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venerdì 22 febbraio 2013

LE SOCIOLOGIE DELLA SOCIETA’ POST-MODERNA: MAFFESOLI, BAUMAN, CASTELLS

Rientrano a mio avviso a pieno titolo nel confronto sulla sostenibilità urbana anche gli approcci sociologici che – a monte della pianificazione – cercano di interpretare le tendenze contraddittorie della società contemporanea, e pertanto offrono chiavi di lettura indispensabili per orientare l’azione in materia di politica economica e territoriale, dopo il tramonto delle grandi ideologie (non solo il marxismo, ma  anche il liberismo, alla luce della palese crisi del modello Reagan/Thatcher dopo oltre venti anni dalla caduta del Muro di Berlino); mentre gran parte delle offerte sia politiche che disciplinari attualmente sul tavolo né sembrano prive.

Il confronto è stimolante, ma più difficile, con i portatori di un pensiero sostanzialmente pessimistico, ma non certo immotivato, come  Michel Maffesoli  Maffesoli 2004 e 2007 o come Zygmunt Bauman  Bauman 2006 e 2011 ; più consono alle altre posizioni trattate in questo testo è invece il confronto con gli ampi affreschi descrittivi/interpretativi (qui non riassumibili) e con le proposte ri-costruttive, specificamente orientate anche allo spazio urbano, di Manuel Castells Castells 2002 e 2004.

-          Maffesoli, sottraendosi provocatoriamente agli stilemi statistici della sociologia accademica, ma recuperando a suo modo i maestri fondatori, da Max Weber a Durkheim, da Simmel a Pareto, sviluppa invece un grande affresco storico ed antropologico sull’andamento pendolare tra società organizzata e socialità spontanea, tra monismo (e monoteismo) e pluralismo (e politeismo) ed in sostanza coglie nella crisi della modernità un tramonto irrecuperabile del razionalismo (e dello stesso individualismo), cui contrappone la ricerca di un pensiero audace, meticcio e interattivo, utile a leggere le tendenze effettive alla aggregazione sociale e all’orientamento collettivo dei comportamenti per “tribu’”, religiose/estetiche/dionisiache (anche nelle forme contemporanee ed effimere delle “reti” cibernetiche metropolitane).

In tale ambito legge “i gruppi per i quali la natura è considerata come una partner” come “forze alternative, che segnano il declino di un certo tipo di società chiamandola, allo stesso tempo, a una irresistibile rinascita”: ma appare scettico sull’esito di tale richiamo, perché “i membri delle classi popolari sono da sempre degli epicurei” e la folla può essere “nello stesso tempo socialista e nazionalista”.

Pur non condividendo appieno il pessimismo irrazionalista di Maffesoli (perché sono troppo abituato al razionalismo), mi sembra però che i temi da lui sollevati siano fondamentali e che sia piuttosto grave la scarsità di elaborazioni alternative altrettanto approfondite sui rapporti individuo/gruppo/società e quindi sull’argomento nodale della formazione del consenso popolare alle proposte di riformismo radical-ecologico ovvero della possibile o impossibile egemonia del pensiero ecologico; mi pare utile confrontare le considerazioni di Maffesoli con l’impasse in cui mi sembrano incagliarsi a questo proposito le proposte ecologiste più avvertite, illustrate nei successivi paragrafi.

Il testo di Maffesoli è orientato soprattutto a contrapporre i legami “tribali” a quelli universali, più astratti ed idealistici (classe, nazione, umanità intera); ma la sua contemplazione del comportamento collettivo “tribale” critica anche radicalmente le premesse individualistiche sia del “borghesismo”, come ideologia, sia delle teorie economiche neo-liberiste; tale filone sarebbe interessante da sviluppare in relazione al recente risorgere di movimenti culturali e politici anti-capitalistici. 

 

-          Bauman, descrivendo molti aspetti della società contemporanea con ottica originale e disincantata, sostiene in sintesi che nella “società liquida” chi sta ai vertici domina volatilizzandosi (come capitali iper-dinamici e come persone e ceti dalla vita ormai ubiquamente internazionale), mentre cresce l’emarginazione delle masse precarizzate ed escluse dal potere e sfruttate in quanto “consumatrici” ancor più che in quanto “produttrici”.

Le resistenze locali ai problemi planetarie offrono poche speranza di riscatto ed anche i recenti movimenti di opposizione alle conseguente della crisi finanziaria non riescono a ‘mordere’ perché non riescono a maturare “rivendicazioni chiare, specifiche e realistiche”.

Se alcuni anni addietro Bauman riteneva di vedere qualcosa di chiaro nel buio, ma dubitava profondamente nella possibilità di comunicazione tra intellettuali occidentali e masse sfruttate del terzo mondo, immaginando come unico esito positivo del proprio lavoro (sulla scia di Adorno) il “lanciare messaggi in una bottiglia”, a possibile uso dei posteri, e altrove, in una recente intervista pare sprofondare in un pessimismo ancora più integrale.

Pur postulando la necessità di “promuovere un’azione collettiva per rifondare l’agorà che stata privatizzata ---, scegliere tra affidarsi al fato o avere un orizzonte. Tra la deriva e il viaggio” ed anche “Capire come fare a distinguere la deriva dal viaggio. Attraverso quali mappe orientare la nostra navigazione”, alla domanda “quali sono i problemi sociali oggi” risponde “Se mi avessi fatto questa domanda trenta anni fa, avrei saputo di cosa parlare --- Oggi devo confessarti che non so di cosa parlare. Tutto quello che posso fare è brancolare insieme nel buio. --- non soffriamo di una mancanza di conoscenza, ma di un eccesso di saperi – il problema --- è --- come faccio a trovare qualcosa di sensato in questa spazzatura”.  

Nell’analisi di Bauman non mi convince, oltre l’eccesso di pessimismo (ma la mia opposizione è soprattutto psicologica), l’accento prioritario posto sullo sfruttamento delle masse in quanto consumatrici, perché trascura l’evidente fatto che le merci e i servizi che tali masse ‘alienate’ consumano, c’è pure qualcuno che da qualche parte le produce, e tuttora è costretto a produrle tramite forme di sfruttamento, antiche e nuove, che meritano di essere indagate.

La mia impressione, pur non suffragata da approfondimenti scientifici originali, è che le tensioni sociali in atto nel mondo occidentale, con l’attacco al lavoro ed al welfare, tendano a generalizzare nel mondo globalizzato l’affiancamento tra ampie élites di super-consumatori e ancor più ampie masse precarie di esclusi, sostituendo, come sbocco commerciale, le nuove fasce superiori dei paesi emergenti al “ceto medio” sprofondante dell’Occidente; ma in questo processo la contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati, innanzitutto nella fase della produzione, si riproduce, con forme nuove, su scala planetaria e finirà per produrre (con o senza il messaggio di Bauman nella bottiglia) nuove forme di conflitto di classe, sia pure con esiti non marxianamente prevedibili. 

 

-          Castells, nel contesto della evoluzione della “società in rete”, che trasforma - pur conservando frammenti del passato -  lavoro, famiglia, comunicazione, tempo e spazio, e determina un urbanesimo frammentario (con i nodi emergenti inclusi nelle reti globali ed enclaves – remote o vicine -  caratterizzate da esclusione ed emarginazione – vedi in proposito le ricerche di Saskia Sassen Sassen 2010), ed anche una parallela frammentazione della vita umana (interpretazione non dissimile da quella antropologica di Marc Augé - Augé 2005), non ritiene impossibile la formazione – da parte di autorità locali volonterose, sospinte da movimenti dal basso, pur spesso effimeri, e sorrette da quel che resta dei poteri nazionali -  di “progetti strategici” di riqualificazione degli spazi urbani e sociali:

o   fondati sul funzionamento democratico delle istituzioni locali (raramente organizzate alla corretta scala metropolitana)

o   articolati sui livelli della pianificazione, del disegno urbano e dell’architettura

o   finalizzati a creare ponti tra lo spazio globale dei flussi e lo spazio fisico dei luoghi ed a coinvolgere i cittadini nel dare un senso agli spazi pubblici, reali e virtuali.

Il limite della proposta, oltre alla verificabilità/falsificabilità del grande schema interpretativo di Castells sulla società “informazionale”, mi sembra stia nella questione della democrazia, che risulta  al tempo stesso condizione necessaria ed esito sperato dei progetti di trasformazione, mentre mi sembra alquanto sottovalutato l’aspetto socio-economico, malgrado le ampie e raffinate analisi (ed i documentati quadri statistici) di Castells e dei suoi interlocutori proprio anche sulla questione – a mio avviso cruciale – della trasformazione dei rapporti di lavoro (laddove Castells ha individuato come esito non lineare e non irreversibile della “società informazionale” la crescente polarizzazione sociale tra nuovi lavori elitari creativi e lavori di base precari e de-qualificati).
 
PER UN INQUADRAMENTO PIU' AMPIO, VEDI ANCHE, IN QUESTO BLOG, "PAGINE - PARTE 1^"
E "BIBLIOGRAFIA"

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