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venerdì 26 aprile 2013

SALARIO DI PRODUTTIVITA', DOVE FINISCE L'EQUITA' ?

Che ai vertici di CGIL-CISL-UIL si cerchi di tornare all’unità sindacale è probabilmente positivo; in questa fase è invece improbabile una efficace spinta unitaria dal basso, che sarebbe ancor più positiva; mi pare invece che dal basso emergano soprattutto disgregazione e rabbia impotente.
L’unità sindacale potrebbe ridurre la debolezza contrattuale dei lavoratori, ma non lo farà se promuove o accetta accordi che comportano oggettivamente divisioni e discriminazioni, come quello sulla detassazione dei premi di produttività.
Mi sembra corretto che le aziende vogliano premiare gli incrementi di produttività, ed i sindacati contrattare tali premi, e scambiare –ad esempio – la flessibilità di orario con maggiore salario.
Ma che c’entra il fisco, se deve tendere all’equità?
In una fase  di crisi, ed in cui i salari sono bassi, anche perché erosi da anni di scarso recupero della (pur contenuta) inflazione e dal connesso ed iniquo “fiscal drag” (le aliquote IRPEF rimangono fisse mentre la moneta si svaluta, e quindi aumentano di incidenza relativa), il de-potenziamento dei contratti nazionali (che in qualche misura avevano sostituito la “scala mobile” per compensare la svalutazione) comporterà una ulteriore diminuzione dei salari effettivi per larghe face di lavoratori, non coperti da ulteriori contratti aziendali o “territoriali”.
A questa ingiustizia si affianca l’aggravante della agevolazione fiscale per il “salario di produttività”, che favorisce i dipendenti contrattualmente più forti, senza una intrinseca connessione con i “meriti” (un lavoratore molto “produttivo” può trovarsi, non per sua scelta, in una azienda o zona priva di contratti integrativi) e tanto meno con i “bisogni” (solo il lavoratore classificato “produttivo” potrà difendere il potere di acquisto del salario).
A mio avviso tale discriminazione contrasta anche con i principi costituzionali di equità distributiva e fiscale, perché le scarse risorse pubbliche destinabili alla detassazione dovrebbero invece puntare soprattutto sui bisogni (ad esempio aumentando le detrazioni per i familiari a carico dei lavoratori), mentre il “merito” può essere riconosciuto direttamente dalla società e dal mercato (se liberati dalle incrostazioni clientelari e mafiose).

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