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venerdì 1 aprile 2016

TRIVELLE 2 - POSTI DI LAVORO

Mentre le indagini giudiziarie in corso a Potenza (che hanno già provocato le dimissioni della ministra Guidi), pur con tutto il dovuto garantismo verso gli imputati, dimostrano comunque la pericolosità e l’invadenza delle lobby petrolifere, la campagna di informazione sui referendum segna finalmente qualche punto in favore della chiarezza, che rende meno urgente il mio piccolo sforzo in materia.
Segnalo in particolare la scheda de L’Espresso (letta sul sito on line di Repubblica), neutrale e approfondita, il servizio di “La Nuova Ecologia” (magazine di LegaAmbiente), ovviamente di parte ma molto ben documentato, le schede di Luca Colombo sul sito di Agenda21Laghi.
Ritengo però utile approfondire la questione della perdita dei posti di lavoro, che secondo il fronte del NO/ASTENUTI ammonta a 5.000 compreso indotto) per la sottosegretaria Bellanova ed a 20.000 (10.000 più indotto) per Gianfranco Borghini del comitato “Ottimisti e razionali” (ambedue su l’Unità), di cui 2.700 solo a Ravenna, per il Sindaco (3.000 più altrettanti di indotto per il locale PRI); da parte del SI invece mi pare si sottovaluti il problema. Puntando a sostenere – in modo piuttosto generico - che per produrre altrettanta energia rinnovabile si determinerebbero andamenti occupazionali assai più favorevoli, cui aggiungere l’indotto turistico dei mari puliti, ecc. ecc.
Sono andato quindi a ricercare i recenti dati ISTAT del censimento imprese 2011, da cui ho ricavato che:
-         - in tutta Italia gli addetti ai settori ESTRAZIONE GAS E PETROLIO erano 13.323;
-     - di questi più della metà (7.420) impiegati nelle provincie di Milano e di Roma, notoriamente scarse di pozzi e ricche invece di attività di supporto: commerciali, direzionali, finanziarie di ricerca e di rappresentanza;
-        -  in Basilicata, Regione cui nel 2015 afferiscono  143 milioni di € di diritti petroliferi, su 163 circa per l’insieme delle regioni italiane (fonte La Stampa del 24-03-2016, elaborazione di dati ministeriali), gli addetti erano solo 312, il che conferma la caratteristica del settore come “ad alta intensità di capitale”;
-       -  in provincia di Ravenna gli addetti complessivi erano 686: solo una parte (un terzo?) di questi sono applicati alle piattaforme per estrazione di idrocarburi nelle acque territoriali, perché la provincia include anche pozzi in terraferma e soprattutto è la base per numerose piattaforme in mare aperto.
Poiché le piattaforme in provincia di Ravenna, se ho ben capito, sono circa un quarto di quelle attive in tutte le acque territoriali, la mia ragionevole stima sui posti di lavoro potenzialmente in pericolo è di 1.000 posti in tutta Italia (2.000 con l’indotto derivante da acquisti locali delle imprese estrattive per beni e servizi, e dalla quota di acquisti locali derivanti dai salari dei lavoratori interessati).
Pur non capendo da dove arrivino tutti gli altri posti di lavoro in pericolo sbandierati dai propagandisti del NO/ASTENSIONE, ritengo che il fronte del SI dovrebbe farsi carico maggiormente del problema, calcolandone la distribuzione del tempo rispetto alle scadenze delle concessioni (e proroghe comunque ammissibili), rispetto ai potenziali esaurimenti precoci di alcuni giacimenti ed ipotizzando più concreti scenari sulle dinamiche commerciali proprie del settore idrocarburi, sia spontanee, sia alterate dall’effettivo procedere della “decarbonizzazione” sottoscritta anche dall’Italia alla recente conferenza COP21 di Parigi (non solo energie alternative, ma anche eliminazione degli sprechi e contenimento dei consumi).

Nel bilancio di questi scenari occupazionali dovrebbe rientrare anche la tempistica degli ingenti lavori di smantellamento delle piattaforme e connesso ripristino ambientale, che le concessioni a termine collocano nell’arco dei prossimi 20-30 anni, mentre la loro proroga fino ad esaurimento dei giacimenti di fatto rinvia  a tempo indeterminato.

7 commenti:

  1. PERVENUTO TRAMITE E-MAIL
    Aggiungo solo un'osservazione: i posti non vengono messi immediatamente a rischio subito dopo il referendum, ma alla naturale scadenza delle concessioni, spalmata su molti anni da qui a venire.
    Inoltre la scadenza della concessione era già nota alle società concessionarie sulla base della Legge del 1993, poi modificata dallo sblocca Italia nel 2014, quando le concessioni erano già state assegnate.
    Quindi la durata dei posti di lavoro era già parte dei piani economici predisposti a supporto della richiesta di concessione.
    Ciao.
    F.F.

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  2. PERVENUTO TRAMITE E-MAIL
    Leggo sempre con attenzione le tue mail. Ho chiesto a un ex compagno di università, ex dirigente Agip, una contro lettura sui numeri. Te la giro.
    Buona giornata.
    C.C.
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  3. PERVENUTO TRAMITE E-MAIL. GIRATA DA C.C.
    Non ho dati per dirimere la discussione sui livelli occupazionali e comunque il dibattito è, secondo me, fuorviante, nel senso che se una attività industriale crea danni all’ambiente o alla salute va bloccata o se possibile messa in sicurezza ma non si può usare il ricatto occupazionale altrimenti ci troveremmo nella situazione di Taranto o paradossalmente dovremmo riaprire la Eternit! ( Ovviamente auspico che una classe dirigente responsabile si ponga il problema della ricollocazione dei lavoratori nel caso di fermo delle attività)
    Mi permetto solo di sottolineare una sciocchezza nella mail che mi hai mandato:” più della metà (7.420) impiegati nelle provincie di Milano e di Roma, notoriamente scarse di pozzi”. Io ho lavorato per 32 anni nel settore: un po’ a Milano, un po’ in giro per il mondo, ma sempre lontano dai pozzi! Questo per dire che certo sui pozzi sono in pochi che lavorano ma eseguono quello che hanno studiato e progettato centinaia di persone anche a migliaia di km di distanza.
    Ma torniamo al punto: la produzione di gas e petrolio dalle piattaforme entro le 12 miglia sta crendo danni all’ambiente o alla salute? Direi proprio di no visto, per citarne una, che sotto alle piattaforme ci allevano le cozze che vengono controllate dalle ASL prima di essere commercializzate e sappiamo tutti come le cozze drenino gli inquinanti eventualmente presenti.
    Allora perché si fa questo referendum? Lascio qui un attimo la domanda che riprenderò alla fine.
    I fatti sono: abbiamo dei giacimenti in corso di sfruttamento che non stanno creando problemi, sono in gran parte a gas e quindi una delle fonti più pulite, non richiedono neppure altre perforazioni ma vogliamo bloccarne la produzione. A me francamente sembra una grossa sciocchezza anche perché ho qui davanti la mia bolletta dell’Enel dove leggo che il 20% dell’energia che arriva a casa mia arriva dal carbone!!!! Carbone!!! Ma non dovremmo scendere tutti in piazza a chiedere che vengano immediatamente convertite a gas?
    No invece chiediamo che si impedisca la produzione dalle nostre piattaforme per poi naturalmente importare quel 10% che verrà a mancare facendo uso di un altro po’ di petroliere addizionali in Adriatico che certamente faranno un gran bene all’ambiente!
    Infine apro una parentesi su come il referendum sia mistificatorio addirittura nel nome che gli hanno dato i proponenti: No-trivelle. Intanto le trivelle sono un’altra cosa e comunque qui non si tratta di fermare delle perforazioni, ma una produzione che va avanti da anni. Però la parola trivelle colpisce l’immaginario collettivo, evoca un mare-gruviera, buchi che generano terremoti! Effettivamente “fermiamo la produzione” ha meno appeal!
    Veniamo alla domanda rimasta in sospeso. Una prima risposta è il conflitto fra poteri dello Stato: Governo e Regioni con quest’ultime che si sono sentite esautorate dal cosiddetto Sblocca Italia che le ha tolto queste competenze. E allora quale migliore occasione per i Consigli Regionali per cercare facile consenso a costo zero (pensano loro) e ergersi a paladini dell’ambiente e rifarsi un po’ di verginità, salvo poi andare a vedere quanto poi effettivamente fanno nelle loro Regioni a tutela dell’ambiente e della salute, a partire dalla gestione dei rifiuti, dei sistemi fognari e dell’acqua, delle lavorazioni pericolose etc etc.
    Un’altra risposta è che è facile prendersela con qualcosa che tanto si pensa che non ci tocchi: diverso sarebbe se ognuno dovesse rinunciare al 10% di carburante per la propria auto, 10% del riscaldamento, 10% di tutte le migliaia di derivati da idrocarburi (plastiche, collant, trucchi, filati sintetici, medicinali, 10% in piu di buche sulle strade etc etc).
    Certamente dobbiamo arrivare alla eliminazione delle fonti fossili, ma dobbiamo gestire con intelligenza la transizione perché problemi complessi raramente hanno soluzioni semplici e sicuramente mai soluzioni stupide.
    G.M.

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    1. Caro C.C.
      grazie per l'attenzione.
      Mi pare che sui numeri dei posti di lavoro il Tuo collega , in realtà, non smentisca nulla.
      Si stupisce del mio stupore per l'alta "terziarizzazione" del settore, confermando così indirettamente l'irrilevanza sostanziale dei posti di lavoro in loco.
      Per il resto espone sensati ragionamenti su aspetti su cui in buona parte mi ero già espresso nel mio post "TRIVELLE 1", che non so se gli hai esteso.
      Ciao
      Aldo

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  4. PERVNEUTO VIA E-MAIL
    Ciao Aldo
    Anche se non mi faccio spesso vivo , seguo con attenzione le tue analisi , con cui mi trovo , quasi sempre, in piena sintonia.
    Ti scrivo per esprimere un dubbio che mi è sorto leggendo la tua email ; è corretta o è una svista la data del 2001 riferita ai dati ISTAT del censimento imprese? Se in realtà i dati sono molto più recenti tutto quadra ; altrimenti alcune cose quadrerebbero poco, per esempio mettere in relazione gli addetti al settore petrolifero in Basilicata nel 2001 (312) con gli investimenti di 143 milioni di euro fatti nel 2015 , per trarne la conferma della caratteristica del settore come “ad alta intensità di capitale”.
    Ti sarei grato se mi chiarissi questo dubbio.
    Ciao D.D.

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    1. Caro D.,
      si tratta di un mio pesante refuso perché i dati sono del 2011.
      Ciao
      Aldo

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  5. PERVENUTO VIA E-MAIL
    Da considere anche i posti di lavoro persi negli ultimi anni e di quelli mancati nell' industria e nell'indotto del fv in Italia, mentre a livello globale nel 2015 gli investimenti in FER sono cresciuti del 5% sul 2014. (grande idroelettico escluso). (fonte Rapporto UNEP).
    R.S.

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