Pagine

lunedì 26 ottobre 2015

ANCORA SULLA TASI


Della tassazione della casa mi sono già occupato a lungo, per cui rischio di ripetermi; tuttavia mi girano per la testa alcune ulteriori considerazioni.



1 - La soppressione della tassa sulla prima casa costituisce ora il fulcro della legge di stabilità impostata dal governo Renzi e la cosa appare ormai praticamente decisa, perché l’opposizione annunciata dalla minoranza del PD, rimanendo nelle aule parlamentari, non potrà avere successo, non godendo di solide sponde esterne all’area governativa (come invece è stato in parte nel dibattito sulla riforma costituzionale).

Diverso sarebbe l’esito se la battaglia fosse condotta dentro la base elettorale del PD (a maggior ragione  se abbinata allo sconcertante tema della soglia per gli acquisti in contante innalzata a 3.000 €), ma non certo chiedendo a Renzi un referendum che non verrà concesso, bensì con una iniziativa autonoma e capillare dal basso, che però mancherà, come mancò sul cosiddetto “Job act”, e che  enuncio accademicamente, perché con questa sinistra Dem (ma anche con l’attuale sinistra extra-Dem) è pura fantapolitica.



2 - Sul merito della questione mi hanno colpito le argomentazioni in difesa del Governo portate non da NCD (cui basta rammentare che è una scelta di destra, come in effetti è), né dai Renziani-Doc, che possono anche permettersi di usare alti concetti quali “la sinistra Dem cerca occasioni di rivincita sul Congresso” (trascurando il fatto che la mozione di Renzi non scopriva le carte di tali futuri capovolgimenti di linea, seppur annusabili nelle varie Leopolde), bensì da vari Renziani-Di-Complemento, che cercano di sollevare la decisione all’ambito razionale (anche per far dimenticare il diverso orientamento assunto in passato): tra questi, il vice-ministro Morando, il responsabile economico della Segreteria Taddei, la vice-presidente del Senato Valeria Fedeli (VEDI DETTAGLIO IN APPENDICE).

Tutto questo zelo conformista nella maggioranza PD mi sembra preoccupante: qualunque coniglio Renzi estragga dal suo cappello a cilindro (e non certo dalle tesi approvate dal congresso) trova un immediato e bulgaro consenso nell’intero gruppo dirigente, probabilmente non previamente consultato, ed anche a costo di esporre argomentazioni contorte, tipiche dei preti-senza-fede, ma ben allineati alla Chiesa.

Sarebbe più onesto se i filo-governativi dicessero: con gli 80 € in busta paga del 2014 abbiamo aiutato lo strato medio-basso dell’elettorato; adesso andiamo a cercare i voti di ceti medio-alti, perché ci serve il loro consenso (si potrebbe forse nobilitare la manovra come “politica delle alleanze”). Continuerei a non concordare, ma almeno non mi sentirei preso in giro da tali grossolane mistificazioni.



3 – Qualcuno degli zelanti sostenitori si era spinto anche a  difendere la soppressione dell’IMU per grandi ville e castelli, classificate dal vigente zoppicante Catasto come A1 A8 A9, che poi Renzi demagogicamente  ha invece confermato (mentre giustamente i proprietari di storiche magioni sono sorretti da esenzioni fiscali quando restaurano beni vincolati).

La abortita riforma del Catasto avrebbe forse raddrizzato l’attuale guazzabuglio (che nasconde nella classe A2, ed anche più in basso, abitazioni in realtà signorili e rustici e casali molto ben ristrutturati).

In sua assenza, il problema non è di dare in pasto all’opinione pubblica la permanenza di una tassazione su poche prime case classificate ufficialmente di lusso, bensì di chi si avvantaggerà dei quasi 4 miliardi di € di esenzione della restante TASI: non certo i senza-casa, né gli inquilini, né i proprietari di case modeste (cioè la grande maggioranza della popolazione, che intanto, malgrado i famosi 80 €, paga la maggior parte delle tasse sul reddito). 



4 – Quasi nessuno parla più dell’aspetto centralistico della soppressione della TASI, con il conseguente finanziamento indiretto dei Comuni da parte dello Stato; in particolare sembra che non ne parlino i Sindaci e l’ANCI, che appaiono soddisfatti  della conferma per il prossimo anno dei trasferimenti dallo Stato senza ulteriori tagli (e senza nessuna garanzia per il futuro).

A me invece la abolizione  dei più consistenti tributi propri in favore degli enti locali pare una grave regressione rispetto ai modesti livelli di “federalismo fiscale” (e conseguente responsabilizzazione di bilancio per i Sindaci) che si erano raggiunti dopo decenni di retorica sul decentramento dei poteri, retorica non solo leghista (penso alla quasi omonima “Lega delle autonomie locali” che univa ed unisce comuni e provincie di sinistra dai tempi della Prima Repubblica).   




Appendice: ARGOMENTI PRO E CONTRO LA TASI

Senza ripercorrere le singole esposizioni della maggioranza PD, rilevo la presenza ricorrente di alcuni argomenti ed affianco  di seguito le mie risposte, che mi sembra sgorghino con facilità (e che assomigliano molto ai concetti espressi da  molti commentatori indipendenti e non anti-governativi, ad esempio su La Repubblica e su La Stampa):

A - Quanto poco pesano i 4 miliardi di € della TASI rispetto all’intero ciclo delle leggi di stabilità Renziane, dal passato (con i gloriosi 80 € in busta-paga) alle promesse per il futuro
A -  mi sembra che discutendo la stabilità per il 2016, i suddetti 4 miliardi siano il piatto forte, da cui non si scappa

B - Quanto i suddetti 4 miliardi siano contornati da tutta una serie di misure, per i poveri, per le case popolari, per le imprese, ecc. ecc.,  ognuna delle quali è quotata per meno di mezzo miliardo
B - quindi a mio avviso non contiene nessun segnale forte in alternativa (personalmente avrei apprezzato, invece del taglio ad alcune tasse, un grande intervento per il risanamento idrogeologico del paese) 

C -  Quanto poco sia affidabile il catasto, su cui si fonda la graduazione della TASI, per cui è meglio non farla pagare a nessuno
C - argomento irricevibile da parte di un governo  che ha appena affossato (senza pubbliche motivazioni né indicazioni alternative) la riforma del catasto, decreto delegato a cui i governi hanno lavorato per anni e che era pronto per essere applicato (portando un po’ di equità anche nelle seconde e terze case)

D - Quanto sarebbe erroneo mischiare criteri di reddito, in una ipotetica conservazione e riforma di una TASI più equa, perché i furbi che evadono/eludono l’IRPEF ne sarebbero avvantaggiati
D -  sopprimendo del tutto la TASI (e non riformando il catasto) sono comunque ancor piu’ avvantaggiati

E - Quanto sia estesa la proprietà della casa, per cui diffusi saranno i benefici ed i conseguenti aumenti dei consumi, volti a compensare il probabile calo della domanda estera
E - ma la TASI pesava in modo progressivo in funzione al valore delle case, per cui la sua soppressione libera risorse soprattutto per i ceti medio-alti, la cui propensione ai consumi è frammista al risparmio e alla speculazione finanziaria (come si è già visto con le precedenti sospensioni berlusconiane dell’IMU) 

F - Quanto i benefici siano estesi anche agli inquilini, per la loro piccola quota di TASI
F - si trascura il fatto che la spesa per gli affitti non è detraibile dall’IRPEF (come invece sono i costi dei mutui)

G -  Per finire, sull’Unità del 24 ottobre, un trafiletto anonimo riporta in modo parziale alcuni dati statistici elaborati dalla (solita) CGIA di Mestre, evidenziando che la maggioranza dei proprietari di casa sono “pensionati-operai-impiegati” ma omettendo quanto la CGIA espone riguardo alla quota parte di proprietari tra i ceti medio-alti (prossima al 100%) e la minor quota tra i suddetti “pensionati-operai-impiegati” (tra i quali molti di più sono gli inquilini)
G - si veda la stessa fonte CGIA come riportata da Repubblica; e soprattutto si rammenti che l’attuale esenzione TASI già raggiunge buona parte dei ceti medio-bassi, per cui il premio della soppressione del tributo va quasi totalmente in tasca ai medio-alti, che ovviamente hanno case di maggior valore


domenica 25 ottobre 2015

EXPO E CODE


Sto continuando a non andare all’Expo.

Mi congratulo con il successo organizzativo e l’imponente afflusso, nonché con la contestuale brillante vivacità di Milano.

Tuttavia mi sembra che non sia redimibile il peccato originale di sacrificare un chilometro quadrato di residuo verde agricolo proprio per celebrare il tema della nutrizione del pianeta.

Tema che risulta sia stato affrontato ed approfondito anche correttamente in parte dei padiglioni e delle manifestazioni connesse all’Expo (penso ad esempio all’iniziativa di Carlin Petrini), ma che complessivamente ne esce sfuocato e slabbrato, sia per le ambiguità e genericità della “Carta di Milano” (come ha puntualmente criticato la Caritas), sia per il prevalente carattere di fiera&mercato della manifestazione nel suo insieme.

D’altronde non mi commuove l’insediamento seriale di una accozzaglia di capannoni variamente personalizzati come esempio di urbanistica o di architettura per il futuro delle città.

L’esperienza mi è sembrata invece valida sotto il profilo della ”gestione grandi eventi”, ammesso che di grandi eventi ci sia bisogno e concesso che comunque se ne faranno ancora (Expo, Olimpiadi, Fiere, Giubilei).

In particolare mi ha colpito l’enorme dimensione, disciplina ed efficienza delle code, sopportate da gran parte dei visitatori per riuscite ad entrare (chi poi ci riesce) oltre che nell’area Expo, anche nei padiglioni più prestigiosi.

Buon motivo di riflessione antropologica: chi accetta le code mi appare assai diverso dagli automobilisti sempre più nevrotici che incontro assai spesso, dalle piazze incazzate dei servizi giornalistici televisivi, dall’anti-politica che sprizza dai sondaggi; chissà se chi aspetta disciplinato il suo turno fuori dal padiglione Italia pensa anche, come il compianto ministro Padoa Schioppa, che pagare le tasse sia bello?

Le code sono un altro buon motivo, per me, per continuare a non andare all’Expo.

Malgrado possano essere occasione per interessanti indagini sociologiche.

Perché comunque non mi piace stare in coda per ore (mentre sono tra quelli che pagherebbero volentieri ancora la TASI).

SABOTAGGIO ?


Superato l’aspetto penale e accantonata la difficile questione dei limiti alla libertà di espressione, poiché Erri De Luca ha tirato in ballo, per difendersi lessicalmente, Mandela e Ghandi, sul tema del “sabotaggio”,  mi permetterei di porre all’attenzione un problema di sostanza politica.

Mi pare di ricordare che per Ghandi (da sempre) e per Mandela (da una sua svolta politica in poi) fosse discriminante la non-violenza come necessario metodo di lotta, anche arrivando al “sabotaggio” contro il potere avverso.

Non mi sembra invece che tale discriminante sia considerata né da Erri De Luca (da sempre), né dalla parte più combattiva del movimento NoTav.

Conservo qualche dubbio sull’efficacia della non-violenza di fronte a poteri assolutistici quali il Nazismo e l’odierno Califfato Islamico.

Ma se ha funzionato contro il colonialismo inglese e contro l’apartheid sudafricana, dovrebbe a maggior ragione essere applicabile nei confronti di “democrazie  occidentali”, seppur dedite a grandi opere ferroviarie invise a parte della popolazione di una valle (la stessa valle dove tra l’altro si sta pacificamente concludendo il raddoppio di un traforo autostradale).


martedì 13 ottobre 2015

QUALCOSA DI DESTRA


Quando rischio di dimenticarmi la mia distanza dal renzismo, perché governo e maggioranza propongono  cose di sinistra (ius soli, proposta di ammortizzatori sociali europei) o almeno di centro (unioni civili, discreto raddrizzamento della riforma costituzionale), Matteo Renzi arriva puntuale a ricordarmelo, dicendo o facendo qualcosa di destra: dopo la ribadita abolizione della TASI sulle prime case dei ricchi, l’innalzamento a 3.000 € del limite per gli acquisti in contanti.