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sabato 30 marzo 2013

APPELLO PER UN’IVA ECOLOGICA (versione 2013)

Nell’assenza di un governo, incombe, per luglio 2013, anche un ulteriore aumento di un punto percentuale dell’IVA, su gran parte dei prodotti, esclusi quelli con la tariffa agevolata del 4% (articoli di prima necessità), che avrà evidenti effetti inflazionistici sui prezzi e depressivi sui volumi complessivi di consumo.

Mi chiedo se sia possibile, in questa difficile situazione politica, e per prevenire una più grave caduta socio-economica, approfondire una seria proposta alternativa (da inquadrare a scala europea), finalizzata ad un superamento della spirale oscillatoria tra recessione e tentativi di rilancio (sempre più difficoltosi) del vecchio modello di sviluppo, ed orientata, invece che a contenere o rilanciare  i consumi, a riqualificare produzione e consumi, a partire per l’appunto dalla leva fiscale ed in particolare dalla differenziazione “ecologica” delle aliquote IVA, generalizzando una logica da “carbon tax”.

Si tratterebbe ad esempio di introdurre una quarta aliquota, nettamente superiore, verso il 30% o 33% (e rivedendo nel contempo con i medesimi criteri la ripartizione degli altri prodotti nelle 3 aliquote inferiori, magari riportando al 20% l’aliquota ordinaria) per i prodotti di lusso e/o particolarmente superflui (od inutilmente esotici), e per tutti quelli che presentino negativi risvolti ambientali, sia nelle fasi di produzione e commercializzazione, sia nelle fasi di utilizzo e smaltimento finale, riguardo a:

-          consumo di suolo agricolo (fabbricati, impianti produttivi ed energetici)

-          consumo di energia (veicoli ed elettrodomestici, ed anche fabbricati, con consumi elevati; merci con eccessivi consumi energetici per i trasporti)

-          emissioni di inquinanti (liquidi, aeriformi, acustici, luminosi)

-          produzione di imballaggi e di rifiuti residuali.

Una incentivazione e disincentivazione fiscale, rilevante (ma, volendo, anche da introdurre con gradualità) ed esplicitamente orientata, potrebbe innescare virtuosi processi di selezione dei consumi (limitando il peso inflazionistico per i redditi più bassi e per i consumatori più saggi) e di riorganizzazione produttiva.

Con questa ipotesi di rimodulazione ecologica dell’IVA, se nel frattempo i tentativi di revisione della spesa pubblica improduttiva e di lotta all’evasione fiscale dessero buoni risultati, se ne potrebbero utilizzare i benefici non sul fronte IVA, bensì su quelli più strategici del “cuneo fiscale”, sia agendo sull’IRAP (anche qui con discriminanti qualitative, legate anche all’innovazione) sia soprattutto sull’IRPEF a carico degli scaglioni di reddito più bassi, restituendo in permanenza il “fiscal drag”, che raddoppia in beffa il prelievo improprio costituito dall’inflazione, e rappresenta un costante insulto al concetto di “equità”.

 

Non so se il risultato sarebbe una “decrescita felice”, ma mi accontenterei che si cercasse di evitare una recessione stupida oppure un rilancio miope.

Credo che si debba  cogliere positivamente l’occasione di una crisi evidentemente strutturale (connessa anche alla saturazione di  alcuni settori merceologici nei paesi avanzati, ed all’orizzonte di scarsità di alcune materie prime a fronte della crescente domanda mondiale) per mettere in discussione (sfidando le lobbies di settore ad un confronto esplicito sui costi e benefici sociali e ambientali di ogni prodotto) i contenuti della realtà economica italiana ed europea; all’opposto di chi vuole modificare l’art. 41 della Costituzione per consentire tutto ciò che non è vietato: è più che mai necessario verificare socialmente cosa, come e dove produrre (e trasportare) merci.

E rendere, così, strategica la riflessione sulla “economia verde”: non solo un aggettivo ed un colore per la solita economia.

(vedi in PAGINE: APPENDICE 2^  e nei POST la precedente versione dell'appello; vedi anche in POST e PAGINE, Parte 4^, le premesse e le proposte correlate

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