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domenica 12 luglio 2020

UTOPIA21 - LUGLIO 2020: LE CAMPAGNE DI OXFAM CONTRO LE DISUGUAGLIANZE



I rapporti annuali di Oxfam sul divario (crescente) tra ricchi e poveri, oltre la denuncia e le descrizioni analitiche, delinea una articolata proposta di contrasto, che rischia però di rimanere propaganda mediatica.

Sommario:
-       Oxfam, i suoi Rapporti ed il palcoscenico di Davos
-       i principali contenuti dei Rapporti: dinamica di redditi e ricchezze; stratificazione sociale degli sfruttati
-       le cause del crescente divario sociale e le proposte di riforma: “pre-distribuzione” e “ri-distribuzione”
-       due considerazioni critiche: la disattenzione all’ambiente e la mancanza di uno spirito di coalizione


OXFAM, I SUOI RAPPORTI ED IL PALCOSCENICO DI DAVOS

L’organizzazione umanitaria Oxfam[A] negli ultimi anni, ed in modo più strutturato dal 2014, utilizza la platea mediatica del Wordl Economic Forum, che si tiene in gennaio a Davos, per diffondere le sue elaborazioni in materia socio-economica 1,2,3,4,5,6,7, imperniate sul contrasto alla povertà ed alle disuguaglianze, e sul concetto che il divario sociale non è “ineluttabile”, ma frutto di precise scelte politiche, modificabili.
La complessa evoluzione del contesto politico internazionale dopo la crisi finanziaria mondiale iniziata nel 2008 ha consentito un maggiore o minore ascolto delle denunce e proposte di Oxfam (così come di altre Organizzazioni Non-Governative) da parte delle élites che si riuniscono a Davos e da parte dei mass media che ne amplificano l’eco:
-       per consonanza (almeno apparente), durante la presidenza di Obama negli U.S.A. e ai tempi del lancio degli Obiettivi 2030 dell’O.N.U. (orientati però in favore dell’ambiente e contro la povertà, ma non specificamente contro le disuguaglianze);
-       per antinomia e per timore degli effetti negativi del populismo ai tempi di Trump, della Brexit e dintorni. 
Non saprei valutare quanto la scelta del ‘pulpito’ di Davos giovi alla causa dei poveri del mondo, ma va dato atto ad Oxfam (e ad altre meritevoli ONG) di non limitarsi a predicare ai ricchi (e nel contempo alle ‘opinioni pubbliche’’), perché esse sono concretamente presenti con attività di supporto e di organizzazione dal basso nei luoghi di maggior sofferenza degli strati sociali subalterni, della metà più povera del globo globalizzato.
Semmai il dubbio è che l’attività divulgativa di Oxfam, più che essere finalizzata a convincere le élites mondiali, sia orientata a maggiorare la capacità di raccolta dei fondi necessari alle (pur benemerite) attività umanitarie, puntando in particolare sulla “cattiva coscienza” di una parte delle suddette élites, soprattutto quelle più consapevoli dei guasti apportati dall’attuale assetto socio-economico, e più desiderose di sentirsi - o almeno apparire - meno responsabili dei guasti stessi. 

Di certo gran parte del discorso umanitario e riformista di Oxfam NON è stato recepito da Imprese, Governi ed Istituzioni Internazionali, talché si palesa la necessità per la stessa Oxfam di ribadire annualmente quasi in modo identico gli stessi concetti (con il rischio di una quasi ritualità, che relega le disuguaglianze in una nicchia del calendario mediatico, così come purtroppo è per i problemi climatico-ambientali, salvo quando le ‘emergenze’ si impongono).
Dal punto di vista editoriale e comunicativo, Oxfam ha teso a superare tale rischio ripetitivo rinunziando, dopo i rapporti 2017 e 2018, a riproporre ‘affreschi generali’, e puntando invece, sia nel 2019 che nel 2020, su una specie di ‘campagna tematica’, nel ‘19 sull’aspetto dei servizi pubblici come ‘beni comuni’ e sull’aspetto del ‘lobbismo’ dei gruppi dominanti, nel ‘20 (appena prima del palesarsi della pandemia Coronavirus, su cui Oxfam ha poi iniziato ad assumere iniziative e ad emanare documenti puntuali); accentuando però l’aspetto ‘propagandistico’ dei suoi Rapporti.


I PRINCIPALI CONTENUTI DEI RAPPORTI: DINAMICA DI REDDITI E RICCHEZZE; STRATIFICAZIONE SOCIALE DEGLI SFRUTTATI
 
Per questo motivo, al fine di comprendere meglio analisi e strategie della ONG, e tentare di valutarne l’oggettiva validità nella lotta contro le disuguaglianze, a prescindere dal successo mediatico, risulta più interessante – almeno ai miei occhi – esaminare i più organici rapporti 2017 (e 2018).
In tali rapporti, al di là di alcune scelte comunicative (più o meno efficaci), come:
-       la personalizzazione dei messaggi da parte di soggetti coinvolti (quali vittime dello sfruttamento, oppure protagonisti di storie di riscatto, oppure ancora testimoni con personale successo, cooptati nelle élites, ma impegnati a sostenere la causa dei poveri),
-       la ripetizione “a spirale” dei temi, dapprima enunciati sinteticamente e poi ripetuti nel dettaglio,
-       l’esemplificazione ripetuta degli esempi paradigmatici, del tipo “XY…, è l’uomo più ricco del mondo e in base alla lista Forbes 2018 il suo patrimonio ammonta a 112 miliardi di dollari. Appena l’1% della sua ricchezza equivale a quasi l’intero budget sanitario dell’Etiopia, un Paese con 105 milioni di abitanti….”,
si sovrappongono a mio avviso due diversi filoni di rappresentazione dei fenomeni relativi alle disuguaglianze socio-economiche a scala mondiale (focalizzati soprattutto sui decenni successivi al 1980):
-       la schematizzazione dinamica dei dati macro-economici sulla polarizzazione dei redditi e (con opportuna distinzione) delle ricchezze, su cui manca una ricerca autonoma di Oxfam, né vengono esplicitati i criteri critici di selezione delle fonti consultate e riprodotte, che vanno dal lavoro scientifico del Word Inequlity Lab (Piketty, Atkinson, e altri ricercatori) alle classifiche annuali di Forbes e del Credit Suisse; in questo ambito, assumendo a mio avviso come autorevole (perché documentato e articolata) la ricerca di Piketty, cui rimando 8,9, senza qui dilungarmi in proposito, mi pare che le valutazioni più interessanti dei rapporti Oxfam siano:
o   la correlazione tra concentrazione delle ricchezze e permanere od aggravarsi delle disuguaglianze, talché non può darsi una lotta contro la povertà che non aggredisca le ragioni sociali e politiche del divario crescente in favore dei ricchi;
o   in particolare il blando ritmo di crescita dei redditi delle fasce inferiori (quando e dove crescono) – ferme restando le tendenze al divario tra le classi – per superare stabilmente le soglie di povertà (soglie che per altro occorre concretamente rivedere, finora inferiori a 2 dollari al giorno), renderebbe necessaria una crescita economica costante per decenni, con una moltiplicazione abnorme del PIL mondiale: e (solo) qui emerge la tematica dei limiti ambientali delle risorse, che rende irrealistica, oltre che ingiusta una simile proiezione;
o   l’andamento complesso ed ‘a forbice’ tra una parziale riduzione dei divari tra i redditi medi delle nazioni ricche e quelle povere ed invece un diffuso crescente divario tra i redditi massimi ed i minimi interni a ciascuna nazione, sia nel gruppo di quelle ricche, che nel gruppo di quelle povere, come anche nel campo delle nazioni di grande e recente sviluppo, come la Cina e altri paesi del sud-est asiatico; pertanto la diminuzione della povertà estrema, ma l’aumento delle ‘semi-povertà’ (con qualche contro-tendenza solo in America Latina);
-       la descrizione delle modalità concrete dello sfruttamento e della stratificazione sociale, derivante dalla pratica di inchiesta e di intervento dell’Organizzazione, con l’individuazione dei ‘gironi infernali’ (spesso anche dal punto di vista ambientale e sanitario) in cui giacciono i diversi segmenti delle vittime dell’attuale sistema socio-economico (più o meno presenti anche nei paesi sviluppati):
o   contadini poveri, costretti a prezzi sempre più risicati dai ‘cartelli’ che controllano la commercializzazione e industrializzazione dei prodotti agricoli (argomento approfondito nel 2018);
o   lavoratori poveri, che non riescono a superare la soglia di sussistenza, pur in presenza di un contratto di lavoro, perché i minimi salariali sono indefiniti,  insufficienti o disapplicati;
o   lavoratori ‘informali’ (e giovani disoccupati), privi di tutele contrattuali, che sono la maggioranza in molti paesi africani sub-Sahariani e consistenti anche in Ameria Latina, nonché presenti nei paesi sviluppati, anche nelle nuove forme intermediate dalle ‘piattaforme’, come i ‘riders’;
o   lavoratori ridotti in schiavitù, secondo l’Organizzazione Mondiale del Lavoro (OIL) pari ancora a 40 milioni nel 2016 (inclusi purtroppo parte dei ‘raccoglitori di pomodoro’ della ‘civile’ Italia), di cui 70% donne e 10% bambini;
o   lavoratori minorili ed infantili, che come le donne (e spesso i migranti), attraversano tutta la soprastante gamma di possibili sfruttamenti, aggravati dalle molestie sessuali,
o   nonché – per le donne, argomento approfondito nel 2017 – dell’assommarsi del lavoro domestico non retribuito, spesso pesantissimo, soprattutto dove mancano i servizi essenziali, come acqua, scuole, ospedali (nonché spesso da condizioni giuridiche penalizzanti su eredità, libertà di scelta matrimoniali e di maternità, ecc., accompagnate da minor accesso all’istruzione e alle cure mediche)

o   mentre al polo opposto si accrescono i compensi e l’accumulazione di ricchezza sia da parte dei vertici manageriali delle aziende e dei collaboratori e consulenti con alte qualifiche, sia da parte degli azionisti e speculatori, che si avvalgono in particolare di ricchezze ereditarie, di posizioni monopolistiche e spesso di privilegi fiscali, più o meno legittimi.

LE CAUSE DEL CRESCENTE DIVARIO SOCIALE E LE PROPOSTE DI RIFORMA: “PRE-DISTRIBUZIONE” E “RI-DISTRIBUZIONE”
Parimenti valido - a mio parere anche se più scontato e forse poco ordinato - è il riepilogo dei meccanismi – organizzativi ed ideologici - con cui il neo-liberismo consegue i suoi obiettivi in favore dei ceti dominanti:
-       la de-regulation anti-sindacale
-       l’outsourcing delle lavorazioni in complesse filiere internazionali
-       il controllo dell’automazione e della proprietà intellettuale
-       la disuguaglianza di genere in sfavore delle donne in tutta la scala delle gerarchie sociali
-       il predominio dell’interesse degli azionisti nelle scelte aziendali
-       lo spadroneggiare della finanza e la libertà di movimento dei capitali
-       gli abusi fiscali, in particolare convergenti verso i cosiddetti ‘paradisi fiscali’
-       la concorrenza al ribasso tra gli stati nel trattamento fiscale di profitti aziendali e ricchezze personali
-       la concentrazione delle ricchezze, le posizioni monopolistiche e le conseguenti influenze sulle decisioni politiche.

Da questa ben delineata visione delle cause delle disuguaglianze derivano le corpose proposte (radicali [B], ma pur sempre riformiste: “una economia equa, un lavoro dignitoso”) formulate dai rapporti di Oxfam ed indirizzate ai Governi e alle Imprese, e suddivise, molto opportunamente, tra interventi di “pre-distribuzione” (che intendono prevenire la formazione delle disuguaglianze, a partire dallo stesso processo produttivo) e interventi di “re-distribuzione”, che – più classicamente – tendono a mitigare le disuguaglianze tramite il fisco e la spesa pubblica.

Le principali proposte di “pre-distribuzione” riguardano:
-       la regolazione della globalizzazione, con opportuni freni alla mobilità dei capitali;
-       la limitazione delle posizioni dominanti connesse alla proprietà intellettuale (brevetti ecc.);
-       il controllo delle ‘piattaforme’ nella determinazione dei rapporti di lavoro, e più in generale il contrasto al lavoro nero, informale e precario;
-       la conoscenza e diffusione dei dati effettivi su ricchezza, povertà e disuguaglianze (la cui mistificazione sorregge l’attuale assetto);
-       la tutela sistematica dei diritti sindacali, della contrattazione collettiva e della sicurezza dei luoghi di lavoro;
-       la ricostruzione di ‘tabu’ morali, che bandiscano schiavitù e lavoro minorile, e correggano le discriminazioni di genere (nei diritti, nel lavoro, e anche negli stessi sindacati);
-       una tendenziale reinvenzione ‘sociale’ delle stesse imprese, estendendo i modelli alternativi esistenti, come le cooperative, le imprese di proprietà sociale oppure pubblica, e perseguendo l’equità nei rapporti di filiera con i sub-fornitori;
-       la limitazione degli stipendi più alti in un rapporto massimo di venti volte il salario medio;
-       la subordinazione dei dividendi (e delle “stock options” in favore dei manager) alla previa verifica sulla “dignità dei salari” nell’azienda e nell’intera filiera dei prodotti.

Le proposte di Oxfam sulla “redistribuzione” sono imperniate essenzialmente:
-       sul lato delle entrate, da una gamma di prelievi fiscali, con aliquote progressive, non solo sugli alti redditi, ma anche sui patrimoni, sui passaggi ereditari, sulla formazione dei guadagni di capitale; con un coordinamento internazionale (“ONU del fisco”) che neutralizzi sia i cosiddetti paradisi fiscali (e connesse reti illegali) sia la perniciosa concorrenza al ribasso tra i Paesi ‘normali’;
-       sul lato della spesa, dalla diffusione universale e capillare di servizi sociali, a partire da istruzione e salute, attraverso istituti rigorosamente pubblici (Oxfam critica in particolare le sovvenzioni statali a istituzioni private, evidenziando – in diversi paesi poveri - casi concreti di comportamenti non inclusivi, che minano pertanto l’efficacia sociale della spesa).[C]


DUE CONSIDERAZIONI CRITICHE: LA DISATTENZIONE ALL’AMBIENTE E LA MANCANZA DI UNO SPIRITO DI COALIZIONE

A fronte di questa impostazione, piuttosto organica e ben fondata su una prassi di intervento, mi sento di esprimere soprattutto due valutazioni critiche, cui sopra ho già accennato:

-       la preoccupazione per i problemi climatici ed ambientali compare solo come sfondo (lo sfruttamento dei poveri è intessuto anche di pessime condizioni ambientali) oppure come orizzonte (le risorse naturali non basterebbero per far uscire le masse dalla povertà, mantenendo nel contempo la continua crescita della piramide sociale soprastante): non si pone quindi l’elementare domanda “a cosa serve ridurre le disuguaglianze, se nel frattempo il pianeta diventa invivibile (innanzitutto per i più poveri)?”

-       fatte salve le benemerite iniziative concrete e localizzate di Oxfam in 90 paesi poveri, la strada per attuare le “raccomandazioni” indirizzate dall’Organizzazione ai Governi e alla Imprese appare (leggendo i rapporti annuali) limitata alla diffusione dei medesimi rapporti, che Oxfam stessa rileva essere però sostanzialmente inascoltati;
mentre nelle suddette “raccomandazioni” figura anche la (piuttosto velleitaria) rivendicazione di percorsi a tappe per realizzare ogni anno un tot del cammino verso l’uguaglianza, mi pare che manchi il tentativo di delineare una possibile coalizione di forze attivamente interessate a modificare gli assetti socio-economici in questione: penso
o   ad un coordinamento delle stesse ONG (invero spesso invece alquanto gelose ed autoreferenziali),
o   ai sindacati (menzionati dai rapporti, anche come organismo internazionale ITUC, ma non individuati come soggetto globale),
o   ai movimenti di opinione (tra cui i Fridays For Future)
o   e (sempre più difficile) anche ai partiti politici (ad esempio i “socialisti europei” – ancorché lontani da una simile piattaforma rivendicativa – mi sembrano più sensibili dei singoli partiti socialisti e assimilati; e poi ci sono, sempre in Europa, i verdi e quel che resta delle “sinistre”; e poi c’è il resto del mondo…),
o   nonché ad una articolazione tra Governi ed istituzioni internazionali, che delinei quelli più aperti ad una parte almeno delle rivendicazioni, per passare dalle parole ad una prima serie di fatti (e ciò potrebbe valere forse anche per le imprese): altrimenti sembra una notte in cui tutte le vacche sono nere, ed i Rapporti si ripetono invano di anno in anno.



Fonti:
1.       OXFAM – RAPPORTO 2014 - https://www.oxfamitalia.org/la-grande-disuguaglianza-2014/
6.       OXFAM – RAPPORTO 2019 -  https://www.oxfamitalia.org/davos-2019/
7.       OXFAM – RAPPORTO 2020 - https://www.oxfamitalia.org/davos-2020/
8.       Thomas Piketty – IL CAPITALE NEL XXI SECOLO – Bompiani, Milano 2014
9.       Aldo Vecchi - PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI). - su UTOPIA21, novembre 2017. - https://drive.google.com/file/d/1WZmz9PbHh5jhkCufdzqQM05Ud4MNDalq/vie
10.    Forum Disuguaglianze Diversità – 15 PROPOSTE PER LA GIUSTIZIA SOCIALE – 2019 - https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-perla-giustiziasociale/
11.    Aldo Vecchi - COME COMBATTERE LE DISUGUAGLIANZE: LE 15 PROPOSTE DEL “FORUM” – su UTOPIA21, maggio 2020 - https://drive.google.com/file/d/1udb1x44_L_Y6pCywG5ccSxK4PQEkCYot/vi
12.    Mariana Mazzucato – LOSTATO INNOVATORE – Laterza, bari 2014.
13.    Aldo Vecchi - LO STATO INNOVATORE DI MARIANA MAZZUCATO – su UTOPIA21, luglio 2017 - https://drive.google.com/file/d/1nfssclyYmpzF89NNr2pP_HvIjIOMm6b/view.




[A] Sorta in Inghilterra nel 1942 come organizzazione umanitaria, finalizzata a contrastare la fame e la povertà, si è estesa da Oxford a 17 paesi sviluppati (più l’India), da cui i militanti intervengono attivamente in 90 paesi; il prestigio di Oxfam si è in parte offuscato nel 2018, con l’emergere di scandali a sfondo sessuale (Haiti 2011, Ciad 2006) gestiti in modo opaco dalle gerarchie dell’organizzazione; in una fase (il 2018) di convergenti attacchi dalle destre sovraniste contro il “buonismo” e presunte malefatte di diverse ONG (Ia campagna sui “taxi del mediterraneo” contro i salvataggi dei migranti afro-asiatici che affogano con “barconi” e “gommoni”)

[B] ad esempio alquanto più radicali di quelle del Forum di Fabrizio Barca&C.10,11, e soprattutto meno euro-centriche
[C] Sulla questione delle privatizzazioni, l’esperienza italiana mi sembra contraddittoria, perché si affiancano casi di palese iniquità od inefficienza del privato (ad esempio le recenti concessioni autostradali) a ricordi di inefficienza ed iniquità del pubblico (da Alitalia a Tangentopoli), ma anche viceversa; a mio avviso un atteggiamento laico e non a-priori potrebbe permettere di meglio valutare caso per caso i pro ed i contro, concentrando l’attenzione sui contenuti di effettivo interesse pubblico e sociale da perseguire con diversi strumenti come insegna Mariana Mazzucato 12,13 . Anche se la mia personale predilezione per il pubblico si fonda su qualche decennio come pubblico funzionario (e prima come studente di scuole pubbliche), mi rendo conto che l’assenza del prezzo e dello stesso vituperato “profitto” come strumenti di misura di successo/insuccesso non è facilmente sostituibile da altri parametri più astratti.

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