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giovedì 9 ottobre 2014

IL NOMADISMO SECONDO MICHEL MAFFESOLI

Di Michel Maffesoli, di cui già ho recensito (alla PAGINA 2 paragrafo 4) il più recente ed ampio “Il tempo delle tribù. il declino dell'individualismo nelle società postmoderne”   (2004), nonché  “Reliance. Itinerari tra modernità e postmodernità” (2007), ho avuto modo di leggere anche il precedente “DEL NOMADISMO – Per una sociologia dell’erranza”, edito nel 1997 (traduzione Milano, Franco Angeli – 2000, pag. 167), che espone più radicalmente alcuni elementi fondanti del suo pensiero:
-          l’insufficienza della moderna razionalità universalista a comprendere i comportamenti erranti, devianti e per l’appunto “nomadi”,
-          la presenza latente ed oscillante, anche nelle società “stanziali”, al di sotto del loro “morbido totalitarismo”, ed anche nei singoli individui, di elementi nomadi, “politeisti” e dionisiaci, che si sottraggono alle logiche unitarie e produttive.
-          le molteplici radici storiche di tali forze alternative, ad esempio tra gli “ebrei erranti” e tra i ”goliardi” medioevali, tra i monaci itineranti giapponesi e tra gli esploratori portoghesi,
-          la recente crescita di queste correnti, e la previsione dell’Autore di un ulteriore crescita, in una nuova chiave femminile, cooperativa ed ecologica; in questo ambito anche una qualche lettura positiva del fenomeno del lavoro precario, visto come libera scelta soggettiva.

Benché ami richiamare alcuni maestri della sociologia moderna, da Simmel a Durkheim, da Weber ad Adorno (ben contro-bilanciati ovviamente da abbondanti citazioni di Rilke, Nietzche, Cioran, Jung, ecc.), il testo di Maffesoli, letterariamente affascinante e leggibile, rifiuta con evidenza qualunque riferimento quantitativo e qualunque ragionamento sui dati materiali, e si presenta soprattutto come un trattato antropologico, appoggiato alla storia quel tanto che gli serve: non sempre con rigore, ad esempio:
-          quando nega ogni pretesa di dominio nella storia antica del popolo ebraico;
-          quando separa la mobilità medievale dai pellegrinaggi – esaminati a parte – oppure ignora i fenomeni conseguenti all’assetto patrimoniale del maggiorascato, sia tra i nobili, da cui la cavalleria (ed anche chierici non sempre “regolari”), sia tra i piccoli possidenti contadini, da cui molti migranti, artigiani o anche senz’arte;
-          quando proclama, con la “modernità”, la fine del nomadismo, mentre di poveracci in movimento è piena anche la storia del moderno lavoro salariato, che si nutre all’origine dal pauperismo urbano post-medievale;
-          dove identifica la riforma luterana con la piena razionalità monoteista, senza cogliere quanti demoni e abissi risiedano nelle pratiche religiose del nord-europa e quanto il mondo protestante sia stato specifico terreno di cultura della psicanalisi, da Maffesoli ascritta correttamente (ma ristrettamente) all’erranza ebraica..

Questo eccesso di apriorismo è a  mio avviso evidente, riguardo all’oggi (e confrontando ad esempio le documentate posizioni di Manuel Castells), soprattutto su tre fronti:
-          la libertà, incertezza e promiscuità sessuale, cui l’Autore inneggia, appare come una costante – pur oscillante – nei secoli, senza cogliere la fondamentale svolta derivante dai metodi contraccettivi del secondo novecento, che offrono un ruolo più indipendente alla donna e sottraggono in parte il maschio al dilemma responsabilità/irresponsabilità (mentre in passato il libertinaggio costituiva privilegio maschile);
-          la prevalenza di valori positivi (femminili-cooperativi-ecologici) nei “nuovi movimenti” mi sembra auspicabile ma difficile da dimostrare come dato di fatto, sia nelle “tribù metropolitane” (si veda ad esempio la perdurante violenza maschilista degli “antagonisti” oppure delle tifoserie “sportive”), sia nelle avanguardie dei popoli oppressi e migranti, tra cui emergono per ora gli estremisti islamici;  
-          il precariato dei rapporti di lavoro, pur apprezzato da consistenti minoranze giovanili, si dimostra essere sempre più un obbligo derivante dalle “leggi del mercato”, dettate da quei diversi nomadi che si chiamano capitale finanziario e vari agenti della globalizzazione.

Pertanto Maffesoli sul Nomadismo non mi ha convinto: ma ritengo che sollecitazioni di questo tipo (condotte tra l’altro da Maffesoli con un linguaggio molto “razionale”, diversamente dagli eccessi anche linguistici –ad es.- di Luc Nancy oppure di Derrida) debbano essere raccolti da tutti i cultori della razionalità, che non può limitarsi e farsi schiacciare nella difesa di un vecchio e limitato ordine del pensiero (vedi ad esempio la trilogia senile di Eugenio Scalfari), ma deve saper comprendere, con l’umiltà del saper-di-non-sapere, tutte le problematiche umane, incluse le pulsioni dionisiache e le tendenze al nomadismo, i demoni e gli abissi, il corpo e l’anima (come propone, parlando di architettura e urbanistica, anche Graziella Tonon nel testo che ho poc’anzi recensito).    

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