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venerdì 22 novembre 2024

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2024: ANCORA SULL’UTOPIA DELL’URBANITA’ DI GIANCARLO CONSONNI

 

ANCORA SULL’UTOPIA DELL’URBANITA’

DI GIANCARLO CONSONNI

di Aldo Vecchi

 

In questo numero di Utopia21, Adriano Parigi inquadra l’ultimo libro di Giancarlo Consonni nell’insieme del suo percorso ed in flusso di pensiero convergente sull’elogio della città compatta e conviviale, contro le tendenze dissipatorie della contemporanea città post-fordista. Condividendo la critica allo stato delle cose presenti, esprimo i miei dubbi sugli orizzonti alternativi formulati da Consonni.

 

Sommario:

-       breve recensione

-       mie riflessioni

in corsivo le parti più personali; in corsivo sottolineato i corsivi riportati dal testo in esame

 

BREVE RECENSIONE

 

L’utopia urbana di Giancarlo Consonni nel libro “Non si salva il pianeta se non si salvano le città“ mi sembra una utopia ‘elevata a potenza’.

Nell’ambito di un auspicato contrasto alle pratiche predatorie in atto sia nelle campagne (con il consumo del suolo e con il super-sfruttamento delle risorse agronomiche) sia nelle città (con la concentrazione delle funzioni di pregio ove maggiore è l’accessibilità e la dispersione delle altre nel territorio), Consonni mira più in alto, alla ricostruzione della ‘bellezza urbana’, intesa come sequenza di fabbricati polifunzionali allineati su strade, piazze, giardini e cortili (con intersezione di spazi pubblici e privati), scenario propizio ad un recupero delle relazioni sociali.

 

Una visione della città che contrappone nel medioevo i portici conviviali e affabulatori di Bologna alle torri orgogliose e autoreferenziali di San Gimignano (e in modo controverso della stessa Bologna), nella modernità Louis Kahn (“ la strada come stanza comunitaria”) a Le Corbusier (nemico della strada-corridoio), Jane Jacobs a Lewis Mumford (e – ricorda Consonni, che dell’archivio Bottoni è uno dei fondatori e curatori - Piero Bottoni seconda maniera, quello della “strada vitale”, autocritico rispetto al primo Piero Bottoni puramente razionalista).

 

In precedenza ho brevemente considerato ed apprezzato le posizioni di Giancarlo Consonni (e di Graziella Tonon, e di altri)2 ; in questo testo (rielaborazione di recenti conferenze e interventi) l’Autore procede da diverse direzioni a questa prospettiva:

-       la rievocazione di un intervento di Giorgio La Pira nel 1955 in difesa delle città, il cui senso è così riassunto da Consonni: “… Si è a tutti gli effetti abitanti di un luogo, di una città e di un territorio solo in quanto soggetti che se ne prendono cura così da trasmetterli alle generazioni future integri e, possibilmente, migliorati“ [A]

-       gli insegnamenti di Leon Battista Alberti: “le manifestazioni dei più vari campi della vita pubblica: diritto, vita militare, religione, etc. --- senza le quali la società civile cessa sostanzialmente di esistere, una volta private della magnificenza dell’ornamento [qui sinonimo di bellezza, nota di Consonni] si riducono ad operazioni vuote e insulse” [B]   ed, in sintesi “… La bellezza civile e la società esistono in virtù di uno stesso principio: la concertazione tra componenti diverse al fine di conseguire sinergie in un assetto quanto più possibile equilibrato ed armonico”

-       la ripresa, da una distanza assai critica, della “Questione delle abitazioni” di Frederich Engels, e le riflessioni dell’Autore sull’estinzione, in Italia, di una adeguata politica sulla casa 3

-       e soprattutto la critica ai processi storici[C] che hanno portato in Occidente, e in particolare in Italia, a smantellare la preminenza degli interessi pubblici nel governo degli spazi urbani, con gravi responsabilità in questa involuzione anche da parte degli intellettuali e delle università, a partire dalla innaturale separazione tra ‘architettura’ e ‘urbanistica’, ed a seguire  con l’abbandono delle esercitazioni di ‘progettazione urbana’ e con il ritiro della didattica a pur apprezzabili posizioni critiche.

 

L’Autore ben spiega gli effetti stranianti di gran parte degli interventi edilizi contemporanei sul tessuto urbano, con l’autoreferenzialità dei progetti architettonici più ambiziosi (arrivando a “stravaganza… eccesso … urlo”), ‘dove la città si disfa’ e la banalità delle funzioni disperse nelle periferie metropolitane, ‘dove non si fa città’, con l’esito tra l’altro di:

- “… costruzione di contenitori edilizi ancorati alle reti di trasporto, ma del tutto indifferenti all’intorno

- … formazione di gated communities più o meno camuffate”.

Consonni segnala e critica in particolare la soppressione dei tradizionali elementi di transizione tra spazi pubblici e spazi privati (ad esempio i portici oppure i cortili): “… in questi paesaggi o si è dentro o si è fuori, con la sensazione dominante, negli spazi aperti, di essere sempre e comunque fuori posto“.

Segnalando i rinnovati pericoli, anche per le città europee, di distruzione fisica per il ritorno delle guerre [D]  l’Autore afferma però: “Contro le città non c’è dunque solo l’azione devastante della guerra. I contesti urbani sono fortemente aggrediti da processi divenuti ordinari: un’azione capillare che minaccia il cuore della convivenza sociale costituita dall’urbanità.”

 

Un insieme di spinte, derivanti dall’assetto economico-finanziario dell’attuale capitalismo, che esalta le rendite, ed a cui non si contrappone (più) il potere pubblico, perché si verifica:

-       “l’esclusione del progetto urbano … dalle prestazioni professionali in ambito urbanistico;

-       l’esautoramento dei tecnici della Pubblica Amministrazione …

-       l’impoverimento, quando non l’azzeramento, del governo della Cosa pubblica sul fronte della definizione di strategie di intervento in fatto di città e territorio” [E], mascherato da “retoriche …” e” narrazioni edulcorate del reale”.

 

Consonni previene e cerca di neutralizzare alcune possibili critiche: la nostalgia dell’ancien regime, il mito identitario della piccola comunità, la pretesa che la bellezza urbana comporti una ‘bontà’ di comportamenti:

-       “Si dirà che dai riferimenti alla città storica qui enunciati emerge un quadro edulcorato e idilliaco in cui non si tiene conto che le città sono sempre state, oltre che teatro di conflitti (anche violenti) un terreno di distinzione sociale, fino alla segregazione. Come negarlo? …”

-       “che si sappiano creare gli anticorpi contro le derive autoritarie che si ingenerano nei microcosmi comunitari”, anche perché “la società civile è essenzialmente un insieme esteso di comunità e che ogni abitante appartiene lui stesso a più comunità” [F]

-       “molti fatti … ci mostrano come sia insostenibile la tesi per cui come “…riteneva Alberti … ‘la bellezza fa sì che l’ira distruggitrice del nemico si acquieti’…ma questo non ci autorizza a qualificare la bellezza come un fatto inutile, tanto più quanto più essa si fa manifestazione civile: corpo e anima della città.”

 

Inoltre l’Autore prende atto che “mentre la sostenibilità ambientale è questione divenuta quasi di dominio comune (tanto che ormai non può essere ignorata dalla politica), la questione della sostenibilità sociale è ignorata a tutti i livelli… Ma ancor più sorprendente è l’assenza di una adeguata presa di coscienza … da parte di coloro che lo vivono direttamente sulla propria pelle, ovvero i cittadini. E questo per il diffuso analfabetismo sui legami che intercorrono tra polis e politica, tra urbs e civitas, tra gli assetti insediativi e i sistemi relazionali… Non abbiamo assistito solo al disgregarsi delle comunità: si è smarrito il senso di essere parte di un consorzio civile. … Il vuoto derivante è stato occupato dal mercato, che non si è limitato ad incamerare risorse collettive sotto forma di rendita ma è stato lasciato libero di plasmare i quadri di vita prosciugandoli dalle relazioni vitali.”

 

L’immane compito di invertire le tendenze in atto si profila, nelle conclusioni del testo come “… una profonda rivoluzione culturale… ma che non parte da zero. Si tratta in primo luogo di riconoscere e sostenere sia le forze che svolgono un ruolo attivo nella conservazione, valorizzazione e promozione dei luoghi dotati di urbanità, sia i conduttori agricoli che hanno cura della terra e del suo potenziale produttivo.

In secondo luogo si tratta di alimentare una consapevolezza individuale e collettiva circa le valenze squisitamente politiche assunte dalle scelte urbanistiche e in generale dalle pratiche di trasformazione dell’ambiente fisico.”

Ed in precedenza Consonni auspica tale rinnovamento culturale “… per il cui innesco le scuole di ogni genere e grado potrebbero svolgere un ruolo primario.” 

 

 

MIE RIFLESSIONI

 

Per esplicitare i miei dubbi sull’utopia di Consonni, a fronte di una realtà complessa, mi permetto di semplificarla concettualmente in successivi gradi di avvicinamento, come se fossero i livelli di competizione di un video-game (o almeno così ricordo video-games quando ero un giovane papà, nel secolo scorso).

(Non approfondisco gli argomenti che ho già affrontato in recenti articoli, che richiamo.)

 

Al primo livello occorre assicurarsi di raggiungere il consumo di suolo zero 4 , enunciato dall’Europa[G] con precise scadenze, ma ancora solo vagamente prospettato in Italia, sia per tutelare i suoli agricoli (da difendere nel contempo anche dalle pratiche agricole predatorie, come ricorda Consonni, e come è materia di scontro – in Italia ed in Europa - tra il primo ed il secondo mandato di Ursula von der Leyen), sia per impostare correttamente la cosiddetta ‘rigenerazione urbana’: su questo fronte i pericoli non stanno solo nelle inerzie e nelle ambiguità di Governo e Parlamento, e nelle abituali pressioni speculative, ma anche nelle fameliche esigenze dei settori logistica e data-center, i magazzini di merci e di dati in cui pesa materialmente l’apparente smaterializzazione derivante dalla ‘transizione digitale’; nonché dalle infrastrutture variamente qualificate come di pubblica utilità (con l’incombente minaccia di un esautoramento politico delle Commissioni per le Valutazioni Ambientali, finora abbastanza indipendenti).

 

Al secondo livello è quanto mai aperta la partita se sia ancora praticabile una effettiva pianificazione territoriale e urbanistica, non solo in rapporto allo svuotamento di fatto derivante dal quadro descritto da Consonni ed al progressivo indebolimento di Comuni e Province, ma anche per effetto delle iniziative legislative di recenti approvate (decreto “salva-casa”) od avviate, dal decreto “salva-Milano” e all’aggiornamento delle norme edilizie nazionali, fino allo stesso dibattito parlamentare sulla rigenerazione  urbana 5 , dove pare prevalere un orientamento anarco-liberista, con diritto di ricostruzione ed ampiamento di ogni fabbricato esistente e progetti riferiti ai singoli “lotti”.

A questo livello occorre confrontarsi anche con la oggettiva difficoltà di progettare  alle diverse scale, sia urbanistiche che architettoniche, in contesti socio-economici suscettibili di possibili variazioni pure nel breve termine, e poco prevedibili negli scenari di lungo termine: considerazione da cui muove anche Luciano Crespi, con l’articolo su questo numero di UTOPIA21, in cui riprende e sviluppa le sue proposte sul riuso anche transitorio degli ‘avanzi urbani’. E da cui l’INU trae la sua proposta di legge-quadro per l’urbanistica, inserendo la “coerenza” in luogo della “conformità” 6: in direzione contraria ai venti dominanti, come sopra accennato.    

 

Al successivo terzo livello, si deve ricostruire, o forse, in Italia, costruire ex-novo la capacità e la volontà di spingere la pianificazione urbanistica a regia pubblica alla scala del disegno urbano, cioè alla definizione non solo delle quantità e delle funzioni, ma anche delle tipologie dei fabbricati e della morfologia degli spazi pubblici e privati: il che comporta un rafforzamento istituzionale dei Comuni e dei loro Uffici Tecnici (intercomunali per i piccoli comuni, salvo aggregare per davvero i Comuni stessi) 6 ed anche una adeguata formazione per una nuova generazione (oppure ‘ri-generazione’) di funzionari (tema in parte affrontato, sotto il profilo dell’offerta didattica, nel recente dibattito in sede INU e dintorni 7).

A questo ipotetico livello, occorre considerare che in generale non si tratta di progettare ex-novo interi quartieri o porzioni organiche di città, ma di cercare urbanità (cioè come dice Consonni, “ospitalità” e “convivialità”) innanzitutto in quei tessuti urbani esistenti, in parte disfatti e sfilacciati dai fenomeni da Consonni descritti, e su cui qualcosa si può rimediare affrontando la crisi climatica ed energetica dell’intera rete delle urbanizzazioni (acquedotti, fognature, strade e trasporti, illuminazione) e dei servizi (verde, parcheggi e scuole i più diffusi), in termini non solo ingegneristici o meglio bio-ingegneristici, ma di ripensamento complessivo di architettura, urbanistica, socialità, nonché di ‘ripascimento’ degli eco-sistemi tra città e campagna: non per rifugiarsi nella “città pubblica”(come paventa l’Autore in un passo del testo), ma per provare  a riqualificare attraverso gli spazi pubblici anche la ‘città privata’. E’ anche (o soprattutto?) su questo fronte che ‘si salva il pianeta se si salvano le città, parafrasando il titolo del testo di Consonni. Senza dimenticare, a questo proposito, la contestuale urgenza di adeguare l’intero patrimonio edilizio sotto gli aspetti energetico e climatico.8

                                                      

Al quarto livello (e mi pare che siamo già molto in alto) potrebbe aprirsi la sfida su quale morfologia perseguire nella regia pubblica della rigenerazione urbana, laddove vi siano significativi spazi edificati da trasformare: e qui occorre capire quanto siano praticabili gli orizzonti prospettati da Consonni rispetto alle diverse committenze possibili (private, cooperative, pubbliche) ed a fronte di quella pervasiva mutazione antropologica verso il consumismo e verso l’individualismo, riscontrate dallo stesso Autore.

Tale per cui oggi sul mercato immobiliare risultano certamente più appetibili le tipologie ‘chiuse’, dalla villetta alla palazzina con giardino, fino alla torre con accessi blindati, rispetto alle soluzioni ‘aperte’, con portici piazze e cortili 2: china assai difficile da risalire, fintanto che non abbiano cumulato grandiosi effetti le rivoluzioni culturali auspicate da Consonni (e da me pienamente condivise) dalle scuole di ogni ordine e grado fino a quelle di architettura e urbanistica (meglio se di nuovo unite, e con specializzazioni per la pubblica amministrazione).

Nel concreto, nella domanda privata i singoli clienti hanno voce in capitolo solo come utenti finali, per cui le scelte sono ampiamente determinate dalle varie forme di intermediazione aziendale (e quindi capitalista), dalle imprese edilizie alle agenzie immobiliari, fino ai moderni ‘sviluppatori’ (con il loro stuolo di urbanisti, architetti e designer, talora ben qualificati, ma su tendenze culturali per lo più avverse alla linea propugnata da Consonni).

Le cooperative, estremamente indebolite dall’esaurirsi dei fondi Gescal e dintorni (si vedrà se le aree che il Comune di Milano finalmente sta offrendo in questi giorni daranno occasione di ripresa), da tempo non figurano come un soggetto significativo, e d’altronde -nella curva discendente della sfera pubblica dagli anni 80 in poi - si sono facilmente adeguate rinunciando alla ‘proprietà indivisa’ e quindi alla continuità intergenerazionale collettiva (sostituita dalla frammentazione nelle eredità familiari).

Qualche spiraglio verso tipologie comunitarie è forse presente nel cosiddetto ‘housing sociale’ (che promana in generale dalle fondazioni bancarie e che come le cooperative si rivolge ad una fascia di ceto medio-basso), che presentano il vantaggio di una possibile partecipazione degli assegnatari alle fasi di progettazione, ma con il rischio di esiti sociali e fisici non esattamente ‘inclusivi’ (anche qui ‘gated communities’?).

Resterebbero – ma solo in teoria – le ‘case popolari’ a finanziamento pubblico, prive però al momento proprio del finanziamento…: si porrebbe comunque anche qui il problema della legittimazione delle scelte progettuali rispetto al comune sentire dell’utenza potenziale (ancorché priva di rappresentanza): penso che la battaglia culturale per una ‘città urbana’ sia positiva e doverosa, ma non fattibile ‘sulla pelle degli assegnatari’ (nell’arco dell’esperienza novecentesca delle case popolari non mancano esempi negativi di imposizione di tipologie inadatte, anche se per lo più nella direzione opposta, tardo-razionalista, da Scampia al Corviale).

 

Quanto alla direzione che dovrebbe assumere questa ‘rivoluzione culturale’, molto dice Consonni, affiancando “urbis cultura” ad “agri cultura”; e molto si è detto (e si dirà) su UTOPIA21, nel senso della consapevolezza della dimensione globale e complessa della ‘poli-crisi’ e della necessità di superare euro-centrismo ed anche antropo-centrismo.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Giancarlo Consonni - NON SI SALVA IL PIANETA SE NON SI SALVANO LE CITTÀ – Quodlibet, Macerata 2024

2.    Aldo Vecchi - QUADERNO 5 DI UTOPIA21 – PROBLEMATICHE DELLA SOSTENIBILITÀ DAL FABBRICATO AL TERRITORIO – pubblicato nel settembre 2018 – vedi in particolare paragrafi 3.12. e 3.15 -

https://drive.google.com/file/d/1hTCkTv9CJUUV2JLYKGZ4AGWYCu-VGF0P/view?usp=sharing

3.    Aldo Vecchi  – L’UTOPIA (ITALIANA) DI UNA CASA, PER TUTTI – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/1Uzz_gkXHQdEy91sUiA_j2hlfobRsbv0m/view?usp=sharing

4.    Aldo Vecchi - QUADERNO 3 DI UTOPIA21 – LA LIMITAZIONE AL CONSUMO DI SUOLO – pubblicato nel settembre 2017 - https://drive.google.com/file/d/1GEBa35-GB05i8ZklTqkW4BpyUkzjDwBZ/view?usp=sharing

5.    Aldo Vecchi - NON SI FERMA IL CONSUMO DI SUOLO – su Utopia21, gennaio 2024 - https://drive.google.com/file/d/1zOz4i3IekmCXguXLpc3mcoS_EhdvhAYY/view?usp=drive_link

6.    Aldo Vecchi – RIFORMARE L’URBANISTICA? – su Utopia21, gennaio 2023 - https://drive.google.com/file/d/16jPw7iqPb7D5vJosaMOcCYghJEtNdlT_/view?usp=sharing

7.    Urbanistica Informazioni n° 312/2024 e n° 315/2024 – https://r.search.yahoo.com/_ylt=AwrkOhIZmiZnfy8ALApHDwx.;_ylu=Y29sbwMEcG9zAzEEdnRpZAMEc2VjA3Ny/RV=2/RE=1730611865/RO=10/RU=http%3a%2f%2furbanisticainformazioni.it%2f-312-.html/RK=2/RS=yLO8AJZXXFY0CHrimBLtaVHMJug-

https://r.search.yahoo.com/_ylt=Awr.ie79oSJnm2cjpAFHDwx.;_ylu=Y29sbwMEcG9zAzIEdnRpZAMEc2VjA3Ny/RV=2/RE=1730351742/RO=10/RU=https%3a%2f%2fwww.inuedizioni.com%2fit%2fprodotti%2frivista%2fn-315-urbanistica-informazioni-maggio-giugno-2024/RK=2/RS=1p4iEDpwCqcENuJNNUgeJuoktLA-

8.    Fulvio Fagiani – QUADERNO 41 DI UTOPIA21 - LA RIQUALIFICAZIONE DEGLI EDIFICI – pubblicato nel settembre 2024 https://drive.google.com/file/d/1W6QnHFN0KHwHzXiPfbtiUp3xUio-Cc9t/view?usp=drive_link

 



[A] mio dubbio: forse La Pira si preoccupava più di difendere la città storica che di progettare quella contemporanea

[B] mio dubbio: non è che però anche Leon Battista Alberti, nel progettare nuove chiese a Mantova, ad esempio, si comportava un poco da ‘archistar’, trascurando l’inserimento nel contesto?

[C] Consonni segnala in particolare, come fasi di svolta neo-liberista in Italia, la soppressione della ‘scala mobile’ in difesa dei salari nel 1984 e la soppressione dei contributi Gescal per le case popolari nel 1993: aggiungerei, come altro elemento specifico relativo a casa/città/territorio, la soppressione tra il 1992 ed il 1998 del cosiddetto equo canone sul livello dei canoni di affitto, forse ingestibile in un contesto di libero mercato, ma proprio per questo assai significativo

[D] sull’argomento guerra, Consonni rileva una specifica afasia dei movimenti ambientalisti, che dal mio punto di vista invece, anche a causa delle guerre, sono divenuti in po’ afasici su qualsivoglia argomento

[E] Su questo fronte l’Autore attribuisce un contributo negativo alla riforma del titolo V della Costituzione del 2001; mi permetto di osservare che una netta svolta liberista si registra già con i “Programmi Integrati di Intervento” derivanti da una legge nazionale “per l’edilizia residenziale” del 1992, già sperimentati in Lombardia dal 1986 e perfezionati in senso de-regolatorio nel 1999

[F] Mi pare una importante riflessione, già presente in Marc Augé, che ne vede un connotato della “surmodernité”, tale però da disgregare la preesistente compattezza delle classi sociali

[G] Rammento quanto già da me segnalato, che tale obiettivo non può essere esteso automaticamente ad altri continenti, quali l’Africa e l’Asia, in cui ancora forte è la pressione demografica

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