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domenica 10 luglio 2016

ERMANNO VITALE: UN ILLUMINISTA CONTRO IL BENE-COMUNISMO

Il volumetto “CONTRO I BENI COMUNI – UNA CRITICA ILUMINISTA” di Ermanno Vitale (filosofo/giurista allievo di Norberto Bobbio) – Editori Laterza 2013 pagg. 124 – costituisce una sorta di contro-proclama rispetto a “BENI COMUNI - UN MANIFESTO” di Ugo Mattei (Laterza 2011) e più in generale contro la pubblicistica e le posizioni dei “bene-comunisti”, la cui radice ideologica Vitale ravvisa soprattutto nel Toni Negri (con Michel Hardt) di “Impero” “Moltitudine” e soprattutto di “Comune. Oltre il privato e il pubblico” (Rizzoli 2010).
Se la polemica Vitale/Mattei risulta un po’ datata al 2011/2013, con il rilievo che il vittorioso referendum sull’acqua conferì al “bene-comunismo”, ed il tentativo politico di A.L.B.A. (Alleanza Lavoro BeniComuni Ambiente), poi confluito (con poco successo) nella lista “L’altra Europa con Tsipras”, la tematica mi sembra comunque attuale, perché la bandiera dei “BeniComuni” è talora sollevata da movimenti di lotta ed occupazione, più o meno antagonistici, e perché alcuni argomenti sopravvivono un po’ confusamente nella non-ideologia del Movimento5Stelle (di cui non a caso Mattei si è dichiarato sostenitore alle recenti elezioni comunali di Torino).
Il testo è molto chiaro e molto denso, per cui mi è difficile riassumerlo puntualmente e con altrettanta efficacia: comunque ci provo.
Il professor Vitale sottopone a stringente critica “Un Manifesto” di Mattei, pur imbattendosi in difficoltà linguistiche e concettuali, perché il pensiero “olistico” dei beni comuni tende strutturalmente a sfuggire alla logica giuridica e filosofica di stampo illuministico, rifiutando già la distinzione tra soggetto ed oggetto ed attribuendo priorità invece alle relazioni circolari: talché è difficile delimitare il campo degli stessi “beni comuni”, che possono essere materiali (come la famosa acqua, l’aria, il cibo), oppure immateriali, come la rete, il sapere, fino - immagino – alla “felicità”, anche se la loro qualità politica, da conquistare, è quella di differenziarsi sia dai “beni privati” che dai “beni pubblici”, gestiti dall’esecrato “Stato” (e dai partiti che lo hanno lottizzato).
Ancor più sfuggente risulta la prosa assai dialettica e letteraria di Negri&Hardt, dove, rileva Vitale, “comune” è ad un certo punto “la città” ed in altro punto “la natura”, per cui per proprietà transitiva città e natura sarebbero uguali, mentre l’insofferenza delle “moltitudini” può generare indifferentemente riforme o rivoluzioni.
Vitale preliminarmente cerca di smontare l’ascendenza del bene-comunismo nel pensiero di Elinor Ostrom, premio Nobel 2009 per l’economia (e in particolare per i suoi studi sui beni comuni), perché la Ostrom, secondo Vitale, ha ben evidenziato il carattere particolare (e non generalizzabile) delle esperienze di autogestione di beni comuni e soprattutto la non-universalità dei beneficiari e quindi la tendenziale presenza di fenomeni di esclusione (parimenti Vitale contesta la visione di Garret Hardin come effettivo nemico del bene-comunismo); inoltre approfondisce la questione storica delle “enclosures”, le recinzioni che misero fine ai pascoli e boschi comuni nell’Inghilterra tardo-medioevale, evidenziando come non vi fosse alcun egualitarismo tra i titolari dei precedenti diritti, bensì feroci differenze di potere e di reddito, in un quadro complessivo di bassa produttività agricola, e quindi di miseria per i più poveri. preoccupandosi soprattutto di evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista non coincidono con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.



Contro la mitologia nostalgica delle comunanze medioevali, Vitale schiera anche Marx ed Engels, sia per le specifiche affermazioni sulle “enclosures”, sia per la visione complessiva della borghesia come classe emancipatrice e disvelatrice dello sfruttamento di classe (prima occultato dalle ideologie religiose e corporative dell’ancien regime) nonché Stefano Rodotà, giurista interessato all’evoluzione ed estensione dei diritti di accesso universale ai beni fondamentali della persona ed anche alla articolazione costituzionale tra beni pubblici e beni comuni (con sana diffidenza verso le nebulose descrizioni dei nuovi beni immateriali) , ma comunque preoccupato sia di prevenire tendenze alla esclusione di soggetti deboli nella fruizione di specifici beni (che anche a mio avviso è il limite delle pratiche di occupazione, se vanno oltre la fase di una lotta dimostrativa) sia di garantire la titolarità individuale dei diritti.
Vitale riporta anche, traendoli da articoli su “Il Manifesto” nel 2012, severi giudizi contro il bene-comunismo da posizioni marxiste o post-marxiste, quali quelle di Rossana Rossanda, Alberto Asor Rosa e dello stesso Guido Viale, che in sostanza vedono nella concezione comunitaria di Mattei&C.un sostanziale interclassismo, che nasconde nell’apoteosi della riappropriazione locale dei beni-comuni i conflitti tra i diversi soggetti sociali
Per parte sua Vitale (ricostruendo in breve la storia del pensiero giuridico, politico e filosofico dell’Occidente da Platone e Aristotele a Norberto Bobbio, attraverso Giustiniano, Hobbes, Locke e Rousseau ecc.) è soprattutto interessato a denunciare i pericoli di derive plebiscitarie e autoritarie che si nascondono dietro le pratiche di comunanza uomo-natura, di assemblearismo unanimista e di democrazia partecipata (sia in chiave riformista che in chiave rivoluzionaria), in danno alle prerogative inalienabili dell’individuo, che a suo avviso possono essere comunque la base per un solidarismo progressista, occupandosi soprattutto di evidenziare che i postulati del costituzionalismo di derivazione illuminista (ad esempio come ridefiniti dal giurista Luigi Ferrajoli) non coincidono con la difesa della proprietà e del capitalismo finanziario neo-liberista.
In tal senso sviluppa la seconda parte del volume, che qui non sto a riassumere né a commentare, perché costituisce – nei suoi termini descrittivi – una esplicita parafrasi di “Finanz-Capitalismo” di Luciano Gallino (Einaudi 2011 - già da me recensito e apprezzato), affiancata da alcune indicazioni operative sul “che fare”, cui mancano però, a mio avviso, le gambe su cui camminare, e cioè l’individuazione dei possibili soggetti sociali e politici – nel 2013 come nel 2016 - di una forma così avanzata di riformismo radicale.
Non molto corretto mi pare il tentativo di Vitale di isolare l’Illuminismo (ed il pensiero analitico/speculativo occidentale) della colpe coloniali dell’Occidente, mentre riserva agli avversari l’opposto trattamento di verificarne la prassi, sia riguardo alla persona di Mattei ed al bene-comunismo italiano, sia riguardo agli esiti di alcune esperienze sud-americane di democrazia partecipativa (Porto Alegre) e di costituzionalismo olistico-ambientalista (la Pacha-Mama e le costituzioni di Ecuador e Bolivia).
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Nell’insieme condivido la necessità di un approccio critico alle forme totalitarie che assumono le nuove proposizioni di democrazia diretta e partecipata, se contrapposte ai diritti costituzionali, ma rimango interessato (come Rodotà) alle possibili evoluzioni che possono indicare, nel costume e nel diritto, intendendole come sperimentazioni oltre i limiti oggi assai palesi della democrazia rappresentativa e della società capitalista post-fordista.   

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