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domenica 19 luglio 2015

DIRITTO ALLA CASA E FISCO

Welfare e diritto alla casa come “minimo vitale”

Dopo la fine dei contributi Gescal (a metà degli anni ’90) e anche grazie all’alta percentuale di famiglie pervenute alla proprietà dell’abitazione (circa 80%), gli interventi pubblici per la casa si sono ridotti ad entità irrisorie, lasciando così crescere numerosi e differenziati fronti di fabbisogno e malessere abitativo: giovani coppie precarie, single, immigrati e fuori sede, nuove povertà (divorziati, lavoratori “esodati”, inquilini morosi o sfrattati e mutuatari in difficoltà).
Benché i problemi dell’abitare non vadano disgiunti dal più generale “diritto a vivere” (lavoro e reddito, servizi e assistenza) e quindi al “diritto alla città” (e alla sua auspicabile “bellezza” -  vedi tra gli altri i testi di Graziella Tonon e Giancarlo Consonni), confrontandosi con i nodi complessivi dell’economia politica (sviluppo e occupazione, salari e profitti, fisco, autonomie locali), ritengo che sia essenziale per qualsivoglia intervento sugli assetti urbani la ri-affermazione del DIRITTO ALLA CASA come diritto di cittadinanza (così recentemente anche il Vescovo Cattolico di Roma, Papa Francesco), meglio se a livello europeo, e la sua articolazione concreta, nelle norme nazionali e locali e nella prassi urbanistica.

Anche se talvolta impoverisce l’azione e il dibattito su aspetti quantitativi e burocratici, LA INDIVIDUAZIONE DI “STANDARD” HA COSTITUITO SU DIVERSI FRONTI UNA IMPORTANTE TAPPA NELLA MATERIALIZZAZIONE DEI “DIRITTI” E DELLE LOTTE PER OTTENERLI: così è stato per l’istruzione, con l’obbligo scolastico al termine della scuola media unica (e sarebbe ora di rivedere in alto tale obiettivo, ancorché non sempre raggiunto), per la connessa edilizia scolastica e per i discussi “standard urbanistici”, ed il principio agisce, ad esempio, dall’Europa contro le inadempienze italiane, per i minimi vitali dell’edilizia carceraria; funziona tuttora, a livello nazionale, per la sanità, attraverso  la definizione e l’aggiornamento dei L.E.A., Livelli Essenziali di Assistenza, purtroppo talora teorici, ma positivamente UNIVERSALI.
Nel welfare italiano, piuttosto asimmetrico, mancano invece altri standard minimi vitali, da quello centrale del lavoro e del reddito, a quello per l’appunto altrettanto fondamentale della CASA (forse perché tutti ci si ammala, mentre i “senza-casa” ed i “senza-casa-in-proprietà” sono pur sempre delle minoranze).
Ritengo che LO STANDARD MINIMO RESIDENZIALE CORRISPONDA, OGGI COME IERI, AD UN ALLOGGIO DIGNITOSO PER OGNI NUCLEO FAMILIARE, CON ALMENO UNA STANZA PER PERSONA, ED IN CONDIZIONI DI NORMALE URBANIZZAZIONE ED ACCESSIBILITÀ AL LAVORO ED AI SERVIZI.
A questo concetto elementare può corrispondere – sul territorio - una gamma di “valori catastali” (una volta conclusa la lenta riforma in itinere e come già anticipabile – volendo - sulla base della estensione in metri quadrati e delle valutazioni collaudate dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare).


Fiscalità immobiliare ed incentivi

Partendo dalla suddetta definizione di un “minimo vitale residenziale” (e tenendo anche in conto che la rigidità del dualismo proprietà/affitto, alquanto incoerente con la crescente precarietà dei rapporti di lavoro e degli stessi legami familiari, induce  problemi di tipo nuovo, all’interno della crisi economica in atto), per introdurre equità e flessibilità nell’abitare,  ed anche per reperire una  parte delle risorse necessarie alla estensione del diritto alla casa, ritengo sia necessario includere in un unica valutazione, complessiva ed organica, la politica economica e fiscale per la residenza, tuttora sbilanciata in favore delle famiglie residenti in alloggi di proprietà che godono per tali abitazioni di una fascia di esenzione dalla TASI (già ICI ed IMU) e dall’IRPEF, procedendo nelle seguenti direzioni:
-         per tutti i soggetti bisognosi, l’offerta di case sociali a canoni adeguati, affiancata   - in mancanza ed in attesa di una casa sociale – da un congruo e permanente contributo per gli affitti (da integrare con le altre politiche di sostegno al reddito);
-         per tutti gli inquilini, la detraibilità dalle imposte sul reddito delle spese per l’affitto della prima casa, fino ad una soglia pari al “minimo vitale” ed equivalente con la fascia di esenzione dalla TASI per i proprietari (tale detraibilità, per la nota legge del “contrasto fiscale”, dovrebbe anche aiutare a far emergere gli affitti “in nero”);
-         per i redditi da locazione di abitazioni, la cosiddetta ‘cedolare’ (cioè una percentuale fissa, indipendente dall’aliquota marginale sul reddito del proprietario), ma limitata al “canone concordato”, con tassazione normale della quota dei canoni eccedenti;
-         per i residenti in alloggi di proprietà, la completa de-tassazione delle transazioni relative alla prima casa, e la conferma della TASI oltre il “minimo vitale”;
-         per gli acquirenti di abitazioni gravati da mutui divenuti temporaneamente o definitivamente insostenibili, la garanzia di permanenza nell’abitazione, con formule differenziate, dal congelamento del mutuo alla conversione definitiva in locazione;
-         per gli immobili sfitti e inutilizzati, la conferma e l’inasprimento di tassazioni più elevate, crescenti progressivamente con il protrarsi del mancato utilizzo (ai sensi dell’art. 42 della Costituzione, vedi ragionamenti di Paolo Maddalena) affiancata anche da incentivi alla vendita di tali alloggi a prezzi calmierati alle Agenzie Pubbliche (come sperimentato in Veneto);
-         sperimentazione di interventi degli ex-IACP per favorire traslochi temporanei e scambi di alloggi in funzione dei trasferimenti per lavoro.

Limitati ritocchi all’insù, ma in senso progressivo (nel tempo ed in relazione alle consistenze patrimoniali), della TASI-IMU e dell’IRPEF sulle case non usufruite dai proprietari (e loro parenti stretti, e trattando in modo specifico le case di origine degli emigrati), potrebbero bastare per compensare le maggiori spese derivanti dagli altri punti della proposta, ad eccezione del primo (offerta di case sociali e sostegno ai costi di affitto), che richiede invece un rilevante impegno sia del bilancio statale che delle risorse ed iniziative a livello locale, ma che potrebbe forse giocarsi internamente alla tassazione sul  settore immobiliare, includendovi le aree edificabili (tema che sviluppo altrove).



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