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giovedì 23 giugno 2016

DOPO I BALLOTTAGGI

Che il M5Stelle vincesse 19 ballottaggi su 19 contro il PD, raccogliendo su larga scala anche consensi da destra, al di là degli inviti di Salvini (senza contraccambiare più di tanto), non lo avevo previsto.
(Pur avendo percorso, da turista, il tragitto tramviario del 4 dalla periferia di Torino al centro e ritorno, come ora fanno i giornalisti, ed essermi meravigliato non tanto delle variazioni multietniche e sociali, ma del degrado degli spazi pubblici presso il parcheggio di interscambio all’uscita dell’autostrada Milano-Torino, mancanza di biglietterie tramviarie, vandalizzazione del punto informativo della Fu-Sindone: ho solo pensato che avrei continuato a raggiungere il centro di Torino in auto, e non che Fassino stava per perdere le elezioni).
Per il resto ho l’impressione invece che si stiano avverando tutte le previsioni*, mie e di molti “Gufi” malcontenti del renzismo, ma  - in questo momento n cui cresce quasi universalmente il livore anti-renziano (anche da parte di molti che l’avevano omaggiato, e inutilmente da parte chi già lo esecrava) - mi sembra superfluo ripetermi, e preferisco limitarmi, come utile riepilogo dei temi principali, ad allegare integralmente – per chi non l’avesse letta – la chiarissima intervista di Repubblica a Romano Prodi (su cui dissento solo a proposito di una individuazione un po’ generica della “classe media”), che rappresenta anche – a ragion di crisi nel contempo maturata – una compiuta correzione di rotta rispetto a taluni aspetti della politica economica e sociale degli ormai lontani governi Prodiani.
Anche D ’Alema denuncia alcune verità sull’attuale condizione e conduzione del PD, ma dette da lui suonano meno vere, perché mai preceduta dalle necessarie autocritiche riguardo alla sua conduzione della sinistra e dalla condizione in cui il suo gruppo dirigente l’ha lasciata.
Non so se Prodi avrà ascolto e se sia ancora possibile a breve termine una ricostruzione di un decente polo di centro-sinistra (e più a lungo termine di una sinistra adeguata ai tempi), però non credo che si debbano dare per scontate né la sconfitta del referendum costituzionale, né la marcia trionfale del M5Stelle (che ora  deve cimentarsi non solo con il governo vero di vere metropoli, ma anche con qualcuna delle sue contraddizioni politico-culturali di fondo), né ancora il tramonto politico delle destre, perché molti voti per il M5S ai ballottaggi sono intrinsecamente volatili, e la situazione mondiale nient’affatto stabile.


NOTA: * ad esempio: sulla disaffezione degli elettori verso la linea politica del PD e verso l’arroganza del Leader, sulla latitanza del PD nei territori, sull’evanescenza delle alternative di sinistra interne ed interne al PD, sull’interdipendenza tra amministrative e referendum.


INTERVISTA DI “REPUBBLICA” A PRODI – 21 GIUGNO 2016

"Cambiare politiche, non solo politici. Se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni". Quasi uno scioglilingua, ma condito con un sorriso ammiccante. Dal suo ufficio di Bologna Romano Prodi, padre fondatore del Pd in ritiro politico, osserva le elezioni di domenica, le maggiori città del paese governate da partiti che non esistevano fino a pochi anni fa, e manda un messaggio a Palazzo Chigi.
Esplode il mappamondo politico. Cosa sta succedendo?
"Non basta guardare il voto di questa o di quella città. C'è un'ondata mondiale, partita in Francia, ora in America. Lo chiamano populismo perché pur nell'indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l'insicurezza economica, la paura sociale e identitaria".
I populismi sono figli solamente di una crisi di paura?
"La paura di non farcela è tremenda ma non immaginaria. La chiami iniqua distribuzione del reddito, ma per capirci è ingiustizia crescente. Quando chiedo ai direttori di banca: quanti dipendenti avrete fra dieci anni?, mi rispondono: meno della metà. L'iniquità post-Thatcher e post-Reagan si è sommata alla dissoluzione della classe media, terribile tendenza di tutte le economie sviluppate e di mercato, e sotto tutti i regimi".
Cos'è classe media?
"Nel senso più ampio possibile, chiunque avesse una sicurezza anche modesta sulla propria vecchiaia e sul futuro dei figli. Ma il pensionato che diceva orgoglioso "io non ce l'ho fatta, ma mio figlio è laureato", ora non lo dice più. L'ascensore sociale si è bloccato a metà piano e dentro si soffoca".
I Cinquestelle gridano "onestà- onestà", sembra soprattutto una rivolta morale...
"La disonestà pubblica peggiora le cose, ma la radice è la diseguaglianza. Ci siamo illusi che la gente si rassegnasse a un welfare smontato a piccole dosi, un ticket in più, un asilo in meno, una coda più lunga... Ma alla fine la mancanza di tutela nel bisogno scatena un fortissimo senso di ingiustizia e paura che porta verso forze capaci di predicare un generico cambiamento radicale".
La rabbia poteva avere altri sbocchi politici, non crede?
"Quando il socialismo era all'opposizione appariva come la grande alternativa. Ma cos'è successo poi? Una fortissima omologazione delle politiche, da Clinton alle grandi coalizioni tedesche all'Italia... Non mi faccia dire del "partito della nazione", ma è chiaro che qualcosa del genere è accaduto anche qui".
Una politica uniformata fa nascere i populismi?
"No, lo fa una politica uniformata quando occupa tutto il campo, ma non sa dare soluzioni. Allora la rabbia della gente crea un altro campo. Se il voto diventa liquido, è per questo. Quando tu vedi che solo il centro storico delle città è rimasto ai partiti della sinistra... Vogliamo chiederci perché Trump è odiato a Wall Street e osannato dai metalmeccanici del Michigan? È un leader più europeo di quel che pensiamo, non è semplicemente reazionario ma tocca, certo in modo sbagliato, le paure reali del ceto medo".
Ma anche quando la politica tradizionale dà soluzioni, perde. Piero Fassino amareggiato dice che non basta più governare bene.
"Fassino ha governato bene, nessuno ne dubita, ma chiunque governi oggi viene identificato col potere costituito, ed è un bersaglio. Il gioco è molto più grande di un municipio, il problema è che alle grandi forze politiche nazionali manca un'interpretazione della storia e del presente".
Un problema di questa classe politica di governo?
"Non si tratta di cambiare i politici ma di cambiare politiche. Cambiare i politici è condizione necessaria ma non sufficiente".
Be', i politici di governo li abbiamo cambiati da poco.
"Se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d'anni... C'è sempre un'usura, e corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora. E al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e delle cause reali delle paure".
È un Pd de-ideologizzato chenon ha queste risposte?
"Rifiutare le strettoie delle ideologie è diverso dal non avere radici e risposte fortemente orientate. Non abbiamo un Keynes, un progetto per uscire in modo collettivo dalla crisi. Quando governi, devi dare operativamente il messaggio che sai affrontare i problemi, e questo non lo puoi fare senza il coinvolgimento di una forte base popolare nel cambiamento delle politiche. Devi dimostrare di capire e di andare incontro ai problemi. Il rinnovamento per il rinnovamento non è una risposta sufficiente".
C'entra anche la personalizzazione della politica? Paradossalmente, quando Grillo si eclissa i Cinquestelle vincono, mentre il Pd, dove Renzi "pone la fiducia", soffre...
"Di fronte alla crisi la prima risposta è sempre quella della forte personalizzazione, sia da parte dei governi che dei populismi. Ma dura poco, perché la realtà la mette alla prova dei fatti. La gente vota i politici perché spera che cambino le cose, la personalizzazione è un riflesso. Infatti in queste elezioni hanno vinto dei volti sconosciuti. La personalizzazione non regge se non cambia le cose, o non dà almeno la speranza concreta di poterle cambiare".
I trionfatori di queste elezioni vincono perché danno questa speranza?
"Hanno risposte emotive e confuse, semplici motti specifici su angosce specifiche, via gli immigrati, punire le banche, ma neanche una riga che spieghi come potrebbero fare. Ma il loro vantaggio è un altro: sanno adattarsi alle paure. Questi movimenti nascono in genere molto di parte, orientati, partigiani. Hanno un certo successo poi si fermano, perché le loro soluzioni mostrano un limite ideologico. E allora si allargano da destra a sinistra e da sinistra a destra. Marine Le Pen è stata la prima a capire i limiti di un populismo di parte, e ha "ucciso il padre". In quel momento è diventata una potenziale presidente della Repubblica francese. In Italia sta succedendo la stessa cosa".
È il limite che ha cercato di superare Salvini?
"Ma prima di lui è arrivato il Movimento Cinquestelle. Hanno capito per primi che bisogna cavalcare la protesta, non una protesta. Guardi il loro atteggiamento sull'immigrazione: prese di posizione così inafferrabili da poter essere interpretate sia in senso di destra che di sinistra. E dalle analisi che leggo, ha funzionato: prendono voti anche fra gli anziani delle periferie metropolitane, i ceti deboli tra i quali la paura dell'immigrato è più forte".
Professore, lei si tiene lontano dalla politica italiana, ma qui c'è una morale, no?
"Progetto e radicamento popolare. Il cambiamento possibile, fatto entrare nel cuore della gente. Il solo ad averlo capito è papa Francesco"

21^ TRIENNALE

Ho visitato due tra le principali mostre che caratterizzano questa 21^ Triennale, dopo 20 anni di sospensione, e sono rimasto abbastanza perplesso.
W. Women in Italian Design - Design Museum Nona Edizione“ a cura di Silvana Annichiarico, dopo una affascinante ma ambigua sala/gineceo di “pizzi e merletti” (le abilità tessili ovvero il  confino in cui a lungo è stata relegata la donna, non si capisce se rivendicato o da vendicare) espone, meritoriamente, oggetti di design realizzati in Italia da donne negli ultimi 100 anni (e cioè: quasi nulla e per lo più bambole e ninnoli fino agli anni ’50; poco dai ‘50 agli ’80, e spesso esibendo un paio di cognomi, di cui uno maschile; molto solo dopo il 2000), ma senza un raffronto (neanche numerico o riassuntivo) con l’altra (e finora preponderante) metà maschile del cielo, per cui risulta difficile capire il vero peso quantitativo e qualitativo della componente femminile nella storia nazionale del disegno industriale (ad esempio: quante donne  laureate nel settore nei vari anni e quante di loro affermate nella professione?; oppure quali evoluzioni grazie alle donne/progettiste sono emerse nelle tipologie dei prodotti, nelle soluzioni progettuali, nel modo di progettare e di produrre?).
Guardando gli oggetti esposti relativi agli ultimi decenni, e ripensando all’insieme del Museo del Design attualmente collocato alla Villa Reale di Monza (e sempre diretto da Annichiarico), mi sembra di capire che i designers di ambedue i sessi si stiano perdendo nella progettazione di cose inutili, intercambiabili con moda&arte, per clienti ricchi e annoiati, mentre il popolo – me compreso - va all’IKEA (e ci trova cosa in prevalenza utili e spesso ben disegnate, ma all’estero) oppure a Conforama (eccetera) e ci trova cose, sempre abbastanza utili, meno ben disegnate, che costano un po’ meno, e di cui la Triennale comunque non si interessa, anche se riempiono le case degli italiane e delle italiane, e ne condizionano gli stili di vita.
Allettanti, ma di dubbia scientificità, i temi dell’ultima sala, con schemi e test su cervello e percezione maschile/femminile e su e gli embrioni di analisi statistiche su pochi dati numerici relativi alla facoltà di Disegno Industriale del Politecnico di Milano.
STANZE. Altre filosofie dell’abitare a cura di Beppe Finessi, si compone di due parti:
-          La prima è una ampia ma superficiale carrellata, con una sola foto di una porzione di casa arredata (talora porzioni non significative) per ogni autore, riferita ai progettisti di interni italiani degli ultimi 80 anni   
-          La seconda è una rassegna alquanto delirante di “soluzioni abitative” realizzate specificamente in sito da autori contemporanei, accompagnate da testi ancora più autoreferenziali e deliranti (le “filosofie”), con la sola eccezione di una sorta di “bungalow per studenti”  proposto da Umberto Riva, un vecchio maestro che mostra ancora un ancoraggio con la realtà;
-          vecchio maestro è ormai anche Alessandro Mendini, che ha avuto il merito di svecchiare il clima negli anni ‘70/’80 con spiritose e simpatiche provocazioni, ma non capisco che senso abbia oggi – mentre 70.000 persone vagano senza-casa per le città italiane (e mentre la situazione carceraria continua ad essere più penosa che semplicemente penale) -  annunciare che lui si sente un po’ imprigionato e quindi impiega il suo stand per rappresentare una condizione di invivibilità in stile optical/ossessivo (una stanza a violente bande bianco-nere con feroce illuminazione): abbiamo ancora bisogno di simili provocazioni?
-          mentre Carlo Ratti(e Associati), giovane maestro di smart-city, presenta un mobile assemblaggio di sgabelli imbottiti, comandabile però da remoto smartphone (che utilità può avere, al di là di un single, che a metà serata, programmi di aver piacere al suo rientro di un divano ad una piazza piuttosto che a 2 o più piazze?);
-          l’unica istallazione con un cenno di attenzione alla tematica del cambio climatico e del risparmio energetico, --, si limita a recepire l’esistenza di moderni film fotovoltaici, e li spalma in fasce parallele su pareti esterne totalmente vetrate (che a mio avviso rendono invivibile lo spazio per usi residenziali, mancando ogni controllo su luce esterna e visioni dall’esterno), con dentro un arredo del tutto indifferente a clima/risorse/rinnovabilità.
Capisco e rispetto la libertà di ricerca e di espressione, l’impossibilità di definire confini tra architettura ed altri arti, ecc. ecc. (e anche il peso della progettazione e progettazione di oggetti di lusso nel PIL di Milano, Monza e Brianza) ecc. ecc., ma mi chiedo anche se questa rassegna rappresenta la progettazione di interni in Italia oggi: perché in tal caso significa che nessuno si preoccupa di cosa sta progettando, per chi sta progettando, di quali sono i problemi delle persone comuni, tanto in Italia quanto peggio nei paesi emergenti ed in quelli in via di sommersione, e di come cambieranno nei prossimi decenni, tra crisi economica e crisi ecologica.

Nel mio piccolo non mi sono mai occupato di interni in quanto tali, se non per arredare sobriamente edifici pubblici (oppure casa nostra), ma sono abbastanza fiero, come architetto e funzionario, di avere speso il mio tempo per fognature, semafori, marciapiedi, cimiteri, case popolari, centri sociali ed altre cose più utili alla comune umanità.

mercoledì 15 giugno 2016

ASPETTANDO I BALLOTTAGGI


L’andamento del primo turno delle elezioni amministrative è stato ampiamente analizzato, e poco mi pare di poter aggiungere, aspettando i ballottaggi per vedere se prevale qualche linea di tendenza nazionale, oltre alla crescita dell’astensionismo ed alle non-vittorie finora collezionate da tutte le forze in campo:

-          ha non-vinto il PD, pur mantenendo numerosi sindaci e molte poll-position per i ballottaggi, ma non a Roma (e Napoli) e nemmeno in diverse città dove ripresentava il sindaco uscente (non solo Trieste: ad esempio qua attorno a Gallarate, Novara, Domodossola, Trecate);

-          anche se oggi Renzi intende festeggiare la soppressione della tassa sulla prima casa, non ha guadagnato al centro (dove abitano tra l’altro anche i cattolici contrari alle “unioni civili”) i voti persi a sinistra (innanzitutto per la linea su pensioni e lavoro, dal governo Monti in poi), e finiti innanzitutto nell’astensione (anche per la fine di ogni prospettive di centro-sinistra, al di fuori di Cagliari),

-          ha non-vinto la “sinistra di testimonianza” di fu-SEL e Fassina, che ora si candidano, in alcune città, come “testimoni” delle nozze elettorali tra Grillo e Salvini;

-          ha non-vinto il M5S, malgrado i successi di Roma e Torino, perché essere assenti in gran parte dei Comuni ed in calo quasi ovunque una loro lista era presente, non indica al momento alcuna consistenza di prospettiva nazionale;

-          hanno non-vinto pure i duellanti della destra, Salvini&C e Forza Italia, anche perché nessuna delle due versioni ha perso abbastanza da lasciare il campo libero all’altra, e nessuna ha vinto qualcosa di importante da sola, rinviando quindi ancora il difficile problema della ristrutturazione complessiva dello schieramento di centro-destra (se intende unirsi, come l’Italicum di fatto imporrebbe).

Diversi osservatori si sono esercitati in analisi socio-territoriali del voto, rilevando l’ulteriore indebolimento del PD nelle periferie e tra i ceti subalterni, e ricavandone anche qualche conferma alle teorie del superamento della polarizzazione destra/sinistra in favore di più moderne topologie, tipo sopra-sotto, dentro-fuori, cui si avvicina abbastanza la retorica del M5Stelle sul conflitto “Casta/Cittadini”.

A mio avviso la profonda crisi dell’offerta politica delle tradizionali sinistre europee può suggerire utilmente nuovi criteri di lettura delle contraddizioni sociali, ma non escluderei che la domanda di giustizia e di uguaglianza possa trovare nuove risposte ancorate a sinistra, come in parte appare in Spagna, Portogallo, Grecia (Francia?).

Comunque vadano i ballottaggi, dopo il primo turno delle comunali e dopo le regionali del 2015, almeno in Italia si potrà discuterne senza la fastidiosa cantilena sul successo renziano del 40% alle elezioni europee dell’ormai lontano 2014; e forse torneranno a ragionarne anche i sostenitori di Renzi, finora monolitici.

ANTONIO SCURATI E LA LEALTA’ DELL’OCCIDENTE


Malgrado gli sforzi, faccio un po’ di fatica ad identificarmi con l’Occidente Leale (contro l’Astuto Oriente), come riassunto da Antonio Scurati in un ambizioso articolo su “La Stampa” del 5 giugno 2016: secondo l’accademico e scrittore, ci sarebbe una continuità nel modo di concepire la guerra tra il mondo greco-romano ed il moderno occidente, fondato sullo scontro frontale, e sulla sua mitizzazione, mentre il nemico orientale, dai Persiani agli Achemenidi ai Parti (e poi via via al mondo islamico) “predica e pratica la violenza ingloriosa, la tattica dilatoria, l’attacco fraudolento, ecc. ecc.” .

Rilevo innanzitutto la scorrettezza scientifica di individuare le due linee di continuità, sia a Occidente, dove le radici greche e romane si sono mischiate parecchio con i precedenti celti, con gli antichi influssi sud-orientali – giudaici, fenici, egizi -  e con le successive invasioni da nord-est – germani, goti, normanni, slavi -, sia a Oriente, dove l’egemonia “meridionale” degli arabi ed i successivi apporti turco-ottomani (da un oriente assai più remoto) hanno radicalmente scalzato le antiche culture mesopotamiche e persiane.

Inoltre, nella stessa didattica aneddotica della mia infanzia, rammento l’importanza di miti guerreschi, occidentali e vincenti, alquanto alternativi alla esaltazione del puro scontro frontale in campo aperto, a partire dal Cavallo dell’Astuto Ulisse (contro il Troiano Orientale) e dal Taglio dei Papaveri suggerito da Tarquinio il superbo al figlio Sesto (in pratica l’assassinio politico dei capi delle forze nemiche, previa fraudolenta infiltrazione nelle loro file), dalla Furba Fuga Tattica dell’ultimo degli Orazi contro  i cugini Curiazi (un po’ più orientali, della vicina Albalonga) fino a Quinto Fabio Massimo il Temporeggiatore, che logorò il fenicio-africano Annibale evitando il più possibile la battaglia campale.

Guardando poi alla storia della supremazia occidentale nel suo insieme, crescendo ho imparato parecchi trucchi e slealtà (non sempre rivendicate, ma comunque praticate) contro nemici medio-orientali ed altri, sia nella fase delle Crociate (ad esempio il saccheggio della Bisanzio, orientale ma cristiana, nel 1204, e le promesse infrante dai Re Cattolicissimi di Spagna  ai danni dei Moriscos, dopo la resa di Granada nel 1492), sia in fase coloniale (da Cortes e Pizarro al generale Custer, dalle Compagnie delle Indie britannica e olandese alla Guerra dell’Oppio, e giù giù fino al generale Graziani in Libia ed in Etiopia), sia ancora in fase neo-coloniale (dalla caduta di Mossadeq a quella di Allende);  e ritengo che appartenga all’Occidente anche la mitologia della Resistenza anti-fascista ed anti-nazista, che non si fonda certo sulle “battaglie campali”, mentre purtroppo lo stesso nazi-fascismo è sorto in Occidente, e si è vantato di olio di ricino e campi di sterminio, verso nemici inermi.

Ferme restando le slealtà e ferocie degli opposti campi, penso ce ne sia abbastanza per poter capire, condannare ed esecrare il terrorismo jihadista sunnita (se questo era lo scopo di Scurati), senza però mistificare la storia dell’Occidente, che di tale terrorismo è una delle vittime (insieme a Sciiti, Yazidi, Curdi e chi altro capita  a tiro e pretende di dissentire).  

giovedì 2 giugno 2016

URBANISTICA N° 154


Il terzo numero della serie di “Urbanistica” con direzione Oliva, pur molto interessante, mantiene abbastanza poco la promessa di occuparsi più della città (europea) che dei “piani”.

Così è infatti:

-          per la commemorazione di Bruno Gabrielli, perché il delicato e avvincente racconto di Paolo Fusero tratta più di Piani travolti da cambi di maggioranze comunali (Piacenza, Parma) che non dei Piani attuati o dell’esperienza decennale di Gabrielli a Genova come Assessore (colgo l’occasione per aggiungere il mio piccolo personale ricordo di Gabrielli come comunicatore chiaro, concreto e assai poco presuntuoso, in vari convegni dell’INU, così come appariva anche dai suoi testi);

-          per gli articoli sui “piani di rigenerazione” proposti da Arturo Lanzani in Brianza, fondati sulla ricucitura dei margini tra urbano e “ambientale”, e da Carlo Gasparrini in varie località del Centro-Sud, assumendo il paesaggio come chiave di ricomposizione progettuale, ed a maggior ragione per il commento di Bertrando Bonfantini che li accompagna, ravvisandone una svolta di paradigma rispetto al modello di Piano conforme allo “schema INU”, ormai codificato da un serie di manuali (sempre parlando di Piani, dalle riflessioni di Lanzani su Desio e Monza, che si aprono in parte anche ad una rivisitazione della figura sociale/politica degli urbanisti ed ai limiti della legislazione regionale lombarda, mi sarei aspettato un maggior approfondimento critico sulla esperienza del primo ciclo dei Piani di Governo del Territorio in Lombardia, ed in particolare sulle diverse versioni del primo PGT di Monza, avviato da Massimo Giuliani con il criterio della “selezione-concorsuale” tra possibili ambiti di trasformazione, ampiamente illustrato in incontri e riviste dell’INU) ;

-          per gli interventi di Calavita e Coppola sul prelievo “laterale” sulla rendita urbana attraverso le peculiari forme locali dell’urbanistica contrattata negli USA, sia perché per l’appunto si parla di America e non di Europa (come invece sul tema rendita fanno più avanti Munoz e Cuadrado), ma anche perché si espongono casi in fase progettuale più che non nelle successive fasi di attuazione e gestione;

-          ed in parte anche per il servizio centrale sul rischio sismico, perché, pur riferendo concretamente i diversi esiti parziali dei processi di ricostruzione in Abruzzo ed in Emilia, l’accento è posto soprattutto sul mancato utilizzo operativo degli specifici contributi offerti dagli urbanisti (in particolare per L’Aquila) e sulle difficoltà del recupero dei centri storici emiliani, pur nell’ambito di un successo complessivo degli altri aspetti di questa vicenda di rapida ricostruzione.

A partire dai temi di fondo di questo numero di “Urbanistica”, attinenti alla ricerca di una maggior “resilienza” nell’auspicata “rigenerazione urbana”, mi appare opportuno connettere alcune proposizioni emergenti da singoli articoli:

-          Stefano Storchi, nel riassumere l’esperienza di Bruno Gabrielli alla guida (trentennale) dell’ANCSA - Associazione Nazionale Centri Storici – ne ricordava la soddisfazione per avere vinto come Associazione, dal 1960 al 2010, la battaglia culturale per l’idea della salvaguardia dei tessuti storici, e nel contempo la preoccupazione per le difficoltà di rendere effettiva tale salvaguardia sul terreno concreto della manutenzione, dalla ri-progettazione funzionale, della gestione;

-          Federico Oliva evidenzia un ulteriore grado di importanza della ri-progettazione per comparti (impiantistica, energetica, catastale e funzionale, oltre il “dov’era e com’era”) per una efficace recupero dei centri storici colpiti dai terremoti;

-          Scira Menoni, in forma più scientifica, e Giuseppe Campos Venuti, in forma memorial-anedottica, richiamano la qualità culturale acquisita nelle esperienze italiane di ricostruzione post-terremoti ed anche di prevenzione del rischio sismico;

-          L’intervista di Federico Oliva al prefetto Franco Gabrielli, evidenzia invece la sproporzione tra quanto l’Italia spende ogni anno per la riparazione dei danni derivanti dai terremoti (oltre 3 miliardi di €, che includono l’adeguamento anti-sismico dei territori colpiti), il poco che investe per la prevenzione nei restanti territori (3 miliardi di € in 30 anni, destinati alla classificazione dei rischi ed al rafforzamento di edifici strategici quali scuole, ospedali ecc.) e l’enorme importo che avrebbe un programma integrale di messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico e privato (centinaia di miliardi di €).
Un programma che – anche attuandolo gradualmente, ma sul serio, cioè in 20 anni ad esempio, e non in un secolo -  comporterebbe il capovolgimento di priorità tra consumi e investimenti, tassazione e debito pubblico, e che la società italiana (prima ancora dei partiti che la rappresentano) non mostra affatto di volersi prendere in carico (le cose stanno un po’ meno peggio, a quel che ho capito, nella sproporzione tra bisogni e risorse sul fronte dei rischi idrogeologici, dove comunque finora pesa una rilevante inefficienza nella attuazione dei programmi delineati): il che a mio avviso vanifica nella sostanza gran parte della bontà culturale accumulata  in materia di resilienza, di rigenerazione urbana e di salvaguardia del patrimonio storico.

CONSULTAZIONE RISERVATA DELLE BOZZE DI TRATTATO DI LIBERO SCAMBIO TRA EUROPA E U.S.A.: SI SFIORA IL RIDICOLO SU UN TEMA ESTREMAMENTE SERIO




Trascrivo tre estratti da “La Repubblica” del 30 e 31 maggio, rilevando che della notizia non ho trovato traccia su altre testate come “Il Fatto”, “La Stampa”, “LUnità”:

REPUBBLICA – 30-05-16 – GIULIANO BALESTRERI

Il Trattato più segreto del mondo diventa pubblico. Da oggi, infatti, parlamentari e funzionari governativi italiani possono prendere visione dei documenti riservati relativi al Ttip (il trattato di libero scambio tra l'Unione europea e gli Stati Uniti) presso la sala di lettura istituita al ministero dello Sviluppo economico. Esattamente come è già successo presso il Parlamento e la Commissione europea: "Vista la grande richiesta di permessi per accedere alla sala lettura" il Mise si dice disponibile anche a prolungare l'orario di consultazione rispetto a quello attuale e ad incrementare le postazioni disponibili. Tuttavia restano le restrizioni imposte a Bruxelles: "Coloro che accedono - spiega il Mise - sono tenuti a rispettare le regole di sicurezza e a non introdurre nella sala lettura cellulari, smartphone o altri dispositivi in grado di riprodurre o registrare immagini o parole". In sostanza si potranno prendere appunti, ma non si potranno riprodurre in alcun modo i contenuti visionati.



REPUBBLICA – 31-05-16 MONICA RUBINO CON INTERVISTA ALLA DEPUTATA M5S SILVIA BENEDETTI

Ma come si svolge il "rituale" della lettura? "I carabinieri ti accolgono all’ingresso della sede del Mise, in via Veneto, e ti accompagnano in una stanza dedicata con quattro scrivanie numerate -racconta la deputata cinquestelle- Su ogni scrivania ci sono solo dei fogli e una penna. Prima di entrare bisogna consegnare tutto, compreso il cellulare. Al massimo ti concedono di tenere fazzoletti per il naso. Non si possono fare fotografie o fotocopie, soltanto prendere appunti in modo rapido e sommario. Non è concesso infatti trascrivere interi paragrafi. Non si viene lasciati soli ma si sta per tutto il tempo sotto la sorveglianza di un funzionario.”



REPUBBLICA – 30-05-16 – GIULIANO BALESTRERI

Il testo consolidato [dovrà] avere il via libera del governo americano e della Commissione europea. Ottenuto l'ok la palla passa negli Stati Uniti al Congresso - che ancora sta tenendo fermo il Tpp, il trattato tra gli Stati Uniti e i Paesi del Pacifico -, mentre in Europa serve il voto favorevole del Parlamento europeo, del consiglio dei ministri e di tutti i 28 Parlamenti nazionali. Basta il voto contrario anche di un piccolo Paese come l'Austria o la Grecia per affossare tutto.



COMMENTO

La complessa procedura di questa ipotesi di trattato internazionale (che include potenziali enormi conseguenze sull’economia e la vita dei popoli interessati, dall’alimentazione al controllo sui dati, e indirettamente sui rapporti tra paesi sviluppati e paesi poveri) comporterà necessariamente la massima trasparenza in fase di ratifica, quando però governi e parlamenti potranno solo approvarlo o disapprovarlo a scatola chiusa.

A chi giova la questa semi-seria semi-segretezza sulle posizioni negoziali intermedie (per altro già rivelate da Wikileaks)?

A mio avviso una maggiore apertura della consultazione (almeno sullo standard che si applica alle direttive comunitarie europee), oltre ad essere in sè democratica, consentirebbe anche un processo inclusivo utile alla eventuale approvazione di un buon trattato, riducendo i rischi di bocciatura in un singolo parlamento, oppure ad un meditato rigetto dell’intera partita, senza inutili ulteriori contorcimenti, se emergesse con chiarezza una larga opposizione delle opinioni pubbliche  su alcuni aspetti fondamentali della trattativa (mi riferisco ad esempio alle pretese americane contro le normative europee di qualità su cibi e salute, con riserva di approfondire gli altri delicati argomenti nel merito della questione, come in parte già avviato in passato).