGIA

19     - PREMESSA

Giunto provvisoriamente al termine di questa carrellata di letture critiche, vorrei permettermi alcune conclusioni, anche propositive.

Non mi sento assolutamente in grado ne’ di trarre conclusioni, né di fare proposte al livello globale e macroeconomico del ‘come uscire dalla crisi’ e del ‘come sconfiggere il neo-liberismo’ (o “fuori-uscire dal capitalismo”, come proponeva un tempo il gruppo del Manifesto: per ora nessuno ci lascia uscir fuori, e tanto meno gratis e in modo indolore, mentre i ‘comunisti’ cinesi e molti altri governi progressisti del terzo mondo continuano ad affollarsi per entrarci); su questo fronte, per il quale mi sfuggono le competenze tecniche e che mi sembra così immenso che ‘il cor [mi] si spaura’, mi accontento, come molti altri, di rivolgere benevoli auspici per una soluzione progressista praticabile, che – con TobinTax, EuroBond, controllo sui paradisi fiscali ed altri rimedi agli eccessi del “finanz-capitalismo – ci consenta a breve-medio termine di tenere in piedi Euro ed Europa, per cercare nel frattempo di avviare dal basso una effettiva umanizzazione della stessa Europa (le cui istituzioni, ad esempio dovrebbero far generalizzare, e non combattere, istituti di civiltà come l’art. 18 del nostro Statuto dei lavoratori, che vieta i licenziamenti discriminatori), e poi del mondo; nella consapevolezza che sono invece possibili esiti opposti, catastrofici oppure molto conflittuali, e che nella attuale gestione della crisi è ben lungi dall’essere assorbita la ‘grande bolla speculativa’, né è esclusa la formazione di ulteriori ‘bolle’.

 

E nemmeno intendo propormi di trarre conclusioni o di formulare proposte al livello teorico-operativo della pianificazione territoriale e della progettazione urbana, su cui auspicherei però nuovamente un maggior confronto dialettico tra le diverse scuole, e particolarmente tra gli autori esaminati nella precedente Parte Terza, perché secondo me tutte le posizioni trattate costituiscono significative interpretazioni della attuale situazione del territorio italiano (ed europeo) ed offrono ognuna elementi positivi, ma parziali, dei problemi individuati, e potrebbero giovarsi di una maggiore integrazione, facendo francamente i conti con gli elementi di conflitto concettuale che tale confronto comporta.

 

Mi sento invece di formulare alcune proposte ad un livello intermedio, che è quello delle politiche nazionali (e forse però anche europee, ed anche regionali) che – non solo a mio avviso - sono necessarie a sostegno delle politiche locali di sostenibilità urbana, nonché per dare contenuti articolati e concreti al più complessivo sforzo di umanizzazione dell’economia capitalista; su questo terreno occorre costruire un programma sia di pratiche locali che di rivendicazioni specifiche di riforme legislative settoriali, come, ciascuno per proprio conto, propongono ad esempio:

-          l’INU, con le proposte dei congressi di Ancona (2008) e Livorno (2011), riguardo alla normativa sul governo del territorio, ma anche sul regime ed il consumo dei suoli, sull’energia,  sulla fiscalità locale, sulla metropolizzazione ed il trasporto pubblico di massa

-          il nuovo movimento “Salviamo il paesaggio” - a cui aderiscono tra gli altri SlowFood e tutte le principali associazioni ambientaliste nazionali (FAI, WWF, LegaAmbiente, Italia Nostra) -  riguardo al risparmio del consumo di suolo

-          i movimenti localisti, come interpretati da Guido Viale (vedi paragrafo 8), ancora in merito al consumo di suolo, a trasporti ed energia, nonché al “patto di stabilità” ed alla finanza locale,

e come per alcuni aspetti suggerisce anche Giancarlo Consonni (vedi paragrafo 17).

 La costruzione di un programma legislativo dovrebbe essere anche compito primario dei partiti, ed in questa fase di ‘tregua armata’ costituita dal governo ‘tecnico’, imposto dalla crisi del Berlusconismo e dalla tempesta finanziaria internazionale, maggiore dovrebbe essere lo sforzo  dei diversi soggetti interessati ad una alternativa progressista (nel senso dell’equità sociale e della compatibilità ambientale) per ricomporre uno schieramento credibile, anche sul terreno programmatico.

 (Mi sembra invece che ci siano vaste assenze, e poco dialogo: il PD appare pago dello sforzo di avanzamento nei contenuti sviluppato dopo il congresso, e non produce ancora formulazioni adeguate all’avanzare della crisi; i Verdi – quasi scomparsi ma sempre rissosi e poco consistenti - propongono ragionevoli ricette di green economy, senza farsi carico di conflittualità e compatibilità complessive; l’Italia dei Valori gioca alla rincorsa demagogica sulle smagliature del governo Monti; Sinistra Ecologia e Libertà predica buone indicazioni generali contro il minoritarismo, ma non mi pare attenta a elaborazioni programmatiche conseguenti; la Federazione della Sinistra ed il Movimento 5 Stelle sembrano compiaciuti di godere di una rendita di posizione estremista, dove i contenuti assumono un ruolo in prevalenza propagandistico.)

E’ in questo quadro che mi permetto di avanzare una serie di proposte pratiche, in particolare sulle politiche fiscali-tariffarie e sugli incentivi finanziari pubblici, relativi al governo del territorio, considerando che in Italia ed Europa i conti pubblici coprono comunque una quota prossima alla metà del PIL, e che a parità di pressione fiscale sarebbe opportuno qualificare la spesa pubblica in senso ecologico ed egualitario, anziché al contrario.

Si tratta di proposte non contrastanti con l’insieme delle soluzioni avanzate dall’INU e da Salviamo il Paesaggio (ed anche da Viale e da Consonni), e con le istanze  nella prospettiva di un ‘riformismo radicale’ che a mio avviso è possibile ed auspicabile in Europa, se si riesce ad andare verso una soluzione politica e progressista della crisi dell’Euro.

Quanto un simile ‘riformismo radicale’ risulti politicamente possibile e come si intrecci con il ‘ritorno alla crescita’ oppure con l’inizio di una ‘decrescita virtuosa’ (vedi Parte Seconda), francamente non lo so; però mi sembra doveroso che il sapere tecnico fornisca proposte per una crescita culturale alternativa, sia a livello locale e ‘molecolare’ sia ad un livello più complessivo, per offrire ai movimenti locali un orizzonte rivendicativo e per immaginare una possibile politica statuale di segno positivo, nel tentativo di ricomporre fronti sociali più ampi della singola ‘tribù’ (vedi paragrafo 4).

E per affiancare (o contrapporre?) alle ‘liberalizzazioni’ in atto adeguate ipotesi (non stataliste) di ‘socializzazioni’ e “ambientalizzazioni’; la triade rigore-equità-sviluppo va a mio avviso sottoposta a critica da un punto di vista ecologico e laborista:

-          il rigore, almeno in Italia, resterà necessario per un bel po’ di anni, anche in presenza di auspicabili politiche keinesiane dell’insieme europeo, per scontare il debito pregresso; potrebbe però essere un utile allenamento verso una volontaria austerità, o sobrietà, che prima o poi i consumatori occidentali dovranno affrontare, se sintende fare i conti con ,la scarsità dele risorse e con l’equità a scal mondiale (vedi Sachs, al paragrafo 7)

-           l’equità va bene, ma deve essere intesa – sai su scala nazionale che globale – innanzitutto come riduzione delle diseguaglianze tra sfruttati e sfruttati, tra veramente ricchi (il famoso 1%, ed anche il contiguo 9% con cui  in Italia detengono il 50% della ricchezza) e veramente poveri, e non per spalmare al ribasso la povertà tra i poveri (come in parte ha comportato l’ultima riforma delle pensioni e connessa manovra fiscale)

-          sullo sviluppo è il momento di cominciare a chiedersi ‘quale sviluppo’, e di utilizzare la crisi come criterio di verifica, per non affannarsi a rilanciare un modello sviluppista che non funziona più.

Quanto sopra richiede uno sforzo di elaborazione politica e programmatica di vasto respiro, trasversale a tutti i settori (a partire da economia, finanza, lavoro), e capace di tradursi in crescita collettiva di soggetti sociali, attraverso attente considerazioni antropologiche e sociologiche, e non solo mediatiche, sui linguaggi idonei a tale maturazione.

Nel mio piccolo non ho evidentemente tali ambizioni, ma solo quella di esplicitare un mio specifico contributo di idee su singoli temi, di cui ho qualche conoscenza ed esperienza; nell’Appendice II, tuttavia, mi spingo ad ipotizzare anche una proposta di taglio più generale, ma di respiro più contingente, sotto forma di “appello verso un IVA ecologica”.
 

20     – CASA

Anche se tale rivendicazione è sollevata da minoranze, essendo l’80% degli italiani allocato in case di proprietà, il dibattito recente sull’Housing Sociale (vedi ad es. Urbanistica Dossier n° 119/2010 e Urbanistica Informazioni n°  238/2011) ha riabilitato l’obiettivo del “diritto alla casa” come condizione minima per la dignità del vivere, esteso universalmente (anche agli immigrati ed agli ex-nomadi), come può consentirlo una società che comunque è complessivamente ricca (ed in particolare ricca di volumi edificati).

La necessaria attenzione ai nuovi bisogni (giovani coppie precarie, single, fuori sede, nuove povertà) non deve far trascurare infatti il fabbisogno primario di residenze a canone sociale.

La rigidità del dualismo proprietà/affitto, alquanto incoerente con la crescente precarietà dei rapporti di lavoro e degli stessi legami familiari, induce inoltre problemi di tipo nuovo, all’interno della crisi economica in atto: mutuatari morosi, divorziati senza casa, difficoltà di trasferimento e reperimento di case temporanee per inseguire le offerte lavorative.

Per introdurre equità e flessibilità nell’abitare,  ed anche per reperire una  parte delle risorse necessarie alla estensione del diritto alla casa, ritengo sia necessario includere in un unica valutazione, complessiva ed organica, la politica economica e fiscale per la residenza, tuttora sbilanciata in favore delle famiglie residenti in alloggi di proprietà che godono per tali abitazioni di una fascia di esenzione dall’ICI (ora IMU) e dall’IRPEF, prevedendo:

-      per tutti i soggetti bisognosi, l’offerta di case sociali a canoni adeguati, affiancata   - in mancanza ed in attesa di una casa sociale – da un congruo e permanente contributo per gli affitti;

-      per tutti gli inquilini, la detraibilità dalle imposte sul reddito delle spese per l’affitto della prima casa, fino ad una soglia massima ‘ragionevolmente elevata’, prossima la “canone concordato” comparabile con la fascia di esenzione dall’IMU per i proprietari

-      per i residenti in alloggi di proprietà, la completa de-tassazione delle transazioni relative alla prima casa

-      per gli acquirenti di abitazioni gravati da mutui divenuti temporaneamente o definitivamente insostenibili, la garanzia di permanenza nell’abitazione, con formule differenziate, dal congelamento del mutuo alla conversione definitiva in locazione

-      per i redditi da locazione di abitazioni, la cosiddetta ‘cedolare’ (20%), ma limitata al “canone concordato”, con tassazione normale degli affitti superiori ad esso

-      per gli immobili sfitti e inutilizzati, la conferma e l’inasprimento di tassazioni più elevate, crescenti progressivamente con il protrarsi del mancato utilizzo, affiancata da incentivi alla vendita di tali alloggi a prezzi calmierati alle Agenzie Pubbliche (vedi es. ATER Veneto, su “Edilizia e territorio” n° 6/2011)

-      sperimentazione di interventi degli ex-IACP per favorire traslochi temporanei e scambi di alloggi in funzione dei trasferimenti per lavoro.


21     - MOBILITA’

Pare difficile agevolare il passaggio dal trasporto automobilistico privato al trasporto pubblico e dalla gomma al ferro agendo solo sull’offerta di un miglior trasporto pubblico e ferroviario (opportunamente integrato al primo e all’ultimo miglio, come teorizzato ad esempio da Fabio Casiroli – vedi paragrafo 12 -) ed ancor più difficile trovare le risorse per tale offerta, se non si procede (su scala europea?) a ‘re-internalizzare’ sulle tasse e tariffe per il trasporto privato una parte crescente dei costi che l’attuale sistema dei trasporti scarica sulla collettività, in termini di salute - qualità dell’aria, stress, incidenti (e conseguenti  costi sanitari), inquinamento dei mari e delle altre acque navigabili –, nonché i costi per gli indispensabili contributi pubblici alla ricerca&sviluppo sul fronte dei mezzi e delle modalità di trasporto a minor inquinamento.

Un graduale aumento dei prezzi del trasporto, così motivato e così finalizzato (sull’esempio di Alp Transit), potrebbe raffreddare gli eccessi della globalizzazione, favorendo in termini non protezionistici le produzioni locali, soprattutto agricole, (con un parallelismo concettuale alla proposta di una tassazione sulle transazioni finanziarie, che dovrebbe raffreddare i movimenti speculativi).

Oltre alle grandi variabili di livello nazionale ed internazionale (accise sui carburanti, tasse di possesso dei veicoli, tariffe basilari per autostrade e ferrovie) occorre individuare un livello regionale di autorità tariffaria che possa combinare ed adeguare la concreta articolazione delle singole tariffe allo sviluppo dell’offerta di modalità alternative ed integrate di trasporto: ad esempio rendendo gratuiti i parcheggi di interscambio gomma/ferro e penalizzando le tariffe autostradali per le tratte parallele alle linee ferroviarie efficienti e servite dai suddetti parcheggi (e dagli interporti per le merci), ecc. ecc.

Analoga razionalità complessiva andrebbe introdotta nella comparazione dei costi-benefici per gli investimenti infrastrutturali relativi ai trasporti, su gomma e su ferro, e per le politiche di incentivo al rinnovo del parco mezzi.
 

22     - SUOLO URBANO

A mio avviso occorre intrecciare la problematica del recupero della rendita urbana e del controllo sul consumo di suolo con una miglior disciplina dello strumento della perequazione e con un ripensamento complessivo della fiscalità sull’attività immobiliare ed edilizia.

La rendita va tassata principalmente nel momento in cui si realizza la trasformazione urbana e solo in misura complementare come rendita di attesa, se e quando i Piani divengono effettivamente “conformativi” e  matura un interesse pubblico ad accelerarne l’attuazione e ad evitare ritardi strumentali finalizzati ad una eccessiva valorizzazione degli immobili.

Un apparato comunale efficiente dovrebbe saper riconoscere la differenza di valore tra un terreno  ex-agricolo ed un terreno edificabile, tra una fabbrica dismessa ed un nuovo centro commerciale: il prelievo sulla rendita, finalizzato a trasferire su di essa tendenzialmente tutti i costi per i servizi urbani (inclusa l’edilizia residenziale a canone sociale ed a canone concordato), desumibili dai Piani comunali dei Servizi ed in archi temporali ragionevoli, dovrebbe essere fortemente differenziato tra il consumo di suoli liberi ed extraurbani ed il riutilizzo di suoli già edificati (da detassare ed agevolare, tranne in presenza di forti incrementi di valore per cambio d’uso o elevata densificazione).

Si delinea cioè un prelievo unico (inglobando le attuali tassazioni statali sulle traslazioni e sulle plus-valenze), più simile (ma con aliquote assai più elevate) alla vecchia “INVIM” (imposta sull’incremento di valore degli immobili) che all’ICI, concettualmente inclusivo degli oneri di urbanizzazione (fermo restando il principio che le opere necessarie in loco ricadano comunque sugli operatori).

Il problema della ricerca del punto di equilibrio tra interessi pubblici ed interessi privati (ovvero la massimizzazione del prelievo monetario o comunque dei benefici a vantaggio pubblico senza arrivare ad annullare la convenienza degli investimenti e cioè ad annullare gli investimenti stessi) può in parte essere affidata allo stesso mercato, fissando soglie ragionevoli di prelievo ed aprendo sopra di esse gare al rialzo tra i diversi operatori, sviluppando i meccanismi concorrenziali, come quelli proposti dal compianto Fausto Curti Curti 2008 e quelli che ha tentato di sperimentare a Monza ed altrove Massimo Giuliani.

Secondo me però sono necessari tre corollari, al fine di rendere effettiva la limitazione del consumo di suoli extraurbani, superando alcune importanti rigidità del mercato immobiliare (che risultano del tutto incoerenti in un mondo sempre più flessibile e “liquido”):

1 - la corrispondenza quantitativa tra volumi “in decollo” ed “in atterraggio” (per evitare nuove disparità), nonché l’obbligatorietà dell’”atterraggio” dei diritti di edificabilità in tutti i processi di perequazione, e  cioè l’obbligo per i proprietari di aree con effettiva edificabilità locale di acquistare od ospitare i diritti edificatori che “decollano” altrove (aree ad uso pubblico/sociale o altrimenti vincolate), come sostiene tra gli altri  Fortunato Pagano;

2 - una più facile espropriabilità (pur a prezzi di mercato, ma tenendo conto dei deprezzamenti dovuti ai periodi di inutilizzo prolungato) di tutti i beni immobili da coinvolgere nei piani di rinnovo urbano, da intrecciare con una tassazione specifica sugli immobili inutilizzati, con incrementi progressivi nel tempo: dagli spazi con “decollo” di diritti edificatori alle aree produttive dismesse, dai lotti in possesso di “minoranze dissenzienti” (i cui interessi possono essere tutelati anche privandole del possesso immobiliare) agli immobili inutilizzati per vertenze ereditarie e fallimentari – vedi proposte di Viale al paragrafo 8 – vedi qualche positivo embrione, ancora poco attuato, nella Legge Regionale lombarda sulle aree industriali dismesse – art. 7 della L.R. n° 1/2007);

3 - il conferimento alle Province ( o chi per esse), per scopi di perequazione territoriale, da articolare nei Piani Territoriali di area vasta, e non ai singoli Comuni interessati alla trasformazione, di parte significativa dei prelievi sulla rendita relativa al consumo dei suoli liberi.

E’ inoltre necessario imporre ai Piani comunali una valutazione analitica e periodicamente aggiornata sulla dimensione  e sulla qualità dello stock di abitazioni inutilizzate (sfitto, invenduto, seconde case, ecc.), - vedi iniziativa di censimento ad hoc avanzata da  “Salviamo il Paesaggio” (vedi www.salviamoilpaesaggio.it) da connettere anche al trattamento fiscale di cui più sopra.
 

23     – ENERGIA

 La complessa partita degli incentivi per la produzione  di energia e per il risparmio energetico relativo ai fabbricati va secondo me ripercorsa e resa organica, finalizzandola prioritariamente al tema della riqualificazione delle periferie urbane, con i seguenti criteri, rispettosi verso ambiente e paesaggio:

-      vietare (e non solo ‘non incentivare’) pratiche assurde come la copertura delle aree agricole con impianti fotovoltaici, quando ci sono milioni di ettari disponibili sui tetti dei fabbricati esistenti e su quelli da sostituire (la redditività dei suoli agricoli va nel contempo comunque sostenuta con ben altri strumenti, per le sue specifiche finalità ambientali ed anche alimentari);

-      subordinare gli incentivi per gli impianti eolici al rispetto delle direttive paesaggistiche;

-      rendere permanenti gli incentivi per la riqualificazione edilizia (attuale 36%) e per il risparmio energetico (55%), con una programmazione pluriennale che articoli meglio gli scaglioni di agevolazione (anche diminuendone alcuni nel tempo, ma con congrui preavvisi), in modo tale da privilegiare gli interventi più incisivi, anche se costosi, e soprattutto cercando di creare reciproche convenienze tra imprese e proprietà diffuse, anche condominiali, per aggredire  il grosso dell’edilizia dequalificata ed energivora realizzata nel secondo ‘900 (senza di che diviene improbabile raggiungere gli obiettivi europei di riduzione delle emissioni di CO2: vedi in merito anche le sollecitazioni del Consiglio Nazionale degli Architetti P.P.C. –“Urbanistica Informazioni” n° 232/2010);

-      i possibili incentivi con gli indici edilizi vanno gestiti esclusivamente DENTRO i piani urbanistici, in funzione di specifici progetti di rinnovo urbano, e non a pioggia CONTRO i Piani (come nel cosiddetto “Piano-Casa”, il cui sostanziale fallimento in funzione anti-ciclica, non ne esclude la potenziale pericolosità, in una fase congiunturale diversa).  

 

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