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giovedì 23 marzo 2023

UTOPIA21 - MARZO2023: RECENSIONE - SUGLI “APPUNTI DI STORIA E TEORIA DELL’UTOPIA” DI CARLO ALTINI

 SUGLI “APPUNTI DI STORIA E TEORIA DELL’UTOPIA” DI CARLO ALTINI

di Aldo Vecchi

 

Breve riepilogo di un sintetico panorama sull’ampio ventaglio delle utopie nella storia dell’Occidente

 

Sommario:

-       utopia e distopia nella crisi della modernità’

-       dai filosofi greci al Rinascimento, ed oltre

-       utopia degli anti-utopisti

-       llluminismo, e considerazioni finali

 

UTOPIA E DISTOPIA NELLA CRISI DELLA MODERNITA’

 

L’introduzione di Carlo Altini al testo, edito da “Il Mulino” nel 2013, “Utopia – storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica” 1 (di cui mi riservo di recensire in futuro anche i singoli contributi dei diversi Autori che lo compongono[1]) costituisce una sintetica esposizione del pensiero utopico (occidentale), inquadrato storicamente, anche se non è interamente proposta lungo una sequenza temporale lineare.

 

Infatti il primo capitolo si apre con il ri-proporre le note categorie utopia/distopia, evidenziando che la distopia pretende “omologazione culturale” ed una ‘perfezione sociale’ che bandiscono ogni ulteriore utopia, mentre l’utopia “giusta” comporta apertura e incompiutezza, attesa e libertà; e colloca le radici di tale dicotomia nella “modernità”, dove l’homo faber inizia a progettare la stessa società umana.

Mentre il secondo capitolo ne attualizza il dibattito rispetto alle recenti fasi storiche:

-       della caduta del socialismo reale e della connessa utopia liberale di un mondo senza barriere e senza guerre;

-       della realtà della globalizzazione con l’emergere di nuovi conflitti e nuove crisi, sociali e migratorie, economiche e finanziarie, climatiche ed ambientali, politiche e religiose, e con il rinascere di soggetti pre-moderni come il fondamentalismo islamico;

-       della inadeguatezza dei modelli dello stato di diritto e del welfare ed anche in particolare degli incerti sviluppi dell’Unione Europea (in cui comunque l’Autore ripone residue speranze).

Altini puntualizza la crisi della modernità nel passaggio da un “sapere è potere” (Bacon) assunto dall’Illuminismo come “prassi rivoluzionaria” ad un assetto attuale in cui i poteri monopolistici usano il sapere come dominio classista, acquisendo il consenso delle masse attraverso “il controllo dell’immaginario” (una sorta di “utopia dell’eterno presente”): e vede una speranza di democrazia solo attraverso la riappropriazione dal basso del sapere e dell’immaginario.

 

 

DAI FILOSOFI GRECI AL RINASCIMENTO, ED OLTRE

 

Dopo questo scorcio quasi militante sulla contemporaneità, l’Autore inizia ad esporre nei capitoli terzo e quarto una rassegna (in ordine cronologico) dei principali passaggi storici di maturazione della problematica dell’utopia, focalizzando in particolare l’attenzione sulla filosofia dell’antica Grecia e sulla svolta rinascimentale:

-       nel triangolo Sofisti/Socrate/Platone, evidenzia soprattutto il nascente conflitto tra la “filosofia” – che ricerca la “verità” contro le credenze tradizionali – e la “politica” – che invece esercita prudenza verso le tradizioni e verso gli interessi, perché ha bisogno di fondarsi su qualche mito e non può “sconfiggere la resistenza radicata nell’’amor proprio’ degli uomini, in definitiva nel corpo”; se nella pratica occorre accontentarsi della soluzione migliore tra quelle (imperfette) che sono possibili, si apre al peso delle “opinioni” soggettive, ma ci si allontana dalla “verità” ipotizzata dai filosofi;

-       nella ricerca di “renovatio” innescata nel Rinascimento, e proseguita nei secoli successivi, oltre all’immaginazione (poi divenuta ‘canonica’) di Thomas More, Altini sottolinea la dialettica tra la consapevolezza sulla tragicità della condizione umana e le tensioni profetiche e apocalittiche, dal disincanto di Macchiavelli e Guicciardini alla spirale innovativa di Giordano Bruno (e poi di Campanella, però con risvolti totalitari).

 

Il capitolo quarto esamina poi il consolidarsi – a partire dal Seicento -  della letteratura utopica come ‘genere letterario’, connesso in parte agli sviluppi delle scienze (dalla Nuova Atlantide di Bacone al Sogno di Keplero), ma anche come manifestazione e strumento di ribellioni sociali: in particolare, nelle “… utopie politiche fondate su fedi religiose…” come “La legge della Libertà” di Gerard Winstanley (1652) “…le rivendicazioni sociali – di libertà, uguaglianza e giustizia – si fondono con le attese escatologiche e millenaristiche…” e vi “… emergono tratti di contestazione radicale nei confronti della società esistente che determinano violente rivolte e sollevazioni popolari in cui la dimensione utopica non ha alcun carattere consolatorio; al contrario essa è il motore attivo del mutamento politico”.

Sorvolando sull’Illuminismo, che viene trattato in un successivo capitolo, l’Autore passa ai grandi disegni utopici dell’Ottocento, tra cui i più noti quelli di Owen, Saint-Simon, Fourier e Proudhon (in parte sperimentati ‘sul campo’), caratterizzati dal confronto con la nascente industria capitalistica, e differenziati dall’accentuazione dei temi liberali (individualismo, concorrenza, proprietà) in alternativa ai temi socialisti (lavoro, solidarietà, cooperazione).

 

 

UTOPIA DEGLI ANTI-UTOPISTI

 

Nel quinto capitolo Altini analizza il nesso tra utopia, attivismo e fiducia nel progresso e rileva come una sorta di progettualità politica (e quindi oggettivamente di utopia) emerga anche dalle posizioni anti-utopistiche di pensatori come Hobbes e Spinoza: quest’ultimo si riferisce non ad un “uomo ideale”, ma concreto, e quindi impastato dei suoi “vizi”, e in tale contesto – in contrapposizione ai filosofi utopisti – rivaluta i politici in quanto conoscitori della realtà delle relazioni umane; ed è da simili considerazioni che si fonda poi il giusnaturalismo, che presuppone una uguaglianza tra gli uomini che delegano la sovranità allo stato, concepito quindi come una costruzione artificiale.

Esplicitamente anti-utopista è anche Marx, che vede negli esperimenti comunitari dei vari ‘falansteri’ una fuga romantica rispetto alla realtà della lotta di classe, sulla cui lettura, con pretese di scientificità, Marx stesso invece proietta un necessario futuro di superamento del potere della borghesia. Cristallizzando il quale, si sconfina nuovamente nell’utopia, in questo caso nell’utopia del comunismo, che Altini così articola tra le successive tendenze del marxismo:

-       riformisti, che sfumano il comunismo al termine di un processo graduale, ancorché ineluttabile,

-       rivoluzionari leninisti, che – attraverso la coscienza rivoluzionaria del partito – ipotizzano la dittatura del proletariato, con l’orizzonte del comunismo come utopia finale,

-       rivoluzionari radicali, come gli spartachisti, che partono dalla spontaneità rivoluzionaria delle masse e leggono nella dittatura proletaria l’affermarsi di una casta burocratica.

Al termine di questo ventaglio divergente[2] Altini segnala anche il messianismo utopistico di Ernst Bloch, per il quale “… il comunismo non è solo una dottrina economica o politica, ma un progetto di salvezza dell’essere umano in grado di riscattare la condizione di miseria sofferta dagli oppressi e dai perseguitati. …contro ogni autoritarismo, l’utopia svolge un ruolo decisivo nel sostenere la speranza di una possibilità di rigenerazione sociale e politica. … Una tale prospettiva utopica … costituisce l’essenza stessa dell’umano attraverso cui può trovare compimento la conciliazione, da un lato, tra uomo e uomo e, dall’altro, tra uomo e natura.”

 

 

ILLUMINISMO, E CONSIDERAZIONI FINALI

 

Il testo ritorna poi, nel capitolo sesto, agli illuministi (soprattutto Voltaire e Kant), di cui vengono sottolineate le battaglie frontali contro l’ignoranza e la miseria - determinate da fanatismo, dispotismo, superstizione e pregiudizio – in un percorso di ricerca della conoscenza e della felicità, attraverso la ragione, lo spirito critico e la tolleranza: un processo di crescita culturale come accumulazione critica delle esperienze, come realizzazione di sè e come crescente influenza dell’opinione pubblica sul potere. Una dinamica di emancipazione e di affermazione progressiva dei diritti, in una dimensione comunque utopica.

 

Il capitolo finale riepiloga alcune caratteristiche delle visioni utopiche sopra esaminate, rilevando che nelle fasi più antiche sono collocate per lo più in luoghi “altrove” (il che sarà ripreso modernamente dalla “fantascienza”), mentre dal Settecento prevalgono le “ucronie”, che si proiettano in tempi futuri (o talvolta nel passato mitico delle “età dell’oro”: tra queste la Kabbalah ebraica).

Dai primi scricchiolii dell’idea di progresso (vedi Leopardi) emergono le prime esplicite “distopie” (“Frankestein” di Mary Shelley, “Erewon” di Samuel Butler), riprese poi largamente nelle recenti finzioni fantascientifiche, però il dominio corrente della scienza e della tecnica produce ipotesi di “nuovo ordine” concrete e dettagliate, che spostano l’utopia del messianismo ad una sorta di “secolarizzazione”.

Poiché il romanticismo, l’idealismo, il marxismo ed il positivismo, con diverse modalità, hanno postulato una sorta di “fattibilità della storia”, si sono profilate proiezioni utopiche del tipo ‘traguardo realizzato’, criticate variamente da Popper, Hajek e Dahrendorf (ci aggiungerei Orwell).

Più interessanti per l’Autore, nel Novecento, le posizioni più dialettiche di Benjamin e di Bloch (vedi sopra), di Mannheim – che contrappone alla “ideologia”, con cui il potere trasfigura l’esistente per stabilizzarlo, la “utopia” come motore critico delle classi subalterne – nonché di Marcuse, che muove dalla negazione del presente per sollevare il possibile contro il reale: con assonanze a quanto espresso dallo stesso Altini nei primi capitoli (passi evidenziati in grassetto).

E con qualche assonanza anche con la sensibilità del recensore: richiamo in proposito le mie precedenti recensioni ad un testo – più generale, ma sul solo ‘900  – di Remo Bodei 2,3 del 2006 ed al testo – assai specifico – di Roberto Mordacci 4,5 del 2020 [3].

 

   

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1. Carlo Altini – INTRODUZIONE. APPUNTI DI STORIA E TEORIA DELL’UTOPIA in A.A.V.V., a cura di Carlo Altini: “UTOPIA – STORIA DI UN’ESPERIENZA FILOSOFICA E POLITICA” – Il Mulino, Bologna 2013

2. Remo Bodei - LA FILOSOFIA DEL NOVECENTO (E OLTRE) – Donzelli, Roma 2006

3. Aldo Vecchi - INSEGUENDO L’UTOPIA, ATTRAVERSO “LA FILOSOFIA DEL NOVECENTO (E OLTRE)”  DI REMO BODEI – in Quaderno n° 11 di UTOPIA21, settembre 2019 - https://drive.google.com/file/d/1Dy_lbDf5QqNMiupCd0hPKiDHrLGeIvk-/view?usp=sharing

4. Roberto Mordacci – RITORNO A UTOPIA – Laterza, Bari 2020

5. Aldo Vecchi - L’ELOGIO DELL’UTOPIA DA PARTE DI ROBERTO MORDACCI – su Utopia21, marzo 2020 - https://drive.google.com/file/d/1FBd_mhTAYIX2_RSTLN4dGxn22FhvnaEM/view?usp=sharing



[1] Tra cui Carlo Bertelli, Luciano Canfora, Paolo Rossi, Dario Antiseri.

[2] Ventaglio in cui sarebbe interessante collocare i Trotzkisti, che denunciarono la degenerazione del socialismo reale, ma non credo in nome della spontaneità delle masse.

[3] Mordacci non da’ conto in bibliografia del testo curato da Altini nel 2013

UTOPIA21 - MARZO 2023: RECENSIONE - “PAESI” CONTRO “BORGHI”

                                        “PAESI” CONTRO “BORGHI”

di Aldo Vecchi

 

 

La raccolta di scritti “Contro i borghi” intende decostruirne la retorica, contrapponendole una visione integrata di “paesi” e territori.

 

 

Sommario:

-       la critica alla retorica borghigiana

-       la polemica contro il “Bando Borghi”

-       alcune valutazioni personali

 

 

 

LA CRITICA ALLA RETORICA BORGHIGIANA

 

Il volume collettivo “Contro i borghi – Il Belpaese che dimentica i paesi” 1, a cura di Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi – ha come autori una trentina di studiosi (antropologi, sociologi, storici, geografi, urbanisti) e come asse portante la decostruzione della ‘retorica dei borghi’, intesi come luoghi edificati pittoreschi e di eccellenza, decontestualizzati dalle relazioni territoriali storiche e dalle basi socio-economiche tradizionali, ed a rischio di omologazione in circuiti di turismo alienato (talora di élite e talora di massa), con risvolti più di “patrimonializzazione” che di effettiva “valorizzazione”.

Tra i capisaldi della retorica estetizzante vengono indicati il Pasolini del “profilo di Orte”, l’intero Touring Club Italiano (che invece a mio avviso negli ultimi decenni si sta emendando da tale peccato originale) e trasmissioni televisive quali “Sereno Variabile”; nonché il recente mito del rifugio nei borghi come soluzione ‘anti-pandemica’ ai problemi sanitari delle città.

A tale prospettiva il testo contrappone una ‘politica dei paesi’, che ricerchi nelle effettive peculiarità dei territori – e quindi nelle interrelazioni tra i diversi insediamenti, e tra di essi e la circostante ‘campagna’ – le ragioni per contrastare i fenomeni di abbandono e spopolamento, per lo più rivendicando un sostegno pubblico in favore dei servizi indispensabili per la vita delle popolazioni locali (trasporti, scuola, sanità…): posizioni che echeggiano per lo più le concezioni ‘territorialistiche’, o delle bio-regioni’, di Magnaghi&C2,3.

 

Anche se articolato in tre parti (Territorio e policentrismo – Immaginari, tradizioni e ideologie – Politiche e azione pubblica), il testo non propone una trattazione organica del tema (soprattutto sul fronte delle proposte), quanto piuttosto una rassegna di articoli, in gran parte convergenti sull’assunto principale ‘anti-borghi’, ma non sempre: ad esempio

-       l’antropologo Pietro Clemente, nel cap. 3 della parte I “Chiamiamoli paesi, non borghi”, ben chiarendo che non è una questione nominalistica, finisce per assolvere la stessa associazione “I borghi più belli d’Italia” perché ha scoperto che “è una rete dignitosa e meritoria … costruisce relazioni tra vari comuni… ha uno statuto con regole da rispettare … fa riferimento al mondo Unesco in cui chi viene riconosciuto non è per il suo fulgore estetico ma perché una comunità si impegna a curare e a salvare il proprio patrimonio” 

-       il geografo-urbanista Arturo Lanzani (già noto su Utopia21 4,5) conclude così il suo  equilibrato intervento intitolato “Ricollocare i borghi nella provincia italiana” (di cui riferisco anche più avanti): “… non negare quell’immagine un poco semplificata dei borghi inizialmente evocata, ma metterla al lavoro con altri elementi e dentro visioni di futuro e forme d’azione parziali e differenziate”. 

 

Tra gli altri contributi più interessanti segnalo:

-       “Bruttitalia: la vita quotidiana dove i turisti non vogliono andare” (p.I, cap. 1) di Filippo Barbera e Joselle Dagnes, sociologi

-       “Paesi che tremano: la dura storia delle aree interne” (p.I, cap. 6), relativo alla questione sismica, a firma di Emanuela Guidoboni e Gianluca Valensise, sismologi

-       “Decostruire i borghi per ricostruire i paesi” (p. II, cap. 1) di Antonio de Rossi e Laura Mascino, architetti

-       La testimonianza personale dell’antropologo Vito Teti “Il mio paese non è un borgo” (p. II, cap. 2)

-       “La cucina dei borghi non esiste” (p. II, cap. 8), di Michele A. Fino, giurista ma docente all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo

-       “Piccolo non sempre è bello. Quando i borghi non servono all’ecologia” di Giovanni Carrosio, sociologo (p. III, cap. 4)

ed infine i due capitoli finali, che specificamente si occupano dei ‘Bandi Borghi’ del PNRR, Programma Nazionale di Resilienza e Ripresa (a firma dell’architetto Adelina Picone e degli economisti e politologi Carmela Chiapperini, Emanuela Montenegro, Gianfranco Viesti).

 

 

LA POLEMICA CONTRO IL “BANDO BORGHI”

 

Perché, in particolare, bersaglio polemico della raccolta (o meglio delle ‘punte di lancia’ all’interno della raccolta) è il ‘Bando Borghi’ nella quota dei finanziamenti PNRR di competenza del Ministero della Cultura, e soprattutto la “linea A” di tale Bando, con 21 assegni da 20 milioni di € riservati a 21 singoli “Borghi” di eccellenza (uno per regione), mentre la polemica si stempera riguardo alla “linea B”, che contempla anche la partecipazione di aggregazioni locali policentriche (per un totale quasi equivalente di 380 milioni di €, distribuiti a 229 comuni sulle 1800 richieste pervenute).

Mentre nel testo è poco citata (mai negativamente) e però non è esaminata in modo specifico, la Strategia Nazionale per la Aree Interne (varata dal ministro Fabrizio Barca con il governo Monti 2011-2013), che pure ha rafforzato di circa 1.500 milioni di € con il PNRR le sue dotazioni annuali (circa 700 milioni), assegnate comunque sempre con la logica dei bandi, stante la consapevolezza – esplicita nella SNAI – del divario tra bisogni e risorse.

 

 

ALCUNE VALUTAZIONI PERSONALI

 

Per parte mia, a fronte di tali importi, è giustamente criticabile la scelta del PNRR di affidare al Ministero della Cultura un canale finanziario, per giunta una-tantum, in qualche misura concorrente alla più corretta programmazione territoriale della SNAI, ed esposto ai rischi di spettacolarizzazione e romanticizzazione dei “borghi”, come evidenziati dal testo in esame: nonché fondato sulla competizione anziché sulla collaborazione tra i territori.

 

Però mi chiedo se le energie polemiche degli Autori siano ben riposte rispetto alla contraddizione principale che riguarda i territori emarginati dallo ‘sviluppo’ (territori differenziati, che il contributo di Arturo Lanzani al cap. IV della parte prima aiuta a comprendere nella loro multiforme articolazione): cosa impedisce alle ‘forze endogene’ di affrancare tali territori delle condizioni di vario declino e subalternità? Oppure a selezionare il grano del ‘turismo buono’ dal loglio del ‘turismo cattivo’?

Non credo che l’ostacolo sia l’ideologia dei ‘borghi belli’ né una manciata di milioni riservati al Bando-Borghi-Linea-A, quanto piuttosto una serie di questioni strutturali, cui gli Autori accennano talora, senza approfondirle (forse perché le danno per scontate), quali:

-       la globalizzazione o almeno i suoi eccessi neo-liberisti (che comportano la frattura dei cicli produttivi locali ed a medio raggio, la concentrazione della ricchezza anche a danno degli stessi stati nazionali, la polarizzazione territoriale, la massificazione dei flussi turistici),

-       l’alienazione culturale dei consumi e comportamenti di massa, che da molti decenni privilegia di fatto l’urbano sul rurale e l’artificiale sul naturale, malgrado i labili indizi (e gli imbellettamenti) in senso contrario,

-       lo scambio ineguale tra città e campagna, non solo sui frutti della terra (energia e minerali compresi), ma anche sui ‘servizi eco-sistemici’ (a partire da aria ed acqua).

Poiché la battaglia è impari, e prima di potere ‘abolire il capitalismo’, appare più che motivata una rivendicazione di forte sostegno compensativo in favore delle ‘forze endogene’ da parte dello Stato (sostegno che il ‘bilancio SNAI’ consente di quantificare sommariamente): ma deve trovare ascolto negli equilibri politici, fatalmente condizionati dalla oggettiva prevalenza demografica delle ‘città’.

Può anche aiutare in tal senso l’autocoscienza ‘paesana’ dei ‘paesi’, come sollecitata da una parte degli Autori?

Forse, meglio se accompagnata da una più generale battaglia su qualità e quantità dei consumi, anche nelle aree più urbane.

Molto valida a mio avviso sarebbe comunque anche una riforma dei poteri locali come tratteggiata da Arturo Lanzani nel suddetto capitolo[A]: che potrebbe essere anticipata ‘dal basso’ con stabili aggregazioni volontarie, che superino i tradizionali campanilismi (tanto di ‘borghi’ quanto di ‘paesi’).

 

aldovecchihotmail.it

 

 

Fonti:

1.    AA.VV., a cura di Filippo Barbera, Domenico Cersosimo e Antonio De Rossi - CONTRO I BORGHI – IL BELPAESE CHE DIMENTICA I PAESI – Donzelli, Roma 2022

2.    Alberto Magnaghi – IL PRINCIPIO TERRITORIALE – Bollati Boringhieri, Torino 2020.

3.    Fulvio Fagiani – LA GLOBALIZZAZIONE E IL LOCALE. NOTE SU ‘PRINCIPIO TERRITORIALE’ DI ALBERTO MAGNAGHI – su Utopia21, marzo 2021 - https://drive.google.com/file/d/1UZ3G8HpmYfkmB60RZ9owWH41juxDJGuW/view?usp=sharing

4.    Arturo Lanzani - CITTÀ TERRITORIO URBANISTICA TRA CRISI E CONTRAZIONE - Franco Angeli editore - Milano, 2015

5.    Aldo Vecchi - CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON ARTURO LANZANI – su Utopia21, maggio 2017 - https://drive.google.com/file/d/1qt0BKmElvaDb5a7wIsUCtWD9TcchfEUl/view?usp=sharing

6.    Filippo Barbera e Arturo Lanzani - I NUOVI COMUNI, ENTE INTERMEDIO AL POSTO DELLE REGIONI – su “Il Manifesto”, 02/12/2020

7.    Aldo Vecchi - RIFORMARE L’URBANISTICA? – su Utopia21, gennaio 2023 - https://drive.google.com/file/d/16jPw7iqPb7D5vJosaMOcCYghJEtNdlT_/view?usp=sharing

 



[A] Proposta di “nuovi comuni” avanzata  con Filippo Barbera su “Il Manifesto”6; però ipotizzando tali “nuovi comuni” nell’ambito di “città territoriali” in alternativa alle attuali 20 Regioni; vedi anche alcune mie considerazioni in proposito, non convergenti sull’anti-regionalismo. 7

UTOPIA21 - MARZO 2023: IL CONGRESSO E LE PRIMARIE 2023 DEL PARTITO DEMOCRATICO di Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi

 IL CONGRESSO E LE PRIMARIE 2023

DEL PARTITO DEMOCRATICO

di Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi

 

Riflessioni e comparazioni sui testi delle mozioni congressuali di Schlein e Bonaccini

 

Sommario:

-       L’ESITO DELLE PRIMARIE

-       IL CONGRESSO DEL PD

-       ASPETTI GENERALI DELLE MOZIONI

-       MOZIONE BONACCINI

-       MOZIONE SCHLEIN

-       PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE

 

 

L’ESITO DELLE PRIMARIE

 

Il risultato, forse sorprendente, delle primarie per la scelta del Segretario del partito Democratico, con una netta maggioranza per Elly Schlein (54% a 46%, su 1.100.000 votanti) su Stefano Bonaccini, che ha capovolto la scelta degli iscritti (Bonaccini 53%, Schlein 34[av1] %, su 150.000 votanti), è stato ampliamente pubblicizzato e commentato da tutti i media (a partire dal dato stesso dell’affluenza, in ulteriore calo rispetto alle precedenti analoghe primarie, ma superiore alle attese ed ai sondaggi, nella difficile situazione  in cui ristagnava il P.D.).

Anche i primi passi della nuova Segretaria hanno riscosso un notevole successo mediatico, che potrebbe profilare un suo ruolo specifico a quel livello, indubbiamente utile nella competizione per il consenso elettorale, ma nel contempo pericoloso, sia per le frequenti disillusioni che caratterizzano la sinistra italiana, sia per la natura stessa del confronto tra leadership personali “televisive”.

 

Ci sembra invece ancora prematuro valutare la portata politica effettiva della segreteria Schlein, per cui riteniamo invece utile offrire come materia di riflessione le analisi che – proseguendo in una recente tradizione 4,5,6,7  - abbiamo condotto in precedenza sui testi delle mozioni congressuali di Schlein “Parte da Noi!“  e di Bonaccini “Energia popolare per il PD e per l’Italia”; pur con tutte le riserve sul significato circoscritto che tali tipi di testo, così come i programmi elettorali, assumono in generale nell’effettivo svolgersi della realtà politica, e forse anche per questo Congresso.

La nostra attenzione è rivolta in ugual misura alle due mozioni, e non solo a quella vincente, sia per il notevole consenso comunque raccolto dalla seconda, sia tra gli iscritti che nelle primarie, sia perché si va profilando una gestione unitaria del Partito, sia ancora per le corrispondenze di contenuto rilevate tra le mozioni stesse, come vedremo nel dettaglio.

 

 

IL CONGRESSO DEL PD

 

Nel percorso complesso del Partito Democratico [1] dalla sconfitta elettorale del 25 settembre 2022 alle Primarie del 26 febbraio 2023, la “fase costituente” attorno al Manifesto del 2007 (da aggiornare o non aggiornare)[2],1 e sostanzialmente attorno alle modalità di rientro di gran parte dei fuoriusciti di “articolo 1” (Speranza e bersaniani) ha compresso i tempi di confronto sulle tradizionali “mozioni” 2 dei canditati alla Segreteria del Partito, che di fatto hanno svolto le loro campagne di reclutamento dei consensi interni alla residua ‘nomenclatura’ PRIMA della formale partenza del Congresso.

Cosicché i Circoli hanno iniziato a votare pochissimi giorni dopo la pubblicazione delle 4 mozioni (da una trentina di pagine al minimo), facendo supporre una scarsa lettura delle stesse mozioni da parte degli iscritti[3], che si saranno espressi probabilmente quindi piuttosto su quanto rappresentato in loco dagli esponenti delle diverse ‘cordate’, nonché dall’eco mediatica fin qui suscitata dai 4 candidati, e dalla stima sulla validità delle rispettive ‘leadership’.

 

In parte diverso è stato forse il confronto sulle alternative rappresentate dai 2 candidati che, superato positivamente il Congresso, si sono sfidati alle primarie aperte agli elettori [4], sia perché è rimasto più tempo complessivo per raffrontare due sole sia perché la polarizzazione tra i due è stata più ampiamente rappresentata, in particolare con il confronto diretto in televisione.

 

 

 

ASPETTI GENERALI DELLE MOZIONI

 

Leggendo i testi, la nostra impressione generale è che ne emergano due “visioni” [5] programmatiche, abbastanza coerenti e delineate (e nemmeno troppo divergenti, perché ambedue spostano a sinistra l’asse dei contenuti tradizionali), superando in buona parte il classico “ecumenismo” delle mozioni congressuali del PD.

Anche se nella mozione Bonaccini traspaiono ‘ammiccamenti moderati’, soprattutto attraverso il tacere di alcuni argomenti, come ad esempio il ritorno all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori oppure lo stop alla ‘motovedette libiche’; o ancora nel rivendicare la permanenza del “Manifesto dei valori” del PD 2007 e nel limitare l’analisi delle sconfitte del PD agli anni più recenti.

Altra impressione di insieme è che ambedue le proposte risultino (diversamente) poco convincenti in termini di ‘strategia politica’, cioè come tradurre le indicazioni di riorganizzazione del Partito (che risultano diverse, ma non contrapposte: vedi più avanti a pagg. 6-7) in iniziative concrete per acquisire, dall’opposizione, il consenso necessario a riconquistare il potere governativo, con cui attuare i programmi legislativi promessi.

Quanto sopra anche per evidenti carenze di analisi politica e sociale, pur confermando ambedue la consapevolezza della perdita di rappresentanza del PD verso i ceti subalterni: le mozioni si contrappongono alla propaganda di destra, ma non indagano sulle basi sociali e sulle strategie politiche della Destra (o delle Destre, e non solo in Italia). Non si chiedono quale fenomeno sociale sia oggi il MoVimento 5Stelle, conclusa la parabola pan-populista “né di destra né di sinistra”; e neppure quale seguito effettivo nei “ceti medi” raccolga il “3° Polo” di Renzi  e Calenda: ad esempio, a chi interessa la loro linea iper-garantista e anti-intercettazioni in materia di giustizia?

Bonaccini da un lato si appella ad una retorica tradizionale sulla buona militanza in mezzo alla gente (resta da capire perché tale modello risulti in crisi da anni) ed avanza concrete proposte di riorganizzazione del partito, dall’altro ricicla la teoria della “vocazione maggioritaria”, per cui si cerca di rappresentare gran parte della società e non si cercano alleati politici se non quando si è forti ed egemoni; partendo dall’attuale 15%-20% di consensi ci sembra una teoria tra il pretenzioso e l’arrogante, e che comunque è priva di un “piano B” (significa forse che finché non si è forti si lascia vincere la Destra, perché si rifiuta ogni alleanza).

Schlein propone un più umile atteggiamento di ascolto e di mobilitazione locale dal basso, ipotizzando di incontrare altri soggetti interessati ad una alternativa alla Destra sia nella società civile (movimenti e associazioni) che nella opposizione politica: non è molto, ma sembra più semplice ed onesto.

 

Nel merito dei contenuti programmatici (per lo più obiettivi da conseguire quando si tornerà al governo, escludendo ambedue di tornarci senza mandato elettorale), le due mozioni hanno in comune un sostanziale orizzonte (non disprezzabile): rilanciare un nuovo welfare, articolato sulla pluralità dei bisogni (e dei diritti), ed avviare nella società un grande processo di “formazione permanente” per accompagnare ed attutire (e guidare forse) le transizioni ecologica e digitale.

E però scontano in parte alcuni difetti che a nostro avviso sono ‘genetici’ del centro-sinistra (italiano, ma non solo), e cioè:

-       un saldo europeismo che però diventa eurocentrismo, con limitata attenzione al quadro mondiale (USA/Cina, paesi poveri, guerre, autocrazie) e comunque senza critica al ruolo post-coloniale che ricoprono nel mondo gli stati e le imprese europee; ed un atlantismo filo Ucraina senza approfondimenti dialettici sulla questione guerra/pace (e concretamente come sia possibile adoperarsi per una pace giusta);

-       un ottimismo tecnologico che affida al progresso (e alle imprese) il superamento delle contraddizioni attuali e future sia sul fronte ambientale sia sul fronte sociale, sia dentro alla stessa transizione digitale;

-       un appellarsi alla coesione e alla concordia, che è apprezzabile contro una Destra affezionata agli interessi corporativi e ai muri etnico-culturali, ma non affronta la questione dei grumi di interesse sociali che prima o poi andrebbero aggrediti per reperire le risorse necessarie per le molte riforme promesse (per altro aleggia sempre anche un divario tra l’ampiezza dei propositi e l’incertezza delle fonti di finanziamento).

 

 

MOZIONE BONACCINI

 

Questa serie di difetti ‘genetici’, più stemperata nella mozione Schlein, è ben presente nella mozione Bonaccini, che inoltre – pur elencando molte valide proposte per affrontare il cambio climatico e orientare la produzione in direzione della “economia circolare” – non sembra che mostri una adeguata consapevolezza sulla drammatica accelerazione della crisi climatica/ambientale, sulla inadeguatezza delle proposte finora maturate nell’ambito delle COP clima/energia e biodiversità, e sull’intreccio perverso dei diversi aspetti delle crisi in atto (ad esempio tra contrapposizioni geopolitiche e paralisi delle collaborazioni internazionali per l’ambiente).   

Detto questo sul tenore generale della mozione, classicamente articolata per temi e condita da apprezzabili citazioni (da Moro Pertini Sassoli e Berlinguer a Naomi Klein Olivetti e Carlin Petrini), il testo di Bonaccini consolida e sviluppa posizioni che già erano affiorate nei più recenti programmi elettorali del PD (e nel gruppo S&D all’Europarlamento), assumendo però orientamenti nettamente progressisti su ambiente, lavoro e diritti, di cui segnaliamo di seguito solo le proposte più significative:

 

-       ambiente: piano nazionale per le energie rinnovabili, stop al consumo di suolo, no al nucleare;

 

-       transizione digitale e politica industriale: strategia nazionale pubblico/privata per la transizione digitale, sovranità digitale sui dati a scala europea, formazione digitale continua, con attenzione alla pubblica amministrazione e alle “aree interne”;

 

-       lavoro e fisco: salario minimo e rafforzamento dei contratti nazionali di lavoro, reddito di formazione (anche per la “transizione” ecologica e digitale) senza le riduzioni progressive dell’attuale NASPI, apprendistato retribuito (non tirocini gratis), “buonuscita compensatoria” per lavori a termine (quindi costo superiore ai contratti a tempo indeterminato), no agli appalti al “3° settore” per sottosalari nei servizi pubblici, equiparazione tra lavoratori autonomi e dipendenti (sia nel fisco e nei contributi sia nei diritti al welfare), “condivisione della genitorialità” (con congedi paritari);

 

-       servizi sociali: scuola pubblica da 0 a 18 anni con meno alunni per classe e maggior tempo a scuola, contrasto alla dispersione, risorse per edilizia e diritto allo studio, sanità pubblica, con risorse al 7% del PIL (cioè 5 miliardi di € in più);

 

-       diritti: legge contro l’omotransfobia, matrimonio ugualitario, sostegno all’intersessualità, “dignità dell’ultima ora”, ius soli e ius scholae, agenzia indipendente per l’accoglienza ai migranti, superamento della Bossi-Fini, collaborazione con le ONG.

 

In un quadro che risulta molto dettagliato e di buon senso (e si estende anche a fisco progressivo, industria, sicurezza, giustizia e legalità, natalità, donne, giovani, italiani all’estero, sud, cultura, sport, turismo,….), rileviamo (oltre alle “omissioni tattiche di cui sopra) che alcune proposte risultano più vaghe (riforma elettorale e istituzionale; pensioni; tassazione di “rendite e ricchezze”; affitti e case popolari).

Spese militari non pervenute (invero anche nella mozione Schlein).

 

In sintesi la mozione Bonaccini sembra proporre una robusta correzione di rotta, cercando di riportare in galleggiamento la barca del partito.

 

 

MOZIONE SCHLEIN

 

La mozione di Elly Schlein, considerando che da diversi anni si è “… rotta la connessione sentimentale con chi vogliamo rappresentare”, tende soprattutto a prospettare una speranza di ‘redenzione collettiva’, oltre il “non c’è alternativa”, per “cambiare insieme … il modello di sviluppo neoliberista”, il quale è effetto di scelte politiche e comporta l’aumento delle disuguaglianze e la tendenziale distruzione “del pianeta”.

Il testo manifesta una adeguata consapevolezza sulla gravità della crisi climatica e quindi sulla urgenza degli interventi correttivi, e la convinzione di poter ricucire dei nessi tra le diverse condizioni di subalternità e di sofferenza:  “noi dobbiamo ricostruire la sinistra. Una sinistra che nel nostro tempo non può che essere ecologista e femminista. La visione del futuro che parte da noi, si fonda su tre sfide cruciali e intrecciate che le destre non nominano mai: disuguaglianze, clima e precarietà.”

Il testo, ben scritto ed organico (unica citazione esplicita che rammentiamo è l’enciclica “Laudato sì” riguardo alla “ecologia integrale” su ambiente e diritti sociali), attraversa pressoché tutti i contenuti programmatici della mozione concorrente, per cui ci limitiamo a indicare alcuni dei maggiori scostamenti in senso ancor più progressista (parte dei quali mutuati dalle proposte del Forum Disuguaglianze e Diversità [6]):

 

-       ambiente: carbon tax e superamento dei Sussidi Ambientalmente Dannosi, rigenerazione edilizia urbana e territoriale connessa alla salute dell’uomo e dell’ambiente (“one health”);

 

-       transizione digitale e politica industriale: agenzia pubblica europea per la ricerca sanitaria e farmaceutica, con revisione della disciplina dei brevetti (accordi internazionali “TRIPS”), nuova frontiera dei diritti digitali tra cui l’accesso agli algoritmi e la “disconnessione”, conferimento di ‘missioni’ alle aziende a partecipazione pubblica, partecipazione dei lavoratori alle imprese e autogestione di imprese in crisi;

 

-       lavoro e fisco: “sperimentazione” della riduzione dell’orario di lavoro a 4 giorni/settimana, ripristinare l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori sui licenziamenti individuali, classificare i ‘lavoratori delle piattaforme’ come dipendenti, salvo diversa dimostrazione e sottoporne gli “algoritmi” a contrattazione, revisione del reddito di cittadinanza come indicato dalla commissione Saraceno (ad esempio compatibilità con modesti redditi da lavoro), spostare il carico fiscale dal lavoro alle rendite e alle emissioni inquinanti, con esplicita accenno alle tasse di successione (già indicate anche da Enrico Letta);

-       servizi sociali: (scuola e sanità circa come Bonaccini), diritto alla casa anche con intermediazione tra proprietà ed inquilini per affitti lunghi;

 

-       diritti: accoglienza dei migranti con esplicitazione di un programma pubblico di salvataggi in mare ed estensione dei flussi in ingresso alla fase di ricerca di un lavoro,

-       rilanciare la riforma umanitaria delle pene detentive (ed alternative), legalizzazione della cannabis;

 

In questa proiezione progressista, che per altro ben si integra con l’impianto base della mozione Bonaccini (ne rappresenta in un qualche senso la versione “plus” o “Abarth”), ci permettiamo di rilevare che non compare una patrimoniale ordinaria e che il ritorno all’art. 18 figura limitato a quanto già deciso dalla Corte Costituzionale: il che (assieme alla questione delle armi all’Ucraina) lascia ancora una qualche distanza rispetto agli indirizzi della attigua formazione Verdi/Sinistra.

Apprezzabili a nostro avviso, in senso anti-demagogico, l’intento di rivedere la legge Fornero “ma salvaguardando l’equilibrio del sistema” ed il proposito di “…evitare di lasciare in eredità alle prossime generazioni un debito pubblico insostenibile”.

 

In sintesi la mozione Schlein si profila come un appello alle ciurme disperse della sinistra e dei movimenti per ricostruire vascello e velatura.

 

 

PROGRAMMI E ORGANIZZAZIONE

 

Fin qui il nostro contributo alla lettura e comparazione dei contenuti programmatici delle mozioni.

Dopo di che resta, per entrambe le mozioni, – oltre al difficile confronto sia con il tecno-capitalismo sia con il sovranismo populista – da riguadagnare la credibilità perduta, tra propaganda e realtà, in varie esperienze di governi di coalizione (in cui la mediazione ha prevalso sull’identità) e di governo Renzi (in cui l’identità stava “più con Marchionne” che con gli operai).

Il difficile tentativo di recupero della credibilità, alla luce dei risultati delle regionali in Lazio ed in Lombardia, comporta la necessità di misurarsi anche con l’enorme crescita degli elettori assenti dai seggi, astensionismo che costituisce ad un tempo un grande detrattore del significato democratico effettivo delle istituzioni ed una mina vagante per nuove possibili sirene ancor più populiste delle precedenti (Berlusconi, Grillo, Salvini, Meloni).

E però forse pure una grande occasione di riconquista del consenso, in quanto meno immobilizzato dalle barriere paleo-ideologiche.

Occasione di fronte alla quale il PD, diversamente da tutti gli altri partiti, potrebbe valorizzare la peculiare risorsa della residua dimensione di massa dei suoi iscritti e dei suoi simpatizzanti fidelizzati: se non fossero più depressi delle fasce di popolazione colpite per l’appunto da precarietà, disillusione e depressione.

Le due mozioni, pur sviluppando proposte di riorganizzazione del partito e del suo intorno, a nostro avviso non esprimono compiute teorie per sviluppare tale missione.

Poiché non si tratta di scegliere ora il candidato alla Presidenza del Consiglio, ma il Segretario del partito Democratico, la ‘questione dell’organizzazione’ non ci sembra affatto secondaria: pensando anche ad una Segreteria che non se ne stia a Roma, ma giri per i territori a capire cosa succede.

 

Tornando pertanto sui testi delle due mozioni riguardo alle proposte per la riorganizzazione del partito (oltre quanto già detto in nota D sulle primarie, abbiamo riscontrato più convergenze che divergenze: seppur con qualche differenza terminologica, ambedue propongono di ridare ruolo ai circoli (anche come quote di finanziamento), di aprirli al confronto con associazioni e movimenti, di curare la formazione dei quadri e la circolarità di informazione tra gli amministratori locali, di indire conferenze programmatiche annuali e referendum tra gli iscritti, di promuovere osservatori tematici e luoghi di confronto con “i saperi”.

Ed ambedue affidano alla rivendicazione di una legge sui partiti la speranza di un ritorno al finanziamento pubblico ed una disciplina sui fenomeni lobbistici, mentre manca in entrambi la formulazione di una più stretta autodisciplina per i comportamenti degli iscritti (anche se Schlein indica: no ai doppi incarichi, autonomia politica dalle amministrazioni locali e organi di garanzia più incisivi)

Sul versante Bonaccini si insiste sui Giovani Democratici e sugli Iscritti all’Estero (argomenti pure trattati anche da Schlein).

Sul versante Schlein si rilevano numerose specificazioni in favore dei ‘circoli digitali’, della partecipazione dei non-iscritti (albo degli elettori) e della parità di genere (dai “co-segretari” al superamento del giochetto delle candidature parlamentari multiple, che di fatto penalizzano le candidate femmine).

 

Anche se ci è difficile formulare suggerimenti in materia (la questione è niente meno come sia possibile aggregare un consenso di massa a sinistra nella società odierna…) ci pare di poter rilevare che nelle elaborazioni dei due candidati alla segreteria del PD manchi un approccio adeguato alle seguenti problematiche:

-       qual è il profilo attuale (sociale, psicologico, antropologico, ma anche più banalmente: età, professione, attitudini, aspirazioni) dei militanti, degli iscritti, e dei simpatizzanti;

-       quali sono le cause di disaffezione, OLTRE al disagio verso i contenuti ed i tatticismi della linea politica nazionale: per esempio quanto i circoli possono sembrare chiuse combriccole autoreferenziali (in cui spartirsi cariche onorifiche o sostanziali…);

-       come limitare la ‘politica come professione’ (senza cadere nelle promesse demagogiche e poco mantenute dal MoVimento 5Stelle), non solo al livello ufficiale del rinnovo dei mandati elettorali (locali e nazionali), ma anche a quello più incisivo della prosecuzione delle carriere in quanto ‘portaborse’ o nominati in vari enti;

-       quale ruolo di iniziativa politica si intende affidare al partito, oltre alla formulazione e propaganda sui programmi elettorali (e connesse liste di candidati): ad esempio nella inchiesta (ed informazione) sui bisogni sociali locali e sui sistemi di potere locali (prima che questa Destra diventi un regime) oppure a livello nazionale con referendum abrogativi e leggi di iniziativa popolare (c’è solo un cenno in tal senso di Bonaccini per il “congedo parentale paritario”).

 

 

annavailati@tiscali.it

aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1.    https://www.partitodemocratico.it/news/manifesto-per-il-nuovo-pd_italia-2030/

2.    https://www.partitodemocratico.it/congresso2023/candidate-candidati-e-mozioni/

3.    Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi - DOPO 30 ANNI DI FRATTURE SOCIALI E

POLITICHE, A SINISTRA; CHE FARE? – su Utopia21, novembre 2022

https://drive.google.com/file/d/1kSi_8BDxQNIq44U4yzMb1MJc1Tcx2CID/view?usp=share_link

4.    Aldo Vecchi - LEGGENDO I PROGRAMMI ELETTORALI PER IL 25 SETTEMBRE 2022 - su Utopia21, settembre 2023 https://drive.google.com/file/d/1cL7MvXk4xotR4jZiNQvlifC4_6nlBJS/view?usp=sharing

5.    Aldo Vecchi – LA GRANDE SVOLTA (QUASI) ANNUNCIATA DAI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI – su Utopia21, gennaio 2022 -

https://drive.google.com/file/d/1yBkWm43n1rFMF92-Gp8D3-xiSGUzha7z/view?usp=sharing

6.    Aldo Vecchi - VERSO LE ELEZIONI EUROPEE – su Utopia21, maggio 2019 –

https://drive.google.com/file/d/1AkCiSPsccsSTYa1VfFTCtR4gi9xM3GW/view?usp=sharing

7.    Aldo Vecchi – LETTURA E CRITICA DEI PROGRAMMI ELETTORALI PER IL 4 MARZO 2018 – su Utopia21, marzo 2018 -

https://drive.google.com/file/d/1pAwy3E5KHCamh_rOyxResPMGUhAROwkE/view?usp=sharing

 

 

 

 

 

 

8.    Aldo Vecchi – VERSO LE ELEZIONI EUROPEE – su Utopia21, maggio 2019 - https://drive.google.com/file/d/1-AkCiSPsccsSTYa1VfFTCtR4gi9xM3GW/view?usp=sharing

9.    Aldo Vecchi – LA GRANDE SVOLTA (QUASI) ANNUNCIATA DAI SOCIALISTI E DEMOCRATICI EUROPEI – su Utopia21, gennaio 2023 - https://drive.google.com/file/d/1yBkWm43n1rFMF92-Gp8D3-xiSGUzha7z/view?usp=sharing

 



[1] Perché occuparsi ancora del PD abbiamo cercato di motivarlo nell’articolo di novembre3 sui risultati elettorali; in breve, anche se il PD non è più (come fu il PCI) il partito per cui vota la classe operaia, e anche se al momento non è l’area più ampia di condensazione di opinioni elettorali progressiste (sorpassato nei sondaggi dal M5Stelle di Conte), rimane l’erede più diretto di quell’”arco costituzionale” che ha guidato la “prima repubblica” nonché l’articolazione in Italia del Partito Socialista Europeo e dintorni.

L’estinzione “alla francese” non ci sembra ad oggi probabile; visto anche l’esito delle regionali in Lazio e Lombardia, dove ad estinguersi risultano in primo luogo gli stessi elettori di tutti i partiti, la Destra comunque vince, ma le alternative M5S e 3° Polo vanno molto peggio del PD.

D’altronde chi ha teorizzato la opportunità di scioglimento del PD, come il Direttore di “Domani” Stefano Feltri (diversamente dai suoi editorialisti, alcuni dei quali hanno partecipato alla stesura del nuovo Manifesto) non ci pare che abbia finora raccolto molto successo, così come gli embrioni di nuovi partiti auspicati da “Domani”, come i ‘nuovi verdi’ oppure i pacifisti tra Landini e S.Egidio.

[2] Il “manifesto rifondativo”, scaturito da una commissione di dirigenti storici e di intellettuali di area, benché scritto disordinatamente, e trascurato dai media e dallo stesso Partito (a partire dalle mozioni congressuali in esame), motiva storicamente, nel succedersi delle “crisi” intervenute dopo la fondazione del PD (2007), la necessità di una svolta in direzione ambientale ed egualitaria, con una discreta consapevolezza sulle implicazioni internazionali.

[3] Occorre considerare se il calo degli iscritti (pare attorno ai 200.000 dai 400.000 del 2019) rappresenti un regresso anche qualitativo, nel senso del venir meno del carattere “di massa” del Partito Democratico, per lo meno in numerose realtà locali.

[4] La questione delle primarie aperte per la scelta del Segretario è tuttora materia controversa, perché influisce

evidentemente sulla stessa “idea di partito”: in proposito, la mozione Bonaccini propone di confermare l’attuale assetto; Cuperlo vorrebbe limitare la scelta del Segretario ai soli iscritti (proponendo primarie solo per le cariche istituzionali), mentre la mozione Schlein avanza la istituzione di un “registro degli elettori” e propone di chiamarli anche a pronunciarsi su future scelte strategiche; sia Bonaccini che Schlein promettono di estendere l’obbligo di primarie per le candidature al Parlamento, qualora permanga una legge elettorale del tipo del vigente “Rosatellum”.

[5] Ci contrapponiamo pertanto ai molti che sostengono che “il PD non ha una visione” oppure “la sinistra non ha una visione”.  A nostro avviso le “visioni” abbondano, forse anche troppo; il problema è che spesso non sono o non appaiono “vincenti”, a partire dal semplice motivo che è difficile aggregare i ceti subalterni in una società liquida, e ancor più difficile se chi cerca di aggregare subalterno non è. Oppure il problema è anche solo che tali visioni non piacciono a chi ha – legittimamente – altre visioni: come accade innanzitutto ai commentatori di destra e di centro; ma anche alla galassia degli elettori potenzialmente di sinistra, perché la oggettiva dispersione sociale induce ad ampie divaricazioni della soggettività individuale, proprio nel campo politico che più dovrebbe sentirsi “collettivo”.

[6] Ad esempio : “Dobbiamo cambiare il modello di sviluppo per distribuire più equamente il potere economico, i vantaggi e i benefici prima delle tasse e del welfare in modo da combattere le diseguaglianze partendo da dove si formano. E dobbiamo riscoprire una parola fondamentale: redistribuzione. Delle ricchezze, del sapere, del potere, del tempo.” Parte di questi contenuti risalgono ad Atkinson e a Piketty, ma in qualche misura ad ogni passaggio (da Piketty a Barca e poi da Barca a Schlein) sembrano perdere un po’ di mordente.    


 [av1]