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venerdì 23 maggio 2014

LA GRANDE PAURA

Mentre Berlusconi sperpera altrimenti validi attacchi personali a Grillo, in quanto pregiudicato ed in quanto evasore fiscale (detto da lui, che con più eleganza assomma le due qualità), dequalifica, con impropri richiami a Stalin e ad Hitler e con l’epiteto di “sanguinario”, l’argomento – in realtà molto serio - del carattere totalitario del Movimento 5 Stelle.

Carattere che già molti hanno denunciato (anch’io in precedenti post)  e che emerge con chiarezza nella teorizzazione della possibile vittoria elettorale da parte dello stesso M5S: tale auspicata (da loro) “vittoria” consisterebbe nel prendere un voto in più del PD alle prossime europee (circoscrizioni italiane), quali che siano numeri assoluti e percentuali, a cui dovrebbero automaticamente conseguire, con l’aiuto di una possibile marcia su Roma dei militanti M5S, la caduta del Governo, le dimissioni di Napolitano, lo scioglimento del Parlamento (anche perché delegittimato dal sistema elettorale “Porcellum” dichiarato incostituzionale dalla Corte) e le elezioni anticipate (da svolgere con quel che resta dello stesso  Porcellum, forse con reiterati tentativi finchè non raggiungere il risultato sperato: come nella repubblica di Weimar…).
Cosicché una forza politica, che sostiene per “dopo” un sistema elettorale nettamente proporzionale, e che dovrebbe quindi attendere di accumulare il 50%  dei consensi per governare (poiché rifiuta a priori ogni convergenza con le forze politiche del vecchio sistema), intende in realtà “prima” prendere il potere con una logica “maggioritaria”, pur essendo una minoranza,  e tramite pressioni eversive della piazza sulle istituzioni; e gestirlo con criteri totalitari come dimostrano:
-          la pretesa di essere solamente “cittadini” (e non di fatto un partito) e di rappresentare tutti i “cittadini” tramite la consultazione “in rete” (che al momento risulta riservata solo a poche migliaia di iscritti “ante-marcia”, più cittadini degli altri), 
-          il principio del vincolo di mandato e della revocabilità extra-istituzionale degli eletti,
-          la minaccia di svolgere, sempre “in rete”, processi politici contro predecessori, avversari e giornalisti,
-          la permanente incontrollabilità ed irreversibilità della leadership del movimento stesso ed i metodi spicci di espulsione di ogni forma di dissenso (i primi espulsi accusati di partecipare ai talk show televisivi, ora invece assai frequentati da Grillo & C.).

C’è di che avere paura per davvero, anche se per ora il M5S si dichiara non-violento (non difetta però di violenza verbale, arroganza e disprezzo verso i diversi).

Renzi e il PD hanno fatto bene a raccogliere solo in parte la sfida, contrapponendosi frontalmente al M5S, e sostenendo però, correttamente sul piano formale, che in queste elezioni non è in gioco il Governo.
Però, non solo a mio avviso, l’eventuale nuovo sorpasso del M5S sul PD sarebbe uno scossone politico formidabile.
Mi auguro che gli italiani lo prevengano con il voto.
Scusate quindi se per oggi mi risparmio le critiche a Renzi e non entro nel merito delle proposte per l’Europa di Tzipras, di Renzi o dello stesso M5S: mi sembra pregiudiziale sventare il pericolo totalitario.

Aggiungo invece un cenno ad un tema che vorrei sviluppare più avanti, stimolato da letture sociologiche (vedi miei post con recensioni) e da riflessioni recenti  di editorialisti dell’Unità (resisi anonimi in questi ultimi giorni di vertenza sindacale) sulla contrapposizione tra populismo e “corpi intermedi” ed anche del prof. Orsina su La Stampa (non più l’anti-politica ma la “politica anti”: il ritorno ad un desiderio di decisione politica contro i limiti ed i fallimenti delle tecnocrazie):
-          i partiti politici del dopoguerra in Italia si sono sviluppati in termini per lo più interclassisti, sia per deliberata scelta ideologica (DC, “politica delle alleanze” del PCI), sia di fatto, esclusi forse gli estremi del PSIUP (sindacalisti e intellettuali) e del PLI (e poi di Scelta Civica, dove avere almeno due cognomi, anche non avendoli, rappresenta comunque una aspirazione esistenziale): un interclassismo che però presupponeva, riconosceva e cercava di mediare gli originari e differenziati interessi sociali, organizzandoli al centro nelle “correnti” democristiane ed a sinistra nelle organizzazioni di massa “collaterali”;
-          anche il populismo imprenditoriale di Forza Italia non è stato del tutto estraneo, raccogliendo sul campo le adesioni anche di vasti strati di lavoratori dipendenti, ammaliati dalle lusinghe specifiche del padrone furbo e fortunato che li avrebbe fatti vincere, anche loro, come il Milan e meglio di quei falliti dei “comunisti” (fermi restando i ruoli sociali a quel che disse Menenio Agrippa);
-          nel populismo totalitario del M5S (ma anche in alcuni tratti del Renzismo), invece, emerge una nuova forma di interclassismo “radicale”, che – nella confusione dei programmi socio-economici, del tipo “viva la piccola impresa ed il salario di cittadinanza” “abbasso le banche e la casta politica (ma giammai capitalisti ed evasori fiscali) – fa evaporare ogni connotato sociale dei “cittadini”;
Il mio timore è che in questo giacobinismo piccolo-borghese (senza sanculotti) si annidi la radice sociale (ma volutamente a-sociale) del totalitarismo politico di cui sopra.
Una deputata “M5S” gridava tempo fa agli avversati “Voi siete gnente!”: mi ha ricordato per contrappunto i nanuncoli umanoidi guidati da Ulisse, che rivendicava invece di essere “Nessuno” accecando il ciclope monocolo Polifemo e fuggendo dalla caverna: immagino una metafora in cui la caverna è la dura realtà in cui viviamo (là in fondo soffrono i minatori turchi e ci sono tutti i gironi infernali degli sfruttati nelle fabbriche e campagne del mondo; più su verso  l’uscita i ceti medi impoveriti e precarizzati dell’occidente), i Ciclopi sono i vecchi corpi intermedi dei partiti e dei sindacati (e degli stati nazionali?), goffi, pesanti e sempre più accecati, che soli però sapevano governare dentro la caverna; la fuga all’esterno dei Cittadini/Nessuno si proietta nel mondo virtuale della “rete”, credendo, con Platone, che quella proiezione sia quello il vero mondo, invece vi scorrono solo le ideologie neo-populiste, e più avanti  i titoli di coda, che spiegano che “ogni riferimento alla realtà e puramente casuale”.

(Se il film sarà catastrofico, nel contempo la Terra, liberata dai Ciclopi. si disfa per mancanza di politiche ecologiche adeguate e l’umanità si dilania in guerre senza senso).
TESTO AGGIORNATO IL 24-05-14

sabato 17 maggio 2014

MARIO DEAGLIO, PIL, INVERNO MITE E CRISI EDILIZIA

Il commento del professor Mario Deaglio su “La Stampa” di ieri 16-05-14 riguardo al calo del PIL dello 0,1% nel  primo trimestre 2014 è molto utile, perché  - analizzando il comportamento dei singoli settori – evidenzia che il segno meno riguarda solo due settori, a fronte della ripresa in atto nella restante economica.

Le aree di crisi sono risultate:
-          “fornitura di energia elettrica, gas vapore e aria” e “fabbricazione di coke e prodotti  petroliferi” – definizioni  ISTAT - , e ciò a causa dell’inverno particolarmente mite (dunque un segno meno per le imprese del settore energetico, ma un segno più per le famiglie e per le altre imprese); dal canto mio  mi piacerebbe sperare che un calo dei  consumi energetici si manifestasse stabilmente, oltre l’inverno mite, anche per l’efficacia degli investimenti in materia di isolamento termico, razionalizzazione degli impianti e differenziazione delle fonti, e dei connessi  comportamenti: ma forse non è ancora maturato un mutamento profondo 
-          L’industria delle costruzioni, il cui fatturato è sceso dal 2010 al 2014 da una quota “100” ad una quota 62: ciò, secondo il prof. Deaglio, in connessione con “la crescente difficoltà di carattere burocratico e procedurale” aggravata dalle inutili diversità tra “Comune e Comune, Regione e Regione” . Su questo tema mi permetto di dissentire parecchio, perché non mi risultano aggravamenti procedurali negli ultimi 4 anni (semmai un paio di tentativi – discutibili e poco efficaci – di ulteriori semplificazioni) e pertanto – fermo restando il problema di una seria riorganizzazione delle norme urbanistiche ed edilizia – a parità di condizioni normative,  il settore delle costruzioni ha nel 2014 la stessa potenzialità produttiva che nel 2010.  Occorre pertanto chiedersi quali siano le effettive cause del vistoso calo produttivo, e non ci vuole troppa fantasia:

o   Taglio degli investimenti pubblici e delle risorse spendibili dagli enti locali

o   Diminuzione del reddito e delle sicurezze delle famiglie (perdita di posti di lavoro; precarietà che impedisce la formazione di nuove famiglie e la stipula di mutui)

o   Restrizioni del credito

o   Scarsa propensione delle imprese ad investimenti fissi in Italia

o   Giacenza di immobili invenduti, soprattutto  per uffici e seconde case..

Occorre anche domandarsi, a mio avviso, se è proprio auspicabile un ritorno dell’edilizia alle quote produttive dei primi anni di questo secolo, che hanno incluso bolle speculative ed abnormi consumi di terreni agricoli, oppure se la crisi non possa essere occasione per una riconversione più virtuosa del settore edilizio, orientandolo alla difesa idro-geologica del territorio, al riuso delle aree dismesse, alla riqualificazione edilizia (risparmio energetico, prevenzione antisismica) ed alla rigenerazione urbana e – solo in tale ambito – al soddisfacimento dei bisogni effettivi di case e di città.
Qualcosa in più dell’ennesima (abborracciata?) semplificazione procedurale.

CHE SITUAZIONE!


Dopo la chiusura dei sondaggi ufficiali per le europee (in cui se ho ben capito, in termini quantitativi il PD ha recuperato rispetto alle politiche solo verso il centro – a scapito dell’area ex-Monti - e nulla verso il M5S, enormi restando le praterie di astenuti  e indecisi) è scoppiata la bomba mediatica della corruzione attorno all’EXPO e della “nuova Tangentopoli”.
Penso che nessuno sceneggiatore avrebbe potuto escogitare una trovata migliore, per esaltare la campagna elettorale di Grillo, del ritorno del compagno Greganti .

Ho constatato, tra diverse persone con cui ragiono, sconcerto per la cosa in sé (in attesa che l’inchiesta giudiziaria ne disveli meglio i contenuti) e molta paura per una impennata dei voti in favore del M5S.
La rete corruttiva emergente ha alcuni aspetti paradossali, perché di politici di centro-sinistra da corrompere nel potere lombardo non ce ne sono “abbastanza”, ed il ruolo del compagno Greganti sembra essere piuttosto – finora -  quello del corruttore per conto di alcune cooperative; il che forse è anche peggio, perché dimostrerebbe un radicamento corruttivo “interno” ad un ambiente peculiarmente ex-PCI, quasi che alla sequenza  Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer-(natta-occhetto) non sia succeduta una sequenza Occhetto-D’alema-Veltroni-Fassino-(veltroni-bersani) -(cuperlo), ma soprattutto una linea Greganti-Consorte-Mussari-Penati-(greganti), che finisce per oscurare con la sua immagine pervasiva le memorie ed i miti.

(Sul versante di Berlusconi, molto preso a conteggiare i colpi di stato subiti, nel tempo libero che i servizi sociali gli lasciano, le disavventure giudiziarie di Scajola&Matacena e signora, oppure di Dell’Utri con aggiunta ora di Frigerio e compari, non aggiungono molto al discredito di Forza Italia, ma anzi forse ne confermano l’accreditamento verso le fasce del suo elettorato più lontane dallo stato e dalla legalità.)
Riguardo alla paura di un successo del M5s, la condivido, non come pronostico (la liquidità ed emotività dell’elettorato mi sembra impediscano ogni seria previsione), ma per i contenuti se possibile ancora più deliranti dei comizi di Grillo: dal TG di stasera ho sentito che si dichiara oltre-Hitler, che le forze dell’ordine già stanno con lui e quindi che smettano di scortare “i politici” (qualche giorno fa invece che se la magistratura indaga è per merito suo).

Per cui, ancora una volta, anche a noi non-Renziani, non resta che puntare su un discreto successo di Renzi (francamente in questa fase non mi cale molto se Tsipras arriva sopra o sotto la soglia del 4%); mi permetto però, per non dirlo solo “dopo”, di segnalare ancora alcuni regali che ormai Renzi ha fatto a Grillo, mentre poteva anche non farli, e restare lo stesso l’antipatico Renzi che bistratta la CGIL e sottrae la sedia a Letta ecc. (cacciandosi così nella  indispensabile necessità di vincere queste elezioni):
-          Aver trascurato il tema del taglio agli stipendi dei parlamentari (in particolare dei Deputati, in quanto sopravviverebbero alla soppressione del Senato), mentre i M5S restituiscono la diaria: perché il taglio solo ai manager e dirigenti pubblici? (e quando mai anche ai manager privati?)
-          Aver pasticciato con Berlusconi sulla riforma elettorale, con il rischio comunque di essere scaricato dallo stesso B.
-          Non aver mediato da subito con le ragionevoli alternative di Chiti riguardo alla riforma del Senato, lasciando spazio ad uno “statista” screditato come Calderoli, e senza però portare a casa nessun risultato oltre ad un pessimo testo-base imposto a forza alla Commissione

giovedì 1 maggio 2014

IL PRECARIATO ANTI-LABURISTA DI GUY STANDING

Guy Standing, sociologo inglese e già collaboratore dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, ha scritto nel 2011 il saggio “PRECARI – la nuova classe esplosiva” (tradotto nel 2012 da Il Mulino, Bologna, pagine 289, € 19,00), recentemente recensito con favore da l’Unità, che francamente non mi ha convinto per niente.
La descrizione dei vari fenomeni che – nell’ambito della globalizzazione - confluiscono nella crescente precarietà di larghe fasce delle classi subalterne nei paesi ricchi è ampia e documentata (in particolare riguardo a donne, giovani, anziani, migranti), e si estende in taluni casi ad aspetti a me poco noti, come la rilevante componente sommersa delle attività agricole ed alimentari nel Regno Unito (anche se il romanzo “La famiglia Winshaw” di Jonathan Coe mi aveva messo sull’avviso) oppure la rilevante protezione statale, in varie forme,  degli emigranti da parte di potenze quali India e Cina.
Nel complesso però non aggiunge molto a ciò che già si conosce, non solo in letteratura (vedi post su Bauman, Castells, Gallino), ma nella cronaca quotidiana e nella conoscenza personale diretta.
In connessione ai rapporti  di lavoro/non-lavoro ed alle condizioni sociali dei precari, Standing affronta anche le tematiche del controllo telematico/informativo/selettivo che pervade le nostre società (nota, a merito di Standing: il testo è stato scritto prima dello scandalo NSA), a scapito in particolare dei lavoratori, della assurdità dei sistemi  formativi sempre più privatizzati ed inefficaci, nonché  della degradazione del “tempo”, anche di non lavoro, che per i precari assorbe notevoli fatiche dispersive di “lavoro per il lavoro” (cioè per la ricerca del lavoro e/o dei sussidi). 

Qualche dubbio sorge però sulla attendibilità delle informazioni riferite da Standing, dal momento che buona parte di quelle relative all’Italia, dall’Autore riportate con gran rilievo, non mi tornano in realtà così vere (mi sembra di essere un po’ come il protagonista del romanzo “Adua”, travolto nella omonima battaglia mentre constata che la ragione della disfatta sta anche nel fatto che i cartografi dello Stato Maggiore non hanno riportato correttamente le informazioni geografiche che lui stesso aveva comunicato): dal ruolo della Lega Nord contro i cinesi di Prato (luogo in cui la Lega è sempre rimasta ben sotto 10% dei voti) alle invettive di Berlusconi nel 2008 contro “l’esercito del male”, che per Standing coincideva con gli immigrati (mentre a mio avviso nella propaganda Berlusconiana corrispondeva alla sinistra, allargata semmai al terrorismo internazionale, avendo Forza Italia appaltato la questione migranti in prevalenza agli alleati Bossi&Fini), e per finire alla dimensione ed importanza dei cortei alternativi del 1° Maggio a Milano (San Precario, ma anche la solita extra-sinistra dei COBAS e dei Centri sociali) in confronto con i cortei ufficiali di CGIL-CISL-UIL (rammento che i sindacati principali da anni sono impegnati in quella data soprattutto con il concertone di Roma, operazione forse un po’ superficiale, però indirizzata proprio alla saldatura tra i lavoratori ed i giovani, anche non inseriti nel mondo del lavoro).

I limiti della posizione di Standing stanno soprattutto nelle sue sintesi.

A priori, nella lettura della divisione in classi delle attuali società occidentali, Standing  rileva 7 gruppi:
-          Élite di super-ricchi
-          Tecno-professionisti
-          Salariati (impiegatizi)
-          Salariati manuali
-          Precari
-          Disoccupati
-          Emarginati e Disagiati.
Stupisce, in questa scala, la totale assenza dei lavoratori autonomi e dei piccoli imprenditori, assai rilevanti invece, in specie in Italia, e  mediamente assai lontani sia dagli interessi della super-élite, sia dal precariato, in cui pure in parte ora  rischiano di sconfinare.
E colpisce la assimilazione dei salariati tra i detentori del capitale finanziario , anche se forse è giustificata dalla angolatura anglosassone dell’osservazione (fondi pensione e azionariato diffuso).

A posteriori, nelle conclusioni spiccatamente anti-laburiste, nella doppia accezione di negazione del lavoro produttivo come valore positivo  e fattore “di felicità” e di contrapposizione  a teorie e pratiche del Laburismo blairiano, in particolare riguardo al salvataggio delle banche con soldi pubblici (senza però nazionalizzarle), al coinvolgimento dei lavoratori nei privilegi dei benefit aziendali (che Standing vorrebbe tutti monetizzati, disvelando una piena mercificazione del lavoro), al miraggio di una ripresa con estensione del lavoro produttivo (e comunque del carico ambientale) e soprattutto nella “condizionalità” paternalistica con cui vengono gestiti i sussidi di disoccupazione, subordinandoli ad offerte di lavoro coatto e dequalificato.

(Obiettivamente forse in Italia la sinistra e i sindacati, nell’insieme e malgrado tutto, sono meno peggio, ed anche lo Stato, perché tra Tremonti-bonds e Monti-bonds, alle banche si è solo prestato e non regalato, e il Monte dei Paschi rischia tuttora la nazionalizzazione).

Standing coglie lucidamente come le tendenze in atto possano innescare sulla diffusione del precariato forme di populismo e rischi di involuzioni autoritarie (“Inferno”).

Ma, decretato il fallimento di ogni soluzione socialdemocratica (nei fatti  incoraggiato in questo da molte concrete scelte delle storiche sinistre europee e dal Labour party in ispecie), delinea una alternativa esplicitamente utopistica (“Paradiso”),  fondata a mio avviso su affermazioni, come l’analogia di ruolo con le teorie  neo-liberiste di Milton Friedman &C., che  alcuni decenni orsono erano state enunciate come posizione minoritaria, e poi invece non vedi che successo ….
I contenuti dell’alternativa prospettata da Standing, passando vagamente attraverso una autocoscienza di classe e auspicate ed imprecisate forme di rappresentanza del precariato, sono tutte macro-economiche, ovvero affidate ad una improvvisa nuova politica economica degli Stati nazionali: ferme restando le modalità di accumulazione del surplus, Standing ipotizza una armoniosa redistribuzione tramite il reddito minimo garantito (senza imporre a nessuno di lavorare, ma solo incentivarlo, ed impegnandolo, ma solo moralmente, a votare alle elezioni), un nuovo welfare universalistico, istruzione di qualità, valorizzazione del volontariato e di ogni prestazione socialmente utile, riqualificazione dei beni comuni e  del tempo libero.

Come non essere d’accordo con tali orizzonti “Paradisiaci”? 
Ma la loro enunciazione ci fa far qualche passo in avanti, considerando che tra coloro che non concordano c’è anche qualcuno che continua a “detenere il potere” (e a gestire consenso anche  tra lavoratori e precari)?.
E perché mai, a fronte di un lungo processo di crisi delle rappresentanze  dei lavoratori e delle sinistre, processo  strettamente connesso alla globalizzazione e alla precarizzazione, dovrebbe venire facile impostare un sistema di rappresentanza del solo precariato? (vedi post su Maffesoli e su Revelli)
Se le nuove rappresentanze sono quelle del M5S, la cosa non promette bene.
E poi mi viene un altro dubbio fondamentale: se la “nuova classe esplosiva” si profila così forte, non può affrontare anche i contratti  di lavoro, il conflitto tra salari e profitti, ed occuparsi della discussione su  cosa produrre, come lavorare, come re-distribuire le mansioni scomode e dequalificate  che qualcuno deve pur fare, possibilmente su scala globale?
Oppure ci va bene il reddito garantito in occidente, e la redistribuzione del capitale finanziario (sul modello dei fondi sovrani del petrolio norvegese o dell’Alaska, dice Standing), ma sulla pelle dei lavoratori sfruttati di Cindia e terzo mondo, che sono pure loro precari, però massicciamente sfruttati per salari da fame?

Personalmente penso che le riflessioni sulla concreta disarticolazione delle classi subalterne, sui contenuti sociali del lavoro produttivo ed “improduttivo”, del sapere e dell’ozio, sui rapporti di potere insiti nell’informazione e nell’informatica siano estremamente positive, ma che per passare nuovamente alla articolazioni di programmi da un lato convenga contemplare, se possibile, la riunificazione degli sfruttati (salariati e precari d’altronde convivono strettamente nelle famiglie e nel tessuto sociale, almeno in Italia), tendenzialmente su scala globale, e dall’altro capire come si può ri-organizzare la condivisione degli obiettivi, dal basso e dall’alto: con quali linguaggi, con quali rappresentanze, ed anche con quali utopie, se per caso le utopie possono essere utili; persino l’opposta utopia della ricerca della felicità nel lavoro (cara ad esempio anche ad Aldo Capitini) potrebbe disputarsi il diritto di cittadinanza.     

CHE SUCCEDE? (è un po' che non commento)

Berlusconi, condannato a 4 anni, di cui 3 ”coperti” da indulto ed 1 residuo sempre più coperto dal ridicolo.

Grillo, spara nuove Grillate senza che nessuno gli chieda conto delle precedenti (non doveva crollare l’economia italiana definitivamente nello scorso autunno? e la sinistra finire sepolta sotto la scandalo del Monte dei Paschi?); tra le Grillate nuove, spiccano i presunti effetti della sua presunta vittoria alle prossime elezioni europee, che consisterebbe nello scavalcare di qualche euro-seggio il PD, da cui però la pretesa di guidare il Governo: con quale maggioranza parlamentare, dacché il M5S rifiuta qualsivoglia alleanza? Perché andranno in un milione a chiederlo a Napolitano? E sarebbe Napolitano fuori dalla Costituzione?
(il M5S si oppone, inoltre, alle leggi elettorali di tipo maggioritario: pertanto dovrebbe sentirsi legittimato a governare solo superando il 50% dei consensi, che spero ancora gli italiani giammai vorranno concedere).

Poiché il resto del paesaggio politico è quasi deserto (a parte una nota su Tzipras che esprimerò a fine pagina), non mi resta che contemplare il moto instancabile di Renzi, che procede tra ombre e luci grosso modo come previsto, ma cui vorrei dedicare le seguenti osservazioni su aspetti che mi sembrano un po’trascurati dai commentatori ufficiali:
-          RI-MOZIONI CONGRESSUALI:  la mozione su cui Renzi ha vinto congresso e primarie PD era piuttosto vaga, ma prometteva 2 immediate e specifiche iniziative del Partito: una grande consultazione di massa sulla scuola ed un piano per il lavoro “entro il 1° maggio”; la prima non si è vista (salvo la ricerca di fondi per  urgenze dell’edilizia scolastica), il secondo finora risulta limitato al decreto per una ulteriore flessibilità del lavoro temporaneo e dell’apprendistato e ad un disegno di legge “job act” dai contenuti confusi e dai tempi imprecisati; però pare che nessuno ormai ricordi la mozione dello scorso novembre (soprattutto nello stesso PD)
-           RIFORMA DEL SENATO E DINTORNI: negli ultimissimi giorni Renzi ha mutato toni ed atteggiamenti verso il dissenso interno al PD (e diffuso anche nell’opinione pubblica benevola e neutrale) suscitato a mio avviso dalla rozzezza del testo governativo; mi auguro che - nel merito - possa uscirne una mediazione decente e non subordinata ai ricatti di Berlusconi e - nel metodo - che Renzi impari a ridurre prepotenza e arroganza, a beneficio anche della su stessa capacità di leadership, di cui pare che per qualche tempo non si potrà fare a meno, anche perché fuori incombono i suddetti Grillo e Berlusconi, e dentro il centro-sinistra non incombe proprio nessuno (inutile pertanto fare nomi).
Sul merito delle riforme costituzionali rimando ai miei precedenti post, che mi sembrano ancora attuali.
-          80 EURO: non so valutare l’efficacia macro-economica della decisione sulla ripresa (certamente potrà essere superiore all’impatto della sospensione dell’ICI sulla prima casa dei più ricchi, che abbiamo inutilmente sperimentato dal 2009 al 2001 e nel 2013) e non ho apprezzato gli aspetti propagandistici (ci mancava solo che fossero 40 € prima del voto e altri 40 dopo il voto), ma ritengo che, seppur “a sciabolate”, l’aggressione al cuneo fiscale sul versante dei salari medio-bassi abbia un sostanziale valore di equità, da verificare meglio quando si capirà fino in fondo i tagli con cui è finanziata (in parte sembrano ancora “lineari” a danno di regioni e comuni, con rischi di ripercussioni sui servizi e  sulla sanità).
Tale equità a mio avviso non consiste in un generico scambio “meno tasse, più salari” (di sapore vagamente liberista e di indiretto sostegno anche al profitto aziendale, alleggerendolo della pressione contrattuale, oppure peronista, se finanziato con incremento del debito pubblico), ma nel risarcimento specifico del subdolo e costante incremento del prelievo fiscale sui redditi (soprattutto medio-bassi) maturato negli anni attraverso il cosiddetto “fiscal drag”, cioè il mancato adeguamento di scaglioni ed aliquote dell’IRPEF all’inflazione, pur contenuta, ma non trascurabile; e quindi nella parziale correzione di una abnorme distorsione accumulata a danno della originaria progressione dell’imposta sui redditi.  
La correzione sarebbe compiuta se affiancata, per il futuro, da un adeguamento automatico degli scaglioni.
Personalmente avrei preferito, considerandola ancor più equa, una restituzione di IRPEF sotto forma di detrazioni “universali” per i familiari a carico (molto meglio delle ipotesi di “quoziente familiare”, che rischiano di punire le mogli che lavorano): ma la scelta del Governo in favore dei soli lavoratori dipendenti (incluso il pubblico impiego, privo da anni dei rinnovi contrattuali) consegue risultati simili (anche se molti pensionati purtroppo stanno assumendo impropri carichi familiari), evitando di disperdere risorse tra incapienti e partite IVA, dove situazioni di bisogno effettivo si intrecciano con varie forme di opacità nella dichiarazione dei redditi effettivi, e dove quindi l’auspicabile estensione degli sgravi e sussidi dovrebbe essere più mirata e meditata (anche se non evasori, i lavoratori autonomi possono comunque detrarre molte spese dagli incassi, e dichiarare quindi redditi più contenuti dei lavoratori dipendenti, a parità di tenore di vita).

Tzipras: ho letto che Zagrebelski ed altri si lamentano per lo scarso spazio mediatico a disposizione della loro lista; mi sembra un argomento debole per una sinistra che – pur con apprezzabile internazionalismo, forse però motivato della pochezza dell’offerta politica in loco – ha puntato ancora una volta (vedi Ingroia) sulla personalizzazione e sull’immagine anziché sulla credibilità della proposta.

Mi spiace per gli apprezzati teorici che si sono spesi per la lista, ma mi pare che dietro ci sia ancora troppo poca pratica politica, al di là dei residui del precedente secolo breve.