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martedì 24 novembre 2015

LA RICERCA "TRA-I-LAGHI" DI ANNA MARIA VAILATI E ALDO VECCHI - INTRODUZIONE



come si vive tra-i-laghi di varese e maggiore
- ricerca statistica 2000/15 per Agenda21laghi

il testo completo della ricerca è sul sito 
www.agenda21laghi.it/vivere_tra_laghi.asp
voce "tra-i-laghi"

1 – INTRODUZIONE

INDICE:

1– DOVE
2 - QUANDO
3 - COSA
4 - COME
5 - PERCHE’/PER CHI
6 - CHI SIAMO

1.1– DOVE

La presenza e persistenza dell’aggregazione intercomunale di Agenda 21 Laghi, che all’aprile 2015 raccoglieva 16 Comuni (cui poi si è aggiunto Caravate), ci ha suggerito di individuare questo territorio, anche in funzione della specifica attenzione alla socialità ed alla partecipazione che è propria di questo tipo di organizzazione con finalità ambientali.
I confini che abbiamo scelto, includendo altri Comuni contermini (in parte in passato già aderenti a AG21L), tendono a definire un’area di indagine consona al tipo di domande che ci poniamo, tenendo conto che l’area è geograficamente e amministrativamente ben delineata solo ad ovest, dal Lago Maggiore, mentre in altre direzioni si rilevano demarcazioni meno nette come i monti a nord di Laveno ed il fiume Ticino a sud/ovest; nelle restanti direzioni, cioè verso la Val Cuvia, verso Varese (a sud e a Nord del Lago omonimo) e verso sud/est (dove con Malpensa ed il Gallaratese si può forse leggere l’inizio dell’area metropolitana milanese), le interrelazioni sono invece molto più dense e continue, per cui il perimetro proposto tra “Lago Maggiore e Lago di Varese” comporta inevitabilmente scelte opinabili, costituite comunque ad Est in larga misura dai confini amministrativi di Agenda21Laghi (oltre che dal lago di Varese)

Già da queste brevi considerazioni sull’area di studio appare evidente il suo essere zona di cuscinetto tra due grandi assetti insediativi, quello montano-vallivo e quello metropolitano.

1.2 - QUANDO

Per capire le tendenze in atto ci è apparso utile concentrare l’attenzione sugli anni iniziali di questo secolo, considerando di poter disporre ampiamente dei dati dei censimenti 2001 e 2011 e di pochi altri dati più recenti; la ricerca comunque ha comportato alcuni approfondimenti con diversa scansione temporale.
Tale periodo ci risulta anche poco coperto da ricerche istituzionali alla scala locale; ad esempio il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale è stato approvato nel 2006 ed i dati di riferimento sono in parte precedenti ai censimenti del 2001; anche il primo ciclo dei Piani di Governo del Territorio è stato per lo più redatto prima della pubblicazione dei risultati del censimento 2011.
Il campo è stato esplorato in parte dall’Ufficio Studi della Camera di Commercio, con una ricerca estesa all’intera Provincia e limitata a poche variabili sul censimento 2011, nonché dall’Ufficio Studi di Confartigianato con una elaborazione basata su indicatori multi-criteri, esteso anch’esso all’intera Provincia (ma non a tutti i comuni9 e ad una sola sezione storica di dati recenti,  nella logica delle “classifiche” (in analogia a come a livello nazionale procedono ad esempio “il sole- 24 ore” e Legambiente)

1.3 - COSA

Tenendo conto dell’insieme di studi che Agenda 21 Laghi ha promosso o raccolto, si può ritenere che di quest’area già si conosca molto riguardo al territorio ed all’ambiente (temi presenti anche nei PGT e connesse Valutazioni Ambientali Strategiche dei singoli Comuni), nonché a tematiche specifiche quali la mobilità, il turismo, i consumi energetici, ecc.
Ci è sembrato invece che manchino conoscenze di insieme riguardo agli abitanti ed alla loro vita, al sistema di relazioni che attraversa i territori e ne definisce la struttura identitaria, ai “paesaggi umani” che conferiscono senso e contenuti ai paesaggi fisici (urbani ed extraurbani).
Con questo studio non abbiamo alcuna pretesa di fornire risposte sistematiche, quanto piuttosto quella di contribuire a formulare domande più circostanziate, da cui potranno eventualmente scaturire ulteriori iniziative di ricerca.

1.4 - COME

La ricerca è stata condotta sui dati statistici disponibili: ISTAT, CCIAA, Provincia, I.S.P.R.A., ecc.; si è proceduto ad estrarre e confrontare i principali dati dei singoli Comuni e dell’intera area (nonché di altri Comuni esterni di riferimento) con i totali e le medie della Provincia di Varese, della Lombardia e dell’intera Italia, assumendo criteri aritmetici, cartografici ed espositivi il più possibile costanti, ma con i dovuti adeguamenti alle specificità dei tipi di dati.
In prospettiva la ricerca potrebbe proseguire, interagendo con altri soggetti, in direzioni che pertanto non intendiamo prefigurare, se non a titolo esemplificativo:
- acquisizione e sintesi degli studi già svolti da Ag21Laghi e da altri soggetti, e confronto con casi analoghi
- ricerca di altre fonti ed altri indicatori, attraverso il dialogo con le organizzazioni presenti sul  territorio
- indagini demoscopiche su tutti gli aspetti soggettivi coinvolti
- approfondimento delle ricerche territoriali con strumenti cartografici avanzati, tipo GIS.

1.5 - PERCHE’/PER CHI

La ricerca sarà divulgata tramite Il sito istituzionale di Agenda21Laghi, e pertanto disponibile a chiunque voglia leggerla ed utilizzarla, ma è pensata in funzione di un governo consapevole delle contraddizioni, ed in particolare delle finalità ambientali di Ag21Laghi, che per sua “costituzione” deve conseguirle mediante la partecipazione ed il consenso: riteniamo che una maggior conoscenza della struttura della popolazione e degli “stili di vita” possa essere utile in tale direzione (ad esempio, per capire meglio le difficoltà di adesione alle pratiche ed agli investimenti “ecologici”).

1.6 - CHI SIAMO

Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi, urbanisti in pensione, residenti a Sesto Calende, collaboratori, a titolo volontario, di Agenda 21 Laghi.

mercoledì 18 novembre 2015

DOPO PARIGI, NON HO TROPPE CERTEZZE


Di fronte al massacro di Parigi si rischia di cadere in uno stato depressivo, mentre i media, che fanno il loro mestiere, ci riempiono la mente di immagini, parole, pensieri, emozioni, che in gran parte sono anche le nostre, ma rischiamo di non saperlo con certezza.
E quindi ci può stare molto bene anche il silenzio, molto più di un minuto di silenzio (e niente applausi al passaggio delle bare, se possibile).

Tuttavia, mentre esprimevo molteplici “mi piace” ai pensieri solidali di molti corrispondenti su Facebook, e coltivavo in cuor mio tutti i dubbi di un pacifista costretto alla guerra dall’aggressione altrui (che già ho espresso nei miei precedenti commenti alle scorrerie del Califfato), mi sono apparse stonate non solo le ovviamente le sparate islamofobiche sulla linea Fallaci-Salvini-Santanchè, ma anche alcune prese di posizione di parte pacifista, che adombrano parziali verità, da me condivise, ma che mi sembrano del  tutto inadeguate alla sostanziale novità degli attentati di Parigi: ovvero al “salto di aberrante qualità” costituito dall’attacco indiscriminato alla popolazione civile di una metropoli europea (rispetto ai più mirati attacchi a “nemici dell’Islam” quali la rivista Charlie Hebdo oppure negozianti e clienti innocenti sì, ma ebraici).

Essendo istanze vicino al mio sentire, ritengo opportuno uscire dal silenzio per chiarirmi meglio con gli abituali interlocutori:
 - la solidarietà con le vittime di Parigi oscurerebbe (con implicito razzismo-colonialismo) la necessaria solidarietà con analoghe vittime di attentati, sempre di matrice fondamentalista-islamica, nel cielo del Sinai e prima in Libano Turchia Irak Pakistan India Kenia …..: mi pare che questa obiezione non consideri il dato umano, insopprimibile, per cui il lutto per la morte di chi mi è vicino pesa di più di quello per colui che mi è meno vicino, differenza che si può misurare analogamente nei casi di tragedie di origine naturale o tecnologica; e trascuri il dato politico che ci vede membri, con la Francia, della stessa Unione Europea; e ignori il dato storico per cui Parigi è la patria della libertà e la sua vita notturna è un emblema della nostra libertà (anche se l’Occidente è l’inventore del moderno colonialismo, dell’imperialismo economico-finanziario, ecc. ecc.)
- il Califfato usa armi occidentali, magari inviate in Siria per indebolire il dittatore Assad, oppure vendute ad Arabia ed Emirati, innanzitutto si ponga fine alla produzione ed esportazione delle armi: sono pienamente d’accordo, tranne che sull’”innanzitutto”, perché quando la casa brucia si chiamano i pompieri, e solo dopo si va  controllare se la costruzione era in regola con le norme di prevenzione incendi (ovvero, solleviamo sì l’enorme problema della diffusione delle armi occidentali, ma il Califfato che aggredisce i non-sunniti del Medio oriente e tutti i non-islamici d’Europa ormai di armi ne ha parecchie, occidentali o meno che siano, e sta usandole a man bassa;
- (in questo terzo casa è Famiglia Cristiana che parla, e quindi in particolare mi stupisco per il tono) “se vogliamo eliminare l’ Isis, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e a chi bisogna rivolgersi”, cioè troncare con la complicità di USA e NATO verso le potenze regionali sunnite, Arabia Saudita-Emirati-Turchia, che in vario modo proteggono il Califfato, per i loro interessi  politico-religiosi, che li contrappongono all’Iran sciita e ad Assad alauita: credo anch’io che sui vari fronti medio-orientali (ed anche tra gli islamici d’Europa) vi siano pesanti ambiguità (politiche, commerciali, militari) tra molti sunniti, che non intendono contrapporsi più di tanto ad altri “sunniti-che-sbagliano”,  ma non riesco ad assumere questa granitica certezza che ci sia un nodo gordiano da tagliare, e “puff” il fantasma dello “Stato Islamico” si dissolve, togliendo noi occidentali (ed ancor di più noi pacifisti od ex-pacifisti) dalla brace delle responsabilità di scelta tra pace e guerra, violenza o non-violenza, verso un nemico che aggredisce e al momento (e probabilmente per molto tempo) non intende trattare su alcunché (almeno con gli stati occidentali, l’ONU e via di seguito).

L'ENCICLICA "LAUDATO SI'" DI PAPA BERGOGLIO


L’Enciclica “Laudato sì”, emanata nel maggio 2015 da Papa Francesco, è stata trattata a mio avviso in modo alquanto superficiale dalla stampa generalista,  come uno dei vari aspetti innovativi della comunicazione di questo papato, senza coglierne le implicazioni profonde ed a suo modo rivoluzionarie; parimenti mi pare sia scivolata addosso senza conseguenze al mondo politico ed  al mondo cattolico (e quindi in particolare al mondo politico cattolico), che infatti non mostrano di dare avvio ad alcuna “rivoluzione”, nemmeno culturale.

Ed il limite principale della predicazione di papa Bergoglio è probabilmente proprio quello di non sviluppare, finora, gli strumenti per tradurre le sue parole in opere, né in gran parte della sua Chiesa (a partire dalla Curia romana), né attorno ad essa.

Tuttavia, stimolato anche dal riassunto pubblicato da Fulvio Fagiani sul sito www.agenda21laghi.it  (riassunto che allego IN APPENDICE, risparmiandomi la fatica di elaborarne uno mio), ho letto integralmente il testo dell’enciclica e l’ho trovato di grande interesse (anche per chi come me si colloca tra i laici-non-credenti) per i seguenti motivi:

1 – recepisce dalla scienza, con una apprezzabile umiltà, e con utile sintesi divulgativa, i termini attuali della crisi ambientale complessiva (e non solo climatica) del pianeta Terra;

2 – evidenzia le strette connessioni dei problemi ecologici con i problemi sociali, e cioè come i poveri (tanto nei paesi poveri quanto nei paesi ricchi) siano le principali vittime ad un tempo sia dello sfruttamento economico, sia del degrado urbano e ambientale; tanto che, riferisce Bergoglio, “i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamen­to ‘non uccidere’  quando « un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere »”.

3 – sottopone, non solo ai fedeli, ma a tutti gli uomini, non credenti e credenti di ogni fede, la necessità di un piano di azione radicale per la salvezza del pianeta (ivi compresa la decrescita dei consumi opulenti), “prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecnico-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia”;

4  - coglie i limiti e l’inefficacia di una “ecologia evasiva” e di facciata, da parte di governi e  imprese, che è prevalente in quanto è intrinsecamente diffuso, nel sentire comune dei paesi dominanti, il modello culturale consumista ed il mito della crescita infinita (malgrado l’evidenza delle crisi);

5 – tenta di fondare una nuova etica della sobrietà (derivante per i cristiani dai valori religiosi), da applicare anche a livello personale, ma finalizzata alla cooperazione solidale, arrivando ad esempio ad un utilizzo consapevole del potere collettivo dei consumatori; tale etica include anche le raccomandazioni pratiche per la vita quotidiana, che riproduco in appendice (e che non mi risulta siano ancora diventate pratica prevalente in ambito cattolico occidentale).



Di minor interesse operativo per i non-credenti, ma comunque rilevanti sotto il profilo culturale, sono ampie parti del documento, di impostazione più strettamente religiosa:
sia dove Bergoglio allinea a suo sostegno numerose citazioni dalle Sacre Scritture, dal pensiero di teologi e santi del passato (Francesco d’Assisi in primis) e soprattutto dalle encicliche dei suoi ultimi 4 o 5 predecessori e dalle conferenze episcopali di varie parti del mondo (con qualche citazione anche di testi laici),
- sia dove il Papa parla da Papa ed afferma apodittiche manifestazioni su questa terra della presenza di Dio, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (nonché della Sacra Famiglia), tutte convergenti verso l’eco-teologia.
Ad esempio : “Le Persone divine sono relazioni sussi­stenti, e il mondo, creato secondo il modello divi­no, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni esse­re vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intreccia­no segretamente.

Mi convince meno il testo del Papa laddove, criticando la cultura consumista e sviluppista, ne individua le radici in un eccesso di antropocentrismo, diffidando nel contempo dal “bio-centrismo” di quegli ecologisti che pongono la natura al di sopra dell’attenzione per il benessere di tutti gli uomini
Anch’io, nel mio piccolo, vedo dei pericoli nel bio-centrismo, in quanto comunque interpretato da uomini e non direttamente dai lombrichi, dai batteri e dai fenicotteri (vedi un questo blog  la scheda su “Dellavalle: L’ecologia tra soggettività e fondamentalismo”, oppure la "pagina 1" del saggio sulla sostenibilità urbana).
Ma la condivisibile visione umanistica e rispettosa verso la natura, illustrata dal Papa, si fonda soprattutto nel rapporto (subordinato) dell’uomo con la divinità: “Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo finiremmo per adorare altre potenze del mondo o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà da Lui creata, senza conoscere limite”.
Pur rilevando che sono difficili e poco praticate le strade alternative al paradigma tecnocratico/sviluppista a partire dai deboli presupposti dei pensieri scettici e relativisti (di chi è agnostico o comunque non credente), mi permetto rispettosamente di rivendicarne la dignità concettuale.
Proprio perché non abbiamo certezze, nemmeno più sappiamo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, nella laica ricerca del bene comune ci viene difficile cadere nel delirio di onnipotenza che pone l’uomo al di sopra della natura.
Il riconoscimento dell’interdipendenza tra tutti gli uomini e dei fragili equilibri e squilibri degli ecosistemi, mi sembra possano essere premessa sufficiente per la cooperazione fraterna verso la possibile salvezza del pianeta.
Ben vengano le religioni a mettersi alla guida della necessaria e pacifica “rivoluzione” ecologica, vista l’esiguità delle forze non-religiose in campo (ed invece di incitare al reciproco sgozzamento come spesso hanno fatto, e talune tuttora fanno).
Ma nel perseguire l’idea di fratellanza tra tutti gli uomini, e tra gli uomini e gli altri viventi, mi pare che ci siano spazio e motivazioni per tutti, anche per i laici, gli agnostici ed i non credenti.

IL DECALOGO DELLE RACCOMANDAZIONI ECOLOGICHE QUOTIDIANE DI PAPA FRANCESCO

coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento,
evita­re l’uso di materiale plastico o di carta,
ridurre il consumo di acqua,
differenziare i rifiuti,

cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare,
trattare con cura gli altri esseri viventi,
utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone,
piantare alberi,
spegne­re le luci inutili,
riutilizzare qualco­sa invece di disfarsene rapidamente.



ESTRATTO DA FULVIO FAGIANI SU ENCICLICA “LAUDATO SI’”


L’enciclica è articolata su un’introduzione e sei capitoli che delineano questo percorso:

1.    Quello che sta accadendo alla nostra casa. Si ricapitolano le principali emergenze ambientali e sociali e si stigmatizza la debolezza delle reazioni;

2.    Il Vangelo della creazione. Si ragiona sul ruolo della religione, rifacendosi a testi biblici e ad eminenti commenti;

3.    La radice umana della crisi ecologica. Si riconducono le due crisi, ecologica e sociale, viste come intreccio inestricabile, alla dominanza del “paradigma tecnocratico”, a sua volta manifestazione di una profonda crisi culturale;

4.   Un’ecologia integrale. La sfida complessa richiede una risposta di pari complessità, ecologica, sociale e culturale;

5.    Alcune linee di orientamento e di azione. Vengono proposte soluzioni puntuali, ricavate dal vasto campo dell’esperienza, ma soprattutto è condotta una critica sferzante al dominio dell’economia sulla politica e della finanza sull’economia e al mito della crescita illimitata;

6.    Educazione e spiritualità ecologica. E’ il tema della “rivoluzione culturale” sollecitata dal Papa, con l’invito ad uscire da individualismo e consumismo a favore di una “cultura della cura”.

Colpisce innanzitutto la modernità di un approccio alla crisi ambientale non settoriale, in cui ogni singola crisi (i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, l’inquinamento, ecc.) sono visti in modo integrato, come parti di un’unica azione di pressione esercitata sulle risorse del pianeta. Chi ha familiarità con la newsletter di Agenda21Laghi ricorderà il modello dei “confini planetari” molte volte richiamato, che esamina i nove processi biofisici essenziali per la vira sul pianeta.

La crisi ecologica, poi, viene associata alla crisi sociale, particolarmente all’inequità, come è proprio del pensiero più evoluto, che non a caso ha incoraggiato le Nazioni Unite a dar vita ad un sistema di obiettivi ambientali e sociali insieme, chiamati SDG (Sustainable Development Goals).

Le cause delle due crisi sono attribuite a fattori economici e politici, la dominanza del cosiddetto paradigma tecnocratico, che si fonda sulla potenza della tecnica e diffonde il mito della crescita infinita e le abitudini consumistiche. Il Papa si scaglia più volte contro questo pensiero, invocando il limite che deve essere opposto, la subordinazione della proprietà privata agli interessi pubblici, la necessità di riconoscere e proteggere i beni comuni.

E’ interessante osservare che anche nel capitolo più dottrinale, il secondo, le argomentazioni principali sono dedicate a confutare l’idea antropocentrica dell’uomo dominatore (“Noi non siamo Dio”) e a sottolineare il “valore intrinseco del mondo”. Sembra di ascoltare una lezione di Scienza del Sistema Terra (Earth System Science), che studia il pianeta come un sistema complesso, con le sue regole di funzionamento, non manipolabile a piacimento come invece vorrebbe la scienza economica corrente.

Le soluzioni indicate sono certamente quelle veicolate dal pensiero della sostenibilità (fonti rinnovabili, efficienza energetica, protezione, agricoltura sostenibile, e così via), ma accompagnate da limiti e vincoli posti all’operare economico, fino a propugnare una forma di decrescita nei paesi più ricchi per lasciare spazio alla crescita dei più poveri.

Anche la politica è chiamata alle sue responsabilità, con la sollecitazione ad una governance dei beni comuni e al rafforzamento delle istituzioni internazionali, vista la sottomissione degli Stati nazionali agli imperativi della finanza.

Trovo però che il cuore del documento sia il capitolo finale, il sesto, che reclama una “rivoluzione culturale”, una “conversione ecologica”. Una sollecitazione ad uscire dal dominio delle ideologie consumiste ed individualiste per approdare a nuovi stili di vita, ispirati alle virtù della sobrietà e della semplicità, a ricercare l’equilibrio con l’ambiente, con sé e con gli altri, ad impegnarsi nell’azione sociale con lo spirito di apertura al mondo che viene dal rendersi conto che viviamo in un pianeta interdipendente e che condividiamo con l’intera umanità (e con le future generazioni) un destino comune.

Non manca, infine, una strigliata ai cristiani, alcuni dei quali “spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi”, invitati a “rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire”.

In poche parole: gesti quotidiani, grandi strategie, cultura della cura.

                                                                                Fulvio Fagiani




lunedì 9 novembre 2015

MOSTRE CHE NON MOSTRANO


In alcune delle mostre che abbiamo recentemente visitato mi ha colpito la sostanziale disattenzione dei curatori rispetto alla effettiva fruizione di parte del materiale o dei messaggi esposti:
“ROMA E LE GENTI DEL PO”, a Brescia/Santa Giulia: didascalie e testi con colori a scarso contrasto, male ubicate e peggio illuminate; ottimi testi scientifici sulle audio/video-guide, ma sempre con l’immagine fissa dell’Archeologo o Sovrintendente (non sempre brillante dicitore) e pochissime immagini “extra”;
“MITO E NATURA. DALLA GRECIA A POMPEI”, a Milano/Palazzo Reale: parte iniziale con vetrinette in corridoi angusti e potenzialmente pericolosi; bellissimi affreschi con rappresentazione di giardini, da Pompei, visibili solo parzialmente e  indirettamente attraverso varchi verso una stanza attigua; gran finale con confronto tra reperti di cibi (sotto vetrina) ed immagini affrescati degli stessi, al di sopra delle vetrine, sostanzialmente invisibili per visitatori più bassi di metri 1,70;
“GAUGUIN” al nuovo Museo delle culture MUDEC di Milano/ex-Ansaldo: prima sala con pavimento, soffitto e pareti bruno-scure e seconda sala rosso-scura, talmente scure che – al di là delle opere, specificamente e ben illuminate – risulta praticamente impossibile leggere e talvolta anche solo scorgere i testi delle didascalie e dei commenti (ma con rischi anche per la deambulazione); i testi e le didascalie hanno gli stessi colori e la stessa illuminazione diretta nelle ultime due sale, con pareti e soffitti chiari, che pertanto riflettono e distribuiscono luce a sufficienza per la lettura di tutto quanto esposto.

La fatica ed il disagio che ne derivano a molti visitatori fa sfumare in secondo piano l’oggettiva qualità scientifica e spettacolare delle esposizioni (molto probabile nelle prime due mostre) e non consente di verificare la bontà dei criteri, come ormai spesso accade, NON-cronologici, assunti per la mostra su Gauguin, già non eccelsa quanto a rappresentatività dei pezzi raccolti.

PASOLINI


Nelle recenti commemorazioni di Pier  Paolo Pasolini, 40 anni dopo la sua uccisione, mi è sembrato che prevalessero gli atteggiamenti agiografici e santificatori (ben s’intende più facili ex post).

Riflettendo su talune sue affermazioni (non solo quelle in favore dei poliziotti e contro gli studenti di Valle Giulia), mi è parso che il suo anti-consumismo e la sua critica alla società fossero strettamente intrecciati a posizioni anti-moderne e talora francamente reazionarie:   Quelle che che amo di più sono le persone che possibilmente non abbiano fatto neanche la quarta elementare, cioè le persone assolutamente semplici. Non lo dico per retorica, ma perché la cultura piccolo borghese, almeno nella mia nazione(ma forse anche in Francia e in Spagna), è qualcosa che porta sempre a delle corruzioni, a delle impurezze. Mentre un analfabeta, uno che abbia fatto i primi anni delle elementari, ha sempre una certa grazia che poi va perduta attraverso la cultura. Poi si ritrova a un altissimo grado di cultura, ma la cultura media è sempre corruttrice. 

Accade di vedere talvolta negli archivi RAI (o di rammentarlo direttamente, per chi ha vissuto negli anni 50) il popolo genuino intervistato da Soldati, Gregoretti o Zavoli (o dallo stesso Pasolini, in “Comizi d’amore”), e di condividere istintivamente tale giudizio di Pasolini, soprattutto se confrontato con campioni di popolo televisivo contemporaneo, dal Grande Fratello in giù.

Ma le persone semplici degli anni 50/60 indubbiamente ambivano, per se e/o per i propri figli, andare oltre la quarta elementare, e dimenticare un presente e un passato di miseria-fatica-sfruttamento, e nell’insieme hanno avuto un certo successo nell’impresa (sia pure al costo di peggiorare il paesaggio umano delle successive tele-trasmissioni).

Persone semplici che facevano anche a meno dell’amore di Pasolini per il loro stesso “essere semplici” e che invece, magari, per come sono diventati “meno semplici”, hanno imparato ad apprezzarne di Pasolini i libri e i film (taluni dei quali, a mio avviso, di altissima poesia).


Resta il problema, per quasi tutte le correnti del pensiero anti-capitalista ed anti-consumista (ed oggi anti-globalista), di non riuscire ad essere molto popolari (da Marcuse a Latouche e Pallante), ed al contempo di rischiare di confondersi con l’anti-modernità dei populisti (penso al variegato schieramento anti-Euro ed anti-Europa), a cui però il capitalismo, purché “locale”, va estremamente bene (è di questi giorni Salvini a braccetto con Berlusconi, anche se quest’ultimo si intende parecchio di capitali, in Italia ed anche  all’estero).

HALLOWEEN E ALTRI RITI


A cavallo del week-end dei Santi&Morti ho seguito con interesse sia il confronto mediatico tra Gramellini e l’Arcivescovo di Torino sul deposito delle ceneri dei defunti (in casa propria oppure al cimitero: libertà individuale contro condivisione comunitaria del dolore), sia uno scambio locale di e-mail tra cattolici credenti riguardo ad Hallowen, di cui si biasimava il carattere mercantil-scherzoso e di importazione, rivendicando invece la bontà ed autenticità dei riti cattolici tradizionali (su cui ho purtroppo opportunità di ripasso in occasione dei funerali, dove mi pare di cogliere una modernizzazione della Chiesa, rispetto a modelli cultuali più macabri e ultra-terreni del passato).



Da sponde laiche ho letto la facile risposta “chi la fa l’aspetti”, riferita al vario sovrapporsi storico di feste e riti cristiani ai preesistenti feste&riti di altre religioni pre-cristiane.

Dentro a questo sovrapporsi stratificato nei secoli, negli ultimi decenni e dalle nostre parti la ritualità cristiana sembra perdere terreno rispetto ad usi e costumi consumistici (non solo Halloween: Natale, Pasqua, Ferragosto e tutte le stesse Domeniche), veicolati dai mass media e trainati dal principali modelli e produttori in materia, cioè gli USA, e quindi da una alternativa che è cresciuta all’interno di un mondo formalmente cristiano, ma fortemente secolarizzato e de-sacralizzato.

Mentre mi sembrano in disarmo tutti i tentativi di ritualità alternativa sorti in forme più antagoniste in Occidente, dal Settecento in poi, con matrici laico-socialiste o laico-nazionali: sia sul terreno più strettamente civile e politico (dal 4 novembre al 25 aprile al 1° maggio: gli ultimi 2 restano festivi, ma sono fruiti in prevalenza come ponti e week-end allungati), sia ancor di più nelle loro proiezioni sul terreno della sacralità, dalla Dea Ragione al Milite Ignoto, dai funerali civili  fino alle caricature dei “matrimoni comunisti” in voga negli anni ’70 tra i marx-leninisti di Servire-il-Popolo.



Si tratta comunque di processi non lineari, dove però mi pare che non vince chi sta fermo a difendere le trincee delle tradizioni in quanto tali, bensì chi le innova e contamina, dai Concertoni del 1° maggio alle Giornate Mondiali della Gioventù al cospetto del Papa, dai salmi e canti di Comunione e Liberazione alle iniziative molecolari di matrice ecologista, che trasformano la manifestazione in azione (puliamo qui e là, camminiamo parecchio, andiamoci in bici).



In questo ambito a mio avviso andrebbero monitorate specificamente le trasformazioni antropologiche che riguardano il “banchetto”, momento di congiunzione tra materia (cibo) e spiritualità (come già era in origine il rito cristiano poi confluito nella messa), non solo nella forma della identificazione collettiva (dove il parziale declino delle feste di partito è affiancato dalla continua crescita delle sagre locali, spesso fondate su “tradizioni” inventate ex-novo), ma anche nel fenomeno del culto della cucina, dei cuochi stellati, del prodotto genuino, che oltre ad imperversare in televisione,  permea di una nuova aura, quasi sacrale, anche il consumo privato, a casa ed al ristorante.