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domenica 8 dicembre 2013

GRAEBER E LA VIOLENZA DI PIAZZA


Di David Graeber, antropologo americano del dissenso e teorico movimento “Occupy Wall Street”,  ho dedicato impegno a leggere e recensire “Critica della democrazia occidentale” e “Debito – i primi 5.000 anni”, che ho ritenuto molto stimolanti (a fronte della dominante rimozione dei conflitti sociali oppure di una stanca riproposizione del marxismo classico ed economicista, ed anche per curiosità verso “Occupy Wall Street”), pur non condividendo diverse valutazioni e conclusioni.
Tantomeno ho apprezzato la prefazione di Stefano Boni a “Critica della democrazia occidentale“, cui ho attribuito una interpretazione forzata di Graeber come maestro dello scontro “antagonista” al centro della scena mediatica,  lontana da quelle che mi erano sembrate le proposte, velleitarie, ma “decentrate”, dello stesso Graeber nelle parti in qualche modo propositive dei 2 testi: una democrazia diretta in comunità locali “zapatiste” nel primo ed una rivoluzione diffusa dei debitori “a partire dall’Irak” nel secondo.

Il brano da un nuovo saggio di Graeber, pubblicato su “l’Unità” del 27 novembre scorso, mi fa invece ricredere in favore di Stefano Boni (come giusto interprete) e contro Boni (per la mia distanza dai contenuti proposti), perché Graeber si diletta ad approfondire la dialettica dello scontro di piazza tra il monopolio statale della violenza (polizia) e la fantasia creatrice della ribellione anarchica, il cui punto di forza è essenzialmente la de-mistificazione dell’ideologia repressiva del potere (il re è nudo).
Anche se la narrazione di Graeber è brillante, non mi pare che aggiunga (almeno in quel brano, che però non mi attira a leggere il testo intero) un gran ché a quello che già abbiamo imparato su potere e contro-potere, monumenti e pupazzi, uomini e caporali,  e sui valori teatrali ed evocativi delle manifestazioni e degli scontri di piazza (da Marx a Manzoni, da Brecht a Canetti, da Totò a Dario Fo, da Foucault a Debord, ecc. ecc., fino ad Adriano Sofri ed al Movimento Studentesco di Capanna e Toscano).
In questi giorni stiamo vedendo in diretta  nuovi esempi di lotta fisica per il potere tramite accerchiamento e invasione dei palazzi di regime, in Ucraina ed in Thailandia (emblematica la foto di elmi e scudi abbandonati dai poliziotti), e pochi anni orsono così è crollato Milosevic a Belgrado (diversi i movimenti di piazza delle “primavere arabe” e della caduta del blocco sovietico culminata nel 1989): in tali contesti le riflessioni di Greaber possono venire utili, e l’aspetto militare del potere e del contro-potere è una imprescindibile chiave di lettura della storia, e purtroppo può tornare in auge anche in un nostro futuro, se la crisi socio-economica continua a procedere indisturbata.
Tuttavia non capisco quanto sia produttivo, a fronte della complessità delle società occidentali (complessità economica e sociale, politica ed antropologica), focalizzare l’attenzione sullo scontro di piazza: si pensa di acquisire l’egemonia sulle masse attraverso la teatralità (e la ricaduta mediatica) degli scontri delle avanguardie? Oppure ancora più banalmente di conquistare il potere con la canna del fucile (come se il potere stesse lì buono buono – od anche cattivo - ad abitare nei palazzi, di inverno o meno, e non fosse invece maledettamente articolato e diffuso, anche “in seno al popolo”)?
Se Occupy Wall Street intende rappresentare il 99% della popolazione, ma riesce a raccogliere nelle aiuole delle metropoli meno dello 0,1%, non è il caso di pensare ad altre forme, più decentrate ed efficaci, di accumulazione di “contro-potere”  (disdegnando o meno i vecchi corpi intermedi, tipo sindacati e partiti), valorizzando la presenza potenzialmente  capillare delle avanguardie nella rete informativa, tra i cittadini, tra i consumatori, tra i produttori? 

Una credibile opposizione, radicale e di massa, e tranquillamente non-violenta, potrebbe fare molta più paura a Wall Street, a mio avviso,  orientando comportamenti alternativi nell’uso della ”rete”, negli acquisti, nei depositi bancari, nei contratti per luce/gas/telefonia, in nuove forme di sciopero in difesa – ovunque possibile –della dignità dei lavoratori.
Una anarchia (ed una antropologia…) che mirano ad “abbattere lo stato” attraverso la “propaganda armata” delle avanguardie, piuttosto che a diffondere nuove forme di lotta e di consapevolezza alla base della società, assumono di fatto toni tardo-leninisti (vicini anche al filone Potere Operaio/Brigate Rosse).
Mi sembra più utile rileggere Gramsci, meglio se con l’ausilio di Luciano Gallino e di Manuel Castells, e di altri studiosi del capitalismo post-moderno e della “società in rete”; e anche di antropologia, a partire da Zygmunt  Bauman.

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