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lunedì 20 marzo 2017

UTOPIA21 -MARZO 2017: IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE”, ED ANCHE DELLA MODERNITA’ (E DEL RIFORMISMO?) SECONDO PAOLO PRODI

Le scarse speranze su un futuro ruolo dell’Europa, per il venir meno delle spinte autenticamente rivoluzionarie e della tensione tra religiosità e laicità, nel “testamento culturale” dello studioso da poco scomparso.

Riassunto – L’Autore riprende i suoi fondamentali contributi storici sulla peculiarità dell’Occidente tra religione (utopie) e potere (varie forme del potere). Puntualizza tale storia attraverso i suoi momenti rivoluzionari per inquadrare la perdita di ruolo dell’Europa a fronte delle odierne tendenze: da un lato  alla omologazione dei poteri economici/mediartici a scala internazionale; dall’altro alle ribellioni-senza-rivoluzione, per carenza di profezie, utopie o ideologie che delineino un mondo diverso.  Dubbi e diverse opinioni del recensore (cui rimangono aperture di credito verso il terzo mondo).

Il breve testo di Paolo Prodi “IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” (Il Mulino, Bologna 2015, pagg. 110) costituisce in qualche misura una sintesi di precedenti lavori (tra cui “Settimo non rubare”, già da me recensito, sulla genesi dell’autonomia dei mercati in Occidente, ed i suoi studi di storia della giustizia e di storia delle religioni) nonché – purtroppo – un testamento culturale per lo studioso recentemente scomparso. 
Il testo è incardinato sulla storia dell’Europa, soprattutto nel secondo millennio, ed anche in relazione agli altri grandi soggetti storico-geografici, il mondo islamico ed il mondo cinese, di cui Prodi sottolinea – rispettivamente - l’origine profetica di eresia rispetto al monoteismo ebraico ed a quello dell’impero cristiano orientale, per l’islamismo, e la sottostante continuità confuciana per la moderna Cina.
Prodi esalta la peculiarità europea derivante dal dualismo e dalla distinzione dialettica tra religione e politica, e delle susseguenti distinzioni, maturate nei secoli, tra reato e peccato, tra legge e coscienza, tra diritto canonico e legge civile, tra il potere statale, il potere religioso e il nascente potere economico, tra i diversi poteri dello stato (compresa l’autonomia delle istituzioni universitarie).     
In tale processo, non lineare bensì fortemente conflittuale, l’Autore, sulla scorta di altri autori (H.G.Berman, E. Rosenstock-Huessy) individua sei fasi di vera e propria “rivoluzione”, anche se le prime ai loro tempi assunsero il nome di “riforma”: la lotta per le investiture ovvero “riforma gregoriana” nel secolo XI, la “riforma protestante” nel XVI e la “glorious revolution” (ma così denominata a posteriori) nell’Inghilterra del XVII, ed infine la sequenza delle rivoluzioni “ufficialmente tali” in America, in Francia ed in Russia tra fine Settecento ed inizio Novecento.
Paolo Prodi insiste molto sulla necessaria precisione del concetto di rivoluzione, individuandone i connotati non solo nei concreti rivolgimenti politici e militari, ma anche nella presenza operativa di una speranza ideale di cambiamento, articolata come profezia e/o utopia e/o ideologia; e quindi nega il carattere di rivoluzione al semplice ribellismo, alle agitazioni ed ai moti di piazza privi di un programma; su profezia ed utopia Prodi approfondisce, dalla Bibbia ai nostri tempi, l’evolversi della prima nella seconda con la “secolarizzazione” e l’emergere una concezione di un tempo non più ciclico bensì tendenzialmente progressivo.
Le libertà conquistate nella storia d’Europa, che oggi contempliamo come ordine costituzionale e giuridico e come diritti individuali, non si fondano su un equilibrio statico, bensì sul succedersi delle suddette tensioni rivoluzionarie (e pertanto non sono “esportabili” dove non c’è questa storia di specifiche tensioni).
Pertanto Prodi (a mio avviso in non casuale sintonia con l’Enciclica Laudato sì” di Papa Bergoglio) esprime grande preoccupazione per le attuali tendenze del mondo occidentale a stingere le storiche distinzioni in un emergente potere-e-pensiero-unico, tecnologico ed economico, dove gli stati perdono sovranità, il sapere perde consapevolezza storica e gli individui, ridotti a consumatori, perdono cittadinanza; in assenza di nuove profezie od utopie rivoluzionarie, adeguate ad affrontare gli insorgenti problemi ambientali, sociali ed etici.
(L’Autore non si sofferma sulla specificità del “riflusso” derivante dalla delusione per i fallimenti delle rivoluzioni socialiste, né sul possibile ruolo attuale delle Chiese, fermandosi a commentare positivamente la svolta conciliare del cattolicesimo, nell’accettazione della laicità dello stato e nel relativismo ecumenista, con particolare riguardo all’apertura anche all’Islam).
Ed in presenza degli altri soggetti, quali Islam e Cina, con un diversa storia ed una differenziata aggressività, Prodi teme una decadenza dell’Europa, prima ancora che in termini di potenza economica o politico-militare, come declino del suo specifico ruolo di sperimentazione rivoluzionaria degli assetti sociali e culturali; più che il tramonto dell’Occidente, Prodi vede e teme il “tramonto della modernità” (e in tutt’uno, mi pare di aver capito, con il riformismo ed i margini di ottimismo, che invece ad esempio caratterizzano il più noto fratello Romano Prodi, economista e politico, pure lui di matrice cattolico-democratica-dossettiana).
Non sono certo all’altezza di poter confutare le conoscenze storiche di Paolo Prodi, né ho l’autorità per contrapporre al suo pessimismo radicale un pessimismo un po’ meno radicale; tuttavia mi permetterei di segnalare che a mio avviso l’Autore, dopo aver ascritto all’Europa anche rivoluzioni leggermente eccentriche come quelle americana di fine ‘700 e quella russa all’inizio del ‘900, trascura un po’ troppo gli apporti offerti successivamente alla scena mondiale (a mio avviso anche della stessa “modernità) dal resto del mondo, ma non senza influssi dalla storia europea (e quindi un domani anche viceversa?):
-          dalle  varianti “rurali” del marxismo in Cina (che magari in futuro rilascerà elementi critici nell’attuale ordine “neo-confuciano”) ed a Cuba (che qualche sedimento riformista originale sta trasponendo in altri paesi latino-americani, quali Uruguay, Bolivia, Equador, tutti paesi cari a papa Bergoglio), e che certo Prodi ben conosceva attraverso al frequentazione di Ivan Illich (vedi intervista a Gnoli….)
-          al versante non-violento delle lotte anticoloniali ed antisegregazioniste, soprattutto  in India ed in Sudafrica, dove ben presente è l’impronta di utopie profetiche e religiose, diverse ma non estranee alla cultura occidentale e cristiana, come mostrano ad esempio le biografie di Gandhi, Mandela e Desmond Tutu.
Perché, se verranno ancora delle rivoluzioni, penso che saranno più autentiche se promosse dagli ultimi della terra (i più colpiti anche dalle crisi ambientali), che non dai penultimi (al momento attratti da ambigue forme di populismo autoritario o dal mito del salario di cittadinanza, ma per i soli cittadini del primo mondo).

Fonti:
1.    Paolo Prodi “IL TRAMONTO DELLA RIVOLUZIONE” - Il Mulino, Bologna 2015
2.  Paolo Prodi “SETTIMO, NON RUBARE. Furto e mercato nella storia dell'Occidente” – Il Mulino, Bologna 2009
3.    Enciclica papale “LAUDATO SI” 24-05-2015 www.vatican.va/content/.../it/.../papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.htm
4.    Recensioni sui precedenti 2 testi su questo blog  in appositi POST e nella pagina ULTERIORI LETTURE

5.    Intervista di Antonio Gnoli a Paolo Prodi su “Repubblica” del 09-02-2015 www.repubblica.it/.../paolo_prodi_c_era_troppa_violenza_nella_politica_per_questo

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