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giovedì 28 agosto 2014

TEMPI DURI PER IL PACIFISMO

Tempi duri per il pacifismo, anche se resta valido in campo, ove riesce ad essere presente, il pacifismo pratico e militante di Emergency, dei Medici Senza Frontiere e di altri encomiabili volontari, che mostrano il volto migliore dell’Occidente (ma i popoli oppressi non dimenticano per questo le ingiustizie del dominio coloniale europeo, rinnovato negli ultimi decenni dai soprusi del capitalismo globale e neo-coloniale).

Oltre 10 anni fa, contro la decisione anglo-americana di attaccare militarmente il regime di Saddam Hussein, si era formato nel mondo un vasto schieramento di opinione pubblica, intrecciato con la posizione cauta e saggia di alcuni governi europei e del Vaticano, ed era sembrato che potesse influire sugli sviluppi diplomatici ed impedire l’inizio della guerra.
Quel movimento  aveva molte ragioni, come la storia ha poi dimostrato (anche agli elettori USA, che hanno poi scelto Obama), sia riguardo alle menzogne sulle armi di distruzioni di massa (che per fortuna l’Irak non possedeva), sia riguardo agli esiti disastrosi della guerra, non solo in numero di irakeni morti e feriti, ma anche per gli effetti di de-stabilizzazione dei precari equilibri etnici e religiosi della regione mesopotamica e di moltiplicazione (e non estinzione) dei focolai di rivolta jihadista, sia in loco sia altrove (Africa, Europa).
Parimenti poco efficace e molto coloniale la spedizione in Afghanistan, con una ambigua copertura dell’ONU (ed una ancor più ambigua partecipazione italiana forzando l’interpretazione dell’art. 11 della Costituzione).
In generale gli USA e l’Occidente, ossessionati dal rischio del formarsi di “Stati-canaglia” (salvo comportarsi come canaglie essi stessi, da Mossadeq al Vietnam, dal Cile al Nicaragua e dintorni), hanno finito per favorirne l’insediamento; il che è ambivalente, perché da un lato rafforza lo spirito e la logistica delle rivolte, ma d’altro lato le rende più facile bersaglio (rispetto alle guerriglie) ed inoltre è anche un modo perché gli estremismi si stemperino nel confronto con la pratica quotidiana del governo e della ricerca del consenso (vedi ad esempio Iran e lo stesso Vietnam).   
(Disgustoso inoltre, ma anche poco “producente” se non di vendette e spirito di rivalsa, l’assassinio di Bin Laden ordinato dal premio Nobel per la Pace Obama, in luogo di una sua cattura per sottoporlo ad un processo equo al tribunale dell’Aia).

Tra le vittime dirette della guerra voluta da Bush e Blair (con l’appoggio anche di Aznar, Berlusconi, ed altri), però, oltre a Saddam ed alla sua dittatura, bisogna contare anche lo stesso pacifismo, inteso come movimento politico; per vincere, nel 2003, avrebbe dovuto rafforzarsi al punto da influire a fondo sull’opinione pubblica di USA e Gran Bretagna, i regimi democratici più antichi, ma anche tra i più intrisi di classismo, razzismo e militarismo; così non è stato, e nel successivo decennio le nostre bandiere della pace si sono consunte e risulta molto difficile risollevarle per influire sulle sorti dell’umanità.
In particolare, nei conflitti in corso, le mozioni pacifiste non possono trovare alcun ascolto diretto presso aggressori del tipo ISIS ed altri aspiranti Califfati (ma nemmeno tra le fazioni ucraine), né  hanno alcuna efficacia verso i governi occidentali, già indecisi sul da farsi, e certo più propensi ad azioni militari limitate (bombardamenti e incursioni di commandos) o indirette (armare i Curdi, come in precedenza si armarono i talebani contro l’URSS e Saddam contro Khomeini, ed in realtà anche contro gli stessi Curdi…), che non a sperimentare difficili operazioni di “polizia internazionale” come l’ONU riuscì in passato a svolgere, con truppe di terra ad armamento leggero (e non senza clamorosi insuccessi come a Srebrenica).


Personalmente resto affezionato ai miei ideali pacifisti (che cercai anche  di “mediare” con la diffusa aggressività nei movimenti post-68), ma mi duole constatare che la non-violenza segnala nella storia poche vittorie, oltre a quelle grandiose di Gandhi, di Mandela e di Havel&C (tacendo però sui loro eredi politici), avvenute in specifiche condizioni  di territori occupati da potenze ed oligarchie forse ormai “stanche”, e mancano sperimentazioni vincenti di resistenza disarmata ad aggressioni militari “totalizzanti” (ad esempio, limitandosi al ‘900, Hitler e nel suo piccolo Mussolini, i Giapponesi in Cina, la Cina in Tibet, Mladic&C, ecc.), quali sembrano essere gli attuali “Califfati”.

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