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venerdì 5 aprile 2019

UTOPIA21 - MARZO 2019: DIALOGANDO CON PIZZINATO E BONOMI (E GIOVANNINI) SULLA METAMORFOSI DELLA SOCIETA’



di Aldo Vecchi


Il “Festival dell’Utopia” di Varese, giunto nell’autunno 2018 alla 3^ edizione, si è sviluppato in parallelo con la vita di “UTOPIA21”, nella reciproca autonomia, pur avendo in comune la guida di Fulvio Fagiani, la promanazione da Auser/Universauser ed il medesimo sito informatico. Pur essendo già radicata una sostanziale transumanza di temi e proposte tra Festival e “rivista”, con questa rubrica intendiamo rendere maggiormente presenti ai lettori di “Utopia21” alcuni dibattiti svolti nei mesi precedenti nell’ambito del Festival, che nel 2018 si è articolato sui seguenti filoni:
-      Utopia tra ecologia ed economia                  
-      Utopia del ’68, utopia del XXI secolo
-      Dialoghi sull’Utopia, tra Varese e Ticino.

Sommario:
-       La tavola rotonda con Antonio Pizzinato “Dal ’68 al futuro: le trasformazioni e le utopie del lavoro” (13 novembre)
-       La conferenza di Enrico Giovannini su “Utopia sostenibile” (3 ottobre) (cenni)
-       L’intervento di Aldo Bonomi su “La società circolare” (28 novembre)
Il presente rendiconto costituisce una ricostruzione personale e parziale sui contributi dei protagonisti delle serate, omettendo gli interventi degli altri partecipanti, per i quali si rimanda alla documentazione vocale disponibile sul sito di Universauser (vedi Fonti 1,2,3,6).
In corsivo le sintesi ed i commenti più personali.


Antonio Pizzinato, da operaio della Borletti nel 1947, ha percorso nei successivi decenni una intera vita nel sindacato, ricoprendo anche la carica di Segretario Generale della CGIL dal 1986 al 1988 (è stato successivamente parlamentare ed anche Sottosegretario al Lavoro nel primo governo Prodi, 1996-1998).

Il racconto di Pizzinato 1, ricco di concretezza e ad un tempo molto chiaro nella sua visione complessiva, è partito dalle condizioni oggettive e soggettive dei lavoratori nelle fabbriche degli anni ’50 e sulle numerose e complesse linee di frattura di carattere sociale e professionale, normativo e contrattuale, che dividevano uomini/donne, impiegati/operai, anziani/giovani (e si potrebbe proseguire con le differenze di professionalità, provenienza regionale, “credo” politico). E quindi da una visione non lineare della composizione di classe nelle fase dello sviluppo fordista dell’economia italiana (anzi, del Nord Italia).

Pizzinato ha proseguito rievocando il lungo cammino verso lotte sindacali di respiro unitario, fino alle grandi conquiste degli anni ’70 (sia nella contrattazione, dall’inquadramento unico al mese di ferie, sia a livello istituzionale, dall’unificazione delle mutue nell’INPS e nel Servizio Sanitario Nazionale allo Statuto dei Lavoratori), anche come prodotto di una progressiva trasformazione delle organizzazioni sindacali (e della loro influenza su partiti e Parlamento) e quindi di una progettualità soggettiva che ha saputo adeguarsi al mutare delle situazioni e costruire unità di interessi, anche dove non c’erano.
In particolare occupandosi della vita dei lavoratori (ma anche degli altri soggetti sociali) nei suoi vari aspetti, oltre i recinti delle fabbriche (diritti, salute, casa, assistenza).

(Come dire: niente ci fu regalato, nemmeno una mitica “condizione operaia” bella e pronta da organizzare; anche se la dimensione delle grandi fabbriche di certo aiutava).

Di fronte ai poderosi regressi registrati nei successivi decenni, non solo sul terreno della riorganizzazione produttiva e finanziaria delle aziende, ma anche degli interventi legislativi sfavorevoli ai lavoratori (dal precariato all’art. 18), Pizzinato ha analizzato attentamente gli aspetti normativi, contrattuali e organizzativi che caratterizzano la divisione e la subalternità attuale dei lavoratori, dalla frammentazione dei contratti nazionali (saliti da 150 negli anni ’60 ad oltre 800 oggi, di cui molti fittizi e strumentali a logiche padronali) alla dispersione degli occupati in piccole unità produttive (oggi a Sesto S.Giovanni l’80% dei posti di lavoro è in aziende inferiori a 5 addetti), fino alle modalità di comando e controllo rese possibili dall’informatizzazione.

Ma Pizzinato ha mostrato di non disperare, appellandosi ancora alla volontà e capacità dell’azione sindacale, che sia possibile una paziente ricucitura sociale, sia localmente, andando a cercare i lavoratori dispersi sul territorio e nella “rete” e mirando a contratti territoriali di 2° livello, sia centralmente, contrapponendosi alla moltiplicazione dei contratti nazionali, attuando l’accordo interconfederale sulle regole della contrattazione, tornando ad influire positivamente sulla legislazione e sulle scelte di politica economica, contro le crescenti ed inaccettabili disuguaglianze.

Con questo appello, forse troppo ottimistico, ma certo non privo di concretezza e realismo, Pizzinato è apparso più energico di gran parte degli astanti, in gran parte esponenti del mondo sindacale e politico varesino, dal PD a sinistra, meno anziani ma forse più rassegnati.
E colpiti forse dalle osservazioni specifiche di Pizzinato anche sull’andamento piuttosto burocratico degli ultimi congressi sindacali a cui ha partecipato.
Benché la CGIL ed il suo ramo pensionati, lo SPI, non solo abbiano collaborato a questo e ad un altro incontro del Festival 2018 (la progettazione degli spazi verdi), ma siano anche sponsor complessivi dello stesso Festival, mi sentirei di rilevare che la partecipazione dei quadri politici e sindacali limitata ad eventi come il dibattito con Pizzinato, rischino di confinarlo in una dimensione celebrativa, se questo stesso pubblico risulta assente in altre occasioni di pari rilevanza mediatica, ma orientate ad altre tematiche, od anzi meglio ad altri aspetti delle stesse tematiche (seppur collocate in sezioni diverse del Festival), come gli incontri con l’ex-ministro del Lavoro ed ex-presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini oppure il sociologo Aldo Bonomi.

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Tralascio di riassumere e commentare la conferenza di Giovannini (apertura del festival, 3 ottobre 2018), sul tema “Rischi, prospettive e proiezioni dell'attuale modello insostenibile e l'Agenda 2030 come Utopia sostenibile”, sia perché il materiale disponibile sul sito di Universauser include le “slides” di presentazione2 anziché la sola registrazione vocale3 (ed è quindi di più rapida e snella consultazione), sia perché del suo connesso testo “L’utopia sostenibile” ha già riferito ampiamente Fulvio Fagiani su “UTOPIA21” di maggio 20184.

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Aldo Bonomi, sociologo, è noto soprattutto per le sue interpretazioni dei fenomeni sociali sul territorio (in particolare lombardo e padano), dai distretti produttivi alla “città infinita”, dal capitalismo molecolare alla “società del rancore”5.

Del suo intervento6, di cui ho riorganizzato i contenuti seguendo un mio schema, non mi riesce ovviamente di riprodurre il carattere affabulatorio ed il sapiente uso di elementi aneddotici, per i quali rimando alla registrazione vocale.

Bonomi ha evidenziato lo scollamento tra le utopie (o meglio “eterotopie”) della salvezza ecologica del pianeta, e connesso riequilibrio sociale (una sorta di nuovo “sol dell’avvenire”), ben rappresentate anche nel Festival varesino dalla visione di Giovannini, e la realtà della crisi sociale e soprattutto culturale ed antropologica vissuta da larghi strati della popolazione (simbolicamente i “gilet gialli”), di cui Bonomi si è occupato nel suo ultimo libro “Il labirinto della paura”, esplorando le radici del rancore e dell’intolleranza, fino all’emergente razzismo.

Bonomi ha ricostruito i passaggi – molto accelerati in Italia - dalla società agricola alla società industriale, fino al suo culmine nella concentrazione fordista delle grandi imprese (società verticale), e poi, nel tardo Novecento, il capitalismo molecolare del decentramento nei “distretti produttivi”, dentro e fuori dalle imprese (società orizzontale, con “capannoni, villette, partite IVA e BMW”): passaggi che hanno trovato i loro interpreti e rappresentanti, in conflitti sociali tra organizzazioni delle imprese e dei lavoratori, nella cornice di uno Stato mediatore; tali strutture sociali in parte persistono, ma risultano inadeguate e deformate nella fase di trasformazione in atto verso la “società circolare”, in cui prevalgono i flussi, costituiti dalle stesse “internet company”, o “piattaforme informatiche”, dalla finanza e dalle informazioni, dalle reti delle comunicazioni e dei trasporti veloci, dal fenomeno epocale delle migrazioni.

Una metamorfosi irreversibile, di cui Bonomi ha sottolineato gli aspetti drammatici, ben oltre la transizione tecnologica che la supporta; rammentando:
-       che dentro alla circolarità “tecnica” delle incessanti innovazioni si annida una verticalità effettiva, quella dei “padroni dell’algoritmo” (con un richiamo a Lelio Demichelis7,8);
-       che il cambio di paradigma impatta in modo differenziato sul territorio, cambiando le antropologie, con i luoghi nodali dei flussi che si configurano come “smart city”, differenziandosi dai margini, le valli e le campagne, dove spesso si radicano le chiusure sociali: perché i flussi impattano diversamente sui luoghi. (Esempio di Milano come nuovo laboratorio di relazione tra molteplici soggetti: l'artigiano digitale, la cooperativa sociale, le molte espressioni culturali);  
-       che occorre superare una concezione tecnica del territorio come suolo (da organizzare/coltivare/tutelare) e comprenderlo invece come “costrutto sociale, politico e culturale”, in cui è possibile che – nell’iper-modernità – si verifichi un “rinserramento dell’abitare” (secondo Heidegger il territorio prima lo si abita e poi lo si pensa), rancoroso verso l’esterno ed il diverso.

In tale contesto Bonomi ha invitato a pensare allo stesso Festival (ed ai suoi futuri sviluppi) come un tassello di quell’immane compito di decodificare i cambiamenti verso la società circolare, costruendo un “intelletto collettivo sociale”, che unisca gli intellettuali di oggi, le Università, e se possibile gli stessi “millennials”, cioè i soggetti che stanno dentro allo stesso processo di trasformazione, per esplicitarne i conflitti e contrapporsi alla “apocalissi culturale”; esortando a continuare ad essere 'comunità di cura'.

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Sia in Pizzinato che in Bonomi si è pertanto ravvisata, pur in due letture del presente assai differenti, ma ugualmente preoccupate e problematiche, un invito a costruire, a collegare, a leggere più acutamente la realtà con la volontà del cambiamento. E l’orizzonte complessivo di questo cambiamento è ben focalizzato dal contributo di Giovannini…


Fonti:

1.    Antonio Pizzinato REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 13-11-2018 https://drive.google.com/file/d/1FXhhIKtTChQ1FTmzciX1xVr-UiBXP4tN/view?usp=sharing
2.    Enrico Giovannini SLIDES DI PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 01-10-2018
3.    Enrico Giovannini REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 01-10-2018 E DEL SEGUENTE DIBATTITO
4.    Fulvio Fagiani “PROGRAMMI PER LA SOSTENIBILITA’ “ su UTOPIA21, maggio 2018 https://drive.google.com/file/d/1SCkVUbP8f9MImeKMD9FZEZTy3r3dAsS8/view
5.    Aldo Bonomi “IL RANCORE. ALLE RADICI DEL MALESSERE DEL NORD” – Feltrinelli, Milano 2008
6.    Aldo Bonomi REGISTRAZIONE VOCALE DELL’INTERVENTO AL FESTIVAL DELL’UTOPIA, VARESE, 28-11-2018
7.    Lelio Demichelis “LA GRANDE ALIENAZIONE” - Jaca Book, Milano 2018
8.    Fulvio Fagiani “CONVERSAZIONE/INTERVISTA A LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE” su UTOPIA21, gennaio 2019 https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view


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