“Solidarietà. Utopia necessaria”
di Stefano Rodotà (Bari, Laterza - 2014
– pag. 141) è un nitido e appassionato racconto storico sull’evoluzione
giuridica del concetto di solidarietà, ed un appello alla sua attuazione anche
in questa fase di crisi economica e sociale.
Rodotà evidenzia come la
solidarietà emerge, in un storia piena di contraddizioni e conflitti,
qualificandosi ad un tempo come dovere dei ricchi e diritto dei poveri, e
differenziandosi quindi da tutte le forme di beneficienza e carità, che – pur
esprimendo sentimenti positivi di fratellanza da parte del ricco – non
contemplano come carattere fondamentale del rapporto di redistribuzione delle
risorse la dignità del povero.
La solidarietà ha radici nell’illuminismo
e nelle dichiarazioni dei diritti che punteggiano le rivoluzioni americana e
francese, ma ben presto si eclissa con il fallimento della “fraternité”, che
già in periodo napoleonico non affianca
più “liberté” ed “egalité”, sostituita dalla borghese “proprieté” e quindi da una
concezione contrattualistica dei rapporti umani (che di fattore restringe anche
la libertà e l’uguaglianza).
Nel difficile cammino verso una
universalità dei diritti, secondo Rodotà, è interessante la tappa costituita
dal Codice Civile del nascente regno d’Italia, che nel 1865 riconobbe i diritti
civili anche agli stranieri (anche per
l’influenza culturale di Pasquale Stanislao Mancini), e che solo dal Fascismo
fu limitato agli stranieri degli stati amici.
Successive tappe importanti sono
state le nuove costituzioni di Italia e Germania dopo il 1945, l’una fondata
sul lavoro e l’altra sulla dignità umana, e da qui un nuovo ruolo positivo del
“costituzionalismo” nella costruzione del diritto, che arriva – per Rodotà – ad
una svolta decisiva riguardo alla solidarietà con la vigente Carta Europea dei
Diritti, annessa al Trattato di Lisbona, e dunque vincolante, in teoria, per
tutti gli stati dell’Unione Europea – e per la stessa Unione - , che invece
spesso la ignorano, ma possono già essere richiamati con successo ricorrendo
alla Corte Europea di Giustizia.
Anche se il testo di Rodotà
talora si libra su elevati concetti giuridici e si appoggia su un’ampia e
raffinata bibliografia internazionale, resta di agevole lettura e ci conduce
infine al nocciolo della questione, ovvero se sia possibile, nel contesto della
globalizzazione, della prevalenza dei valori economico-finanziari e della
relativa scarsità delle risorse pubbliche, affermare, nella lotta politica e
con gli strumenti del diritto (a partire da quello costituzionale) una
“riserva” in favore di una solidarietà sociale come “bene comune”, non
mercificabile, e come diritto di cittadinanza, tendenzialmente universale.
Rifiutando invece una visione
riduttiva del benessere sociale come variabile totalmente dipendente dalla
“crescita”, che quindi confina di fatto il ”welfare state” in una felice
parentesi storica ormai esaurita (anche grazie alla caduta della paura del
comunismo); e affidando agli afflati positivi del volontariato un ruolo
complementare rispetto ai doveri solidali della “cosa pubblica” nei confronti
dei diritti fondamentali di una vita dignitosa per tutti gli uomini (migranti
compresi).
E per una volta, in queste recensioni, non ho nulla da obiettare con i
miei corsivi.
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