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martedì 19 agosto 2014

ITALIA-GERMANIA -0,2 A -0,2

Il dibattito estivo sull’economia, ora concentrato sul pareggio tra Italia e Germania a -0,2% di PIL, si era in precedenza attivato sui soli casi nostrani, facendo emergere malumori verso il finora laudatissimo premier Renzi e portando i più a ribadire le precedenti ricette di ciascuno, dalle destre che vogliono abolire l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ai neo-Keinesiani che vogliono meno austerità, con in mezzo i centristi governativi che si arrabattano in equilibrismi per coniugare crescita e rigore.
(Non conto Grillo, che vuole di nuovo tornare alla lira, ma almeno ci risparmia l’esempio virtuoso dell’Argentina, e nemmeno Salvini, che ripropone l’aliquota fiscale unica al 20% su tutti i redditi, ma la presenta come astuta mossa contro i ricchi per “costringerli” a pagare molto meno di prima).
Più originali, perché di salda matrice padronale, la ministra Guidi e l’imprenditore Bombassei, che hanno promesso/rivendicato una “politica industriale”, il che dovrebbe tradursi in un ragionamento sul ruolo produttivo dell’Italia e conseguenti scelte di priorità nelle incentivazioni ecc.: tale tema – probabilmente declinato in modo diverso - era finora era circoscritto alla sinistra ed ai sindacati, mentre da destra si confidava abitualmente nelle capacità automatiche del mercato e del sistema delle imprese.
Una riflessione ancora più profonda sulla direzione in cui muoversi (non solo per l’Italia, e non solo per l’Europa) emerge dai dubbi espressi da altri, tra cui Gad Lerner e Michele Serra, che si chiedono se è così giusto e possibile insistere a cercare la crescita, oppure se è venuto il momento di accettare come ineluttabile l’orizzonte della stagnazione e cercare di conviverci al meglio, con l’obiettivo di conseguire meno infelicità per tutti (e probabilmente anche una miglior salute del pianeta Terra).

Purtroppo su questa opzione (su cui convergono i miei sentimenti), manca una elaborazione programmatica credibile, politica ed economica, che faccia da ponte tra la sensibilità di alcuni opinionisti illuminati e l’estremismo della “decrescita felice” di Latouche o di Pallante (vedi post e pagina 2, par. 6, di questo blog).   

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