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mercoledì 22 marzo 2017

CONGRESSO P.D.: MOZIONI ED EMOZIONI

Capisco che un leader oggi – e forse anche nel mitico passato – non viene scelto per quanto scritto nella “mozioni congressuali”, ma soprattutto per le “emozioni” che riesce a suscitare, attraverso i media, tra i militanti e poi tra i simpatizzanti (primarie) ed infine tra gli elettori.
E in questo senso la partita del congresso del PD sembra giocarsi tuttora soprattutto sulle emozioni di simpatia ed antipatia che promanano dalla personalità e dalle vicende di Matteo Renzi (che tuttora appare a molti sostenitori l’unico leader “vincente”, anche quando perde), mentre Andrea Orlando, di personalità un po’ pallida e beneducata, sembra raccogliere soprattutto sentimenti moderatamente anti-renziani, anziché schiettamente filo-Orlandiani; quasi fuori-partita, infine Michele Emiliano, per il suo percorso vigorosamente a zig-zag, dentro e fuori dal renzismo e dal PD.
Ritengo anche che una seria alternativa a Renzi dentro il PD avrebbe potuto crescere se i potenziali protagonisti avessero anteposto i contenuti politici alle loro personali ambizioni, che hanno portato ad esempio Enrico Rossi alla scelta incomprensibile di uscire dal PD (dopo aver votato SI al referendum) assieme al concorrente Roberto Speranza (che di speranze di vittoria comunque a mio avviso ne aveva pochissime - soprattutto dopo aver brindato alla vittoria del No al referendum su riforme a suo tempo da lui votate in Parlamento - e poche penso anche prima).
Tuttavia il risultato del Congresso non mi sembra scontato (al contrario di quanto sostenuto a priori dagli scissionisti) e tanto meno irrilevante, perché in questa fase mi sembra che solo con il PD possa determinarsi un argine al doppio tragico pericolo di una vittoria elettorale della rinnovata alleanza di destra Salvini-Berlusconi oppure del MoVimento-5-stelle (dove sì c’è un uomo solo al comando, Beppe Grillo, e l’azienda Casaleggio dietro di lui).
In una cornice di leggi elettorali ancora imprecisata, ma probabilmente di impianto in prevalenza proporzionale, la candidatura di Renzi, che assicura leadership e antipatie, può tuttavia guadagnare voti e alleati verso il centro-destra (dove si delinea una “Alternativa popolare” separata dalla destra), mentre quella di Orlando (con un ritorno alla direzione collegiale) potrebbe farlo verso il centro-sinistra, incontrando meglio il moto convergente di Pisapia (non è chiaro invece il moto sussultorio di MDP, di Sinistra Italiana e degli altri frammenti della galassia di sinistra).
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Però è un mio discutibile hobby leggere e commentare le mozioni congressuali del PD, per ragionare un po’ su forme e contenuti delle proposte politiche in campo.
La novità è che anche Renzi ha scritto una vera mozione, di 41 pagine, co-firmata da Maurizio Martina, mentre nel 2013 si era limitato a 4 frasi su un foglietto di appunti, anche per dimostrare che vinceva a braccia alzate, senza dover mettere le mani sul manubrio e specificare troppo la direzione della sua corsa.
Questa volta invece il documento di Renzi-Martina specifica anche troppo, partendo dai 1.000 giorni di governo ed accumulando proposte legislative che potrebbero bastare per altri 10.000 giorni, molte ragionevoli e scontate (crescita, Europa, ius soli, periferie), altre ragionevoli ed interessanti (es.: fondi a università deboli, detrazioni fiscali per l’affitto, pensione di garanzia), altre infine assolutamente scriteriate, come un IRPEF alleggerita con una progressività ridotta in favore dei giovani (che a mio avviso premierebbe – incostituzionalmente - i giovani ricchi a danno dei ricchi più vecchi, lasciando invariata la situazione dei giovani poveri, il cui problema non mi pare sia l’aliquota IRPEF, ma avere un lavoro ed un reddito): nell’insieme alcune significative correzioni in senso solidaristico rispetto al renzismo già conosciuto (se Podemos promette un “leninismo gentile”, da Martina possiamo attenderci tutt’al più un “renzismo gentile”).
Per una maggiore conoscenza delle 3 mozioni, in parallelo, rimando allo schematico riassunto compilato da Beatrice Rutiloni per l’Unità del 20 marzo, che allego per praticità.
Mi pare infatti più utile evidenziare ciò che nelle mozioni non si trova o quasi (soprattutto in quella di Renzi, tutta orientata al suo magnifico ritorno al Governo), benchè siano rilevanti domande che io mi pongo, ma non penso di essere il solo, in questa situazione nazionale e internazionale nient’affatto tranquilla.
POVERI NEL MONDO: a mio avviso esistono anche quelli che non pensano o non riescono a migrare in Europa, imponendoci qualche riflessione sociale che vada oltre il benessere degli italiani. La cosa dovrebbe riguardarci sia in termini di aiuti che in termini di equità degli scambi e della divisione del lavoro e del sapere (il risvolto della condivisibile tendenza ad un ruolo produttivo dell’Italia tutto nella tecnologia e nella bellezza è che il lavoro sporco e poco redditizio lo fanno gli altri?). Argomenti che non mi sembra siano da riservare alle encicliche papali, anche perché se non si pone rimedio alle crescenti disuguaglianze internazionali, prima o poi maturano tragedie, anche senza bisogno dei fondamentalisti di ispirazione religiosa.
CLIMA E RISORSE: non credo che basti invocare e incoraggiare la Green Economy e l’Economia Circolare – cosa si propone per rottamare e smaltire i pesanti residui, tuttora pulsanti della Old Economy, qui ed altrove (ringalluzziti da un certo Trump)? C’è consapevolezza del tendenziale esaurimento delle risorse naturali?
POLITICA DI DIFESA COMUNE EUROPEA (TRA I SOLI PAESI A “MAGGIOR VELOCITA’”): ma quale politica? Rincorrendo Trump dentro e fuori dalla NATO e dall’ONU? L’Europa pacifica di cui ci vantiamo (i Francesi però talora hanno il grilletto facile) può essere autorevolmente pacifista? L’esempio della Svezia che torna alla leva obbligatoria ci dice qualcosa?
CRESCITA: anche Padoan teme la “stagnazione secolare”; Trump può scatenarla con i dazi; va bene proporre incentivi e investimenti per la ricerca ed uno sviluppo tecnologico, ma mi pare che manchi un “piano B” riguardo al debito pregresso, da un lato, ed alla disoccupazione tecnologica, dall’altro
COME SI PROSCIUGA L’EVASIONE FISCALE? Per Renzi già si fa molto; per Orlando bisogna ridurre il contante, ma non si è opposto ad ampliarlo l’anno scorso; per Emiliano occorre affrontare il tabù della patrimoniale. Per tutti l’Europa dovrebbe essere l’ambito giusto per controllare le multinazionali (personalmente non vedo l’ora che si inizi a farlo davvero)
MAFIA – CORRUZIONE: totalmente assenti nella (sola) mozione Renzi-Martina; citazioni un po’ rituali nelle altre 2 (Orlando confida nella rigenerazione della politica, ma mi pare che abbia ricette – necessarie- solo per il PD e non per modifiche istituzionali erga omnes, come ad esempio una legge sui partiti, le fondazioni, e le aziende-partito)
PRIVILEGI DELLA CASTA (ES. STIPENDI E PENSIONI DEI PARLAMENTARI): premesso che a me non cale più di tanto, il tema è totalmente regalato al M5Stelle
PERCHE’ SI SONO PERSE LE ULTIME E PENULTIME ELEZIONI LOCALI? PERCHE’ SI E’ CERCATO  E POI PERSO IL REFERENDUM SU UNA RIFORMA, MAGGIORITARIA NELLE INTENZIONI, MA MINORITARIA NEL CONSENSO? COME SI FA A RI-VINCERE RI-PROPONENDO LO STESSO ASSE POLITICO-CULTURALE (SOLAMENTE, ORA, SENZA RIFORME ISTITUZIONALI, ANZI CON UN BEL VUOTO SU QUESTO TEMA)? CON CHI CI SI ALLEA? CON CHI SI CONCORDA UNA LEGGE ELETTORALE (CHE PER GIUNTA SI AUSPICA MAGGIORITARIA)? a queste enormi ed elementari domande politiche non risponde Renzi-con-Martina (promette qualche riflessione auto-critica solo in futuro, e sulla organizzazione del partito solo ad autunno); tentano di rispondere Emiliano ed Orlando, che però mostra un po’ l’imbarazzo di chi ha in questi 3 anni appoggiato Renzi, senza manifestare un pubblico dissenso.
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Ad Orlando, che espone nell’insieme un discorso più serio ed argomentato, con un discreto spessore culturale (inteso come consapevolezza dei problemi delle disuguaglianze sociali in Europa, se non nel mondo) però vorrei porre una più difficile domanda: COME CI SI REGOLA CON CHI RESISTE ALLE RIFORME?

Perché il suo pensiero ecumenico, forse di ascendenza Veltroniana, è tutto un inno all’UNIRE: ci sono contraddizioni e conflitti, nel partito, nel paese, nel mondo, ma noi intendiamo unire, ricucire, ecc.; concordo sul non voler essere “divisivi” (in alternativa a Renzi) e sulla ricerca di un vasto consenso, ma proprio quando si fa una politica di serie riforme (ad esempio contro l’evasione fiscale, oppure per una scuola migliore) occorre considerare il rischio di un forte dissenso di una parte del paese, motivato sugli interessi che ad un certo punto vanno toccati e rimodulati (anche quelli di certi insegnanti intoccabili); al che il confronto deve essere civile, educato, non-violento, ecc., con tutte le garanzie istituzionali in favore del dissenso; ma a che serve invocare unione e ancora unione? Temo serva solo ora per edulcorare e ignorare gli inevitabili conflitti.  Perché a mio avviso la società, che non è mai stata una concorde ed unitaria comunità, è oggi ancor più divisa e frantumata, e gli stadi di convergenza proponibili non possono essere che parziali (isolati iceberg nel mare della società liquida). 

lunedì 20 marzo 2017

UTOPIA21 - MARZO 2017: ” POSTCAPITALISMO – UNA GUIDA AL NOSTRO FUTURO” SECONDO PAUL MASON

Una ambiziosa extrapolazione verso il prossimo futuro di alcune tendenze acutamente rilevate nella attuale crisi da Paul Mason, che appoggia le sue teorie previsive e propositive su alcuni assiomi marxisti rivisitati alla luce della storia del movimento operaio nel Novecento.

Riassunto –  Il carattere strutturale della crisi, insita nella sovrabbondanza della “merce-informazione”. Limiti intrinseci dell’Info-Capitalismo e shock esogeni (clima, demografia, debito). Verso un post-capitalismo liberato dal lavoro e fondato sulla condivisione. Proposte per una transizione anti-monopolistica (ICT, energia, banche), con reddito di cittadinanza ad opera della massa dei lavoratori/precari/consumatori, istruiti e connessi in rete, Dubbi e diverse opinioni del recensore. Scheda 1 approfondimento su marxismo, teorie economiche e storia del movimento operaio. Scheda 2: segnalazione di discrepanze tra le storie raccontate da Mason e alcuni dati disponibili al recensore.

“POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” del giornalista inglese Paul Mason (Guardian, BBC, Channel4) è un fortunato saggio del 2015 (edito in Italia nel 2016 da Il Saggiatore, Milano 2016, pagg. 382   di facile lettura e comprensione, malgrado la mole e la complessità di alcuni passaggi e digressioni storiche), che ha avuto una certo eco sulla stampa generalista ed ha alimentato numerose recensioni in ambiti più specialisti finendo un po’ bistrattato a destra (“Post-marxismo” per Alberto Mingardi su Il Sole-24ore) come a sinistra (“Il Rifkin dei poveri o il Toni Negri dei ricchi” per Francesca Coin sul Manifesto); e forse un po’ malinteso al centro, da chi lo ha considerato come un innocuo previsore dei tempi futuri.
Ad una prima impressione, infatti, le tematiche di Mason lo apparentano ad altri futurologi ottimisti sugli effetti delle nuove tecnologie, tipo Peter Droege o Jeremy Rifkin o Carlo Ratti  (o anche ad altri più inquietanti come i Casaleggio, di padre in figlio), ma la sua trattazione si intreccia invece meritoriamente con l’analisi dei rapporti sociali dentro e fuori dal sistema produttivo e finanziario (ed anche con la storia delle teorie economiche e dei movimenti antagonistici al sistema capitalistico, come riferisco e commento nella apposita  ‘scheda 1’, allegata; allego anche una “scheda 2” per segnalare una serie di discordanze tra le vicende raccontate da Mason e quanto di diverso a me risulta).
L’assunto fondamentale di Paul Mason è il carattere strutturale della crisi economica in cui ci sta trascinando il neo-liberismo, inquadrata in una visione ciclica della storia del capitalismo, riesumando la teoria dei cicli cinquantennali di Kondrat’ev, teorico russo fucilato dal regime stalinista sovietico nel 1938: dalla prima industrializzazione (1780-1948) alla prima globalizzazione nel secondo Ottocento, alle due fasi in cui è divisibile il Novecento, sul crinale della seconda guerra mondiale, tutte caratterizzate da un andamento ad onda, con fasi di contrazione nella fase discendente del ciclo. (Tale racconto mi sembra affascinante, ma con qualche rischio di determinismo meccanicista, assente invece, per esempio, nella visione dei più ampli cicli di dominio finanziario e imperiale tratteggiati da Arrighi dal Medioevo ad oggi, cui pure vagamente Mason accenna).
Anche se la svolta neo-liberista degli anni ’80 del Novecento, l’espansione della finanza globale e la capacità di gestire i salti tecnologici hanno consentito all’economia capitalista di protrarre l’ultima fase ben oltre l’orizzonte cinquantennale del ciclo iniziato a metà del Novecento, l’attuale crisi è caratterizzata dall’impatto con lo sviluppo iper-tecnologico dell’informazione, e quindi dalla rilevante novità dell’abbondanza della merce-informazione, merce divenuta fondamentale nell’intera economia: la sovrabbondanza è però l’opposto della scarsità dei beni, assioma su cui si fondano le discipline economiche, che infatti in generale non si occupano dell’aria e del cielo.
Tale contraddizione comporta, secondo l’Autore:
-          incidenza crescente dei prodotti a costi marginali irrisori (come la riproduzione di un file o di un software), sia direttamente al consumo sia nelle transazioni interne ai cicli produttivi,  e conseguente tendenziale abbattimento del sistema dei prezzi, finora contrastato con tendenze monopolistiche delle compagnie più direttamente interessate (Google, Facebook, Amazon);
-          riduzione drastica del tempo di lavoro necessario per realizzare molteplici prodotti e servizi
-          importanza crescente del debito finanziario come forma di subordinazione delle masse sfruttate, maggiore dello stesso lavoro salariato (argomento quest’ultimo secondo me più pesante nei paesi anglosassoni che non nella realtà dell’Europa continentale);
-          erosione del mercato da parte di nuove modalità di produzione e di scambio gratuito, come Wikipedia WikiLeaks Linux (ma anche Android ha dovuto piegarsi ad essere un sistema operativo aperto), e la “sharng economy” (quando non vampirizzata dalle varie Uber e Airbnb) nonché i circuiti locali di solidarietà e “p2p”;
-          sconfinamento tra il tempo di lavoro ed il tempo libero (anche attraverso l’uso ed abuso degli smartphone), e tra il ruolo di produttore e quello di consumatore, con la appropriazione indebita, da parte dei controllori della rete (e cioè ancora Google, Facebook, Amazon, ecc.) delle esternalità informative derivanti dagli stessi consumatori, per orientare il marketing proprio e  quello delle aziende clienti.
Secondo Mason però il moderno info-capitalismo, dato il crollo oggettivo dei prezzi dell’abbondante merce-informazione, non è in grado di riassorbire con ulteriori salti tecnologici né l’intrinseco esaurimento della sua spinta propulsiva (e delle possibilità di estendere i mercati tramite la privatizzazione dei servizi pubblici e la mercificazione dei rapporti umani) né gli “shock esogeni” derivanti dal cambio climatico, dall’esplosione demografica mondiale e dal contestuale rapido invecchiamento dei popoli occidentali, né soprattutto dall’accumularsi dei debiti in tutto il sistema finanziario, pubblico e privato.
Maturano invece alcune condizioni favorevoli perché – secondo Mason -  l’assetto capitalistico sia ad un certo punto della crisi sostituito da un nuovo assetto post-capitalistico, caratterizzato da una sostanziale liberazione dal lavoro e fondato sull’economia della condivisione (ben diverso dal defunto socialismo sovietico a pianificazione centralizzata, di cui Mason richiama i limiti e le intrinseche debolezze): ed è decisivo che si possa prefigurare tale alternativa, proprio perché l’attuale sistema fa un suo punto di forza sulla diffusa acquiescenza alla “mancanza di alternativa, conseguente anche al crollo del “socialismo reale”.
Nella parte finale del libro Mason affronta specificamente le modalità di una possibile transizione, che dovrebbe essere governata con mano pubblica piuttosto ferma attraverso le seguenti tappe di soluzione progressista di quelli che lo stesso Mason classifica come “shock esogeni”, tappe che configurano una sorta di ”riformismo rivoluzionario” (con la premessa di disciogliere i monopoli dell’informazione nazionalizzandoli o piegandoli comunque ad un logica di open source, e con il contorno di un limitato “reddito di cittadinanza”, finalizzato anche ad estinguere i “lavoretti” sottopagati):
-          la nazionalizzazione/esproprio delle compagnie detentrici dei giacimenti di energie fossili, il cui stock supera la quantità di CO2 ancora sopportabile dall’atmosfera, e che perciò va neutralizzato annullando le spinte ad un loro protratto utilizzo, per consentire per il passaggio definitivo alle energie rinnovabili;
-          la riconduzione delle banche centrali sotto l’egida dello stato ed un processo controllato di inflazione, che progressivamente estingua gli eccessi di capitale nominale (non mi è chiaro come tale scelta si possa conciliare con il problema, comunque persistente, dell’invecchiamento dei popoli occidentali, che attualmente conta sui fondi pensione e sul risparmio delle famiglie), per conseguire il riassorbimento delle enormi bolle di debito
Protagonista della rivendicazione ed attuazione di questa trasformazione (non sappiamo quanto pacifica) dovrebbe essere la massa dei lavoratori/precari/consumatori, istruiti e connessi in rete, che ha perduto gran parte delle storiche connotazioni di classe, tipiche delle precedenti fasi di sviluppo, ma ha acquisito nuove consapevolezze e multiformi saperi, in parte già manifestate nelle varie forme di ribellioni e manifestazioni di piazza di questo inizio di secolo (Occupy Wall Street, Gezi Park a Istanbul, Londra, Hong Kong, primavere arabe, Brasile, India, Grecia, ecc.): viene così a convergere con altri intellettuali antagonisti di diversa estrazione, da David Graeber a Toni Negri, da David Harvey a Guy Standing.
In questa massa multiforme, Mason non conferisce particolare ruolo ai lavoratori salariati dei paesi emergenti o variamente subalterni (parcellizzati da profonde differenziazioni etniche e culturali e caratterizzati comunque soprattutto per essere individualmente connessi al mondo tramite smartphone anziché organizzabili in leghe sindacali di stampo tradizionale), il cui attuale rilevante aumento numerico è presentato in sostanza come fenomeno transitorio, destinato a sgonfiarsi con l’estensione delle tecnologie a più elevata produttività, secondo le convenienze imprenditoriali nell’impiego dei fattori produttivi.

Invece,  a mio avviso, i margini di estensione del classico sfruttamento capitalistico a popolazioni ancora non coinvolte possono comportare ancora a lungo una fase espansiva dei vecchi sistemi produttivi, alimentando nel contempo una crescita della domanda di merci tradizionali, seppure innovate, nei ‘ceti medi’ dei paesi emergenti, anche in sostituzione di consumi più maturi o calanti nei paesi storicamente più sviluppati (Mason dovrebbe spiegare perché anche nel XXI secolo continui ad aumentare la massa fisica delle merci, misurabile ad esempio in n° di containers movimentati su treni e navi, che certo con contengono solo “informazioni”): con questo non ipotizzo una meccanica riproposizione della lotta di classe ottocento/novecentesca, in contesti storici e geo-politici del tutto diversi, ma vorrei rammentare che potrebbe permanere una oggettiva centralità della contraddizione tra il capitale ed un lavoro salariato, il cui persistente sfruttamento (ad esempio, in miniera) fa un po’ impallidire le ambasce del precariato occidentale e della sua ‘morte del lavoro’.
Né mi sembra che adeguata attenzione Mason ponga al conflitto tra gli stati ed al possibile passaggio, non indolore, dalla declinante egemonia occidentale ad una ancora indefinibile egemonia orientale, e neppure al concreto rischio che le masse connesse e istruite dell’Occidente, di populismo in populismo (e anche di ribellione in ribellione), invece di portare ad un superamento post-capitalista finiscano per alimentare nuove forme di fascismo, con probabili risvolti bellici.
Altra tematica trascurata da Mason è quella degli equilibri ecologici complessivi del pianeta, di cui coglie solo l’aspetto climatico/energetico e non quello dei diversi e letali inquinamenti, dei conflitti sull’uso del suolo e del tendenziale esaurimento delle materie prime pregiate, che è ad un tempo un problema di compatibilità ambientale e di permanente ‘economia della scarsità’: nell’insieme mi pare errato vederne la fonte di “shock esogeni” e non invece contraddizioni profonde, intrinseche agli attuali modi di produzione e di consumo.
L’errore di fondo dei post-operaisti, nel mio giudizio, è quello di scambiare la parte (precariato dei giovani occidentali) per il tutto (lo sfruttamento di persone e risorse naturali a scala planetaria).
Inoltre mi permetterei di rilevare che l’affiancamento al modo di produzione capitalista di diverse forme di scambio non mercificato e/o non monetizzato, tra cui Mason esalta Wikipedia&C. è un fenomeno indubbiamente meritevole di interesse, ma non del tutto nuovo, e quindi non necessariamente “sovversivo”; con il capitalismo hanno convissuto per molti decenni altri processi extra-capitalisti e talvolta anti-capitalisti, ma non per questo esiziali per il prevalente regime socio-economico: dal preesistente monachesimo alle successive organizzazioni caritative di stampo ecclesiale, dal solidarismo socialista al movimento cooperativo, dalle varie forme di volontariato al ‘terzo settore’, fino allo stesso pubblico impiego, dove spesso le retribuzioni non rispondono ad una logica di mercato (penso alla dedizione di molti medici ed infermieri della sanità pubblica, ed insegnanti in molte scuole, ma anche a tanti altri professionisti nella pubblica amministrazione non premiati con stipendi dirigenziali: fenomeno non a caso incomprensibile per accademici americani come Acemoglu e Robinson, e a ben vedere non considerato adeguatamente dallo stesso Paul Mason).
Infine alcune indicazioni operative (contro i monopoli e per la promozione dei settori no-profit, contro le bolle finanziarie e sullo stock di combustibili fossili) mi sembrano probabilmente utili anche in una diversa ottica di ‘riformismo radicale’, che possa o meno estinguere il capitalismo (non perché mi piaccia che il capitalismo rimanga, né perché lo voglia ritenere eterno, ma perché oggi mi viene da diffidare di ogni teoria finalistica e deterministica che ne postuli a-priori il prossimo superamento), ma che intanto inizi comunque a rendere gli assetti sociali e  produttivi il più possibile compatibili con l’ambiente e con l’umanità, sia nel primo che nel terzo mondo (ed anche passando per la Cina, che si configura come il moderno ‘secondo mondo’).



SCHEDA 1:
APPROFONDIMENTO SU MARXISMO, TEORIE ECONOMICHE E STORIA DEL MOVIMENTO OPERAIO
Alle sue conclusioni, Mason perviene anche attraverso un lungo ed appassionato percorso di ri-lettura del marxismo (a confronto con altre teorie economiche in merito ai cicli di sviluppo e di crisi) e delle vicende del  movimento operaio (in correlazione alle concrete trasformazioni del lavoro); un percorso da cui, a mio parere, di Mason emergono anche  alcune giovanili simpatie trotzkiste e senili attrazioni verso gli operaisti italiani degli anni ’60 (Quaderni Rossi), nella loro senile trasformazione in post-operaisti (Toni Negri e le sue teorie sulla morte del lavoro e sulle moltitudini variamente sfruttate  dall’Impero, ed infine sui beni comuni)
Di Marx, Paul Mason riprende soprattutto tre elementi:
- la teoria del valore-lavoro (le varie quote di lavoro che direttamente ed indirettamente occorrono per trasformare e consegnare una merce, ed i loro costi di riproduzione) come spiegazione effettiva, nella media, della formazione dei prezzi, comparandola (ma senza dirimere la disputa) con la opposta teoria liberista dell’utilità marginale (nello scambio tra domanda e offerta il prezzo è determinato da chi detiene al momento l’ultima quota disponibile del bene in transazione): per Mason è fondamentale per evidenziare che le informazioni sovrabbondanti hanno costo di produzione tendente a zero (ad esempio, una volta registrata una musica, la sua riproduzione infinite volte sotto la forma di file MP3 non ha alcun costo effettivo);
- il principio della “caduta tendenziale del saggio di profitto” (per effetto della concorrenza, dei maggiori investimenti necessari ad elevare la produttività, della saturazione degli specifici mercati e della concentrazione finanziaria), che è alla base delle crisi cicliche del capitalismo e potenzialmente anche di una sua crisi finale: qui Mason spiega anche le modalità con cui il capitalismo è uscito dalle sue precedenti crisi e le spiegazioni che di questi rilanci hanno dato studiosi marxisti (Hilferding, Rosa Luxemburg, il suddetto Kondrat’ev ed altri, disvelando di volta in volta la finanzairizzazione, i monopoli, l’imperialismo, il militarismo) e non marxisti (Schumpeter, Hajek, von Mises, ecc.), sostenendo però che con l’info-capitalismo (che incorpora in monopoli globali un profitto imposto su beni senza un vero prezzo)  si sarebbe intrapresa una strada cieca, priva delle precedenti vie di uscita;
- il “frammento sulle macchine” dei Grundrisse (appunti paralleli al Capitale, scritti nel 1858, ma resi noti solo a metà Novecento e tradotti in inglese solo nel 1973; ben noti e commentati in Italia già nel decennio precedente), in cui Marx estende il concetto di ”capitale morto” (quello costituito dai beni di investimento) evidenziando come un macchinario perfetto e sempiterno (che incorpora quantità notevoli di sapere sociale stratificato) comporti l’annullamento del valore e quindi dei margini di profitto, processo in cui Mason vede la preconizzazione del prossimo stallo dell’info-capitalismo.

Riguardo alla storia del movimento operaio, Mason lamenta la mancanza di una “storia del lavoro” e cerca di rimediarvi con un rapido ma non superficiale racconto sulle caratteristiche fisiche e organizzative del lavoro, ed in parallelo sulla composizione sociale dei lavoratori e sulle loro aggregazioni politico-sindacali, nelle principali fasi di trasformazione delle fabbriche dal Settecento ad oggi, cercando di fondare su questi aspetti storici anche una fotografia della attuale scomposizione di quello che fu la classe operaia, sotto i colpi inferti dal turbo-liberismo degli anni 80 ed in parallelo dalla globalizzazione, ma anche per effetto dei mutamenti soggettivi, a partire dall’istruzione più elevata, che fanno dei lavoratori di oggi un insieme variegato e plurale, “molteplice” anche nella identità dei singoli (e qui Mason richiama correttamente Andrè Gorz e Eric Hobsbawn, Barry Wellman e Richard Sennet, ed ancor prima Charles W. Milss, Daniel Bell,  Herbert Marcuse, ma manca a mio avviso l’appuntamento con altri antropologi e sociologi, da Augé a Maffesoli, da Castells a Bauman, che secondo me hanno assai utilmente indagato su questi processi). 

Ricapitolando le trasformazioni della classe operaia in Inghilterra degli albori dell’industrializzazione al Novecento, Mason evidenzia i fraintendimenti compiuti dapprima dagli stessi Engels e Marx (l’inchiesta sul campo del primo a Manchester nel 1842, pubblicata solo 50 anni dopo, fu travisata e cristallizzata dal secondo), nell’attribuire all’automazione una conseguente dequalificazione generalizzata del lavoro operaio (proprio mentre si andavano forme nuove figure professionali connesse alle macchine allora in uso), e nel negare la formazione di una “cultura proletaria”, e poi di Engels e Lenin nell’identificare gli operai specializzati come “aristocrazie operaie” asservite all’imperialismo britannico (che solo nella madre-patria dell’Impero avrebbe potuto impiegare le risorse necessarie per  acquisirne il consenso), base sociale sia del sindacalismo gradualista delle Trade Unions (contrapposto alla disponibilità degli operai non specializzati all’avventura rivoluzionaria, guidata però secondo Lenin, da avanguardie intellettuali esterne), sia dello “sciovinismo”, che distrusse la Seconda Internazionale, con l’adesione di parte dei partiti e sindacati socialisti alle mobilitazioni belliche della Prima Guerra Mondiale.
Secondo Mason invece il coinvolgimento patriottico delle organizzazioni operaie nella prima guerra mondiale si fonda sulla stessa “materialità” delle nazioni (cioè su elementi antropologici preesistenti alle classi sociali, se ho ben capito) e la tendenza tradeunionista delle aristocrazie operaie, presenti in tutti paesi industrializzati e non solo in Inghilterra, saldabile pur con difficoltà con gli interessi di operai non specializzati (e tra questi spesso donne e bambini), era tutt’uno con orizzonte a loro modo antagonistico, ma costituito da “controllo delle fabbriche, solidarietà sociale, autoistruzione e creazione di un mondo parallelo”, in competizione con il nascente Taylorismo, che rendeva scientifica la divisione del lavoro e la subordinazione alle macchine.
Così Mason legge l’epopea delle lotte operaie dentro ed oltre la prima guerra mondiale (1916-1921), in numerosi paesi (ed anche all’interno dell’URSS e contro il governo bolscevico), poi abbattuta con violenza da un lato dalla grande crisi del 1929 e dall’altro dalla repressione fascista e nazista (ma anche stalinista), fino all’esito dei campi di concentramento (non dimenticando la larga sovrapposizione tra ebraismo e movimento operaio nella Mitteleuropa).
Meno lineare mi sembra la sua interpretazione della crescita quantitativa e della subordinazione qualitativa della classe operaia (allargata ai settori impiegatizi ed estesa al terziario) nei decenni ‘50-‘60, periodo dello sviluppo keynesiano e fordista del capitalismo occidentale e del compromesso socialdemocratico (anche e soprattutto come risposta preventiva all’alternativa sovietica), ed anche delle grandi rivolte degli anni ’60 e ‘70  (Mason si sofferma in particolare sul caso italiano, assumendo come fonte privilegiata gli “operaisti” Romano Alquati e Toni Negri) connesse al rifiuto del lavoro parcellizzato e ripetitivo, tipico del taylorismo, da parte di una forza-lavoro più istruita, la cui sconfitta Mason (come sopra accennato) attribuisce sia alla violenza anti-sindacale del contrattacco neo-liberista (che ristrutturò spesa pubblica e finanza, moneta e produzione, utilizzando ampiamente anche la de-industrializzazione dell’occidente e la delocalizzazione produttiva su scala globale), sia alle debolezze soggettive dello schieramento operaio, diviso tra vecchia cultura dei mestieri e nuovi atteggiamenti delle masse giovanili e “tradito” dalle rappresentanze politiche socialdemocratiche o filo-sovietiche. 







SCHEDA 2:
SEGNALAZIONE DI DISCREPANZE TRA LE STORIE RACCONTATE DA MASON E ALCUNI DATI A ME DISPONIBILI
Oltre ad esprimere nella recensione alcune le mie valutazioni puntuali e complessive sulla visione di Paul Mason, ritengo necessario esemplificare alcune discrepanze che ho rilevato tra le sue ricostruzioni storiche ed i dati a me disponibili, perché mi aprono molti dubbi sull’attendibilità specifica e generale dell’Autore:
pag. 18: il movimento spagnolo degli Indignados stroncato dalla repressione: a me pare, che a fronte di una dose ‘normale’ di repressione in un ‘normale’ regime democratico, il movimento si sia esaurito per la povertà delle parole d’ordine anti-casta, ‘né di destra né di sinistra’, finendo in buona parte riassorbito dal più strutturato e pensante movimento Podemos;
pag. 233: occupazione di fabbriche automobilistiche in Italia nel 1919 a Torino, Milano e Bologna: a me risultano solo nel settembre del 1920 (e senza fabbriche d’auto a Bologna);
pag. 237: imposizione da parte degli Alleati dopo il 1945 di Costituzioni con elementi sociali a Germania, Giappone e Italia: a me pare che ciò non sia vero per l’Italia, dove gli Alleati hanno imposto molto (abbiamo tuttora basi militari americane, oltre a quelle della NATO), ma almeno NON la Costituzione;
pag.245: in Italia dopo il 68-69, il PCI avrebbe introdotto i Consigli di Fabbrica per imbrigliare le lotte operaie: anche come testimone diretto e indiretto, mi sembra di poter affermare che si tratta di una visione riduttiva e caricaturale di un processo dialettico complesso e con diversi attori, tra cui la sinistra sindacale, comunista e non comunista, in cui i Consigli possono aver fatto da freno in alcune situazioni, ed invece aver costituito le effettive avanguardie in altri;
Pag. 248: percentuale di forza-lavoro residua nell’industria, a fronte alla crescente prevalenza del terziario – secondo Mason “Solo nei colossi dell’export - Germania, Corea del Sud e Giappone – la forza lavoro dell’industria si avvicina al 20% del totale ----“: dall’ISTAT mi risulta che in Italia nel 2014 sia ancora superiore al 25%.

Fonti:
  1. Paul Mason - “POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” – Saggiatore, Milano 2015
  2. Alberto Mingardi - “Post-marxismo” su “Il Sole-24ore” 25-09-2015 www.ilsole24ore.com/art/cultura/.../un-nuovo-libro-fuori-mercato-173540.shtml?
  3. Francesca Coin  - “Il Rifkin dei poveri o il Toni Negri dei ricchi”  su “Il Manifesto”  22-09-2015 www.materialismostorico.blogspot.com/2015/09/il-rifkin-dei-poveri-o-il-toni-negri.html
4.    Jeremy Rifkin – “LA SOCIETÀ A COSTO MARGINALE ZERO. L'Internet delle cose, l'ascesa del Commons collaborativo e l'eclissi del capitalismo” – Oscar Mondadori, Milano 2014
5.    Peter Droege – “LA CITTÀ RINNOVABILE” - Edizioni Ambiente, Milano 2008
6.    Anna FRISA, Carlo RATTI “Progettare la città: come?” Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico di Torino - School of Architecture and Planning, MIT www.senseable.mit.edu/.../20011116_Frisa_Ratti_ProgettareCitta_Proceedings_CittaDiffusa


7.    Giovanni Arrighi - “IL LUNGO XX SECOLO. Denaro, potere e le origini del nostro tempo” – Il Saggiatore, Milano 2014
8.    David Graeber – “DEBITO. I PRIMI 5.000 ANNI” - Il Saggiatore, Milano 2012
9.    David Harvey “CITTA’ RIBELLI – i movimenti urbani dalla Comune di Parigi a Occupy Wall Street” - Il Saggiatore, Milano 2013.
10. Toni Negri e  Michel Hardt – Trilogia:  “IMPERO” “MOLTITUDINE” “COMUNE. OLTRE IL PRIVATO E IL PUBBLICO” – Rizzoli, Milano 2010
11. Guy Standing “PRECARI – la nuova classe esplosiva” - Il Mulino, Bologna 2012
12. Daron Acemoglu e James A. Robinson - “PERCHE’ LE NAZIONI FALLISCONO - Alle origini di potenza, prosperità, e povertà” – Il Saggiatore, Milano 2014
13. Marc Augé “L'ANTROPOLOGIA DEL MONDO CONTEMPORANEO” - Elèuthera, Milano 2005
14. Zygmunt Bauman “VITA LIQUIDA” - Laterza, Bari 2006
15. Manuel Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” - UBE Paperback, Milano 2002
16. Karl Marx “GRUNDRISSE - Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica” – Manifestolibri, Roma 2012

17. Recensioni sui precedenti testi, da 7 a 9 e da 11 a 15, su questo blog  in appositi POST e nelle pagine PARTE 1^ ed ULTERIORI LETTURE

UTOPIA21 -MARZO 2017: IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE”, ED ANCHE DELLA MODERNITA’ (E DEL RIFORMISMO?) SECONDO PAOLO PRODI

Le scarse speranze su un futuro ruolo dell’Europa, per il venir meno delle spinte autenticamente rivoluzionarie e della tensione tra religiosità e laicità, nel “testamento culturale” dello studioso da poco scomparso.

Riassunto – L’Autore riprende i suoi fondamentali contributi storici sulla peculiarità dell’Occidente tra religione (utopie) e potere (varie forme del potere). Puntualizza tale storia attraverso i suoi momenti rivoluzionari per inquadrare la perdita di ruolo dell’Europa a fronte delle odierne tendenze: da un lato  alla omologazione dei poteri economici/mediartici a scala internazionale; dall’altro alle ribellioni-senza-rivoluzione, per carenza di profezie, utopie o ideologie che delineino un mondo diverso.  Dubbi e diverse opinioni del recensore (cui rimangono aperture di credito verso il terzo mondo).

Il breve testo di Paolo Prodi “IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” (Il Mulino, Bologna 2015, pagg. 110) costituisce in qualche misura una sintesi di precedenti lavori (tra cui “Settimo non rubare”, già da me recensito, sulla genesi dell’autonomia dei mercati in Occidente, ed i suoi studi di storia della giustizia e di storia delle religioni) nonché – purtroppo – un testamento culturale per lo studioso recentemente scomparso. 
Il testo è incardinato sulla storia dell’Europa, soprattutto nel secondo millennio, ed anche in relazione agli altri grandi soggetti storico-geografici, il mondo islamico ed il mondo cinese, di cui Prodi sottolinea – rispettivamente - l’origine profetica di eresia rispetto al monoteismo ebraico ed a quello dell’impero cristiano orientale, per l’islamismo, e la sottostante continuità confuciana per la moderna Cina.
Prodi esalta la peculiarità europea derivante dal dualismo e dalla distinzione dialettica tra religione e politica, e delle susseguenti distinzioni, maturate nei secoli, tra reato e peccato, tra legge e coscienza, tra diritto canonico e legge civile, tra il potere statale, il potere religioso e il nascente potere economico, tra i diversi poteri dello stato (compresa l’autonomia delle istituzioni universitarie).     
In tale processo, non lineare bensì fortemente conflittuale, l’Autore, sulla scorta di altri autori (H.G.Berman, E. Rosenstock-Huessy) individua sei fasi di vera e propria “rivoluzione”, anche se le prime ai loro tempi assunsero il nome di “riforma”: la lotta per le investiture ovvero “riforma gregoriana” nel secolo XI, la “riforma protestante” nel XVI e la “glorious revolution” (ma così denominata a posteriori) nell’Inghilterra del XVII, ed infine la sequenza delle rivoluzioni “ufficialmente tali” in America, in Francia ed in Russia tra fine Settecento ed inizio Novecento.
Paolo Prodi insiste molto sulla necessaria precisione del concetto di rivoluzione, individuandone i connotati non solo nei concreti rivolgimenti politici e militari, ma anche nella presenza operativa di una speranza ideale di cambiamento, articolata come profezia e/o utopia e/o ideologia; e quindi nega il carattere di rivoluzione al semplice ribellismo, alle agitazioni ed ai moti di piazza privi di un programma; su profezia ed utopia Prodi approfondisce, dalla Bibbia ai nostri tempi, l’evolversi della prima nella seconda con la “secolarizzazione” e l’emergere una concezione di un tempo non più ciclico bensì tendenzialmente progressivo.
Le libertà conquistate nella storia d’Europa, che oggi contempliamo come ordine costituzionale e giuridico e come diritti individuali, non si fondano su un equilibrio statico, bensì sul succedersi delle suddette tensioni rivoluzionarie (e pertanto non sono “esportabili” dove non c’è questa storia di specifiche tensioni).
Pertanto Prodi (a mio avviso in non casuale sintonia con l’Enciclica Laudato sì” di Papa Bergoglio) esprime grande preoccupazione per le attuali tendenze del mondo occidentale a stingere le storiche distinzioni in un emergente potere-e-pensiero-unico, tecnologico ed economico, dove gli stati perdono sovranità, il sapere perde consapevolezza storica e gli individui, ridotti a consumatori, perdono cittadinanza; in assenza di nuove profezie od utopie rivoluzionarie, adeguate ad affrontare gli insorgenti problemi ambientali, sociali ed etici.
(L’Autore non si sofferma sulla specificità del “riflusso” derivante dalla delusione per i fallimenti delle rivoluzioni socialiste, né sul possibile ruolo attuale delle Chiese, fermandosi a commentare positivamente la svolta conciliare del cattolicesimo, nell’accettazione della laicità dello stato e nel relativismo ecumenista, con particolare riguardo all’apertura anche all’Islam).
Ed in presenza degli altri soggetti, quali Islam e Cina, con un diversa storia ed una differenziata aggressività, Prodi teme una decadenza dell’Europa, prima ancora che in termini di potenza economica o politico-militare, come declino del suo specifico ruolo di sperimentazione rivoluzionaria degli assetti sociali e culturali; più che il tramonto dell’Occidente, Prodi vede e teme il “tramonto della modernità” (e in tutt’uno, mi pare di aver capito, con il riformismo ed i margini di ottimismo, che invece ad esempio caratterizzano il più noto fratello Romano Prodi, economista e politico, pure lui di matrice cattolico-democratica-dossettiana).
Non sono certo all’altezza di poter confutare le conoscenze storiche di Paolo Prodi, né ho l’autorità per contrapporre al suo pessimismo radicale un pessimismo un po’ meno radicale; tuttavia mi permetterei di segnalare che a mio avviso l’Autore, dopo aver ascritto all’Europa anche rivoluzioni leggermente eccentriche come quelle americana di fine ‘700 e quella russa all’inizio del ‘900, trascura un po’ troppo gli apporti offerti successivamente alla scena mondiale (a mio avviso anche della stessa “modernità) dal resto del mondo, ma non senza influssi dalla storia europea (e quindi un domani anche viceversa?):
-          dalle  varianti “rurali” del marxismo in Cina (che magari in futuro rilascerà elementi critici nell’attuale ordine “neo-confuciano”) ed a Cuba (che qualche sedimento riformista originale sta trasponendo in altri paesi latino-americani, quali Uruguay, Bolivia, Equador, tutti paesi cari a papa Bergoglio), e che certo Prodi ben conosceva attraverso al frequentazione di Ivan Illich (vedi intervista a Gnoli….)
-          al versante non-violento delle lotte anticoloniali ed antisegregazioniste, soprattutto  in India ed in Sudafrica, dove ben presente è l’impronta di utopie profetiche e religiose, diverse ma non estranee alla cultura occidentale e cristiana, come mostrano ad esempio le biografie di Gandhi, Mandela e Desmond Tutu.
Perché, se verranno ancora delle rivoluzioni, penso che saranno più autentiche se promosse dagli ultimi della terra (i più colpiti anche dalle crisi ambientali), che non dai penultimi (al momento attratti da ambigue forme di populismo autoritario o dal mito del salario di cittadinanza, ma per i soli cittadini del primo mondo).

Fonti:
1.    Paolo Prodi “IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” - Il Mulino, Bologna 2015
2.  Paolo Prodi “SETTIMO, NON RUBARE. Furto e mercato nella storia dell'Occidente” – Il Mulino, Bologna 2009
3.    Enciclica papale “LAUDATO SI” 24-05-2015 www.vatican.va/content/.../it/.../papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.htm
4.    Recensioni sui precedenti 2 testi su questo blog  in appositi POST e nella pagina ULTERIORI LETTURE

5.    Intervista di Antonio Gnoli a Paolo Prodi su “Repubblica” del 09-02-2015 www.repubblica.it/.../paolo_prodi_c_era_troppa_violenza_nella_politica_per_questo

UTOPIA21 - MARZO 2017: LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE NELLA PROGETTAZIONE DI NUOVI QUARTIERI IN EUROPA

La formazione di diversi approcci alla sostenibilità urbana, passando dalla dimensione del singolo edificio a quella del “quartiere”, in Europa (ed in Italia), nell’intreccio tra problematiche tecnologiche e problematiche socio-economiche: nel mezzo l’architettura e la forma della città.

Riassunto:
la citta’ sostenibile non è solo la sommatoria di edifici energicamente virtuosi
la dimensione intermedia tra casa e città, nell’Europa del 21° secolo
il ciclo di progettazione di quartieri ecologici nel nord Europa dagli anni ‘90
panoramica sui principali esempi di quertieri sostenibili in Europa
problematiche specifiche nelle vicende dei nuovi quartieri sostenibili 
i pochi casi in Italia – il quartiere Albere a Trento
calo di interesse, in Italia, negli ultimi anni (con l’eccezione olandese) – ma qualcosa si muove per le periferie
intanto invece in Isvizzera… (e in Francia)
nuove sirene: i villaggi autarchici
-           appendice 1: articolazione dei problemi progettuali alla scala del quartiere, in funzione della densità edilizia e degli orientamenti tipologici
-           appendice 2: densità edilizie minime

LA CITTA’ SOSTENIBILE NON E’ SOLO LA SOMMATORIA DI EDIFICI ENERGICAMENTE VIRTUOSI
Nel precedente articolo “IL DIFFICILE PERCORSO VERSO LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE DEI FABBRICATI” su UTOPIA21/gennaio 2017, ho cercato di evidenziare i limiti sia della normativa vigente in Italia, sia degli stessi protocolli volontari, che dovrebbero guidare ad una virtuosa transizione ecologica del settore edilizio.
Tuttavia è innegabile che nella progettazione dei singoli fabbricati stiano maturando in modo diffuso, e parzialmente anche in Italia, una cultura, qualche norma, ed una serie di strumenti tecnologici, positivamente finalizzati verso il risparmio energetico, la qualità dei materiali ed il benessere abitativo.
Passando di scala verso la dimensione collettiva ed urbana della sostenibilità edilizia ed abitativa, mi sembra invece che le carenze legislative ed anche culturali si rivelino, sempre parlando dell’Italia, più che proporzionali all’aumento della complessità dei problemi (aumento intrinsecamente esponenziale).
Riservandomi di affrontare nelle prossime uscite di UTOPIA21 il panorama più complessivo delle teorie sulla sostenibilità urbana, vorrei in questo testo focalizzare l’attenzione sulla dimensione intermedia tra casa e città, costituita dal “quartiere” (o comunque della progettazione unitaria di un agglomerato di fabbricati), dove entrano in gioco diversi fattori che trascendono il singolo manufatto edilizio (e risultano infatti spesso “sfumati” nei protocolli ITACA, LEED&C), pur non essendo totalmente risolvibili in un ambito locale puntuale; tra questi fattori emergono:
-          aspetti economici: i costi di produzione e di manutenzione; i prezzi dei terreni e delle abitazioni; il regime giuridico del godimento  degli immobili;
-          aspetti sociali: le componenti sociali ed etniche che caratterizzano gli utenti; la disponibilità, qualità e localizzazione di posti di lavoro, interni ed esterni; le fasce di età ed altri motivi di diversificazione dei bisogni di servizi; lo sviluppo o meno di una nuova socialità di quartiere; i problemi di sicurezza;
-          aspetti funzionali: il rapporto tra le diverse destinazioni d’uso, residenziali, produttive e di servizio, pubbliche e private, all’interno ed all’esterno dell’area in esame; la dinamica dei flussi di mobilità;
-          aspetti topologici, morfologici e tipologici: la concretezza dei luoghi nella geografia e nella storia, le soluzioni architettoniche in relazione alla stratificazione urbana ed ai bisogni ed alle aspettative degli utenti;
-          aspetti ecologici: l’impatto complessivo dell’intervento su suolo, aria, acqua, clima, natura (flora e fauna); le correlazioni con il contesto urbano ed extraurbano, non solo riguardo ai sistemi di trasporto; gli approvvigionamenti di energia, di alimenti, di altri consumi; la gestione dei rifiuti, solidi, liquidi e gassosi.
Una parte di queste problematiche, con particolare riguardo alla loro intersezione con la questione della densità edilizia e del risparmio di suolo, è stata già da me trattata, in collaborazione con Anna Vailati, in un articolo (“Dalla casa sostenibile alla città sostenibile”), pubblicato un po’ mutilo su “Urbanistica Informazioni” n° 229 del 2010, testo alla cui stesura corretta rimando nelle “Fonti” – 15 - al termine dell’articolo, e che mi sento di confermare e di cui IN APPENDICE riprendo alcuni contenuti.

LA DIMENSIONE INTERMEDIA TRA CASA E CITTA’, NELL’EUROPA DEL 21° SECOLO
Mi interessa ora evidenziare che qui in Europa, dove è assai improbabile che si progettino nuove città (come invece si sta facendo attorno al golfo Persico ed in Estremo Oriente), ed in particolare in Italia (dove giustamente anche la ricostruzione degli insediamenti distrutti dal terremoto si articola sulla conservazione degli impianti urbani pre-esistenti), la dimensione intermedia del “quartiere” è un passaggio logico necessario per verificare nel concreto la praticabilità di ogni teoria di più ampia rigenerazione urbana.
Necessità che si conferma, con riferimento alla realtà italiana:
- sia per l’appunto nella ricostruzione post-sisma, perché anche partendo dal presupposto identitario “dov’era e com’era”, emergono notevoli difficoltà nella ri-edificazione di singoli edifici o porzioni di proprietà, a maggior ragione volendo conseguire anche maggior efficienza energetico/ecologica, qualora non si considerino i vincoli e le opportunità derivanti dal contesto, e quindi da una progettazione  micro-urbanistica estesa a più ampie porzioni di tessuto urbano (come accennavo nell’articolo “Casa Italia?” su UTOPIA21 nello scorso ottobre, e come è ben argomentato sul recente n° 267-268 di “Urbanistica Informazioni”),
- sia nel vasto e vario panorama del risanamento delle periferie, in parte  esplorato negli anni scorsi con la progettazione dei cosiddetti “contratti di quartiere” (iniziativa governativa con bandi nel 1998 e nel 2002), e che può comportare diverse soluzioni, dalla demolizione e ricostruzione di intere parti di città (come già avviene per le aree industriali dismesse) ad interventi molto più puntuali di taglia-e-cuci, ma ben difficilmente avviate al successo se applicate isolatamente su singoli edifici senza una adeguata connessione all’insieme, fisico e sociale, della porzione urbana circostante.

IL CICLO DI PROGETTAZIONE DI QUARTIERI ECOLOGICI NEL NORD EUROPA DAGLI ANNI ‘90
Per questo è importante analizzare e capire la grammatica e la sintassi delle esperienze concrete dei “quartieri sostenibili”, come si sono sviluppate da circa 25 anni  in alcuni paesi europei, soprattutto in area tedesca, fiamminga e scandinava, ed assai meno, e mediamente più tardi, in Gran Bretagna e nei paesi latini (vedi sommario elenco dei casi piu’ noti, con alcuni dati significativi, nella successiva tabella 1); una interessante e consistente gamma di operazioni di progettazione e realizzazione (e monitoraggio) di quartieri con esplicita ricerca di una sostenibilità ambientale, e con diversa attenzione ai vari aspetti sopra elencati.
Tale ciclo di progetti si è innestato sulla forte tradizione di quei paesi negli investimenti in edilizia sociale (in varie forme, non solo di capitale pubblico per case “popolari”) e nella pianificazione della trasformazione urbana, e che ha trovato a cavallo della fine del 20° secolo diverse occasioni di intervento in aree da recuperare per il venir meno di precedenti funzioni (militari, industriali, portuali, ecc.), ma senza escludere i casi di completamento o  rinnovo di quartieri residenziali sorti su aree ex-agricole.
Di queste esperienze, concentrate soprattutto negli anni ’90 del Novecento e nei primi anni Duemila, si è ampliamente trattato in Italia (ma soprattutto prima del 2013), in articoli di riviste e siti internet, nonché in alcuni testi universitari (soprattutto a Torino, Parma, Bologna e Roma), che elenco nelle “Fonti” ed a cui rimando, perché sono accessibili in rete, tranne gli articoli e il volume di Cecchini e Castelli (Roma – “Fonti” 6), da me però riassunto e commentato nella recensione di cui alle “Fonti - 13”, e da cui riprendo più avanti le parti essenziali, come esemplificazione dei casi più rilevanti, mentre affido alla successiva tabella una panoramica più schematica dell’insieme (con l’avvertenza che i dati consultati sono talvolta contraddittori, per cui ho cercato di selezionarli criticamente, valutando l’attendibilità delle fonti secondarie -  tra queste evidenzio la tesi di dottorato a Roma di Gilda Di Pasqua del 2013 - “Fonti” 5 -  oppure se possibile risalendo alle fonti primarie presso i siti delle città interessate).




TABELLA 1 :
PANORAMICA SUI PRINCIPALI ESEMPI DI QUARTIERI SOSTENIBILI IN EUROPA
NAZIONE
ANNI REALIZZAZIONE
N° ALLOGGI
N° ABITANTI
SUPERFICIE ettari
DENSITA ab/ettaro
ANNOTAZIONI

(non evidenziano aspetti ecologici, energetici, trasportistici e relativi ai processi di partecipazione, in quanto meno schematizzabili)
FONTI (sedi univeristarie)
CITTA’
Quartiere
SVEZIA

STOCCOLMA
Hammarby Sjostad
1997-2017

10.000
200

Recupero area portuale e industriale – mix funzionale, sociale e tipologico
ro pr
MALMOE
Bo01 (1° lotto)
1997-2001
800
2.300
22
105
Recupero area portuale – mix funzionale, sociale e tipologico – dislocazione varia antivento - torre Santiago Calatrava 
pr ro
to
MALMOE
Bo01 intero
10.000
175
62
Mix con molti posti lavoro
GERMANIA

STOCCARDA
Burgholzhof
1998-2005
950
2.375
10,5
226
Recupero area militare (1° lotto)
FRIBURG IM BREISGAU
Rieselfeld
1994-2010
4.200
12.000
70
171
Recupero area depuratore – 1.000 posti lavoro - griglia ortogonale - mix funzionale, sociale, tipologico – operazione di mercato
bo ro
FRIBURG IM BREISGAU
Vauban
1997-2006
2.000
5.000
38
131
Recupero area militare - 600 posti lavoro – mix funzionale, sociale, tipologico 
pr
to
bo
FRIBURG IM BREISGAU
Weingarten 2020
2007-
in corso

5.800
30
193
Riqualificazione quartiere popolare

HANNOVER
Kronsberg
(1° lotto)
1995-2000
3.000
6.600
100
66
Riuso area Expo – da 2000 a 3000 posti lavoro -    mix funzionale, sociale e tipologico - isolati ortogonali  
to  bo
ro
ba
HANNOVER
Kronsberg
(intero)
In corso
6.000
15.000
140
107
segue TABELLA 1 :
PANORAMICA SUI PRINCIPALI ESEMPI DI QUARTIERI SOSTENIBILI IN EUROPA

NAZIONE

ANNI REALIZZAZIONE
N° ALLOGGI
N° ABITANTI
SUPERFICIE ettari
DENSITA ab/ettaro
ANNOTAZIONI
(non evidenziano aspetti ecologici, energetici, trasportistici, meno schematizzabili, ma anche di fatto più omogenei)
FONTI (sedi univeristarie)

CITTA’
Quartiere
AUSTRIA







LINZ
Solar city (1° lotto)
1992-2008
1.317
3.293
32
103
Espansione – orientamento eliotermico – archistars varie
pr
to
ro
OLANDA

ALPHEN AAN DER RIJN
Ecolonia
primi anni ‘90
101
300
2,7
111
Espansione – mix tipologico e di orientamenti

AMERSFOORT
Nieuwland
1995-1999
4.700
15.000
70
214
Espansione – mix tipologico e di orientamenti
ro
AMSTERDAM
G.W.L. Terrein
1994-1997
600
1.800
6
300
Recupero  area industriale - mix funzionale, sociale e tipologico – alta densità (densità fondiaria 14 m3/m2)
bo
FINLANDIA

HELSINKI
EcoWiikki
1999-2010

1.700
23
74
Espansione – 6.000 posti lavoro - mix funzionale e tipologico – orientamento eliotermico con isolati stretti
pr
to
ro
DANIMARCA
COPENAGHEN
Egebjerggard
1988-1996
900
3.500
35
100
Espansione – mix funzionale sociale e tipologico
pr bo
ITALIA

TRENTO
Albere
-2013
300
1.000
9,8
100
Recupero area industriale – mix funzionale (50% museo e terziario) – densità fondiaria residenza 3 m3/m2 – prezzi alti e alloggi vuoti - Renzo Piano

PESARO
Villa Fastiggi
circa 2007
330
1.000
23
40
Completamento PEEP
pr
ro
BOLZANO
Casanova
2006-2012

3.000
10,7
280
Espansione - mix tipologico – corti semi-aperte orientate contro-vento
ro
GRAN BRETAGNA

LONDRA SUTTON
Bedzed
2000-2002



82
220
1,65
133
Recupero area industriale – mix funzioni – orientamento eliotermico
to bo ro
LONDRA
Greenwich Millennium Village
2002-2015
7.000
24
290
Recupero area industriale – mix funzionale, sociale, tipologico – Richard Rogers – Ralph Erskine
pr
bo ro
SPAGNA
SARAGOZZA
Valdespartera
2003-
in corso
24.000
243

99
Recupero area militare – 3.000 posti lavoro - tipologia unica a schiere alte con spazi aperti tutti pubblici
ro

PROBLEMATICHE SPECIFICHE NELLE VICENDE DEI NUOVI QUARTIERI SOSTENIBILI         
(dalla mia recensione a Cecchini e Castelli – “Fonti” - 13)
Al centro del testo stanno le analisi – a tavolino e con sopralluoghi - sulla genesi e gli sviluppi dei quartieri di Hammarby Sjostad (Stoccolma), Solar City (Linz), Greenwich Millennium Village (Londra) e Parque Goya e Valdespartera (Saragozza), ---- con approfondimento sia delle criticità intrinseche ai rispettivi progetti, sia delle problematiche emerse nei primi anni di utilizzo e – in parte – per i successivi ampliamenti, sia ancora, ove disponibili, dei dati emersi dal monitoraggio scientifico del funzionamento degli insediamenti.
Ne risulta un quadro complesso e ricco di chiaro-scuri; --- gli elementi critici che a mio avviso emergono dall’insieme --- sono:
-          i necessari compromessi, già a livello progettuale, tra un’impostazione strettamente “bio-edilizia” (esposizione lungo l’asse elio-termico, massimizzazione delle prestazioni energetiche, pedonalità) e le altre polarità di una progettazione urbana integrata, che determinano morfologie complesse e meno ingegneristiche;
-          i livelli “relativi” degli obiettivi di risparmio energetico, più o meno avanzati al momento della ideazione dei quartieri, ma oggi in gran parte superati dagli sviluppi tecnologici, e la mancanza di predisposizione per successivi adeguamenti delle parti già costruite (mentre traspare una discreta reattività verso la correzione progettuale delle parti di successiva realizzazione);
-          un certo scarto tra gli obiettivi di rendimento energetico prefissati ed i consumi effettivi, in gran parte addebitati ad un uso non corretto degli impianti e delle strutture, il che a mio avviso è indice o di una progettazione non adeguata alle effettive condizioni sociali e/o bio-climatiche, oppure di un discreto insuccesso dell’aspetto educativo e socializzante nella costruzione di queste porzioni di città.
Altro dato in comune alle 4 realizzazioni in esame è il vantaggio (non facilmente riproducibile) derivante dal basso costo di acquisizione dei suoli, di recupero in 3 casi e su aree libere (già destinate ad espansione produttive) per Solar City/Linz.

Riguardo ai singoli quartieri ritengo opportuno rilevare, i seguenti problemi specifici (sempre con la mia attenzione agli aspetti più problematici):
-          Hammarby sembra essere il caso di successo più completo ed equilibrato, anche se mi sembra dubbio il consolidamento degli insediamenti commerciali funzionali al quartiere;
-  
         

Figura 1 – quartiere Hammarby - Stoccolma

-          Solar City, tecnicamente corretto e molto monitorato (considerando però come positivo uno scarto energetico vicino al 20%) pare soffrire della limitata attuazione rispetto ad un progetto più vasto e quindi della forte pendolarità verso la città, da cui provengono i nuovi abitanti, in prevalenze giovani coppie del “ceto medio”; presenta inoltre una densità edilizia contenuta, e quindi non è molto risparmioso di suolo;
-           

      Figura 2 – quartiere Solar City - Linz
                                                             

-          Millennium Greenwich sta criticando da sè il primo “lotto”, prevedendo nelle successive realizzazioni l’abbandono di una rigida pedonalità e diverse soluzioni morfologiche e tipologiche;

                   
                                

Figura 3 – quartiere Millennium Greenwich - Londra


-          Parque Goya e Valdespartera, con base sociale assai più povera di Solar City (e con tipologia edilizia che mi appare per l’appunto assai da “case popolari”) evidenziano anche per questo alcuni insuccessi nell’apertura degli spazi semi-pubblici (con insorgere di recinzioni) e nell’uso scorretto delle serre solari (con conseguente scostamento dai risultati bio-climatici attesi).



            Figura 4 – quartiere Valdespartera - Saragozza

I POCHI CASI IN ITALIA – IL QUARTIERE ALBERE A TRENTO

La parte finale del testo di Cecchini e Castelli affronta, con le dovute riserve, alcuni casi italiani, però più recenti, e quindi senza profondità diacronica:
-          Spina 3 e l’Environment Park di Torino sono correttamente presentati come parte della complessa e complessiva rigenerazione urbana post-industriale della metropoli torinese; il frammento attuativo più analizzato è però molto particolare, trattandosi di un parco tecnologico e non di una porzione più multifunzionale della città;
-          I quartieri Resia e Casanova di Bolzano (inseriti nella tradizione ormai consolidata della normativa alto-atesina “CasaClima”, che coinvolge virtuosamente tutta l’edilizia nella provincia) ed il quartiere Villa Fastigi di Pesaro (in attuazione del PRG studiato da Bernardo Secchi ed allievi) sono interventi di nuova costruzione su aree libere periferiche, eredi della migliore cultura dei PEEP, che si caratterizzano sia sotto il profilo energetico e bio-climatico, sia riguardo alla connessione e funzionalità degli spazi pubblici (anche rispetto al contesto esterno)  ed alla qualità progettuale;
-          Il quartiere Savonarola di Padova rappresenta un caso esemplare di “Contratto di Quartiere”, imperniato sul recupero urbano di un vecchio insediamento di case popolari, con una progettazione integrata dagli aspetti fisici dei fabbricati e delle urbanizzazioni a quelli più strettamente sociali.

L’esperienza italiana più significativa, anche per le dimensioni, è però a mio avviso quella del quartiere Albere, progettato da Renzo Piano a Trento, su cui ho pubblicato nel 2014 un mio personale racconto di viaggio (vedi “Fonti” 14), da cui traggo quanto segue:
Premessi ---- i valori positivi dell’operazione, -----riguardo:
-          al recupero di un’area industriale dismessa (Michelin), che apportava posti di lavoro al territorio, ma lo ingombrava  (e inquinava?) in una fascia delicata, presso l’argine sinistro dell’Adige, soffocando la residenza principesca cinquecentesca delle Albere,
-          alla densità relativamente elevata dell’intervento (quasi 1 mq/mq come densità territoriale, più del doppio come densità fondiaria, data la presenza di un parco di 50.000 m2 oltre al Museo ed altri spazi pubblici), che contribuisce quindi  potenzialmente al risparmio nel consumo di suolo, pur conferendo elevati standard di verde e di attrezzature pubbliche,
-          alla integrazione (potenziale) tra destinazioni d’uso compatibili, residenza, uffici e negozi, un albergo ed attrezzature pubbliche di rilievo: oltre al MUSE (Museo della Scienza, di grande successo didattico e di pubblico) un centro congressi, che - ancora in costruzione - viene trasformato in biblioteca universitaria (pur lontana dalle facoltà),
-          alla virtuosità tecnologica ed energetica degli edifici (livello B di Casaclima, con fotovoltaico, geotermico, trigenerazione ed ovviamente cospicue coibentazioni),
evidenziavo però:
-          --i limiti della localizzazione, -----: pur non essendo lontana dal Centro urbano e dall’Università, l’area ne è separata da alcuni impianti mono-funzionali piuttosto pesanti, coma lo Stadio (che forse in futuro sarà trasferito), la Fiera ed il Cimitero
-          da scelte che possono apparire virtuose ai critici ed ai visitatori, come le facciate interamente vetrate ---, la permeabilità pedonale pubblica di gran parte dei cortili verdi che si alternano ai viali pedonali interni e quindi la pressoché totale assenza di recinzioni che privatizzino il suolo (ad esclusione degli isolati totalmente residenziali sul fronte del Parco), e – mi è sembrato – la carenza di balconi e logge (se non per gli attici): elementi che contrastano con le abituali aspirazioni dei potenziali clienti di target elevato (che hanno quindi in città e dintorni molte possibili alternative)
e soprattutto ponevo la questione
se possa essere sostenibile socialmente ed economicamente un quartiere sì ecologico, ma decisamente “d’alto bordo” (prezzi oltre i 4.500 €/m2, non a caso pubblicizzati anche sul portale LUX-gallery),
registrando altresì nel dibattito locale
accuse di eccessivo sostegno economico da parte  di Comune Provincia Università e Curia per il difficoltoso successo dell’iniziativa immobiliare, ed in particolare alcune censure circa l’abbandono del progetto ----- per una nuova biblioteca universitaria meglio collocata.

                      

Figura 5 – quartiere Albere - Trento

CALO DI INTERESSE, IN ITALIA, NEGLI ULTIMI ANNI (CON L’ECCEZIONE OLANDESE) – MA QUALCOSA SI MUOVE PER LE PERIFERIE
Negli ultimi 5 anni invece, guardando dall’osservatorio della pubblicistica disponibile in Internet, ed assumendo anche come testimone l’indice degli argomenti del convegno INU-urban promo alla Triennale di Milano nel novembre 2016, pare che l’interesse per i quartieri sostenibili degli altri paesi europei sia assai scemato, forse anche per la diminuzione della materia prima, cioè di nuovi progetti e realizzazioni recenti e consistenti (la crisi economica ed in particolare la contrazione della spesa sociale probabilmente si  fa sentire anche nel nord-Europa – ciò non esclude recenti interventi come il quartiere Jenfeld ad Amburgo): però potrebbero essere approfonditi i monitoraggi e le riflessioni su quell’ampio campo di esperienze compiute, con il vantaggio di una visione retrospettiva su un arco temporale più vasto.
In contro-tendenza si rileva il recente servizio a cura di Fabiola Fratini (Università Sapienza, Roma) su “Urbanistica Informazioni” n° 267-268 del 2016, che racconta la involutiva parabola olandese, con il programma VINEX del 1995, per un milione di nuove abitazioni: tale programma negli ultimi venti anni ha capovolto la tradizionale politica di pianificazione urbana centralizzata, fondata sulla tutela delle aree agricole (“Green Hearth”) e sulla spesa pubblica per la casa, riducendo l’edilizia sovvenzionata al 30% del costruito, e liberalizzando iniziative private decentrate nei comuni, anche minori, con bassa densità ed elevato consumo di suolo (e di specchi d’acqua, tramite la formazione di isole artificiali); in tale ambito spicca invece, riprendendo le proposte di Van den Broek e Bakema negli anni ’60, il nuovo sobborgo di Amsterdam denominato Ijburg, che – pur sorgendo anch’esso sulle acque del lago Ijmeer (in parte come isole ed in parte anche mediante case galleggianti) – si caratterizza positivamente per densità meno basse, la qualità progettuale, la priorità ai mezzi di trasporto pubblico ed anche per una discreta attenzione all’impatto ecologico ed energetico ed alla “resilienza” verso i nuovi fenomeni metereologici ed alluvionali (innalzamento del livello dei mari). 
           




            Figura 6- quartiere Ijburg, Amsterdam

Nell’insieme, forse, emerge comunque una tendenza, accademica ed italiana, a considerare superate alcune tappe degli sviluppi evolutivi (ad esempio per l’appunto i ‘noiosi quartieri socialdemocratici’ del Nord Europa), senza averle nemmeno affrontate; ora l’attenzione è agli “approcci transcalari”, ma si rischia di non sapere più cosa si intenda fare alle singole diverse scale (casa – quartiere – città – mondo…): come a voler essere interdisciplinari, ma senza basarsi almeno sulla conoscenza approfondita di almeno una disciplina.
Tuttavia, sotto la denominazione più ampia di “rigenerazione urbana”, dal medesimo convegno emerge una discreta attività progettuale finalizzata alla ricucitura puntuale (anche se non sistematica) di variegate situazioni di disagio urbano in giro per l’Italia, e soprattutto nelle città metropolitane e nei capoluoghi delle ex-provincie, coinvolte nel “Bando-periferie”, recentemente ri-finanziato (da 500 milioni a 2,5 milioni di € per tutti i 120 progetti presentati e non più solo per i primi 24).
In tal modo forse tale iniziativa verrà sottratta al deludente risultato di tutte le precedenti intraprese gestite dal Ministero delle Infrastrutture su casa e città negli ultimi decenni, dai PRUSST ai Contratti di Quartiere, ai vari “piani-casa”, in cui i carteggi burocratici, sia pure ammodernati con lo stile del “marketing urbano”, hanno superato di gran lunga la carta-moneta effettivamente disponibile, in un perenne divario tra  eccesso di progetti e scarsità di risorse, distogliendo le regioni e i comuni, impoveriti per altro di risorse proprie, dai loro compiti organici di programmazione del recupero urbano.
Il più ampio progetto “Casa-Italia” enunciato con clamore dopo il terremoto invece ancora non decolla, e difficilmente decollerà dopo la sconfitta governativa al recente referendum costituzionale; nell’attesa, forse vana, di un nuovo quadro politico stabile, manca comunque una prospettiva certa con risorse pluriennali ed una regia centrale orientata alla rigenerazione dei quartieri e delle città italiane.

INTANTO INVECE IN ISVIZZERA…(E IN FRANCIA)
Interessante la sintesi che delle esperienze proprie e altrui hanno tratto in Svizzera, a livello federale, redigendo una sorta di manuale metodologico, ispirato ai seguenti principi: “Il Progetto territoriale Svizzera sostiene le iniziative e le attività avviate da Cantoni, Città e Comuni orientate all’urbanizzazione di qualità, alla riqualifica delle aree industriali dismesse e alla valorizzazione dei centri urbani. Adottare un approccio innovativo per lo sviluppo sostenibile dei quartieri implica la valutazione non solo degli aspetti architettonici ed energetici, ma anche la ricerca di un equilibrio fra aspetti sociali, quali integrazione e sicurezza, mobilità, rispetto dell’ambiente e la forma urbana”; e specificamente anche “mescolanza intergenerazionale e coesione sociale, benessere e convivialità, processo partecipativo”.
La proposta operativa federale offre pratici strumenti di valutazione e mira a coordinare e monitorare le iniziative in progetto od in corso in diversi cantoni, con priorità per 6 aree individuate, nel 2011, a Basilea, Ginevra, Zurigo, Neuchatel e Losanna (2 interventi); si nota l’assenza del Canton Ticino, forse per mancanza di occasioni nelle aree urbane del Cantone, di più limitate dimensioni rispetto a quelle di altri cantoni.
“La filosofia dello strumento richiama le nozioni di flessibilità e sviluppo che garantiscono il suo progressivo adeguamento al progredire delle conoscenze, esperienze e competenze in materia, nonché al cambiamento delle norme e delle basi giuridiche”.
Il tutto mi sembra positivo, in particolare il metodo del monitoraggio progressivo e del reciproco apprendimento, però l’operazione si inserisce in un orizzonte territoriale in cui la densità prevista come obiettivo strategico federale nel 2002, ovvero “la stabilizzazione della superficie d’urbanizzazione a 400 m2 per abitante” (cioè 25 abitanti per ettaro, al lordo delle diverse destinazioni d’uso, delle infrastrutture e dei servizi) mi sembra invero piuttosto basso: infatti partendo da un consumo medio di suolo in atto coincidente con quello riscontrato nel 2012 tanto in Lombardia che in Provincia di Varese, ed in presenza di un aumento demografico, la “stabilizzazione” dell’indice corrisponde ad una prosecuzione del consumo di suolo con la medesima densità (per arrestare il consumo di suolo la densità invece dovrebbe aumentare); il documento federale si limita ad auspicare una peculiare densificazione degli eco-quartieri in progetto, senza assegnare obiettivi quantitativi specifici.
Anche la Francia, consapevole di un suo ritardo rispetto all’Europa tedescofona, ha assunto iniziative nazionali, a partire dalla prima conferenza nazionale sugli Eco-Quartieri nel 2009 ed istituendo un premio nazionale a cadenza biennale, cui hanno partecipato numerosi progetti, ponendo altresì come obiettivo che dal 2012 tutti i comuni interessati da programmi di sviluppo dovessero avviare almeno una progettazione di eco-quartiere (il tutto è poco conosciuto nella pubblicistica italiana).
Molto interessante la rassegna critica di casi francesi ed europei a cura di Guillaume Faburel e Camille Roché, su “Recherche sociale” n°200 del 2011, orientata verso la valorizzazione degli aspetti sociali e partecipativi, a scapito delle soluzioni meramente tecnologiche.

NUOVE SIRENE: I VILLAGGI AUTARCHICI
Sono da segnalare inoltre, per il notevole rilievo mediatico riscontrato negli ultimi mesi, alcune proposte progettuali, più o meno recenti, che vanno in una direzione a mio parere assai divergente, e cioè all’assemblaggio di unità abitative, o meglio abitative/produttive, tendenzialmente autosufficienti, non solo sotto il profilo energetico, ma anche alimentare e talora lavorativo, con la distribuzione capillare di laboratori, orti e serre, fino a compromettere lo stesso concetto di città (nonché quello connesso di integrazione sociale).
Infatti, mentre le densità edilizie si abbassano, vengono meno criteri di universalità e mescolanza degli utenti, in favore di selezioni escludenti fondate sul censo oppure sulle “affinità elettive”, sia pure di nicchie “ecologiche” di famiglie, favorendo le relazioni sociali chiuse e predeterminate (la comunità) su quelle aperte e casuali (la società), formando luoghi da cui a mio avviso è molto probabile che i pre-adolescenti cercheranno di fuggire in cerca della loro porzione di libertà e di avventura.
(Il processo di aggregazione inter-familiare su basi elettive ai fini abitativi - il cosiddetto co-housing - mi pare positivo se limitato alla dimensione del condominio/cooperativa; estendendolo alla scala del quartiere assomiglia molto a quelle barriere preclusive che caratterizzano in tante parti del mondo, ma poco per ora in Europa, “la città dei ricchi” contrapposta alla “città dei poveri”: vedi testo di Bernardo Secchi e mia recensione – “Fonti” 11 e 13; vedi recente scalpore per le lottizzazioni recintate a Treviso e altri comuni veneti.
Mi riferisco alle seguenti proposte:
-          RE-GEN, recente progetto dello studio danese Effekt ad Almere (presso Amsterdam), proposto come prototipo da esportare nel mondo a partire dall’area baltica (ma con capitali californiani), che intreccia diverse soluzioni tecnologiche (un mix di aeroponica, idroponica, permacultura e con l’impiego di energia geotermica, solare, eolica e biomasse) attorno all’idea della villetta-serra unifamiliare e della piccola comunità auto-sufficiente;

  
           

Figura 7 – immagine promozionale per il quartiere Re-Gen ad Almere


-          EARTHSHIP del guru statunitense Michael Reynolds (già sospeso e riammesso alla professione di architetto per la sua disinvoltura verso le norme tecniche), che propone un riciclaggio spinto di materiali anche grezzi (tipo pneumatici d’auto e lattine di birra) per unità uni-familiari adatte ad una autosufficienza totale e pionieristica, sperimentata in New Mexico, declinandole in uno stile che a mia impressione sta a metà tra l’autocostruzione abusiva di borgata ed il villino mediterraneo/tropicale, sia pure con ascendenze Gaudì.
-           
  
     

Figura 8 – una abitazione progettata da Michael Reynolds

Una qualche somiglianza a queste tematiche si riscontra anche nella recentissima ed ambiziosa proposta dell’architetto Carlo Ratti, direttore del “Senseable City Lab” del Massachussets Istitute of Technology e teorico delle “smart cities” e dei “big data”, per la ex base militare americana Patrick Henry ad Heidelberg, da trasformare in “una comune futuristica che sarà caratterizzata dalla condivisione di case, cucine e automobili” “per un massimo di 4.000 persone, tra studenti, famiglie, ricercatori e imprenditori” su un’area di quasi un milione di m2 (e quindi con una densità, molto bassa, di 40 persone per  ettaro).






APPENDICE 1: ARTICOLAZIONE DEI PROBLEMI PROGETTUALI ALLA SCALA DEL QUARTIERE, IN FUNZIONE DELLA DENSITA’ EDILIZIA E DEGLI ORIENTAMENTI TIPOLOGICI

Le seguenti riflessioni tentano di articolare le problematiche in merito a densità e tipologie, assumendo una griglia di variabili tipica di una “Valutazione Ambientale Strategica”, e privilegiando l’attenzione verso gli indicatori più sensibili agli agenti locali; con l’avvertenza che la necessaria analisi non consente comunque mai di isolare i singoli fattori dal quadro complessivo di interazione:
A)           un primo gruppo di valori risulta abbastanza neutro rispetto alle alternative di progettazione urbana, nel senso che le “buone pratiche” possono consentire di minimizzare comunque l’impatto insediativo, a prescindere dalle tipologie e densità ipotizzate:
a.            CONTROLLO DEI CONSUMI IDRICI INTERNI ALLE ABITAZIONI (i consumi esterni, per irrigazione, giardinaggio, lavaggio sono invece molto variabili);
b.            QUALITA’ DEGLI SCARICHI LIQUIDI;
c.            IMPIEGO DI MATERIALI DA COSTRUZIONE TERMO-COIBENTI, SANI E RICICLABILI (con qualche limite tecnologico: ad esempio, per case alte con struttura in legno);
d.            CONTROLLO DELLE EMISSIONI SONORE (mentre l’inquinamento acustico passivo risulta influenzato dalle morfologie edilizie, a parità di materiali isolanti);
e.            LIMITAZIONE DELL’INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO (anche se insediamenti più compatti possono limitare le interferenze con le reti di telecomunicazioni e di trasporto dell’energia elettrica, facilitandone la razionalizzazione)
f.             LIMITAZIONE DEGLI INQUINAMENTI DURANTE IL PROCESSO COSTRUTTIVO ED AL TERMINE DEL CICLO DI VITA DEI FABBRICATI;
B)           all’estremo opposto, un gruppo di valori fondamentali, benché fortemente inter-agenti con i contenuti progettuali quali-quantitativi, non sono riconducibili a valutazioni generali, perché sostanzialmente condizionati dal “genius loci” e dalla specificità delle condizioni socio-economiche locali:
a.            TUTELA  E VALORIZZAZIONE DEL PAESAGGIO E DEI BENI CULTURALI;
b.            INSERIMENTO NEL CONTESTO STORICO E GEOGRAFICO LOCALE;
c.            ESPRESSIONE DI VALORI SIMBOLICI COLLETTIVI E DEL LINGUAGGIO ARCHITETTONICO DEI PROGETTISITI
C)           nel mezzo invece si collocano i valori per i quali più determinanti risultano gli approfondimenti scientifici, con particolare attenzione alle reciproche interferenze (anche con i valori del gruppo “B”), e quindi attraverso comparazioni multi-criteri, e comunque con un’ottica di tipo olistico; si tratta in parte di variabili fisicamente misurabili, in qualche misura proporzionali, o variamente funzionali, rispetto alle grandezze edilizie:
a.            CONSUMO DI SUOLO AGRO-FORESTALE, proporzionale alla superficie complessiva occupata per usi urbani (anche di verde pubblico);
b.            PERMEABILITA’ DEI SUOLI, che è funzione inversa della superficie coperta da edifici oppure variamente impermeabilizzata;
c.            PERMEABILITA’ ECOLOGICA DEI TERRITORI NON URBANIZZATI, evidentemente maggiore con insediamenti compatti (ma non si può escludere una virtuosa progettazione che consenta forme di continuità della rete ecologica anche nelle maglie verdi dei tessuti urbani meno densi)
D)           Infine, la parte restante, e più complessa, riguarda variabili che hanno grande rilevanza ai fini della sostenibilità ambientale degli insediamenti, ma non rivestono funzioni di carattere lineare rispetto alle singole grandezze edilizie:
a.            BILANCIO IDRICO COMPLESSIVO, sia relativo alle risorse idro-potabili sia al ciclo pluviale, considerando l’insieme dei consumi umani (anche per irrigazione, giardinaggio e lavaggio), la permeabilità dei suoli, l’estensione e le caratteristiche delle pavimentazioni semi-permeabili, nonché la possibile introduzione di coperture verdi (che influiscono sulla velocità di corrivazione, sulla evaporazione e sul micro-clima);
b.            EFFICIENZA ENERGETICA, che, non solo può variare al mutare di densità e tipologie – a parità di materiali e tecnologie -, ma anche esserne radicalmente condizionata, nel senso che determinate tecniche costruttive ed impiantistiche risultano congruenti con determinate tipologie e densità, e non con altre: in un contesto in rapida evoluzione;
c.            EFFICIENZA DEI TRASPORTI, considerando le alternative, i conflitti e le possibili integrazioni tra le diverse modalità di spostamento, con mezzi pubblici o privati, ed i limiti di accettabilità sociale alle eventuali limitazioni o accentuazioni della mobilità: i campi di variabilità differiscono in funzione di altimetria e clima, per esempio riguardo alla fattibilità ed usabilità delle piste ciclabili, come anche per le distanze pedonali massime ammissibili; anche questo settore è fortemente influenzato dal modificarsi degli elementi tecnologici, così come del contesto sociale ed economico, anche a scala globale (es. prezzi dei carburanti);
d.            QUALITA’ DELL’ARIA, per quanto deriva dai fattori locali, sia riguardo alle emissioni dirette dagli insediamenti, per la climatizzazione artificiale (vedi sopra punti D/a e D/b), sia indirettamente dal sistema dei trasporti (vedi D/c)
e.            BENESSERE BIOCLIMATICO (interno alle abitazioni) E MICRO-CLIMA URBANO, risultante dalla combinazione di fattori complessi;
f.             CLIMA ACUSTICO, anch’esso derivante da molti elementi, locali e sovra-locali;
g.            RACCOLTA DEI RIFIUTI SOLIDI: gli insediamenti compatti riducono i percorsi di raccolta, ma la raccolta differenziata risulta più efficiente negli insediamenti, radi, che impongono maggiore responsabilizzazione ai singoli utenti, e dove gli orti rendono possibile una riduzione del consumo di imballaggi e la pratica del compostaggio diretto dei rifiuti umidi;
h.            EFFICIENZA ECONOMICA COMPLESSIVA, considerando i costi diretti ed indiretti degli insediamenti, in tutto il loro ciclo – dal cantiere alla dismissione finale – e passando per la durata delle possibilità di manutenzioni ed adattamenti, per il cumulo dei costi energetici
i.             EFFICIENZA ED ACCETTABILITA’ SOCIALE, che risulta di assai difficile misurazione, sia per una certa labilità delle discipline sociologiche ed antropologiche, sia per la complessità delle mediazioni tra i soggetti coinvolti nelle decisioni (politici, tecnici, agenzie immobiliari, promotori, imprese) ed i diversi segmenti dell’utenza finale della città: insediamenti ad alto costo iniziale, ma di lunga durata e bassi costi di gestione e manutenzione (e limitato inquinamento ambientale) possono essere acquisiti direttamente solo dai ceti più abbienti, mentre latita una domanda organizzata dai potenziali esclusi, o perché non rappresentati (o non rappresentabili istituzionalmente, come le nuove minoranze degli immigrati), o perché paradossalmente rappresentati da esponenti politici degli stessi ceti più abbienti.
E)            non si considera in questo testo l’IMPRONTA ECOLOGICA COMPLESSIVA degli insediamenti, comprensiva cioè di tutte le risorse primarie utilizzate nel ciclo di vita degli insediamenti, rapportate alle aree necessarie per produrle e riprodurle – a scala globale - , inclusi energia, alimenti ed altre materie prime, perché da un lato si coinvolgono comportamenti indipendenti dalla conformazione urbana (ad esempio cosa si mangia e come si coltiva, sotto casa od in altro continente; come si produce la quota di energia importata), dall’altro si investono variabili macro-economiche internazionali  - dal prezzo del petrolio alla tassazione dei trasporti -, il cui controllo, anche concettuale, non può che esulare da queste poche pagine: con l’auspicio però che  qualcuno se ne occupi, dalle forze politiche ai governi, e soprattutto ad esempio la Comunità Europea).



APPENDICE 2  - DENSITA’ EDILIZIE MINIME IN FUNZIONE ECOLOGICA

Mentre gli utenti per lo più preferiscono case basse con tanto verde, inseguendo il mito della villa unifamiliare, la densificazione dell’edificato, con introduzione di tipologie edilizia pluripiano si rende infatti necessaria sia per conseguire complessivamente un ragionevole risparmio di suolo, sia per raggiungere altri obiettivi connessi alla compattezza urbana.
Nella ricerca sopra richiamata avevamo in particolare raccolto da altri autori (vedi Fonti al termine dell’articolo) le seguenti indicazioni quantitative specifiche:


Densità residenziale minima
Efficienza del sistema dei trasporti, con efficacia della mobilità pedonale
170 abitanti/ettaro

Efficienza delle nuove centralità rispetto alla vitalità urbana
2,5 m3/m2, ovvero
120 abitanti/ettaro

Anche per l’efficienza dei sistemi di teleriscaldamento, in particolare con centrali elio-termo-dinamiche, sono richieste densità elevate, più difficili da quantificare.
In controtendenza, per ottenere efficienza nei sistemi di captazione passiva dell’energia solare, è raccomandato di non superare una densità edilizi di 4,5 m3/m2 (per case in linea orientate est-ovest).
Tali valori vanno confrontati con quelli registrati nella TABELLA 1



Fonti (non si riportano le semplici notizie giornalistiche ed i testi brevi ricavati da Internet)
1.    Università di Bologna, facoltà di Ingegneria, DAPT: ing. Francesco Fulvi “Esempi di Quartieri Sostenibili” – 2008 www.francescofulvi.it/DOCUMENTI/UTILITA'/Quartieri%20Sostenibili.pdf
2.    Università di Bologna, tesi di dottorato di Ciro Lamedica – 2012 -
3.    Università di Torino, O.C.S. - Osservatorio Città Sostenibili del Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (Politecnico e Università di Torino): Stefania M. Guarini “Quartieri Ecosostenibili in Europa” – 2011 www.ocs.polito.it/biblioteca/dwd/quartieri_eco.pdf
4.    Università di Parma, Laboratorio di Urbanistica Paesaggio e Territorio – Documentazione: ARCHIVIO QUARTIERI – schede con diversi Autori e date - www.urbanistica.unipr.it
5.    Università di Roma, tesi di dottorato di Gilda di Pasqua: “Criteri progettuali e sistemi gestionali dell’eco-quartiere. La valenza energetica nella progettazione urbana.” – 2013 www.padis.uniroma1.it/license-view?viewitem=true&itemid.../TESI%20DiPASQUA..
6.    Universita di Roma: “Scenari, risorse, metodi e realizzazioni per CITTA’ SOSTENIBILI”, a cura di Domenico Cecchini  e Giordana Castelli - Gangemi editore – 2013, anticipaton parte su “Urbanistica” n° 141 – 2010 - www.cittasostenibili.it/html/biblio.htm
7.    Università di Roma – a cura di Fabiola Fratini “Ijburg, un VINEX extra” su “Urbanistica Informazioni” n° 267-268 del 2016 
8.    Università di Napoli - Dipartimento di progettazione architettonica e ambientale "teorie e metodologie" - tesi di dottorato di Pietrantonio Zazzarino “Criteri di sostenibilità nella progettazione di edifici: descrizione – individuazione di tecnologie attive e passive in alcuni esempi di architetture” – 2011  www.fedoa.unina.it/view/creators/Zazzarino=3APietrantonio=3A=3A.html
9.    Università di Bari: laboratorio di progettazione urbanistica a/b – Politecnico di Bari https://urbandesignpoliba.wordpress.com
10.  Université Paris Est, Institut d’Urbanisme de Paris - Guillaume Faburel e Camille Roché: “Les éco-quartiers, du projet technique et architectural… au projet social. Vers une typologie de cas étrangers et français, pubblicato su  “Recherche sociale”, n°200 del 2011 www.amenites.files.wordpress.com/.../article-eco-quartiers-et-p..
11.  Confederazione Svizzera: Ufficio federale dello sviluppo territoriale ARE + Ufficio federale dell’energia UFE - Emmanuel Rey “Quartieri sostenibili: sfide e opportunità per lo sviluppo urbano” – 2011 www.quartieri-sostenibili.ch
12.  Bernardo Secchi “La città dei ricchi e la città dei poveri” di Bernardo Secchi - Laterza, Bari 2013
13.  Anna FRISA, Carlo RATTI “Progettare la città: come?” Dipartimento Interateneo Territorio, Politecnico di Torino - School of Architecture and Planning, MIT www.senseable.mit.edu/.../20011116_Frisa_Ratti_ProgettareCitta_Proceedings CittaDiffusa.
14.  Atti convegno URBANPROMO, 08-11 novembre 2016, presso Triennale di Milano  http://urbanpromo.it/info/urbanpromo-xiii-edizione-2016/
15.  Recensioni sul testo di Cecchini e Castelli “Città sostenibili” - 2014 – e sul testo “La città dei rocchi e la città dei poveri” di Bernardo secchi – 2016 - su questo blog  in apposito POST e nella pagina ULTERIORI LETTURE
16.  Post “Le Albere di Renzo Piano ed i nuovi musei di Trento e Rovereto” – 2014 - su questo blog
17.  Pagina “APPENDICE I” – su questo blog, con estratto da IL DIFFICILE  PERCORSO DALLA “CASA SOSTENIBILE” ALLA “CITTA’ SOSTENIBILE” Gennaio 2010 (pubblicato in bozza non corretta su “Urbanistica Informazioni” n° 229) Autori:  Aldo Vecchi e Anna Maria Vailati