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mercoledì 10 luglio 2019

UTOPIA21 - LUGLIO 2019: LUCIANO CRESPI ED IL MANIFESTO DEL DESIGN DEL NON-FINITO



Una ambiziosa proposta di metodologia progettuale per il riutilizzo, con interventi leggeri, degli “avanzi” che si generano nelle pieghe del territorio urbano: recensione del testo e breve intervista all’Autore.
Con due miei approfondimenti in appendice.
   
Riassunto:
premessa:
-       Luciano Crespi e il territorio varesino
recensione:
-       Il “Manifesto”: cosa sono gli “avanzi”
-       Il contesto sociale della crisi della città (e della casa)
-       Grammatica, Sintassi e Poetica del riuso “non-finito”
(in corsivo i commenti più personali del recensore)
intervista:
-       Alcune osservazioni sui limiti della proposta
-       Le prime risposte dell’Autore
Appendice 1: Maffesoli e il neo-nomadismo
Appendice 2: “tactical urbanism” e resilienza partecipata

PREMESSA:
LUCIANO CRESPI E IL TERRITORIO VARESINO

Luciano Crespi, architetto e docente al Politecnico di Milano, è stato tra i fondatori, nonché Presidente, del corso di laurea di Design degli Interni.
Ha dedicato parte dei suoi studi1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,13 alla storia architettonica del territorio di Varese (dove è nato).
Nel 2018 e nel 2019 ha condotto i laureandi del corso triennale nella progettazione del riuso temporaneo di oggetti edilizi abbandonati in Varese, aprendo il laboratorio progettuale al confronto con l’Amministrazione Comunale e con la popolazione.
Per il 2019 l’iniziativa “24 X 4.VARESE: VENTIQUATTRO PROGETTI X QUATTRO AVANZI URBANI” si è conclusa con la mostra nello spazio INPS (un “avanzo” di negozio in disuso, in centro città) nello scorso giugno[A].
Nel 2018 analogo laboratorio aveva affrontato altri luoghi dismessi nella città[B]B.
In precedenza, insegnando Architettura, aveva coinvolto gli studenti anche nella progettazione a scala urbana: in particolare organizzando laboratori di progettazione di gruppi di laureandi e neo-laureati decentrati sul territorio, con esercitazioni sulle aree industriali dismesse nell’hinterland milanese, nonché, tra l’altro, a Saronno ed a Sesto Calende7,8.
Luciano Crespi sarà relatore al festival dell’Utopia 2019, giovedì 17 ottobre, sul tema “La rigenerazione degli avanzi urbani”.


RECENSIONE:
-       IL “MANIFESTO”: COSA SONO GLI “AVANZI”

Il “Manifesto del design del non-finito”11 è un testo di piccolo formato, ma di vasta e meritata ambizione.
All’interno del processo di trasformazione urbana, individua come “avanzi” (e non “scarti”, che sono invece i pezzi difettosi all’origine), quei fabbricati in disuso che sono troppo piccoli o troppo marginali per suscitare un immediato appetito immobiliare (se non per demolirli e sostituirli, quando permesso) e al tempo stesso troppo poco antichi e/o pregiati per suscitare interesse storico-artistico o avviarsi ad una onorata carriera di ruderi; più raro il caso di “avanzi urbani” costituiti da spazi aperti e/o pubblici, perché la pressione dei flussi in qualche modo raggiunge i capillari più remoti della circolazione di persone e veicoli nei territori urbanizzati, ancorché degradati.

Malgrado la difficoltà di classificarli, usando per approssimazione categorie come “tipo” o “classe”, cui spesso sfuggono per la loro peculiare od ibrida connotazione, Crespi considera gli “avanzi” come una risorsa importante, nell’attuale crisi della città, sia perché possono soddisfare (senza consumare suoli liberi) nuovi bisogni “non programmabili” (ed anche temporanei od ‘estemporanei’, come suggerisce Saskia Sassens), in particolare se derivanti dai mutamenti demografici e migratori, sia per non perderne i valori simbolici, legati ai precedenti usi e comunque alle immagini urbane su di essi sedimentate; contribuendo così, con questa sorta di agopunture (vicine forse alle “ricuciture ed agopunture” di recente proposte da Renzo Piano&Co), a rendere più vivibili le metropoli.


-       IL CONTESTO SOCIALE DELLA CRISI DELLA CITTÀ (E DELLA CASA

A proposito di trasformazioni sociali e urbane, ed anche di crisi del progetto di architettura e dello stesso concetto di “casa”, il “Manifesto” richiama un ampio arco di considerazioni di
diversi pensatori e progettisti, evidenziando soprattutto:
-       con Umberto Galimberti e Arianna Dagnino, i risvolti antropologici dei fenomeni migratori: i limiti dei processi di assimilazione, i rischi di radicalizzazioni divergenti nel multiculturalismo, la difficile ricerca di una “terza via” verso l’interculturalità, le intersezioni parziali che potrebbero costituire nuovi e “terzi spazi” (una analogia con il “terzo paesaggio” di Gilles Clement, richiamato in un'altra sezione del testo?)
-       con Mendini, Berger&Mohr, Branzi, l’emergere di nuovi bisogni, connessi al “neo-nomadismo” (manca qui però un riferimento a Maffesoli, vedi mia recensione in  APPENDICE 1) che pervade anche le fasce “stanziali” della popolazione: bisogni che non si ritrovano nei consueti standard abitativi, propongono abitudini casalinghe al di fuori dello spazio-casa, inducono a nuove sperimentazioni per “abitare le cose” ed “abitare il mondo” (Barthes, Sottsass).




Figura, dalla copertina del “Manifesto”

-       GRAMMATICA, SINTASSI E POETICA DEL RIUSO “NON-FINITO”

Pertanto, quando Crespi – dopo una rassegna di interventi di recupero “soft” già realizzati in Europa, oppure progettati nei suoi corsi universitari - passa a formulare una “sintassi”, una “grammatica” ed una “poetica” per il design del recupero degli “avanzi”, non si limita alla concreta e stimolante proposta di esplorare gli usi possibili per questi manufatti (“usi parziali alternativi”, si diceva dopo il ’68 a proposito dell’Università in una frazione del Movimento Studentesco – da Mario Capanna a Franco Origoni - , che però sia Luciano che io allora avversavamo…) con interventi leggeri, poco costosi e reversibili, in attesa delle lunghe e complesse operazioni di restauro o ristrutturazione, ma contestualmente mette in discussione la stessa sequenza e gli stessi contenuti della procedura progettuale. E tende a ridefinire la disciplina del “disegno di interni”, senza steccati, ed anzi in una prospettiva trans-disciplinare.

Anche per scopi didattici, infatti, la metodologia suggerita da Crespi, parte (almeno in apparenza) dalla metafora, dall’allegoria, dall’iperbole, e invita gli allievi ad incontrare le emozioni che gli ”avanzi” in particolare possono suscitare, e ad imparare le modalità per comunicarle ai potenziali utenti, attraverso ed oltre le nuove funzionalità che gli spazi trasformati possono assumere: coltivando in particolare anche una “estetica del non-finito” – di origini  nobili, da Michelangelo e dal Manierismo – che tende  a coniugare la mera necessità del contenimento dei costi (riusando tal quale un pavimento consunto oppure un intonaco un po’ scrostato) con la poesia malinconica della memoria dei luoghi.  Tra Guido Gozzano e Roberto Peregalli? Comunque, almeno letteralmente, “decadentista”.


INTERVISTA:
ALCUNE OSSERVAZIONI SUI LIMITI DELLA PROPOSTA E LE PRIME RISPOSTE DELL’AUTORE

Al di là dei dubbi sui risvolti estetici della permanenza di rughe, crepe e consunzioni, comunque affascinanti (però non così visibili nei progetti degli allievi, dove mi sembra prevalere la bulimia dei nuovi arredi sulla contemplazione dei resti), espongo le mie impressioni sui limiti che mi pare incontri la proposta complessiva del “Manifesto del design del non-finito”: argomenti  su cui ho posto le seguenti domande a Luciano Crespi, che ha cortesemente risposto, con riserva di successivi approfondimenti:

-       AV: la stessa concreta operabilità degli interventi a basso costo, per il rischio che - a conti fatti - non risultino abbastanza bassi rispetto ad un più tradizionale e permanente recupero, posta comunque la necessità di preventive e conclusive verifiche di rispondenza a requisiti minimi di sicurezza statica, impiantistica, antincendio (con esiti potenzialmente severi, anche per il perverso perfezionismo di gran parte delle norme italiane, iper-uranio platonico a fronte di una realtà che largamente le disattende);

- LC: si tratta del punto più controverso e ancora non del tutto risolto della questione. Che dipende molto anche dallo stato in cui si trova l’avanzo. E’ vero che la necessità di adeguare, per abitarlo nella sua nuova funzione, lo spazio ai requisiti stabiliti dalle leggi rende in certi casi difficile operare con interventi reversibili, solo di tipo allestitivo e senza introdurre misure - penso soprattutto a quelle relative al comfort ambientale e alla sicurezza - di un certo rilievo finanziario. Occorre un lavoro di ricerca, appena iniziato, in grado di prospettare soluzioni, dal punto di vista tecnologico, innovative e alternative a quelle tradizionalmente adottate. Può risultare inoltre determinante la capacità di negoziazione con gli enti incaricati del controllo, soprattutto nei casi in cui l’avanzo sia di proprietà pubblica e “anziano”, dunque disponibile ad ammettere qualche deroga.

-       AV: il tendenziale allineamento con le teorie del “tactical urbanism” (vedi in APPENDICE 2 un estratto da un mio precedente articolo), inteso come rinuncia minimalista o “situazionista” ad una pianificazione più complessiva dei territori urbani;

- LC: Nell’idea di non-finito è cruciale la presenza del trattino. Ritengo cioè che il fondamento del “Manifesto” sia di tipo politico (Per questo m’interessa poco la interpretazione, data da Maffesoli, del fenomeno del nomadismo come forma di erranza). Ma che come linguaggio presenti i caratteri di un nuovo codice estetico, rappresentativo delle condizioni di precarietà che contraddistinguono questo scorcio di secolo. Dunque senza patetici compiacimenti di tipo nostalgico, alla Peregalli, nei confronti della polvere del tempo. Il trattino corrisponde dunque a un’intenzionalità di tipo progettuale, a una forma di progetto forte che non intende rinunciare al proprio ruolo, pur in un contesto in cui anche la scienza ci invita a “prendere coscienza che l’intero cosmo sembra condividere con noi e con il nostro pianeta un’analoga condizione di precarietà” (Guido Tonelli). Nulla a che fare dunque con un’operazione furba, dal punto di vista mediatico, come “Incompiuto siciliano”, indirizzata ad attribuire un valore di “stile” alla parte del patrimonio edilizio rimasto non finito. E soprattutto poco o nulla dunque a che fare con il “tactical urbanism” o il design dialogico e le diverse forme di progettazione partecipata, che nella maggior parte dei casi assegnano un ruolo preponderante ai processi, senza che vi sia alcuna valutazione critica della qualità del risultato. In questo senso la stessa operazione chiamata Temporiuso, promossa da Isabella Inti al Politecnico di Milano14, pur rappresentando un prezioso contributo alla conoscenza di casi di riuso temporaneo di spazi nel mondo, rinuncia a prendere posizione nei confronti dei loro esiti progettuali.

-       AV: la fuga in avanti a rincorrere nuovi bisogni (“neo-nomadismo” e dintorni) finendo per dimenticare i vecchi bisogni, sia delle popolazioni stanziali (che hanno la cittadinanza, ma spesso non hanno una casa adeguata), sia delle popolazioni migranti (che non hanno cittadinanza, e spesso si devono accontentare degli “avanzi” delle case “degli italiani”, ma non riqualificate dai designer, finiti o non-finiti, bensì a mala pena acconciate – o talvolta ruderi tal quali - dai proprietari o dai caporali delle occupazioni abusive, siano essi italici – mafiosi o politici - oppure immigrati-che-sfruttano-altri-immigrati): mi spinge a questa riflessione la citazione che Crespi fa di Mendini, sulla cui proposta di “casa” per la XXI Triennale del 2016 mi sono esercitato criticamente su Utopia 21 dello scorso maggio15;

- LC: Il neonomadismo non riguarda soltanto i rifugiati, visto che nel 2017 l’ONU ha stimato che 258 milioni di persone hanno lasciato il loro Paese d’origine per trasferirsi altrove. Ma soprattutto l’idea di riusare avanzi in una modalità provvisoria e reversibile nasce dalla convinzione che essi rappresentino una risorsa alternativa alle nuove costruzioni e disponibile a rispondere in situazioni d’emergenza anche a vecchi bisogni, anche di nomadi italiani.

-       AV: la sovraesposizione del livello concettuale e meta-progettuale (metafore, iperboli, allegorie) rispetto alla concretezza del progetto, ed alla stessa efficacia della comunicazione, come difetti congeniti della categoria dei “designers”  (vedi mie critiche alla XXII Triennale, nel suddetto articolo di maggio)14.

- LC: Su questa questione ho scritto un libro12 nel quale cerco di sostenere come il design d’interni sia oggi una disciplina il cui compito è ben più ampio di quella dell’arredamento. Ed è per questa ragione che ritengo necessario partire, diversamente dalla tradizione del progetto di architettura anche d’interni, non dal luogo ma dal tema, per proporne soluzioni innovative, dispositivi spaziali adeguati ai nuovi rituali dell’abitare, non condizionati da luoghi comuni o modelli standard. E’ in questa fase, ancora concettuale, dell’azione progettuale che diventa utile ricorrere al linguaggio figurato per ottenere prime idee di grande potenza “distruttiva”, da mettere poi alla prova nei contesti reali, cioè negli spazi con i quali si devono misurare. Tutto questo per non immiserire la disciplina del progetto d’interni a strumento destinato a dare risposta a esigenze di tipo soltanto funzionale. In questa prospettiva il valore di esperienze come quelle condotte da Sottsass e Mendini rimane indiscutibile.


APPENDICE 1 – MAFFESOLI E IL NEO-NOMADISMO

Michel Maffesoli nel 1997,  in “DEL NOMADISMO – Per una sociologia dell’erranza”16, espone radicalmente alcuni elementi fondanti del suo pensiero, sviluppato anche in altri testi da me recensiti17,18:
-           l’insufficienza della moderna razionalità universalista a comprendere i comportamenti erranti, devianti e per l’appunto “nomadi”,
-           la presenza latente ed oscillante, anche nelle società “stanziali”, al di sotto del loro “morbido totalitarismo”, ed anche nei singoli individui, di elementi nomadi, “politeisti” e dionisiaci, che si sottraggono alle logiche unitarie e produttive.
-           le molteplici radici storiche di tali forze alternative, ad esempio tra gli “ebrei erranti” e tra i ”goliardi” medioevali, tra i monaci itineranti giapponesi e tra gli esploratori portoghesi,
-           la recente crescita di queste correnti, e la previsione dell’Autore di un ulteriore crescita, in una nuova chiave femminile, cooperativa ed ecologica; in questo ambito anche una qualche lettura positiva del fenomeno del lavoro precario, visto come libera scelta soggettiva.

Benché ami richiamare alcuni maestri della sociologia moderna, da Simmel a Durkheim, da Weber ad Adorno (ben contro-bilanciati ovviamente da abbondanti citazioni di Rilke, Nietzche, Cioran, Jung, ecc.), il testo di Maffesoli, letterariamente affascinante e leggibile, rifiuta con evidenza qualunque riferimento quantitativo e qualunque ragionamento sui dati materiali, e si presenta soprattutto come un trattato antropologico, appoggiato alla storia quel tanto che gli serve: non sempre con rigore, ad esempio:
-           quando nega ogni pretesa di dominio nella storia antica del popolo ebraico;
-           quando separa la mobilità medievale dai pellegrinaggi – esaminati a parte – oppure ignora i fenomeni conseguenti all’assetto patrimoniale del maggiorascato, sia tra i nobili, da cui la cavalleria (ed anche chierici non sempre “regolari”), sia tra i piccoli possidenti contadini, da cui molti migranti, artigiani o anche senz’arte;
-           quando proclama, con la “modernità”, la fine del nomadismo, mentre di poveracci in movimento è piena anche la storia del moderno lavoro salariato, che si nutre all’origine dal pauperismo urbano post-medievale;
-           dove identifica la riforma luterana con la piena razionalità monoteista, senza cogliere quanti demoni e abissi risiedano nelle pratiche religiose del nord-europa e quanto il mondo protestante sia stato specifico terreno di cultura della psicanalisi, da Maffesoli ascritta correttamente (ma ristrettamente) all’erranza ebraica.

Questo eccesso di apriorismo è a mio avviso evidente, riguardo all’oggi (e confrontando ad esempio le documentate posizioni di Manuel Castells19,20, soprattutto su tre fronti:
-           la libertà, incertezza e promiscuità sessuale, cui l’Autore inneggia, appare come una costante – pur oscillante – nei secoli, senza cogliere la fondamentale svolta derivante dai metodi contraccettivi del secondo novecento, che offrono un ruolo più indipendente alla donna e sottraggono in parte il maschio al dilemma responsabilità/irresponsabilità (mentre in passato il libertinaggio costituiva privilegio maschile);
-           la prevalenza di valori positivi (femminili-cooperativi-ecologici) nei “nuovi movimenti” mi sembra auspicabile ma difficile da dimostrare come dato di fatto, sia nelle “tribù metropolitane” (si veda ad esempio la perdurante violenza maschilista degli “antagonisti” oppure delle tifoserie “sportive”), sia nelle avanguardie dei popoli oppressi e migranti, tra cui emergono per ora gli estremisti islamici;  
-           il precariato dei rapporti di lavoro, pur apprezzato da consistenti minoranze giovanili, si dimostra essere sempre più un obbligo derivante dalle “leggi del mercato”, dettate da quei diversi nomadi che si chiamano capitale finanziario e vari agenti della globalizzazione.

Pertanto Maffesoli sul Nomadismo non mi ha convinto: ma ritengo che sollecitazioni di questo tipo (condotte tra l’altro da Maffesoli con un linguaggio molto “razionale”, diversamente dagli eccessi anche linguistici – ad es.- di Luc Nancy21 oppure di Derrida) debbano essere raccolti da tutti i cultori della razionalità, che non può limitarsi e farsi schiacciare nella difesa di un vecchio e limitato ordine del pensiero (vedi ad esempio Eugenio Scalfari22), ma deve saper comprendere, con l’umiltà del saper-di-non-sapere, tutte le problematiche umane, incluse le pulsioni dionisiache e le tendenze al nomadismo, i demoni e gli abissi, il corpo e l’anima (come propone, parlando di architettura e urbanistica, anche Graziella Tonon23).   
 APPENDICE 2

“TACTICAL URBANISM” E RESILIENZA PARTECIPATA

La tematica degli usi temporanei delle aree dismesse si collega anche alle esperienze di numerose (ma forse sopravvalutate)  iniziative di riappropriazione  “dal basso” di spazi urbani negli interstizi delle metropoli, per usi culturali (centri sociali) e colturali (orti autogestiti, orti didattici), iniziative talora antagonistiche e talora in collaborazione con le amministrazioni locali; su cui taluni autori hanno fondato ambiziose teorie più generali quali il “tactical urbanism” 24,25,26,27.
Tali teorie (tattiche alla ricerca di una strategia?) muovono da recenti certezze da un lato sulla impossibilità di formulare previsioni socio-economiche oltre il breve termine e d’altro lato sulla connessa inutilità di Piani urbanistici che pretendano di definire le forme future della città; però rischiano di privilegiare il presente ed il fattibile senza approfondire i criteri di priorità e di valutazione delle scelte, cui eravamo abituati mediante visioni di insieme, e prospettive di orizzonti anche non immediati (insomma, solo l’uovo oggi, senza più nessuna gallina domani).
Sullo sfondo matura inoltre anche l’ipotesi di una resilienza urbana più complessiva, che vada al di là del mero adattamento oggettivo di edifici e strade ai cambiamenti climatici ed agli eventi naturali eccezionali, e divenga capacità di reazione e adeguamento soggettivo, possibile solo con il protagonismo degli abitanti, assimilando così la rete urbana ad un organismo “vivente” e applicandole (talora forzatamente) concetti tipici delle scienze ecologiche.



Fonti:
1.    Luciano Crespi “LO STATO NEI PROCESSI DI PRODUZIONE DEL TERRITORIO. IL MODELLO MALPENSA” - Freeman, Busto Arsizio, 1981
2.    Luciano Crespi, Angelo Del Corso “UN SECOLO DI ARCHITETTURA A VARESE: EDIFICI DEL NOVECENTO A VARESE E IN PROVINCIA” - Alinea, Firenze 1990
3.    Luciano Crespi, Angelo Del Corso “LA TUTELA DEI BENI ARTISTICI E CULTURALI”, in “Quaderno di un anno: Olona, prodromi di industrializzazione”, Rotary International Gruppo Olona, Gallarate,1991
4.    Luciano Crespi “ARCHITETTURA A VARESE. GLI ULTIMI CINQUANT’ANNI” - in “Polis”, n.9, 1997
5.    Luciano Crespi “ARCHITETTURA IN PROVINCIA. GLI ULTIMI CINQUANT’ANNI” - in “Polis”, n.11, 1997
6.    Luciano Crespi, Benigno Cuccuru (a cura di) “UNDICI PROGETTI PER UNA PIAZZA” - Unicopli, Milano, 1997
7.    Luciano Crespi “LA STAZIONE, IL PARCO E LA CITTÀ. PROGETTI PER L'AREA INTERSCAMBIO DI SARONNO” - Alinea, Firenze 1997
8.    Luciano Crespi “ARCHITETTURE NEL SEGNO DELL'ACQUA” – Alinea, Firenze 1998
9.    Luciano Crespi “VARESE ALLO SPECCHIO”, in C. Meazza (a cura di) “VARESE. 50 MODI DI DESCRIVERE LA CITTÀ” - Università popolare, Varese, 2000
10. Luciano Crespi (a cura di) “L’ARCHITETTURA DELLA NORMALITÀ. PROGETTI DI CASE UNIFAMILIARI A SESTO CALENDE” Libreria Clup, Milano, 2003
11. Luciano Crespi “MANIFESTO DEL DESIGN DEL NON-FINITO” – Postmedia Books, Milano 2018
12. Luciano Crespi “DA SPAZIO NASCE SPAZIO: L'INTERIOR DESIGN NELLA TRASFORMAZIONE CONTEMPORANEA” - Postmedia Books, Milano 2018, seconda ed.
13. Luciano Crespi, Luigi Trentin “LUIGI VERMI. IL DETTAGLIO TRIDIMENSIONALE” in Luigi Vermi architetto, in preparazione, 2019
14. Giulia Cantaluppi, Isabella Inti, Matteo Persichino “TEMPORIUSO: MANUALE PER IL RIUSO TEMPORANEO DI SPAZI IN ABBANDONO, IN ITALIA” – Altreconomia, Cantù/Milano 2014
15. Aldo Vecchi “LA NATURA SPEZZATA ALLA XXII TRIENNALE DI MILANO: MA E’ QUESTO IL DESIGN PER RIPARARLA?” su UTOPIA21, maggio 2019, https://drive.google.com/file/d/1ViIlC5fv0icE1y-hu8j___4hl-2MJjGD/view - e anche su https://aldomarcovecchi.blogspot.com/2019/?m=0.
16. Michel Maffesoli “DEL NOMADISMO – PER UNA SOCIOLOGIA DELL’ERRANZA” - Franco Angeli, Milano 2000
17. Michel Maffesoli “RELIANCE. ITINERARI TRA MODERNITÀ E POSTMODERNITÀ”- 2007
18. Aldo Vecchi “PROBLEMATICA DELLA SOSTENIBILITA’, DAL FABBRICATO AL TERRITORIO”, APPENDICE 2 in Quaderno n° 5 di Utopia21, 2018 https://drive.google.com/file/d/1dSTEb7DtGK9dYDMwxry3IJzQAHIY-FcA/view?usp=sharing
19. Manuel Castells “LA NASCITA DELLA SOCIETÀ IN RETE” - UBE Paperback, Milano
2002
20. Aldo Vecchi “PROBLEMATICA DELLA SOSTENIBILITA’, DAL FABBRICATO AL TERRITORIO”, APPENDICE 2 in Quaderno n° 5 di Utopia21, 2018 https://drive.google.com/file/d/1dSTEb7DtGK9dYDMwxry3IJzQAHIY-FcA/view?usp=sharing
21. Jean-Luc Nancy “LA CITTA’ LONTANA” – Ombre corte, Verona 2002
22. Eugenio Scalfari “PER L’ALTO MARE APERTO” – Einaudi, Torino 2010
23. Graziella Tonon “LA CITTA’ NECESSARIA” Mimesis, Milano 2013
24. Francesca Calace, Alessandro F. Cariello, Carlo Angelastro “CONIUGARE TATTICHE E STRATEGIE NEGLI SPAZI MARGINALI” in Urbanistica n° 157
25. Carlo Pisano “VENETIAN BASSORILIEVI. LA MESSA A SISTEMA DI UNA TATTICA TERRITORIALE” in Urbanistica n° 157
26. Francesco Alberti, Matteo Scamporrino, Annalisa Rizzo “PROMUOVERE L’AZIONE TATTICA. LA TEMPORANEITA’ NELLA PRATICA URBANISTICA” in Urbanistica n° 157
27. Valeria Lingua “DALLE TATTICHE ALLE STRATEGIE E RITORNO: PRATICHE DI CONTAMINAZIONE DEL REGIONAL DESIGN” in Urbanistica n° 157


[A] “La chiesa sconsacrata dell’ex Collegio sant’Ambrogio, l’ex scuola elementare di Cartabbia, l’ex lavatoio di Casbeno e l’ex roccolo all’interno dei giardini pubblici di Varese. Quattro spazi abbandonati, quattro “avanzi” urbani che hanno perso la funzione per la quale erano stati realizzati e che, tuttavia, non solo sono custodi di memorie e storie umane preziose che andrebbero altrimenti disperse, ma anche si candidano a svolgere un nuovo ruolo nel dispositivo cittadino.”
[B] “Tre spazi varesini dismessi: l’ex stazione dei tram “Bettole”, di viale Aguggiari, l’ex ufficio d’igiene, di via Staurenghi e l’ex deposito merci della stazione FS.”


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