Pagine

martedì 30 settembre 2014

CALIFFATO

In attesa del dibattito – finalmente – al Consiglio di Sicurezza dell’ONU sul nuovo “Stato Islamico” in Irak e Siria, mentre gli USA già guidano una coalizione di “volonterosi”, composta da bombardatori occidentali, occidentali ambigui (tra cui l’Italia) e stati ed entità mediorientali che dovrebbero metterci le truppe di terra, senza sottovalutarne per quanto mi riguarda la pericolosità, vorrei analizzarne – per quel che da lontano ci risulta dai media – le caratteristiche effettive che dovrebbero giustificare contro di esso un intervento armato, e che mi pare ricadano nel seguente elenco:
-        -  Ferocia, esibita con la esecuzione in video di ostaggi incolpevoli
-      - Aggressività, in atto come  secessione/sovversione delle realtà statuali di Irak e Siria e minacciata propagandisticamente al “resto del mondo”
-         - Totalitarismo ed intolleranza religiosa (e maschilista), con episodi di schiavismo e pulizia etnica.

Se il mix di questi aspetti è inquietante, occorre però riflettere anche sul grado di acquiescenza finora mostrato da gran parte del mondo civile nei confronti di altri soggetti che in un passato recente e nell’oggi manifestano simili tendenze sull’uno o sull’altro di tali versanti.
Ad esempio, per la ferocia possiamo rammentare il comportamento degli stessi USA  verso prigionieri od accusati mai regolarmente processati (da Abu Ghraib a Guantanamo, da Abu Omar alla stessa esecuzione di Bin Laden  e parte della famiglia); per l’aggressività e la sovversione gli oppositori libici del pur crudele dittatore Gheddafi oppure il putsch del generale Al Sisi contro il legittimo governo dei Fratelli Mussulmani in Egitto; per il totalitarismo religioso e maschilista l’Arabia saudita; per l’intolleranza religiosa la politica di oppressione della Cina in Tibet; e purtroppo tanti altri esempi.
L’IS o ISIL o ISIS sta forse esagerando in tutte le suddette specialità, e preoccupa soprattutto per le tendenze allo schiavismo e alla pulizia etnica, ma giudicarlo e contrastarlo al di fuori dell’ONU (o senza aver prima condotto ogni tentativo per un pronunciamento dell’ONU) mi sembra moralmente inaccettabile e politicamente avventurista (nonché incostituzionale, se si ricorre alla guerra, per quanto riguarda l’Italia e l’art. 11 della sua Costituzione).

Ho apprezzato le parole di papa Francesco, in Albania, contro la “violenza praticata “in nome di Dio”.
A proposito di ferocia, a Papa Francesco (ed in seconda battuta agli amici, laici e cattolici, dediti i pellegrinaggi a Santiago di Compostela) vorrei dedicare, come pro-memoria, l’immagine di “Santiago Matamoros” che campeggia in un venerato “retablo” della Cattedrale di Granada e che è parimenti diffusa in altre chiese di Spagna, ed inneggia plasticamente alla “violenza praticata (in altri tempi) in nome del Dio cattolico”: San Giacomo comparve in battaglia (o in sogno) nell’anno 844 a fianco dei cristiani, facendoli vincere, ed è raffigurato mentre trafigge i nemici moriscos  (è pur vero che erano nemici e invasori, ma pur sempre uomini; e va a finire che i loro discendenti si ricordano del trattamento ricevuto dai re cattolici nella reconquista della Spagna).




CASTEL-VEGAS

E’ stato inaugurato da alcuni giorni il “nuovo centro commerciale” di Castelletto sopra Ticino, in sostanza il completamento sul fronte nord della “strada mercato” del Sempione, nell’unico segmento significativo finora rimasto “verde” lungo l’asta della Strada Statale 33 dal Ponte sul Ticino fino ad Arona (circa 8 chilometri, nei comuni di Castelletto e Dormelletto: fa eccezione ormai solo la villa Tesio).
L’operazione ha comportato un notevole consumo di suolo già agricolo e boschivo, per una estensione di circa 10 ettari (100 mila metri quadrati), mentre lungo l’asse del Sempione e nei dintorni non mancano edifici abbandonati, non solo industriali, perché nella realtà ormai avanza già anche il “commerciale dismesso” (vedi ad esempio a Dormelletto le aree Liolà ed ex-coin/carrefour ecc.), segnali di crisi non solo congiunturale di un modello consumistico forse non più “sostenibile”.
Tuttavia questa scelta, fortemente voluta dalle Giunte di “sinistra” che governano il Comune di Castelletto negli ultimi 2 decenni, ed accettata con qualche torcicollo dalla Regione (ove destra e sinistra si sono alternate), risulta conforme:
-          alla lettera, più volte riscritta in peggio, della Legge Regionale varata dal prof. Astengo nel 1977 (ma non certo conforme allo spirito iniziale della legge e allo spirito del povero Astengo, che avevano ben chiaro già allora l’obiettivo della “tutela del suolo” e soprattutto di quello agro-forestale)
-          al Piano Territoriale Provinciale, che ha facilitato gli insediamenti vagamente “produttivi” e più largamente commerciali in prossimità dei caselli autostradali, con disastrosi esiti paesaggistici (oltre a Castelletto e Arona/Paruzzaro, Borgomanero-sud, Biandrate, Agognate e Galliate: ilmeno peggio è forse l’outlet di Vicolungo, malgrado gli immensi parcheggi solo a raso), senza per questo riuscire a risparmiare da analogo scempio altri assi stradali, come la SS 32 a Pombia/Varallo Pombia, oppure la SS 629 a Caltignaga) 
-          al Piano Regolatore comunale, a tal fine appositamente modificato dagli anni ’90 in questa specifica area, già destinata in precedenza come “zona F” ad un mai precisato progetto di parco di rilievo sovracomunale, e orientato in favore della “strada mercato” a partire dagli anni ’70, con indubbi successi sotto il profilo occupazionale (degli esordi della vicenda  sono stato personalmente testimone ed anche attore-non-protagonista, o forse vittima di effetti collaterali) .

Premesso quanto sopra circa il “peccato originale” dell’intervento, è interessante osservare che il Comune ed i Promotori si vantano dei contenuti ecologici del nuovo “parco commerciale”, evidenziando:
-          le coperture ricche di pannelli foto-voltaici (su cui non ho nulla da ridire, visto che in questo caso almeno si evita di spalmare i pannelli sul suolo coltivabile)
-          il sistema del verde, progettato niente meno che da Andreas Kipar, con la piantumazione di numerosi alberi ed arbusti (non si menziona invece il numero di piante preesistenti abbattute …), confezionando anche in mezzo agli empori un mini-bosco in memoria del vero bosco che qui prima tranquillamente abitava (sembra un po’ la gabbia del panda allo zoo, con la implicita didascalia “habitat in via di estinzione, XXI secolo”).
Indubbiamente la presenza di un po’di verde (probabilmente i primi parcheggi alberati su 8 chilometri di strada-mercato) e dei pannelli foto-voltaici, nonché la progettazione organica dell’insieme dei 10 ettari rappresentano qualche passo avanti rispetto a gran parte dei precedenti episodi di insediamento commerciale sul Sempione (guardando anche ai pessimi precedenti lungo lo stesso asse in Lombardia, da Vergiate a Somma Lombardo/Arsago/Casorate e poi peggiorando da Gallarate a Milano).
Ma, come diceva Lenin in altra occasione, è opportuno misurare con i passi avanti anche i passi indietro (oltre al suddetto peccato originale); ad esempio, anche rispetto al recente intervento di Esselunga, BriKo &C alle “Tre Strade” (innesto tra S33 e SS 32):
-          il marciapiede antistante agli ingressi dei vari negozi poteva essere un “boulevard” (senza andare lontano, si guardi al notevole calibro stradale della parte pedonale di viale Repubblica ad Arona, progettato a metà Ottocento), invece è assai più stretto di quello di Esselunga-Briko&C, e come quello privo di alberature o porticati o altra ombreggiatura e/o riparo dalla pioggia (che qui da noi è frequente e fastidiosa, ora anche d’estate),
-          tale percorso è interrotto sia da rami di viabilità forse non indispensabili, sia dagli accessi ai pochi parcheggi interrati (che sono separati e non connessi a sistema, come avrebbe potuto essere se avessero avuto accesso da Nord, sfruttando il naturale dislivello che avrebbe reso superflue le rampe),
-          gli snodi viabilistici di accesso e deflusso risultano di rango decisamente inferiore a quelli imposti a suo tempo a Esselunga&C (ed anche a Bennet); soprattutto risulta incomprensibile lo scarico di una delle uscite sulla preesistente via Cicognola, che ha un calibro del tutto inadeguato per una circolazione a doppio senso con i nuovi carichi di traffico derivanti dal nuovo “parco” commerciale.

Inoltre l’immagine complessiva dell’insediamento, sia pure più ordinata del caos dilagante lungo l’asse del Sempione (e peggio ancora, volendo vedere, a Ghemme/Romagnano e tra Oleggio Castello e Borgomanero), non va oltre l’assemblamento casuale di banali capannoni pre-fabbricati, dipinti con i colori dei vari marchi aziendali.

ANCORA SULL'ART. 18

TESTO DEL 22-09-14

Mi son preso la briga di rileggere la mozione su cui Renzi vinse le primarie per la Segreteria del PD nello scorso inverno, nonché il mio commento in materia di lavoro e diritti, dove constatavo la mancanza di precisi contenuti e l’assenza di attacchi all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, esplicitamente presenti invece nella precedente campagna renziana (quella in contrapposizione a Bersani).
Si trattava probabilmente di una furbizia tattica (d'altronde anche nella recentissima lettera a tutti gli iscritti del PD Renzi non è esplicito nel proporre l’abrogazione del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti ingiustamente licenziati).
Renzi preferisce attaccare gli oppositori interni al PD, accusandoli di voler scendere dal suo 41% di consensi al loro 25%, ed i sindacati, rinfacciandogli di aver subito la divisione tra “garantiti” e precari, ed imputando a tutti i critici la colpa di conservatorismo (come se la sua riforma fosse l’unica possibile).
(inoltre quel 41%, riferito alle europee e solo al 60% di votanti, non è per nulla garantito nel futuro, ed era dovuto anche ad eccezionali circostanze, a partire dalle sparate in auto-rete di Grillo).
In attesa che tutte le carte del “job act” siano tradotte dall’inglese e messe in chiaro (è decisivo capire se la nuova forma di contratto “a tutele crescenti” sarà “unica”, a danno di tutte le forme di precariato, oppure andrà solo ad aggiungersi in linea facoltativa o sperimentale), le voci e i comportamenti  nelle ultime settimane fanno intendere che comunque il governo punta ad uno strappo contro l’art. 18, per ora probabilmente solo per i neo-assunti (andando così a sancire una nuova divisione tra giovani e anziani).
Dal momento che questo orientamento non proviene dal PD (né dalla sua storia, né dal suo ultimo congresso, come sopra richiamato), e  nei penultimi tempi  non era nemmeno al centro delle rivendicazioni padronali, bensì è invocato esplicitamente dalle destre politiche (interne ed esterne alla maggioranza) e suggerito più o meno felpatamente dalla BCE ed altri ambienti europei e/o finanziari (anche se il modello Fornero, ora vigente, parrebbe simile alla normativa tedesca), si può supporre che Renzi lo assuma più per questo (pressioni di Draghi?) che non per la moderata paura che può per ora fargli il moderato Alfano.

Poiché in questa fase ed anche su questo tema sindacati, componenti minoritarie del PD ed ultra-sinistra hanno il fiato corto (benché il diritto sia attivo ancora per quasi 8 milioni di lavoratori), è difficile capire se passerà facilmente questo ulteriore abbassamento delle garanzie sul posto di lavoro (mi stupisce Michele Serra, che si aggiunge al coro di chi lo ritiene un inutile simulacro, come scegliere le tende di una casa che sta crollando, lui dice).

Nel merito della questione, per parte mia (anche per essere passato molti anni fa per una dura esperienza di licenziamento discriminatorio, sia pure in altro contesto normativo) resto molto affezionato all’art. 18, mi duole che non diventi costitutivo dei rapporti di lavoro dell’intera Europa (che al momento tutela meglio gli scoiattoli ed i formaggi tipici), anziché essere cancellato dall’Italia (patria di Beccaria e anche di Brodolini, e non solo di Pareto e Berlusconi) proprio per far piacere ad una certa Europa, e non capisco perché una sinistra pragmatica non lo proponga a coronamento del nuovo contratto a tutele crescenti, che in sua mancanza cresceranno assai poco (pare si preveda al massimo un indennizzo monetario).     

Occorre arrivare tanto a destra, sempre per “compiacere i mercati”?