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domenica 24 luglio 2016

PANARARI E L'ISLAMO-FASCISMO

Su “La Stampa” del 20 luglio, Massimiliano Panerari, commentatore abitualmente acuto, ma forse con troppa ambizione di sembrare brillante, indossa i panni delle “scienze sociali” proponendo per l’ISIS la definizione di “islamo-fascismo”, fondata su un serie di analogie con il nazifascismo europeo tra le due guerre mondiali, analogie che così riassumo:
- rigetto della modernità illuminista, ma utilizzo del suo portato tecnologico
- totalitarismo ed aggressività geo-politica
- esaltazione della violenza, della morte e della “bella morte” degli eroi
- disprezzo per l’arte (degenerata)
- simbologia funerea (con predilezione per il colore nero).

Non so quanto aiuti questa definizione per comprendere e combattere lo Stato Islamico, ma non sono per nulla convinto della bontà di gran parte delle analogie proposte:
-          in società dove l’illuminismo era nato e si era sviluppato nel quadro di una più ampia secolarizzazione, il nazi-fascismo europeo è maturato come contrapposizione alla corrente laica (ma anche neo-religiosa) del social-comunismo, estrema incarnazione del giacobinismo: la reinvenzione di ascendenze religiose pre-cristiane da parte del solo nazismo tedesco fu una operazione piuttosto artificiosa, anche se non marginale; il fondamentalismo islamico invece affonda le sue radici nella continuità di una  religione tradizionale, che ha pure attraversato fasi di tolleranza, ma senza misurarsi con la moderna laicità se non nelle forme, non sempre gradevoli, importate dal colonialismo europeo: e questo purtroppo  è un suo specifico duplice punto di forza (la radicalità di una religione comune a popoli solo recentemente de-colonizzati)
-          la “bella morte” degli eroi di stampo dannunziano è una sorta di sfida, che il super-uomo spera di evitare, mentre per i fondamentalisti islamici il martirio suicida è proclamato in quanto tale, proprio per la sua natura religiosa ultraterrena (il paradiso per il  martire, con le numerose vergini a perenne sollazzo, ecc.);
-          il nazismo era contro l’arte “degenerata”, ma santificava il classicismo  ed il romanticismo rurale (il fascismo era assai più eclettico), mentre il fondamentalismo islamico mi pare che estenda all’arte unicamente criteri di intolleranza religiosa;
-          (le camicie hitleriane erano brune e non nere).
Resta in piedi la categoria del “totalitarismo aggressivo”: la vedrei bene come definizione comune al nazi-fascismo ed al fondamentalismo islamico (ma anche ad altri fenomeni storici, da Gengis Khan a Stalin, senza trascurare, ad esempio, Filippo II di Spagna), più utile di quella proposta da Panarari. 


   

domenica 10 luglio 2016

ERMANNO VITALE: UN ILLUMINISTA CONTRO IL BENE-COMUNISMO

Il volumetto “CONTRO I BENI COMUNI – UNA CRITICA ILUMINISTA” di Ermanno Vitale (filosofo/giurista allievo di Norberto Bobbio) – Editori Laterza 2013 pagg. 124 – costituisce una sorta di contro-proclama rispetto a “BENI COMUNI - UN MANIFESTO” di Ugo Mattei (Laterza 2011) e più in generale contro la pubblicistica e le posizioni dei “bene-comunisti”, la cui radice ideologica Vitale ravvisa soprattutto nel Toni Negri (con Michel Hardt) di “Impero” “Moltitudine” e soprattutto di “Comune. Oltre il privato e il pubblico” (Rizzoli 2010).
Se la polemica Vitale/Mattei risulta un po’ datata al 2011/2013, con il rilievo che il vittorioso referendum sull’acqua conferì al “bene-comunismo”, ed il tentativo politico di A.L.B.A. (Alleanza Lavoro BeniComuni Ambiente), poi confluito (con poco successo) nella lista “L’altra Europa con Tsipras”, la tematica mi sembra comunque attuale, perché la bandiera dei “BeniComuni” è talora sollevata da movimenti di lotta ed occupazione, più o meno antagonistici, e perché alcuni argomenti sopravvivono un po’ confusamente nella non-ideologia del Movimento5Stelle (di cui non a caso Mattei si è dichiarato sostenitore alle recenti elezioni comunali di Torino).
Il testo è molto chiaro e molto denso, per cui mi è difficile riassumerlo puntualmente e con altrettanta efficacia: comunque ci provo.
Il professor Vitale sottopone a stringente critica “Un Manifesto” di Mattei, pur imbattendosi in difficoltà linguistiche e concettuali, perché il pensiero “olistico” dei beni comuni tende strutturalmente a sfuggire alla logica giuridica e filosofica di stampo illuministico, rifiutando già la distinzione tra soggetto ed oggetto ed attribuendo priorità invece alle relazioni circolari: talché è difficile delimitare il campo degli stessi “beni comuni”, che possono essere materiali (come la famosa acqua, l’aria, il cibo), oppure immateriali, come la rete, il sapere, fino - immagino – alla “felicità”, anche se la loro qualità politica, da conquistare, è quella di differenziarsi sia dai “beni privati” che dai “beni pubblici”, gestiti dall’esecrato “Stato” (e dai partiti che lo hanno lottizzato).
Ancor più sfuggente risulta la prosa assai dialettica e letteraria di Negri&Hardt, dove, rileva Vitale, “comune” è ad un certo punto “la città” ed in altro punto “la natura”, per cui per proprietà transitiva città e natura sarebbero uguali, mentre l’insofferenza delle “moltitudini” può generare indifferentemente riforme o rivoluzioni.
Vitale preliminarmente cerca di smontare l’ascendenza del bene-comunismo nel pensiero di Elinor Ostrom, premio Nobel 2009 per l’economia (e in particolare per i suoi studi sui beni comuni), perché la Ostrom, secondo Vitale, ha ben evidenziato il carattere particolare (e non generalizzabile) delle esperienze di autogestione di beni comuni e soprattutto la non-universalità dei beneficiari e quindi la tendenziale presenza di fenomeni di esclusione (parimenti Vitale contesta la visione di Garret Hardin come effettivo nemico del bene-comunismo); inoltre approfondisce la questione storica delle “enclosures”, le recinzioni che misero fine ai pascoli e boschi comuni nell’Inghilterra tardo-medioevale, evidenziando come non vi fosse alcun egualitarismo tra i titolari dei precedenti diritti, bensì feroci differenze di potere e di reddito, in un quadro complessivo di bassa produttività agricola, e quindi di miseria per i più poveri. preoccupandosi soprattutto di evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista non coincidono con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.



Contro la mitologia nostalgica delle comunanze medioevali, Vitale schiera anche Marx ed Engels, sia per le specifiche affermazioni sulle “enclosures”, sia per la visione complessiva della borghesia come classe emancipatrice e disvelatrice dello sfruttamento di classe (prima occultato dalle ideologie religiose e corporative dell’ancien regime) nonché Stefano Rodotà, giurista interessato all’evoluzione ed estensione dei diritti di accesso universale ai beni fondamentali della persona ed anche alla articolazione costituzionale tra beni pubblici e beni comuni (con sana diffidenza verso le nebulose descrizioni dei nuovi beni immateriali) , ma comunque preoccupato sia di prevenire tendenze alla esclusione di soggetti deboli nella fruizione di specifici beni (che anche a mio avviso è il limite delle pratiche di occupazione, se vanno oltre la fase di una lotta dimostrativa) sia di garantire la titolarità individuale dei diritti.
Vitale riporta anche, traendoli da articoli su “Il Manifesto” nel 2012, severi giudizi contro il bene-comunismo da posizioni marxiste o post-marxiste, quali quelle di Rossana Rossanda, Alberto Asor Rosa e dello stesso Guido Viale, che in sostanza vedono nella concezione comunitaria di Mattei&C.un sostanziale interclassismo, che nasconde nell’apoteosi della riappropriazione locale dei beni-comuni i conflitti tra i diversi soggetti sociali
Per parte sua Vitale (ricostruendo in breve la storia del pensiero giuridico, politico e filosofico dell’Occidente da Platone e Aristotele a Norberto Bobbio, attraverso Giustiniano, Hobbes, Locke e Rousseau ecc.) è soprattutto interessato a denunciare i pericoli di derive plebiscitarie e autoritarie che si nascondono dietro le pratiche di comunanza uomo-natura, di assemblearismo unanimista e di democrazia partecipata (sia in chiave riformista che in chiave rivoluzionaria), in danno alle prerogative inalienabili dell’individuo, che a suo avviso possono essere comunque la base per un solidarismo progressista, occupandosi soprattutto di evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista (ad esempio come ridefiniti dal giurista Luigi Ferrajoli) non coincidono con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.
In tal senso sviluppa la seconda parte del volume, che qui non sto a riassumere né a commentare, perché costituisce – nei suoi termini descrittivi – una esplicita parafrasi di “Finanz-Capitalismo” di Luciano Gallino (Einaudi 2011 - già da me recensito e apprezzato), affiancata da alcune indicazioni operative sul “che fare”, cui mancano però, a mio avviso, le gambe su cui camminare, e cioè l’individuazione dei possibili soggetti sociali e politici – nel 2013 come nel 2016 - di una forma così avanzata di riformismo radicale.
Non molto corretto mi pare il tentativo di Vitale di isolare l’Illuminismo (ed il pensiero analitico/speculativo occidentale) della colpe coloniali dell’Occidente, mentre riserva agli avversari l’opposto trattamento di verificarne la prassi, sia riguardo alla persona di Mattei ed al bene-comunismo italiano, sia riguardo agli esiti di alcune esperienze sud-americane di democrazia partecipativa (Porto Alegre) e di costituzionalismo olistico-ambientalista (la Pacha-Mama e le costituzioni di Ecuador e Bolivia).
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Nell’insieme condivido la necessità di un approccio critico alle forme totalitarie che assumono le nuove proposizioni di democrazia diretta e partecipata, se contrapposte ai diritti costituzionali, ma rimango interessato (come Rodotà) alle possibili evoluzioni che possono indicare, nel costume e nel diritto, intendendole come sperimentazioni oltre i limiti oggi assai palesi della democrazia rappresentativa e della società capitalista post-fordista.   

sabato 9 luglio 2016

AGGIORNAMENTO 2016 DELLA RICERCA "TRA-I-LAGHI" - DEMOGRAFIA




AGGIORNAMENTO 2016 - DEMOGRAFIA
Con riferimento alla ricerca “tra-i-laghi”, abbiamo ritenuto sviluppare un piccolo aggiornamento sui dati demografici, aggiungendo il confronto tra la popolazione residente a fine 2015 (01 gennaio 2016) e quella di fine 2014, sempre applicato ai comuni di Agenda 21 Laghi e dei territori già assunti come riferimento, confermando tutti i criteri metodologici della più ampia ricerca pubblicata nello scorso autunno.
Il calo della popolazione a livello nazionale nel corso del 2015, già preannunciato in corso d’anno e recentemente confermato dall’ISTAT con i dati analitici ufficiali, ha suscitato un ampio dibattito, sia tra gli specialisti che nella pubblica opinione, per i suoi diversi aspetti, che qui brevemente rievochiamo:
-          la diminuzione del numero dei residenti di nazionalità italiana, non più compensato dagli stranieri, che sono aumentati in misura assai ridotta, in un quadro complessivo di aumento delle emigrazioni (sia di italiani che di stranieri)
-          i connessi fenomeni di calo delle nascite ed invecchiamento della popolazione, affiancato nel 2015 da un inedito aumento della mortalità (senile).  
Anche per la nostra area-studio di 23 comuni (di cui 16 allora inclusi in Agenda 21 laghi) il 2015 rappresenta un anno di svolta verso una tendenza alla diminuzione della popolazione, dopo il decennio 2001-2011 di generalizzato e vivace aumento (in media dell’1% annuo) ed un periodo di transizione (2012-2014) con dati alterni nei singoli comuni, ma comunque con esito finale positivo per l’area in esame (+ 0,8%).
La diminuzione complessiva nell’area è di circa 600 abitanti, su 86.000, pari allo 0,7%, (vedi tabella 1) superiore quindi alla diminuzione media nazionale, che è solo dello 0,2%, ed a fronte di una situazione ancora positiva per l’intera Lombardia (+0,06%) e soprattutto per il comune di Milano (+0,6%), e quasi stazionaria invece per la Provincia e per il comune di Varese (che perdono solo lo 0,02% e lo 0,07%); tra i Comuni esterni considerati, solo Somma Lombardo mantiene un saldo positivo (0,2%).
Di questi 600 abitanti perduti, circa 400 derivano dal saldo naturale negativo (numero dei morti superiore ai nati) e circa 200 dal saldo migratorio con l’estero negativo (emigrati e cancellati superiore al numero degli immigrati); raffrontando questi saldi con gli analoghi dati per l’anno 2013, il saldo naturale era già negativo, ma per sole 150 persone, mentre quello migratorio risultava positivo per oltre 850 unità.
Si delinea quindi uno specifico allarme sulla salute demografica (e socioeconomica?) dell’area, tornata alla popolazione totale del 2012, e variamente declinata tra i diversi comuni, con alcune residue punte positive (Comabbio con +3%, e poi Ranco, Ternate, Sangiano e Bardello) ed alcune zone di maggior cedimento, come Monvalle (-3%), ma anche Vergiate, Mercallo, Cadrezzate, Biandronno, Brebbia e Leggiuno, tutte diminuite di più dell’1%, come meglio specificato nella tabelle e nella tavolette che saranno pubblicate sul sito www.agenda21laghi.it
Sesto Calende, giugno 2016
Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi 

giovedì 7 luglio 2016

DOVE VA IL PD (a sbattere? come sostiene il gufo Bersani?)


Dice Renzi alla minoranza: se volete cambiare linea e/o segretario chiedete e vincete un congresso.

L’ultimo congresso è dell’inverno 2013-2014, quando Renzi vinse le primarie con 3 milioni di votanti:

oggi il PD fatica a raccogliere 500 mila firme a sostegno del SI al referendum confermativo sulla riforma costituzionale;

nel 2014 il PD vinse le europee doppiando il M5S 40% contro 20%; oggi ha perso 19 ballottaggi su 20 contro il M5S, con percentuali spesso assai severe, comprese Torino e Roma;

i sondaggi danno PD e M5S appaiati attorno al 30% al primo turno e il M5S vincente al ballottaggio.



Praticamente Renzi dice al PD che tutte le riunioni della Direzione ed ogni altro dibattito interno sono inutili, perché – anche se la situazione è notevolmente cambiata -  non si corregge comunque la linea politica senza un congresso (e finché le componenti della maggioranza renziana votano compatte in suo sostegno: ma con le sconfitte si iniziano a sentire diversi scricchiolii).

I temi su cui non solo le correnti della sinistra interna al PD, ma anche esponenti della maggioranza ed autorevoli personalità (tra cui Prodi) e commentatori hanno invano chiesto o suggerito correzioni di rotta a Renzi sono essenzialmente 3:

-          La legge elettorale Italicum (che comunque andrà presto al vaglio della Corte Costituzionale per ricorsi pendenti su misura del premio alla lista vincente e su capilista bloccati, oltre che per previsione della legge Boschi, se questa verrà confermata dal referendum): per Renzi è difficile accogliere la richiesta (fatta propria anche da Franceschini) di tornare al premio alle coalizioni (che a Renzi non piace e che figura ora come “sottrazione di potenziale vittoria” ai danni del M5S), ma potrà esservi costretto da quel che resta del Centro Alfaniano (anello debole del sistema politico, ulteriormente indebolito dalle ultime inchieste giudiziarie, da cui per altro possono scaturire anche più rapide crisi di governo, foriere di governi tecnici o balneari);

-          L’asse delle politiche sociali su lavoro, fisco, pensioni, povertà, periferie, su cui Renzi insiste con le proprie “narrazioni” (tipo “il job act è la cosa più di sinistra, dopo Marchionne”), senza rendersi conto che – giusta o sbagliata che sia la linea del Governo (e a mio avviso è piuttosto sbagliata) – sono proprio le sue “narrazioni” che attualmente convincono assai poco (e non ritengo per colpa delle debolissime “correnti” della sinistra dem);

-          Il ruolo, gli assetti organizzativi e – in molti territori - l’immagine concreta del Partito: è comprensibile che Renzi non voglia mollare sul principio del cumulo di incarichi Premier/Segretario e neppure sul ritorno agli “uffici politici” (anche se il M5S nella sua ancor breve esperienza insegna che litigare in segrete stanze – non sappiamo nemmeno quali - senza l’ombra di “diretta in streaming”, può premiare di più che scannarsi pubblicamente nella Direzione o nella Assemblea Nazionale); ma va anche oltre il concetto di arroganza il non mutare nulla, nemmeno in quella Segreteria che una volta Renzi riuniva alacremente alle 6.30 del mattino, e che – dopo la conquista di Palazzo Chigi – ha cessato sia di produrre linea politica (dove sono finite le consultazioni di massa su scuola e lavoro promesse nella mozione Renzi?), sia di pensare una qualsivoglia forma di riorganizzazione del PD (solida, liquida, gassosa che possa essere: vedi dimissioni di Fabrizio Barca da una inutile commissione di pensatori), sia addirittura di proseguire la famosa “rottamazione”, ovvero promuovendo sul territorio giovani quadri, ancorché Renziani, invece di limitarsi a riciclare vecchi notabili, più o meno vincenti (Paita, DeLuca, Sala, ecc.).

Una realistica riflessione su questi temi, anziché il sordo “Tiremm innanz”, avrebbe potuto aiutare il PD anche nella difficile contesa sul prossimo referendum costituzionale, la cui possibile vittoria non toglierebbe comunque il PD dalle secche su cui il Renzismo lo sta trascinando.