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mercoledì 18 novembre 2015

L'ENCICLICA "LAUDATO SI'" DI PAPA BERGOGLIO


L’Enciclica “Laudato sì”, emanata nel maggio 2015 da Papa Francesco, è stata trattata a mio avviso in modo alquanto superficiale dalla stampa generalista,  come uno dei vari aspetti innovativi della comunicazione di questo papato, senza coglierne le implicazioni profonde ed a suo modo rivoluzionarie; parimenti mi pare sia scivolata addosso senza conseguenze al mondo politico ed  al mondo cattolico (e quindi in particolare al mondo politico cattolico), che infatti non mostrano di dare avvio ad alcuna “rivoluzione”, nemmeno culturale.

Ed il limite principale della predicazione di papa Bergoglio è probabilmente proprio quello di non sviluppare, finora, gli strumenti per tradurre le sue parole in opere, né in gran parte della sua Chiesa (a partire dalla Curia romana), né attorno ad essa.

Tuttavia, stimolato anche dal riassunto pubblicato da Fulvio Fagiani sul sito www.agenda21laghi.it  (riassunto che allego IN APPENDICE, risparmiandomi la fatica di elaborarne uno mio), ho letto integralmente il testo dell’enciclica e l’ho trovato di grande interesse (anche per chi come me si colloca tra i laici-non-credenti) per i seguenti motivi:

1 – recepisce dalla scienza, con una apprezzabile umiltà, e con utile sintesi divulgativa, i termini attuali della crisi ambientale complessiva (e non solo climatica) del pianeta Terra;

2 – evidenzia le strette connessioni dei problemi ecologici con i problemi sociali, e cioè come i poveri (tanto nei paesi poveri quanto nei paesi ricchi) siano le principali vittime ad un tempo sia dello sfruttamento economico, sia del degrado urbano e ambientale; tanto che, riferisce Bergoglio, “i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il comandamen­to ‘non uccidere’  quando « un venti per cento della popolazione mondiale consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future generazioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere »”.

3 – sottopone, non solo ai fedeli, ma a tutti gli uomini, non credenti e credenti di ogni fede, la necessità di un piano di azione radicale per la salvezza del pianeta (ivi compresa la decrescita dei consumi opulenti), “prima che le nuove forme di potere derivate dal paradigma tecnico-economico finiscano per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia”;

4  - coglie i limiti e l’inefficacia di una “ecologia evasiva” e di facciata, da parte di governi e  imprese, che è prevalente in quanto è intrinsecamente diffuso, nel sentire comune dei paesi dominanti, il modello culturale consumista ed il mito della crescita infinita (malgrado l’evidenza delle crisi);

5 – tenta di fondare una nuova etica della sobrietà (derivante per i cristiani dai valori religiosi), da applicare anche a livello personale, ma finalizzata alla cooperazione solidale, arrivando ad esempio ad un utilizzo consapevole del potere collettivo dei consumatori; tale etica include anche le raccomandazioni pratiche per la vita quotidiana, che riproduco in appendice (e che non mi risulta siano ancora diventate pratica prevalente in ambito cattolico occidentale).



Di minor interesse operativo per i non-credenti, ma comunque rilevanti sotto il profilo culturale, sono ampie parti del documento, di impostazione più strettamente religiosa:
sia dove Bergoglio allinea a suo sostegno numerose citazioni dalle Sacre Scritture, dal pensiero di teologi e santi del passato (Francesco d’Assisi in primis) e soprattutto dalle encicliche dei suoi ultimi 4 o 5 predecessori e dalle conferenze episcopali di varie parti del mondo (con qualche citazione anche di testi laici),
- sia dove il Papa parla da Papa ed afferma apodittiche manifestazioni su questa terra della presenza di Dio, nelle persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (nonché della Sacra Famiglia), tutte convergenti verso l’eco-teologia.
Ad esempio : “Le Persone divine sono relazioni sussi­stenti, e il mondo, creato secondo il modello divi­no, è una trama di relazioni. Le creature tendono verso Dio, e a sua volta è proprio di ogni esse­re vivente tendere verso un’altra cosa, in modo tale che in seno all’universo possiamo incontrare innumerevoli relazioni costanti che si intreccia­no segretamente.

Mi convince meno il testo del Papa laddove, criticando la cultura consumista e sviluppista, ne individua le radici in un eccesso di antropocentrismo, diffidando nel contempo dal “bio-centrismo” di quegli ecologisti che pongono la natura al di sopra dell’attenzione per il benessere di tutti gli uomini
Anch’io, nel mio piccolo, vedo dei pericoli nel bio-centrismo, in quanto comunque interpretato da uomini e non direttamente dai lombrichi, dai batteri e dai fenicotteri (vedi un questo blog  la scheda su “Dellavalle: L’ecologia tra soggettività e fondamentalismo”, oppure la "pagina 1" del saggio sulla sostenibilità urbana).
Ma la condivisibile visione umanistica e rispettosa verso la natura, illustrata dal Papa, si fonda soprattutto nel rapporto (subordinato) dell’uomo con la divinità: “Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In questo modo finiremmo per adorare altre potenze del mondo o ci collocheremmo al posto del Signore, fino a pretendere di calpestare la realtà da Lui creata, senza conoscere limite”.
Pur rilevando che sono difficili e poco praticate le strade alternative al paradigma tecnocratico/sviluppista a partire dai deboli presupposti dei pensieri scettici e relativisti (di chi è agnostico o comunque non credente), mi permetto rispettosamente di rivendicarne la dignità concettuale.
Proprio perché non abbiamo certezze, nemmeno più sappiamo “ciò che non siamo e ciò che non vogliamo”, nella laica ricerca del bene comune ci viene difficile cadere nel delirio di onnipotenza che pone l’uomo al di sopra della natura.
Il riconoscimento dell’interdipendenza tra tutti gli uomini e dei fragili equilibri e squilibri degli ecosistemi, mi sembra possano essere premessa sufficiente per la cooperazione fraterna verso la possibile salvezza del pianeta.
Ben vengano le religioni a mettersi alla guida della necessaria e pacifica “rivoluzione” ecologica, vista l’esiguità delle forze non-religiose in campo (ed invece di incitare al reciproco sgozzamento come spesso hanno fatto, e talune tuttora fanno).
Ma nel perseguire l’idea di fratellanza tra tutti gli uomini, e tra gli uomini e gli altri viventi, mi pare che ci siano spazio e motivazioni per tutti, anche per i laici, gli agnostici ed i non credenti.

IL DECALOGO DELLE RACCOMANDAZIONI ECOLOGICHE QUOTIDIANE DI PAPA FRANCESCO

coprirsi un po’ invece di accendere il riscaldamento,
evita­re l’uso di materiale plastico o di carta,
ridurre il consumo di acqua,
differenziare i rifiuti,

cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare,
trattare con cura gli altri esseri viventi,
utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone,
piantare alberi,
spegne­re le luci inutili,
riutilizzare qualco­sa invece di disfarsene rapidamente.



ESTRATTO DA FULVIO FAGIANI SU ENCICLICA “LAUDATO SI’”


L’enciclica è articolata su un’introduzione e sei capitoli che delineano questo percorso:

1.    Quello che sta accadendo alla nostra casa. Si ricapitolano le principali emergenze ambientali e sociali e si stigmatizza la debolezza delle reazioni;

2.    Il Vangelo della creazione. Si ragiona sul ruolo della religione, rifacendosi a testi biblici e ad eminenti commenti;

3.    La radice umana della crisi ecologica. Si riconducono le due crisi, ecologica e sociale, viste come intreccio inestricabile, alla dominanza del “paradigma tecnocratico”, a sua volta manifestazione di una profonda crisi culturale;

4.   Un’ecologia integrale. La sfida complessa richiede una risposta di pari complessità, ecologica, sociale e culturale;

5.    Alcune linee di orientamento e di azione. Vengono proposte soluzioni puntuali, ricavate dal vasto campo dell’esperienza, ma soprattutto è condotta una critica sferzante al dominio dell’economia sulla politica e della finanza sull’economia e al mito della crescita illimitata;

6.    Educazione e spiritualità ecologica. E’ il tema della “rivoluzione culturale” sollecitata dal Papa, con l’invito ad uscire da individualismo e consumismo a favore di una “cultura della cura”.

Colpisce innanzitutto la modernità di un approccio alla crisi ambientale non settoriale, in cui ogni singola crisi (i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, l’inquinamento, ecc.) sono visti in modo integrato, come parti di un’unica azione di pressione esercitata sulle risorse del pianeta. Chi ha familiarità con la newsletter di Agenda21Laghi ricorderà il modello dei “confini planetari” molte volte richiamato, che esamina i nove processi biofisici essenziali per la vira sul pianeta.

La crisi ecologica, poi, viene associata alla crisi sociale, particolarmente all’inequità, come è proprio del pensiero più evoluto, che non a caso ha incoraggiato le Nazioni Unite a dar vita ad un sistema di obiettivi ambientali e sociali insieme, chiamati SDG (Sustainable Development Goals).

Le cause delle due crisi sono attribuite a fattori economici e politici, la dominanza del cosiddetto paradigma tecnocratico, che si fonda sulla potenza della tecnica e diffonde il mito della crescita infinita e le abitudini consumistiche. Il Papa si scaglia più volte contro questo pensiero, invocando il limite che deve essere opposto, la subordinazione della proprietà privata agli interessi pubblici, la necessità di riconoscere e proteggere i beni comuni.

E’ interessante osservare che anche nel capitolo più dottrinale, il secondo, le argomentazioni principali sono dedicate a confutare l’idea antropocentrica dell’uomo dominatore (“Noi non siamo Dio”) e a sottolineare il “valore intrinseco del mondo”. Sembra di ascoltare una lezione di Scienza del Sistema Terra (Earth System Science), che studia il pianeta come un sistema complesso, con le sue regole di funzionamento, non manipolabile a piacimento come invece vorrebbe la scienza economica corrente.

Le soluzioni indicate sono certamente quelle veicolate dal pensiero della sostenibilità (fonti rinnovabili, efficienza energetica, protezione, agricoltura sostenibile, e così via), ma accompagnate da limiti e vincoli posti all’operare economico, fino a propugnare una forma di decrescita nei paesi più ricchi per lasciare spazio alla crescita dei più poveri.

Anche la politica è chiamata alle sue responsabilità, con la sollecitazione ad una governance dei beni comuni e al rafforzamento delle istituzioni internazionali, vista la sottomissione degli Stati nazionali agli imperativi della finanza.

Trovo però che il cuore del documento sia il capitolo finale, il sesto, che reclama una “rivoluzione culturale”, una “conversione ecologica”. Una sollecitazione ad uscire dal dominio delle ideologie consumiste ed individualiste per approdare a nuovi stili di vita, ispirati alle virtù della sobrietà e della semplicità, a ricercare l’equilibrio con l’ambiente, con sé e con gli altri, ad impegnarsi nell’azione sociale con lo spirito di apertura al mondo che viene dal rendersi conto che viviamo in un pianeta interdipendente e che condividiamo con l’intera umanità (e con le future generazioni) un destino comune.

Non manca, infine, una strigliata ai cristiani, alcuni dei quali “spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi”, invitati a “rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello politico, economico, culturale - facendone la norma costante e suprema dell’agire”.

In poche parole: gesti quotidiani, grandi strategie, cultura della cura.

                                                                                Fulvio Fagiani




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