Gentile Gramellini,
sono un cittadino, un pensionato ed anche un ex-sessantottino; come
molti di coloro che hanno vissuto per qualche decennio, e hanno anche
talvolta partecipato ad iniziative politiche, mi sento in colpa per aver
peccato di pensiero, parole, opere ed omissioni, ed anche più
semplicemente perché in questa parte del mondo siamo in tanti a godere
di un qualche benessere, mentre altrove molti, per poter sopravvivere, vengono schiavizzati, sfruttati e brutalizzati.
Però non mi sento in colpa come appartenente alla categoria degli ex-sessantottini, né tanto meno come “generazione”:
- in primo luogo perché i movimenti degli anni 60-70 erano frammentati
(forse troppo, uno dei loro difetti), per cui non capisco perché dovrei
rispondere di ciò che dice od ha fatto, ad esempio, il compagno e
vitalizio Capanna, da cui mi sono specificamente “scisso”, con altri,
circa 44 anni or sono;
- in secondo luogo perché le attuali e
future precarie condizioni socio-economiche di molti giovani dipendono
molto poco da chi, tra i miei coetanei, ha partecipato a movimenti di
lotta (giusti o sbagliati) negli anni 60-70 e molto di più, credo, dalle
scelte di un potere politico-economico, intergenerazionale che da
allora ad oggi si è mosso in direzioni esattamente opposte, da
Reagan&Thacher a Berlusconi&Tremonti malgrado il dissenso mio e
di molti (ma troppo pochi) altri cittadini di varie età; e se non mi
sento di rispondere per conto di Capanna, figurarsi se devo farlo per
Rossella o Liguori od altri che invece hanno liberamente scelto di
lodare lo stato di cose presente.
Pagine
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venerdì 27 febbraio 2015
giovedì 26 febbraio 2015
CONSULTAZIONE DEMOCRATICA REGIONALE DEL PD 01-03-2015
Gentile Segreteria Regionale,
interessanti i quesiti sulle autonomie locali, ma sulle questioni politiche nazionali spinose (nuova legislazione sul lavoro, legge elettorale, riforma costituzionale) nessuna consultazione?
Cordiali saluti
Un vostro (forse ex-)elettore.
Aldo Vecchi
interessanti i quesiti sulle autonomie locali, ma sulle questioni politiche nazionali spinose (nuova legislazione sul lavoro, legge elettorale, riforma costituzionale) nessuna consultazione?
Cordiali saluti
Un vostro (forse ex-)elettore.
Aldo Vecchi
mercoledì 18 febbraio 2015
DISAGIO PACIFISTA
Avere dei nemici dichiarati e che
dichiarano di voler sterminare o assoggettare il resto del mondo, come gli
Jihadisti dell’ISIS, è molto imbarazzante per la coscienza pacifista che con
pazienza molti di noi si sono formati negli ultimi decenni, di guerre fredde o
lontane o apparentemente altrui, oppure in cui ci sentivamo vicini ai più
deboli delle parti in conflitto.
Ma questi inimicizia non l’abbiamo
scelta, né si rivolge solo contro il sistema di potere occidentale, verso il
quale abbiamo manifestato, molti di noi, dissenso od addirittura antagonismo:
il fondamentalismo islamista dell’ISIS, di Boko Haram e simili è micidialmente
ostile ai fondamenti illuministi della civiltà europea, non contempla
miscredenti buoni, e lo dimostra con il trattamento crudele riservato anche agli
stranieri catturati tra i cooperanti ed i giornalisti non allineati.
Perciò proviamo paura e desiderio
di difendere le nostre libertà civili (nonché quel tanto di femminismo a fatica raggiunto) dal terrorismo
e da tutte le possibili forme della “guerra santa”: a maggior ragione quando il
nemico colpisce a Parigi e a Copenaghen, oppure scorrazza sulle sponde del
Mediterraneo.
Percorsi non-violenti non sembrano
applicabili, e comunque non utili nel breve periodo, e si finisce per
apprezzare, oltre alle operazioni di polizia, la stessa guerra guerreggiata,
sia pure con molti se e molti ma: con la
copertura dell’ONU, mandando avanti gli altri (ad esempio gli egiziani e/o altri
libici in Libia), “limitandosi” a bombardare.
Vengono anche altri “cattivi
pensieri”, e cioè che siano più efficaci strumenti “non convenzionali”, quali
quelli sempre usati dai servizi segreti delle grandi potenze, e da molti di noi
finora disprezzati e condannati.
TROPPO ONORE?
Nella recente prova di forza
parlamentare sulla riforma costituzionale, la maggioranza renziana ha puntato tutto sulla propria
compattezza e sulla paura di elezioni anticipate che sempre agita i
parlamentari; e così probabilmente punterà a fare nelle prossime tornate (anche
se in Senato, senza il supporto berlusconiano, i numeri saranno assai più
tirati).
Prendendo atto della
indisponibilità della maggioranza governativa a significative mediazioni su
qualunque punto del testo, è irrilevante lo scontro di metodo sulle sedute
fiume e sul voto notturno: non so però se a Renzi convenga aver compattato le
opposizioni (M5S a parte) sotto le insegne del sub-comandante Brunetta, anziché
gestire rapporti più articolati, ad
esempio, con SEL e con i fuoriusciti dal M5S (“molti nemici, molto onore”?).
Una logica da “questione di
fiducia permanente” che sarà proiettata anche sul referendum conclusivo della
riforma, dove gli elettori saranno chiamati, necessariamente a “prendere o
lasciare”.
Preavviso che in quella fase ci
penserò molto bene.
DEBALTSEVO
Poiché la Signora Merkel ha
scelto di metterci la faccia nella trattativa tra Ucraina e Russia, anziché
lasciare il campo ad una qualunque Mogherini, capisco che abbia sottaciuto per saggio opportunismo il
destino della Crimea, ma non mi pare accettabile che l’accordo di Minsk abbia
trascurato di definire le modalità del cessate il fuoco nella sacca di Debaltsevo,
che poteva essere smilitarizzata o almeno evacuata dagli Ucraini (se sono
comunque in questa fase i perdenti), senza ulteriori umiliazioni e spargimenti
di sangue.
NUTELLA
Nel diffuso compianto verso il
patriarca Ferrero, modello di imprenditoria “non finanziarizzata” e
responsabile verso il territorio ed il sociale – incluso nel compianto Carlin
Petrini, già in dialogo con la famiglia Ferrero per Slow Food e l’Università
del Cibo di Pollenzo - mi permetterei di
rammentare che comunque la Ferrero si è contraddistinta tra le compagnie
industriali che si sono impegnate a frullarci il cervello con la pubblicità e
per imporre un modello alimentare non esattamente virtuoso, al di là della
qualità specifica dei prodotti.
sabato 7 febbraio 2015
VECA E LE ALTERNATIVE
Ho letto, ma non sto a recensire nel dettaglio,"Non c'è alternativa: Falso!" di Salvatore Veca, (Laterza, 2014) perché mi è sembrato essenzialmente una elegante tautologia del concetto espresso nel titolo: attraversando un continuo tessuto di citazioni colte, Veca sostiene giustamente che l'attuale sistema di potere e connesso pensiero unico molto si sorreggono sulla convinzione che non ci siano alternative (convinzione di soggetti che sono convinti e di soggetti che riescono a convincere il resto della società).
Veca ritiene che sia fondamentale iniziare a pensare che le alternative siano possibili.
Anch'io lo considero necessario, ma - mi sembra -alquanto non sufficiente.
Veca ritiene che sia fondamentale iniziare a pensare che le alternative siano possibili.
Anch'io lo considero necessario, ma - mi sembra -alquanto non sufficiente.
venerdì 6 febbraio 2015
PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI)
“Il Capitale nel XXI secolo” di
Thomas Piketty (giovane economista francese di impostazione classica), edizione
italiana Bompiani 2014, 635 pagg. , è un best seller mondiale, premiato alla
fin fine come libro dell’anno in materia di economia dallo stesso Financial
Times che aveva invano tentato di stroncarne l’attendibilità statistica
(riguardo al crescente divario tra ricchi e poveri negli ultimi decenni),
mentre Piketty ha scelto di rifiutare la “Legion d’Onore” dalla sua Republique.
Il successo di Piketty è a mio
avviso ampiamente meritato, sia per la vastità ed originalità delle ricerche
compiute e/o utilizzate (disponibili in Internet), sia per la chiarezza e
scorrevolezza del testo, ben leggibile in tutte le numerose pagine (e note) ed
anche attraverso le poche formule matematiche ed i molti grafici esposti per
spiegare il cuore del problema, ovvero la costante tendenza alla accumulazione
e concentrazione del capitale, che diviene massima quando la crescita
(demografica e produttiva) è debole, cioè inferiore al 2% annuo (come si
profila stabilmente nei paesi sviluppati dalla fine del XX secolo), mentre il
rendimento medio dei capitali supera il 4% (con accelerazioni crescenti per i
patrimoni più elevati).
Il libro è soprattutto un
grandioso affresco sulla formazione ed accumulazione dei capitali (immobiliari e mobiliari) e della tassazione
delle ricchezze (successioni, rendite, patrimoni, redditi) dal secolo XVIII al
XXI.
Fonti primarie delle ricerche sottostanti alle elaborazioni
di Piketty sono i dati derivanti dalla moderna imposizione fiscale, che non a
caso ha origine con la Rivoluzione Francese, con divertenti escursioni verso la
letteratura (soprattutto i romanzi di Jane Austen e di Honorè de Balzac,
testimoni di entità e concezioni patrimoniali del XIX secolo) e verso altre
fonti, tra cui hanno un ruolo defilato le teorie di altri economisti,
contemporanei e non.
Tra questi Marx, che Piketty non assume come maestro, ma di cui mostra
i conoscere le opere – diversamente da quanto affermano altri recensori -,
rinfacciandogli in sostanza di sottovalutare la ricerca dei dati, pur allora in
parte disponibili, in favore di pregiudizi ideologici o meglio di affrettate
conclusioni politiche, e comunque di aver trascurato gli effetti complessivi
delle mutazioni tecnologiche.
L’adesione alle statistiche
fiscali, accessibili soprattutto nei paesi occidentali, ed in parte solo dal XX
secolo ben inoltrato, è anche parziale spiegazione di una limitata attenzione
dell’Autore a fenomeni non misurabili con tali strumenti, come:
-
la quota di ricchezze che comunque sfugge al
fisco (in taluni casi valutata da Piketty con stime indirette),
-
i paesi poveri, che in genere non hanno
sviluppato (e non per caso) una solida cultura fiscale, e conseguentemente
anche il divario ricchi/poveri a scala mondiale, che è enunciato ma non
approfondito (dopo l’epoca coloniale Piketty non riscontra flussi univoci nei
trasferimenti internazionali), anche perché indica già come enorme e scandaloso
la crescente polarizzazione all’interno dei paesi ricchi,
-
la struttura sociale e ideologica delle
“classi”, che Piketty, per ricerca di scientificità, per lo più riduce a fasce
statistiche (il “decile”, il “centile”, il “millile” più ricco, e poi tutti gli
altri, suddivisi tutt’al più in 2 parti, negli ultimi decenni, ovvero un ceto
medio che possiede qualcosa, molto al di sotto delle vere élites finanziarie,
ed i restanti che non possiedono pressoché nulla),
-
sporadica, ma non assente, è pertanto anche la
correlazione con i conflitti sociali,
-
il valore effettivo delle grandezze economiche,
sempre esaminate nella loro misura monetaria (espressa in potere d’acquisto,
depurato dall’inflazione), e quindi inclusive di bolle speculative così come di
sostanziali dis-valori (il tema dei rischi ambientali del pianeta è però
accennato da Piketty in termini di potenziale erosione del capitale).
Riassumendo schematicamente
l’evoluzione storica rappresentata nel testo (e ignorando qui le peculiari
differenze nazionali, ben indagate nel testo), si può affermare che:
-
nel XIX secolo si ha una costante concentrazione
dei capitali (prima fondiari e poi in prevalenza mobiliari) ed una crescita
mediamente bassa, con i ceti medio-bassi schiacciati in una sostanziale
povertà; la tassazione, anche dove colpisce i patrimoni nelle successioni, è
bassa e non proporzionale; lo Stato limitato alle funzioni basilari (esercito,
giustizia, infrastrutture);
-
all’inizio del XX secolo le differenze in favore
di coloro che vivono di rendita (“rentiers”) si accentuano e si affacciano, ma
vengono per lo più respinte, le prime proposte di tassazioni universali e
progressive sul reddito;
-
il periodo 1914-1950, con le 2 guerre mondiali,
la rivoluzione sovietica e la grande crisi del ’29, ha – attraverso turbolenti
rivolgimenti - l’effetto di un
temporaneo (ed “involontario”) “suicidio del capitale”, variamente colpito da
distruzioni belliche e svalutazioni intrinseche, inflazione al galoppo e
prelievi fiscali talvolta molto severi;
-
i successivi “trenta anni gloriosi”, tra il 1950
ed il 1980, a partire dalla ricostruzione nei paesi più distrutti, vede una
forte crescita (con medie del 5% annuo, al netto dell’inflazione talora però
rilevante), la piena affermazione di uno “stato sociale” (istruzione, sanità,
pensioni), minori disuguaglianze (più giustificate, anche verso l’alto dalle
differenze nei redditi da lavoro) ed una accumulazione più lenta del capitale;
-
a partire dal 1980, con la svolta
pro-capitalistica di Thacher e Reagan (anche per reagire ad un declino di USA e
GB) e poi con il crollo del blocco sovietico, si sviluppa e si consolida un
nuovo assetto, caratterizzato dal contenimento delle funzioni statali, la
riduzione delle tasse e del controllo sui capitali, una netta ripresa della
accumulazione e concentrazione delle ricchezze, nonché delle disuguaglianze
sociali (inclusi redditi da lavoro, ora rilevanti anche tra i ceti più ricchi,
ma connessi ad una forte selezione sociale nell’accesso ai livelli di
istruzione più elevati e conseguenti carriere) in un contesto di modesta
inflazione e bassa crescita (esclusi i paesi emergenti).
-
(lungo il
percorso storico Piketty si applica anche – dati alla mano – a confutare
diffusi luoghi comuni diffusi, talvolta ad arte, lungo i 350 anni in esame:
dalla propaganda della Terza Repubblica francese su una uguaglianza già
conseguita dai “cittadini” nella rivoluzione di un secolo addietro al mito
degli USA come società aperta alla mobilità sociale, che era forse vero
nell’Ottocento ma è radicalmente smentito dai dati degli ultimi decenni).
In assenza di sconvolgimenti (ed
escludendo di fatto l’ipotesi teorica di una sovrabbondanza “infinita” di
capitale, capace di abbassarne la rendita), Piketty prevede per i prossimi
decenni un proseguire della prevalenza del tasso di rendimento del capitale sul
tasso di crescita, e quindi un progressivo aggravamento della polarizzazione
delle ricchezze in favore di ristrette minoranze, con conseguenze economiche e
sociali non sostenibili (cioè foriere per l’appunto di ”sconvolgimenti”) e
quindi propone una cura drastica, mediante una “tassazione mondiale
progressiva” sui capitali (da integrare con imposte progressive sui redditi e
sulle successioni), previo conseguimento di una totale trasparenza internazionale
su tutti i movimenti finanziari.
Consapevole del carattere utopico
della proposta (ma, rammenta Piketty, anche la tassazione progressiva dei
redditi rimase assai a lungo un’utopia, prima di essere realizzata nel cuore
del Novecento), l’Autore articola anche soluzioni intermedie, in parte
articolate sulle situazioni specifiche dei paesi poveri (dove – India compresa,
ma non la Cina, il problema primo è la mancanza di un moderno stato, fiscale e
sociale), degli USA e del mondo
anglo-sassone e soprattutto dell’Europa, con i suoi problemi specifici di
debiti, austerità e unione monetaria incompiuta (su cui il libro sviluppa una
trattazione estesa, ma concisa, che raccomando alla lettura – capitolo 16 --, e
su cui non mi soffermo per non dilungare troppo questa recensione)
Diversamente dal suo non-maestro Karl Marx, Thomas Piketty non si
spinge a occuparsi del percorso politico necessario per arrivare alla svolta
auspicata e degli enormi problemi sociologici ed antropologici connessi, ma
rivendica illuministicamente l’utilità del suo contributo nella battaglia
ideologica contro le false rappresentazioni dominanti sulla diffusione e
sviluppo della ricchezza; nella conclusione Piketty sollecita gli economisti ad
uscire dalla pseudo-scienza degli algoritmi micro-economici ed a riconoscersi
all’interno delle altre “scienze sociali”.
mercoledì 4 febbraio 2015
RISPETTOSAMENTE
Il discorso di insediamento del
nuovo Presidente della Repubblica è stato giustamente apprezzato, da molti
commentatori, e mi pare anche dalla più ampia “opinione pubblica”, sia per i
contenuti “inclusivi” ed attenti al disagio sociale, sia per il tono, ad un
tempo alto e sommesso.
Mentre mi associo volentieri al
diffuso plauso, ed esprimo gratitudine al peculiare “quadro politico” che ha
portato alla scelta di Sergio Mattarella
come Presidente (quadro in cui Renzi si è
dimostrato capace di governare anche i tempi lenti e paludati del teatro
istituzionale e non solo quelli a lui più consoni degli sfondamenti mediatici,
ed in cui le residue sinistre parlamentari, presenti in Sel e dentro il PD
hanno mostrato una non abituale saggezza), vorrei tuttavia permettermi
anche una critica, rispettosa ma netta, ai limiti del discorso presidenziale
sul fronte “ambientale”.
In tutto il testo compare solo un
generico invito per i concittadini, “ad amare i nostri tesori ambientali ed
artistici”, racchiusi in una specie di cartolina commemorativa, senza alcun
accenno né alle gravi problematiche delle aree di degrado post-industriale
presenti in Italia, né ai limiti planetari (clima, energia, acqua dolce) con
cui si deve confrontare l’auspicio ad un superamento della crisi economica mediante
il ritorno alla “crescita”, acriticamente intesa.
Temo purtroppo che non si tratti
solo di un limite culturale specifico degli esponenti più anziani del sistema
politico (riscontrabile anche negli interventi di Giorgio Napolitano), ma di un
limite di fondo dei gruppi dirigenti di questo paese, che – pur conoscendo le
tematiche ambientali, locali e globali, su cui in caso di necessità possono
sciorinare narrazioni sufficientemente informate – non ne assumono in realtà il
vincolo di priorità che dovrebbe portarli a considerarle trasversalmente sempre
presenti in ogni scelta di politica economica (vedi ad esempio il recente Decreto
“Sblocca-Italia”).
Sempre rispettosamente, come cittadino mi sentirei di eccepire qualcosa
anche sul cerimoniale di tipo monarchico e un po’ ridondante, dell’insediamento
di un nuovo Presidente della Repubblica; capisco che il nuovo eletto non può facilmente
sindacare, e l’uscente parrebbe facesse sgarbo al suo successore, negandogli
gli onori a lui in precedenza tributati, ma tra tutti ci vorrebbe a mio avviso
qualcuno che desse un taglio a pennacchi, auto d’epoca e colpi di cannone a
salve: una Repubblica più sobria mi sembrerebbe più consona ai tempi difficili
che vivono molti concittadini di Sergio Mattarella, come da lui stesso
ricordato.
CONNUBI
Dopo il connubio Cavour/Rattazzi,
quello Grillo/Farage e quello Tsipras/Kammenon, proprio Renzi dovrebbe
accontentarsi di Alfano?