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lunedì 6 gennaio 2014

ESPLORAZIONE E MONITORAGGIO DI QUARTIERI SOSTENIBILI, IN EUROPA, A CURA DI CECCHINI E CASTELLI



Presentato su “Urbanistica Informazioni” n° 248/2013 da una breve recensione di Paolo Avarello, il volume “Scenari, risorse, metodi e realizzazioni per CITTA’ SOSTENIBILI”, a cura di Domenico Cecchini  e Giordana Castelli (Gangemi editore 2013, pagg. 208, con DVD, € 25,00, non disponibile in e-book), riprende aggiorna ed allarga la ricerca universitaria già pubblicata nel 2010 sul n° 141 di “Urbanistica” su alcune realizzazioni di quartieri “ecologici” in Europa, integrandola con alcuni saggi introduttivi e conclusivi, interessanti ma non molto “sistemici”, di:
-          Lorenzo Bellicini (CRESME) sui “cicli edilizi”, produttivi e finanziari, a partire dai dati dello stesso CRESME, con specifiche riflessioni macro-economiche sul “sesto ciclo” 1996-2012 spentosi nell’attuale e più generale crisi e sui nessi tra demografia, migrazioni, domanda, risparmio, debito, produzione e bolle speculative (il tema mi rammenta uno dei miti culturali nei miei primi anni di università, ad architettura di Milano dal 1967, e cioè la “tesi-di-laurea-di-Ciro-Noja”);
-          Roberto Camagni (Politecnico Milano) sulle potenziali modalità per prelevare dalla rendita urbana, nelle fasi di trasformazione, le risorse necessarie alla qualità dei servizi (come già ho osservato altrove, tale saggio non si estende ad un esame della fiscalità ordinaria sulle transazioni immobiliari);
-          Francesco Rubeo (Sapienza Roma) sul ruolo dei soggetti pubblici e privati e sull e nuove regole necessarie per svilupparne la indispensabile collaborazione, nell’attuale fase di carenza di risorse pubbliche;
-          Domenico Cecchini stesso (Sapienza Roma) sulle tendenze evolutive delle città, mondiali ed europee, con individuazione per queste – dopo le fasi dell’espansione post-bellica e della “trasformazione” post-industriale – di un “ciclo della qualità e della sostenibilità”, esplicitato nella Carta di Lipsia del 2007 e fondato sull’integrazione delle funzioni, sulla rigenerazione ecologica e sulla ricerca di qualità ed efficienza degli spazi pubblici e collettivi, cui l’Italia fatica a partecipare;
-          Francesco Prosperetti (ex dirigente ministeriale) sul ruolo inizialmente svolto dal Ministero dei Beni Culturali nella ricerca in esame, in funzione dell’importanza che la rigenerazione edilizia ed urbanistica, motivata a partire dalle questioni energetica ed ambientale, assume anche ai fini della riqualificazione del paesaggio urbano.

Al centro del testo stanno le analisi – a tavolino e con sopralluoghi - sulla genesi e gli sviluppi dei quartieri di Hammarby Sjostad (Stoccolma), Solar City (Linz), Greenwich Millennium Village (Londra) e Parque Goya e Valdespartera (Saragozza), già indagati nel suddetto saggio in “Urbanistica” n° 141, ma ora ripresi con maggior approfondimento sia delle criticità intrinseche ai rispettivi progetti, sia delle problematiche emerse nei primi anni di utilizzo e – in parte – per i successivi ampliamenti, sia ancora, ove disponibili, dei dati emersi dal monitoraggio scientifico del funzionamento degli insediamenti.
Ne risulta un quadro complesso e ricco di chiaro-scuri, più utile probabilmente per i lettori che non taluni resoconti sulle migliori pratiche di carattere volutamente ottimistico o quasi agiografico.
(Spiace che il raffronto non sia esteso ad altri casi molto noti in letteratura, come il GWL di Amsterdam, a forte densità e connessa pedonalizzazione, oppure i quartieri Vauban e Riesefeld di Friburgo, recentemente ri-esplorati da Fabiola fratini su Urbanistica Informazioni n° 248).
Gli elementi critici che a mio avviso emergono dall’insieme e che personalmente mi sembrano meritevoli di sottolineatura sono:
-          I necessari compromessi, già a livello progettuale, tra un’impostazione strettamente “bio-edilizia” (esposizione lungo l’asse elio-termico, massimizzazione delle prestazioni energetiche, pedonalità) e le altre polarità di una progettazione urbana integrata, che determinano morfologie complesse e meno ingenieristiche;
-          I livelli “relativi” degli obiettivi di risparmio energetico, più o meno avanzati al momento della ideazione dei quartieri, ma oggi in gran parte superati dagli sviluppi tecnologici, e la mancanza di predisposizione per successivi adeguamenti delle parti già costruite (mentre traspare una discreta reattività verso la correzione progettuale delle parti di successiva realizzazione);
-          Un certo scarto tra gli obiettivi di rendimento energetico prefissati ed i consumi effettivi, in gran parte addebitati ad un uso non corretto degli impianti e delle strutture, il che a mio avviso è indice o di un progettazione non adeguata alle effettive condizioni sociali e/o bio-climatiche, oppure di un discreto insuccesso dell’aspetto educativo e socializzante nella costruzione di queste porzioni di città.
Altro dato in comune alle 4 realizzazioni in esame è il vantaggio (non facilmente riproducibile) derivante dal basso costo di acquisizione dei suoli, di recupero in 3 casi e su aree libere (già destinate ad espansione produttive) per Solar City/Linz.

Riguardo ai singoli quartieri ritengo opportuno rilevare, nell’ambito delle ampie esposizioni  di Giordana Castelli e degli altri ricercatori, i seguenti aspetti specifici (sempre con la mia attenzione agli aspetti più problematici):
-          Hammarby sembra essere il caso di successo più completo ed equilibrato, anche se mi sembra dubbio il consolidamento degli insediamenti commerciali funzionali al quartiere;
-          Solar City, tecnicamente corretto e molto monitorato (considerando però come positivo uno scarto energetico vicino al 20%) pare soffrire della limitata attuazione rispetto ad un progetto più vasto e quindi della forte pendolarità verso al città, da cui provengono i nuovi abitanti, in prevalenze giovani coppie del “ceto medio”; presenta inoltre una densità edilizia contenuta, e quindi non è molto risparmioso di suolo;
-          Millennium Greenwich sta criticando da se il primo “lotto”, prevedendo nelle successive realizzazioni l’abbandono di una rigida pedonalità e diverse soluzioni morfologiche e tipologiche;
-          Parque Goya e Valdespartera, con base sociale assai più povera di Solar City (e con tipologia edilizia che mi appare per l’appunto assai da “case popolari”) evidenzia anche per questo alcuni insuccessi nella apertura degli spazi semi-pubblici (con insorgere di recinzioni) e nell’uso scorretto delle serre solari (con conseguente scostamento dai risultati bio-climatici attesi).

La parte finale del testo affronta,  con le dovute riserve, alcuni casi italiani, però più recenti, e quindi senza profondità diacronica:
-          Spina 3 e l’Environment Park di Torino sono correttamente presentati come parte della complessa e complessiva rigenerazione urbana post-industriale della metropoli torinese; il frammento attuativo più analizzato è però molto particolare, trattandosi di un parco tecnologico e non di una porzione più multifunzionale della città;
-          I quartieri Resia e Casanova di Bolzano (inseriti nella tradizione ormai consolidata della normativa alto-atesina “CasaClima”, che coinvolge virtuosamente tutta l’edilizia nella provincia) ed il quartiere Villa Fastigi di Pesaro (in attuazione del PRG studiato da Bernardo Secchi ed allievi) sono interventi di nuova costruzione su aree libere periferiche, eredi della migliore cultura dei PEEP, che si caratterizzano sia sotto il profilo energetico e bio-climatico, sia riguardo alla connessione e funzionalità degli spazi pubblici (anche rispetto al contesto esterno)  ed alla qualità progettuale;
-          Il quartiere Savonarola  di Padova rappresenta un caso esemplare di “Contratto di Quartiere”, imperniato sul recupero urbano di un vecchio insediamento di case popolari, con una progettazione integrata dagli aspetti fisici dei fabbricati e delle urbanizzazioni a quelli più strettamente sociali.
Mancano più ampie esplorazioni su realizzazioni e progetti in Italia: mi incuriosirebbe capire quale sia il risultato complessivo del quartiere Albere (ex-Michelin) progettato a Trento da Renzo Piano (dove pare che classe A sia indicativo anche di una selezione sociale verso l’alto, determinata dai prezzi elevati) oppure se il quartiere “Laguna Verde” di Settimo Torinese (master plan di Pier Paolo Maggiora) stia per decollare effettivamente oppure sia ancora al PartiamPartiam promozionale.

Nell’insieme il testo risulta ben documentato e stimolante.
Proprio per questo verrebbe voglia di chiedere di più, oltre all’estensione della campionatura: ad esempio una definizione di indicatori ed una schedatura in parallelo dei casi in esame (un modesto tentativo è stato condotto dallo scrivente nel 2010, con Anna Maria Vailati, per alcuni dati disponibili in letteratura – vedi Urbanistica Informazioni n°229 e nel mio blog PAGINE-APPENDICE).
Forse i tempi sono maturi perché il raffronto della casistica conduca anche a riflessioni di sintesi, non in termini di “nuovi standard” (e nemmeno di complicati e poco utili indici numerici riassuntivi), ma di una sistematizzazione delle connessioni dialettiche e “multi-verse” tra le molte variabili in campo (esempio: densità/consumo di suolo/pedonalità, mixitè/pendolarità/sicurezza, forma-urbana/bio-clima/rendimento energetico, ecc.).

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