Un manuale di formazione aziendale che si allarga ad indagare, con respiro storico e riferimenti filosofici, le principali problematiche della comunicazione nella odierna “società digitale”.
Riassunto:
- perché la comunicazione deve essere etica
- la retorica nel mondo classico
- le moderne teorie della comunicazione
- carattere bilaterale e relazionale della comunicazione
- critica della pubblicità e dei social media; rischi di alienazione
- criteri per una educazione all’etica della comunicazione
Claudio Casiraghi è consulente e formatore aziendale, nonché docente di “Business Ethics” presso la LIUC di Castellanza.
Nel testo “Comunicazione etica”, partendo dalla sua esperienza specifica, affronta a tutto campo le problematiche della comunicazione nella odierna ”società digitale”, in un “manuale” ricco di implicazioni teoriche (talune da approfondire) e di indicazioni pratiche.
Il punto di vista è esplicitamente “etico” (e quindi utopistico?), critico verso la situazione e le tendenze in atto (individualismo, aggressività, insufficiente controllo dei nuovi media), e motivato laicamente (pur trattando anche di religione e spiritualità), in nome della naturale socialità dell’uomo e della stessa inefficienza e dannosità (sociale, ma anche soggettiva) di una comunicazione non-etica.
Qui mi pare manchi un orizzonte più ampio sul “perché essere etici”, dagli imperativi categorici di Kant alla contemplazione della finitezza del mondo e dell’accalcarsi dell’umanità, espressa ad esempio da Marc Augé2: ma il manuale resta comunque valido, per chi – comunque motivato - non sceglie di schierarsi con l’edonismo e con l’egoismo sociale.
E mi sembra utile soprattutto perché esplora nell’insieme i principali aspetti della comunicazione; argomenti che invece nella mia esperienza ho incontrato isolatamente e che erano assenti o marginali nel tipico corso di studi di un liceale pre-68, ma temo – malgrado Umberto Eco - anche per le generazioni successive (a parte gli specialisti).
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Ad esempio dovevamo scrivere i temi, ma nessuno ci insegnava in termini teorici come scriverli; imparavamo ad esporre oralmente nelle interrogazioni, ma anche qui senza alcuna impostazione comunicativa; dovevamo sapere tutto delle sfumature del linguaggio letterario di Manzoni, ma nulla sulla interazione tra parole/suoni/immagini; e ancora non c’erano le TV commerciali, Internet, i “social”.
Casiraghi utilizza e riassume contributi teorici di diversa origine dalla filosofia classica alla moderna linguistica e semiotica, dalla teoria dell’informazione alla psicologia (trascurando forse il versante psicanalitico e con riferimenti non sistematici alle neuroscienze contemporanee), contemplando l’evoluzione dell’umanità dalla formazione del linguaggio simbolico alle grandi svolte della scrittura, della stampa e poi delle telecomunicazioni, del digitale, della rete.
In particolare recupera Aristotele sulle finalità del discorso, nella dialettica tra utile e nocivo, tra giusto e ingiusto, tra bello e brutto, e della retorica, che in età classica insegnava ad articolare “inventio” (ricerca degli argomenti), “dispositio” (scelta della sequenza degli argomenti nello schema esordio/proposizione/digressione/conferma/epilogo), “elocutio” (chiarezza/fluidità/eleganza), “actio” (“messa in scena” con mimica, gesti, controllo dell’uditorio), “memoria” (attenzione alla ricezione e acquisizione altrui); un certo Marco Fabio Quintiliano riguardo alla “actio” formulava nel I secolo dopo Cristo importanti suggerimenti su come e quando prendere il fiato, nella sua “Institutio oratoria”.
Regole e consigli che restano validi in particolari contesti, come le aule giudiziarie e la didattica universitaria, mentre si sono perse – dopo l’avvento della televisione – nella comunicazione politica e sindacale, dove ancora si tengono comizi, ma soprattutto per rifornire i telegiornali di slogan e battute in 30 secondi.
La “retorica” a mio avviso aveva perso prestigio già prima, con il declino delle patrie e delle ideologie e con la prevalenza di linguaggi più asciutti e ”tecnici”, perché comunque troppo esplicitamente finalizzata alla convinzione unilaterale, ma Casiraghi tende a rivalutarla, rispetto alla brutalità dei linguaggi pubblicitari, alle sguaiatezze dei talk show ed alla banalità dei tweet, per i suoi aspetti di progettualità ed anche di trasparenza.
Tra gli sviluppi recenti delle teorie della comunicazione (da metà Novecento in poi), Casiraghi riferisce:
- della scuola “meccanicista” (ad esempio i matematici Shannon e Wiener), che non consente una comprensione complessiva dei fenomeni, ma offre utili contributi ad esempio sulla natura dei “rumori”, di natura fisica, fisiologica e psicologica, che interferiscono con ogni comunicazione;
- delle diverse scuole “umanistiche”, da Walter Scrhramm (sul contesto sociale e sull’universo linguistico dei diversi soggetti) al linguista Roman Jakobson (sulle funzioni della comunicazione, tra cui quella emotiva, quella referenziale, quella metalinguisitica, quella “conativa” ovvero finalizzata ad ottenere e convincere), da Bateson alla scuola di psicologia di Palo Alto – Beavin&Jackson&Watzlawick – che qui sarebbe gravoso riassumere (rimando al testo di Casiraghi): in sostanza indagano sperimentalmente sui rapporti tra i contenuti della comunicazione e gli aspetti relazionali tra le persone coinvolte, che travalicano i contenuti stessi (meta-comunicazione), costituendo altri livelli, forme e modalità di messaggio (anche
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involontario, anche da parte di chi tace e non comunica), differenziati in funzione dei ruoli sociali dei soggetti e dei reciproci rapporti, più o meno gerarchizzati.
Nell’insieme, l’Autore mette in evidenza soprattutto il carattere bilaterale e relazionale della comunicazione (e però anche il contesto sociale), e come il suo svolgimento avviene contemporaneamente a più livelli: parola/tonalità/gesti/linguaggio-corporeo, una parte dei quali può risultare soppressa o differita o alterata o sostituita nelle modalità artificiali di comunicazione, dal telefono alle e-mail, dagli sms ai messaggi sui social (ed in tele-visione).
Anche se alcuni di questi strumenti possono includere audio/video ed “effetti speciali”, solo la comunicazione diretta consente di sviluppare appieno la possibile empatia tra gli interlocutori e di riscontrare immediatamente la qualità della ricezione (“feed-back”).
Partendo anche dalla critica di tutte le forme di comunicazione pubblicitaria (sia commerciale che politica), caratterizzate dall’uso di falsi sillogismi, dalla bulimia delle immagini, dalla iterazione di messaggi espliciti e/o subliminali (tema abbastanza noto, ma tutt’altro che controllabile da gran parte delle persone, cui non vengono dati gli strumenti necessari per decodificare e difendersi), l’Autore pone l’accento sulla responsabilità che deve assumere ogni soggetto che diffonde messaggi (distinguendo tra “narrazione, “discorso”, “conversazione”) rispetto ai potenziali o concreti ricettori, diffida dall’abuso della comunicazione indiretta – tramite e-mail. Sms, ecc. - (soprattutto in ambito aziendale), e quando questa costituisce rinuncia a esercitare l’esperienza della comunicazione personale, esperienza la cui acquisizione è un processo faticoso, ma gratificante.
Sulla preferenza per la comunicazione indiretta, devo confessare che – essendo i miei interlocutori abituali persone attempate, per lo più non ammalate di iper-connessione e notifico-dipendenza – preferisco spesso usare e-mail o sms piuttosto che telefonare, perché mi sembra più discreto e meno invasivo lasciare loro la scelta del tempo e del modo con cui rispondermi (oppure non rispondermi). NOTA PERSONALE*
Di fronte alla diffusione degli smartphone e dei social media, Casiraghi rifiuta l’alternativa tra “apocalittici e integrati” (come posta da Umberto Eco nel 1964 nei confronti della “cultura di massa”3), perché giudica strumenti utilissimi i nuovi mezzi di comunicazione, ma ritiene pericoloso che vengano utilizzati senza una adeguata formazione, come se si affidasse un bolide di Formula 1 ad un neo-patentato.
Contro gli apocalittici, ci aggiungerei di mio che non molti decenni addietro (prima del mitico ’68, che però ha aperto la strada all’aggressività verbale diffusa e all’uso strumentale della trasgressività) ci trovavamo esposti ed indifesi ad un flusso complessivo di comunicazioni di tipo autoritario, non solo nella scuola, dove la parola del professore era pressoché indiscutibile (e spesso idem in famiglia), ma anche dei primi mass-media, come i cinegiornali LUCE (che mantenevano la baldanza del deposto fascismo) oppure i più felpati giornali-radio e telegiornali della RAI democristiana.
In particolare Casiraghi esamina le tendenze negative connesse con l’uso massiccio e/o distorto della comunicazione digitale (iper-connessione), dalla perdita di abilità, manuali e mentali, delegate agli strumenti informatici e alle loro “app”, alla incapacità di concentrazione
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e di riflessione, dalla alterazione dei rapporti con tempo&spazio all’isolamento dagli effettivi sistemi di relazione inter-personale, con effetti di angoscia soggettiva, per la perenne sensazione di inadeguatezza rispetto ai modelli proposti ed alla spasmodica ricerca di consenso, e di diffusione – a danno degli interlocutori – di fenomeni di mistificazione dell’identità, dal voluto anonimato dei falsi profili, alla costante edulcorazione narcisistica della propria “immagine pubblica”; evidenziando (come già accennavo all’inizio) i danni non solo per la società, ma anche per la salute ed il benessere dello stesso soggetto comunicante (oltre che per l’efficacia della comunicazione).
In questa descrizione del “mondo digitale” in cui ormai siamo immersi, Casiraghi accenna, senza svilupparla, alla subordinazione degli utenti ai “padroni delle piattaforme”, già affrontata su Utopia21 da Fulvio Fagiani nel Quaderno n° 7 e nell’intervista a Lelio Demichelis4,5,6, ma è interessante osservare come questi diversi punti di vista convergano nel delineare una visione attualizzata della “alienazione”, individuata da Marx innanzitutto riguardo al lavoro salariato, ma estesa all’intera condizione umana nel Novecento tra gli altri dalla scuola di Francoforte e in particolare da Herbert Marcuse7.
Per contrastare queste tendenze, Casiraghi espone alcuni criteri metodologici per una comunicazione “etica”, da applicare nei processi educativi e di formazione, che spaziano dalla riflessione all’ascolto (recuperando anche esperienze spirituali, come la regola di Benedetto), dalla responsabilizzazione alla ricerca dell’empatia, dalla demistificazione dei messaggi al controllo degli strumenti comunicativi.
Mi sembrano proposte ragionevoli, fondate sull’ottimismo della volontà.
Però, così come l’Autore non giustifica in termini generali la necessità sociale dell’etica, anche le sue proposte non assumono un respiro più ampio rispetto ad una buona didattica (in coerenza d’altronde con l’orizzonte del “manuale”, finalizzato alla formazione aziendale).
Di fronte ad una simile problematica di sconvolgimento complessivo del vivere sociale, a me invece viene da pensare che occorra anche articolare obiettivi più ampi: ad esempio ipotizzare che una siffatta “buona didattica” (filosofica, semiotica, psicologica) debba diventare l’asse di una battaglia politica per l’estensione obbligatoria della scolarità, sia per i giovani almeno fino alla maggiore età (mentre in Italia non si arriva ancora ad assicurare effettivamente a tutti una istruzione primaria), sia per gli adulti, alternandola e connettendola con il lavoro e con periodi di servizio civile.
Una possibile utopia (una nuova scuola per tutti) contro la incombente distopia dell’atomizzazione digitale.
*NOTA PERSONALE: altri tempi ed altre età: quando avevo 10 anni, negli anni ’50, mi veniva spontaneo suonare il campanello di qualunque compagno di scuola, a qualunque ora (del pomeriggio) per chiedergli “scendi a giocare?” E qualche anno più tardi non era così facile usare il telefono di casa, per ”comunicazioni personali”: l’apparecchio era nero con rotella analogica, appeso al muro del corridoio, senza privacy, e ben presto si veniva sollecitati a troncare le conversazioni, perché qualcun altro potrebbe avere bisogno di
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chiamarci (e in molte famiglie c’era anche il “duplex”, linea più economica in comune con altro utente...). Era difficile corteggiare ragazze con queste limitazioni (idem all’altro capo del telefono). Molto peggio se la telefonata era “intercomunale”. Un redattore-poeta del giornalino “Il Coccodrillo” scrisse questi indimenticabili versi:
"Quindici lire ogni venti secondi
mi costa
telefonarti.
Neppure se avessi
tutto l'oro del mondo
potrei dirti
tutto il mio amore".
Si comprende quindi anche per questo la propensione degli adolescenti di allora in favore della “comunicazione diretta”; anche se con le ragazze non era così facile.
Fonti:
1. Claudio Casiraghi “COMUNICAZIONE ETICA. MANUALE DI RIFLESSIONE PER LA SOCIETA’ DIGITALE” – Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna 2018
2. Aldo Vecchi - “UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE”, PER MARC AUGE’”, https://drive.google.com/file/d/1vr7mq5TK3GWgcxJqeMYVuqmKL6vxiVNn/view - Pubblicato nel 2018.
3. Umberto Eco “APOCALITTICI E INTEGRATI” – Bompiani, Milano 1964
4. Quaderno n° 7 “La società digitale e il futuro del lavoro” - https://drive.google.com/file/d/18zfF-qmqR75xXxNgI3gqyEfAGzeSbw_6/view - Articoli pubblicati nel 2018.
5. Lelio Demichelis “LA GRANDE ALIENAZIONE” - Jaca Book, Milano 2018
6. Fulvio Fagiani “CONVERSAZIONE/INTERVISTA A LELIO DEMICHELIS SULL’ALIENAZIONE” su UTOPIA21 - https://drive.google.com/file/d/1YDHb0asJXGgCNsWV2p5EmwASOmYTvFfg/view - Pubblicato nel 2019
7. Antonio G. Balistreri - MARCUSE, L’EROS E IL ’68 - https://drive.google.com/file/d/1UDm_IYdygjiAvMBsRpiTaKexgT9eXlzL/view - Pubblicato nel 2019.
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