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giovedì 29 marzo 2018

UTOPIA21 - MARZO 2018: LETTURA E CRITICA DEI PROGRAMMI ELETTORALI PER IL 4 MARZO 2018


Un tentativo di comparazione (orientata ai temi della sostenibilità socio-economica ed ambientale)  tra i programmi elettorali presentati dalle principali forze politiche nelle recenti consultazioni per il rinnovo del Parlamento, nella consapevolezza delle distanze tra propaganda gridata, testi dei programmi ed intendimenti effettivi dei partiti, ma anche della importanza di conoscere il ‘patrimonio ideologico’ dei gruppi che si contendono la rappresentanza degli elettori, per l’improba speranza di far evolvere diversamente il sentire comune.

 



SOMMARIO:

PREMESSA

EQUITA’ DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE, COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, (MIGRAZIONI)

DISARMO, SPESE MILITARI, ARMI NUCLEARI

AMBIENTE, CLIMA, ENERGIA

DEFICIT, DEBITO, EUROPA

DISUGUAGLIANZE, DISOCCUPAZIONE, FISCO. (FINANZA INTERNAZIONALE)

DIRITTI (E DOVERI)

CONCLUSIONI (NECESSARIAMENTE PARZIALI)



PREMESSA

La recente campagna elettorale si è svolta per lo più (come sempre, d’altronde?) a colpi di slogan, insulti e delegittimazioni reciproche tra i “capi politici”, colpi fondati quando possibile sulla più recente attualità della cronaca (spostandosi però dai muri e dalle piazze, dai giornali e dai bar, verso i tablet e gli smartphone, e confermando tuttavia un ruolo centrale, ma rinnovato, alle televisioni1), perché è così che pare si conquistino i voti potenzialmente indecisi (oppure si nauseano definitivamente alcune fasce di elettori, accentuando le tendenze all’astensione).

Le future politiche effettive di Parlamento e Governi saranno influenzate invece, almeno in parte, anche dal confronto sui programmi: con riferimento non solo ai programmi esplicitati dai partiti (in tale denominazione includendo, per praticità, anche il ‘non-partito’ del M5Stelle), ma anche da quelli avanzati dalle diverse associazioni ‘trasversali’ che esprimono legittimi interessi di diverse fasce sociali e sensibilità culturali presenti nella società, in parte presentati o rappresentati attraverso le testate giornalistiche (nonché probabilmente da istanze privatamente esposte ai leader ed ai candidati locali da altre ‘lobby’ più o meno legittime, che comunque ritengono di poter rappresentare ed influenzare le preferenze di una parte degli elettori).



Non intendo sopravvalutare l’importanza di tali programmi sui futuri sviluppi concreti della società, della politica e dell’economia, sviluppi che saranno comunque condizionati dall’inerzia e dalle svolte nelle dinamiche socioeconomiche a scala globale ed a scala nazionale, da fattori esterni, quali i vincoli europei e gli equilibri/squilibri internazionali, dalle logiche di potere interne ai singoli gruppi dirigenti e dalle geometrie disegnate dagli esiti elettorali, nonché dalle contingenze che emergeranno dalla cronaca e dalla storia; ma neppure sottovalutarli, in quanto rappresentano sia una esplicita manifestazione delle ideologie (o delle ‘narrazioni’, come si usa dire) prevalenti nel paese, in quanto proposte dai partiti ed in quanto accolte con più o meno favore dagli elettori (votanti ed anche non votanti), sia un catalogo dei problemi e delle soluzioni, possibili (od impossibili, quando la propaganda prevale sulla ragionevolezza) che il momento elettorale pone all’attenzione della pubblica opinione: un coacervo di pensieri, credenze e aspettative con cui comunque si deve confrontare chi auspichi a sua volta un qualche mutamento sociale (quale quello verso una società più equa e consapevole dei problemi planetari, come io ad esempio, nel mio piccolo, oserei auspicare). 



Prima di riferire, a chi ne sia interessato, alcune considerazioni personali sulle impressioni che mi sono derivate da una paziente lettura di gran parte dei programmi (sono divenuto però impaziente con i programmi del centro-destra, in quanto gravemente divergenti da quello unitario ufficiale, cui pertanto mi sono limitato, e con le singole schede del MoVimento 5Stelle, in quanto poco leggibili ed anch’esse in parte divergenti dai ’20 PUNTI’ del candidato premier Di Maio, a cui pertanto anche qui mi sono limitato; scelte che mi hanno portato a studiare meno chi mi è meno affine e ad un tempo chi nelle urne poi ha vinto di più: ma avrò tempo di approfondire se e quando un governo sarà costituito da qualcuno degli schieramenti vincenti), mi pare interessante osservare i divergenti percorsi seguiti da osservatori professionali e da associazioni di tendenza nel confrontarsi con i partiti stessi:

-          da un lato alcuni soggetti, come l’Osservatorio sui Conti Pubblici del prof. Cottarelli (oppure in parallelo le elaborazioni del prof. Perotti su ‘Repubblica’, di Enrico Marro sul ‘Corriere della Sera’, ecc.) hanno esposto al pubblico il risultato delle loro valutazioni e comparazioni sui programmi partitici (per lo più sul fronte ‘promesse, deficit e debito’, recependo e ribadendo anche alle risposte di alcuni partiti),NOTA A  

-          d’altro lato importanti associazioni, come Confindustria ad esempio (silenti invece CGIL-CISL-UIL) e – nel campo ambientalista – l’ASVIS,2 Salviamo-il-Paesaggio,3 Coalizione-per-il-Clima,4 WWF da solo5 e con LegAmbiente6, ed infine un po’ tutte insieme (oltre 20 associazioni) riunite nella “Agenda Ambientalista 2018”7 - si sono limitate per lo più a proporre (al pubblico, ed in incontri diretti con i partiti) le proprie proposte, senza evidenziarne gli scostamenti rispetto ai programmi elettorali, né le eventuali risposte fornite dai partiti stessi NOTA B; spiace quindi non potersi avvalere di tali riscontri, potenzialmente assai preziosi. NOTA C  



Poiché il compito di riassumere e confrontare i contenuti ambientali dei diversi programmi partitici è già stato svolto egregiamente da altri osservatori (vedi i siti Wired8, GreenMe9, LifeGate10, GreenReport11) mi concentrerò sui nodi che a mio avviso risultano essenziali per valutare la ‘sostenibilità’ dei programmi in esame.





EQUITA’ DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE, COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, (MIGRAZIONI)

Correttamente tutti i programmi si rivolgono agli elettori italiani e si occupano di come l’Italia debba modificare le proprie politiche.

Però, anche nei programmi più sensibili ai temi sociali ed a quelli ambientali, è del tutto assente la preoccupazione sulle iniquità post-colonialiste di cui è permeato il commercio internazionale: pare che le vittime della ‘globalizzazione’ stiano solo nei paesi sviluppati, e che un miglior successo delle esportazioni italiane sia comunque un bene da perseguire, senza alcuna considerazione sugli squilibri insiti a mio avviso in tale assioma, ai danni di altri popoli, anche quando l’export evolve in chiave di ‘smart’ e ‘green economy’) (come è noto, per i nostri politici e giornalisti è solo la Germania che ‘esporta troppo’).



Il PD propone in questo contesto di temperare la globalizzazione frenando il “dumping sociale e ambientale”, il che potrebbe essere un buon proposito in favore dei lavoratori dei paesi ‘sottosviluppati’, ma anche un boomerang in loro danno, se non attentamente gestito.

La cooperazione internazionale a sostegno dello sviluppo dei paesi poveri è menzionata in maniera piuttosto generica in tutti i programmi nella varie aree di centro-sinistra, con uno sforzo maggiore di specificazione da parte del PD, sia riguardo alla quantificazione della maggior spesa da porre a carico del bilancio nazionale (arrivare allo 0,3% del PIL nel 2020 e ‘poi’ allo 0,7% richiesto dall’ONU nel 2015), sia riguardo ad una predilezione per l’Africa, motivata in termini geo-politici ed in funzione  di prevenzione dei flussi migratori: resta poi da verificare quanto le politiche di cooperazione riescano ad affrancarsi dalle ipoteche neo-colonialiste (di cui le opinioni pubbliche delle potenze ex-coloniali usano accusare solo l’invadenza cinese…).

(Se l’Europa si occupa giustamente in termini solidali dell’Africa, che è qui di fronte, ma importa però anche – ad esempio -  il caffè dal Centro-America, gli interessi del campesino che coltiva il caffè di fronte a Illy o Lavazza od altri, probabilmente meno ‘ecologici’, saranno tutelati solo da Carlin Petrini e dalle bottegucce equo-solidali?).

Nei 20 punti dei 5Stelle la cooperazione internazionale figura “finalizzata anche alla stipula di trattati per i rimpatri”, sottotitolo del Capitolo “STOP AL BUSINESS DELL’IMMIGRAZIONE”

Un “piano Marshall per l’Africa” è accennato nel programma comune del Centro-Destra, che è invece ben delineato riguardo a come (mal) trattare profughi e migranti, tema centrale di tale alleanza per vincere le elezioni.

Il PD, per il (fondato) timore di perderle su questo tema, cerca di contemperare a parole “i diritti di chi fugge dalle guerre e dalle carestie quanto quelli di chi accoglie”, il che poi è difficile da fare, soprattutto sul fronte libico (ma anche sul ‘fronte interno’), mentre gli altri soggetti del centro-sinistra, sia alleati (“+Europa” e “Insieme”) sia concorrenti od antagonisti (“Liberi e uguali” e “Potere al Popolo”), convenendo sulla ineluttabilità ed anche sull’utilità dei flussi migratori, si profilano come più aperti ai diritti dei migranti: senza farsi carico fino in fondo, però, del problema della accettabilità sociale dei flussi in arrivo. NOTA D



(Non mi soffermo ulteriormente sull’argomento, già da me trattato su UTOPIA21 del novembre 2017, perché è con ogni evidenza al centro del confronto mediatico).





DISARMO, SPESE MILITARI, ARMI NUCLEARI

L’argomento (come l’intera politica estera ed europea) è assente nei 20 punti M5S, mentre il programma comune del Centro-Destra dedica la sua attenzione alle forze armate tutta in ottica interna, contro il terrorismo e l’immigrazione.

Una esplicita attenzione pacifista, con riduzione delle spese militari, è variamente presente nel centro sinistra, con importanti differenze, perché il PD si limita ad auspicare una diminuzione delle spese per effetto delle sinergie difensive europee già avviate (in contrasto però con la linea Trump/NATO di elevarle al 2% del PIL), mentre INSIEME precisa gli obiettivi di ridurle comunque all’1% (ora sono all’1,42%), di congelare l’acquisto degli F35, di controllare l’export di armi e di sottoscrivere il trattato ONU anti-nucleare (simile, ma più generico, è il programma di Liberi e Uguali).

La opzione radicale di “Potere-al-Popolo” contempla un massiccio disarmo unilaterale, con espulsione di basi americane e armi nucleari dal territorio nazionale, e riconversione dell’industria bellica, ed include la cancellazione di tutte le missioni militari all’estero (contestandone in blocco le possibili finalità pacificatrici).

Diversa è la radicalità dei radicali di “+Europa”, che propongono anch’essi la rimozione delle basi militari americane e armi nucleari connesse, ma come effetto di una rapida formazione di un vero esercito europeo, che dovrebbe adottare temporaneamente lo scudo nucleare francese (la “force de frappe” voluta negli anni 60 dal presidente DeGaulle), ma solo in funzione di proficue trattative per il disarmo nucleare multilaterale.





AMBIENTE, CLIMA, ENERGIA

Anche se questa tematica non viene affrontata quasi per nulla nel battibecco mediatico quotidiano, è invece presente nei testi programmatici.

Persino il Centro-Destra esibisce una piccola giaculatoria (tra un Rosario e l’altro…), che recita “efficienza energetica; tutela dell’ambiente; energie rinnovabili” (non è molto, ma sempre meglio, mi dico per incoraggiarmi, che inneggiare allo spreco, al petrolio e all’inquinamento…).

Gli slogan ambientalisti selezionati dal M5S nei 20 punti sono orientati all’ottimismo tecnologico ed occupazionale (e non certo alla “decrescita felice”), con particolare affezione verso l’auto elettrica, evocata per ben 3 volte, o almeno 2,5 (non è che poi nella città a 5Stelle rimarremo ingorgati in un abnorme traffico di automobili private, ma elettriche?): “SMART NATION: …. Investimenti in nuova tecnologia, nuove figure professionali, internet delle cose, auto elettriche, digitalizzazione PA” e “GREEN ECONOMY: ITALIA 100% RINNOVABILE:  200mila posti di lavoro da economia del riciclo rifiuti;  17mila nuovi posti di lavoro per ogni miliardo di euro investito nelle rinnovabili e nell’efficienza energetica; Uscita dal petrolio entro il 2050; Un milione di auto elettriche”; “INVESTIMENTI PRODUTTIVI: 50 MLD NEI SETTORI STRATEGICI Puntiamo su: innovazione, energie rinnovabili, manutenzione del territorio, contrasto al dissesto idrogeologico, adeguamento sismico, banda ultra larga, mobilità elettrica



Nei programmi di centro-sinistra e sinistra la tematica è affrontata con ragionamenti più articolati, che mi sembrano ben informati sugli orizzonti del cambiamento climatico e del processo di de-carbonizzazione e verso una economia circolare, e sulle connessioni con i temi del suolo/agricoltura/alimentazione, della rigenerazione urbana, della riqualificazione delle cosiddette ‘aree interne’: mi pare però che anche qui prevalga un certo ottimismo tecnologico/macroeconomico, come se la proclamazione di un “Green New Deal” e i miglioramenti di istruzione e ricerca comportassero automaticamente sia un incremento del PIL e della occupazione, sia il conseguimento dei difficili obiettivi climatici ed energetici.

Mi sembra cioè che manchi la consapevolezza (oppure il coraggio di comunicare agli elettori) che gli scenari macro-economici non sono univoci, che il contrasto ai cambiamenti climatici non è una passeggiata in discesa e potrà comportare disagi, sacrifici e qualche austerità nei consumi, che in attesa di una piena (e difficile) ‘economia circolare’ occorre affrontare i rischi della scarsità tendenziale di alcune risorse naturali (ed i costi economici ed ambientati per reperirle), che una vera riconversione ecologica di agricoltura ed industria comporta profondi mutamenti nell’occupazione e nell’alimentazione, che i massicci investimenti necessari per una seria politica di bonifiche ambientali, di prevenzione anti-sismica ed idrogeologica (anche se foriere di benefiche ricadute occupazionali) richiedono forse contestuali rinunce ad altre priorità ed abitudini.

Questo tipo di retorica ambientalista, però intrinsecamente ‘sviluppista’, è presente non solo nel programma del PD e di “+Europa”, dove non stupisce, ma anche in quello di “Insieme”, lista che include, con Bonelli, quel che resta dei “Verdi” ufficiali, ed in quello di “Liberi e Uguali”, ancorché in parte ispirato da Rossella Muroni, già Presidente nazionale di LegAmbiente.





DEFICIT, DEBITO, EUROPA

I temi macroeconomici sono stati ampiamente sviscerati nelle ultime settimane da commentatori specializzati, come Perotti e Cottarelli, e dai media generalisti, giustamente incuriositi sia sulle risorse necessarie per alimentare la corsa alle diverse promesse elettorali, sia sulla (opportunistica?) virata, implicitamente pro-Euro, di gran parte del fronte propagandistico anti-Euro, così ampio fino a pochi mesi addietro (prima del relativo successo della moderata espansività monetaria della BCE guidata da Draghi), spaziando dai 5Stelle alla Lega a gran parte del centro-destra e dell’estrema sinistra.

Non mi addentrerei pertanto nella questione, se non fosse perché ritengo che la ‘sostenibilità economica’ sia intrinsecamente connessa e complementare alla sostenibilità sociale ed ambientale di qualsivoglia programma; con ciò non intendo subordinare le speranze di equità e di riscatto degli oppressi, degli emarginati e del ‘popolo inquinato’ alle regole di Maastricht ed agli equilibri di mercato, ma  vorrei capire in quale modo si ipotizzi una eventuale transizione a diversi assetti, oppure si auspichi una positiva evoluzione verso migliori approdi.



Di risposte coerenti (ma non per questo facilmente fattibili), ne ho individuate solo due, tra di loro contrapposte:

-          POTERE-AL-POPOLO esplicita la volontà di “ristrutturare” il debito pubblico (cioè di ripagarlo in misura parziale), ma solo a carico di quanto detenuto dal grande capitale; non dice se ciò avverrà in modo indolore (né come distinguere tra i vari proprietari dei BOT: i fondi pensione canadesi sono ‘grande capitale’? ed il colonnello in pensione che ne detiene 50.000 € che cos’è?), cosa succederà il giorno seguente alle banche italiane (che ne posseggono una bella fetta, troppo – come noto -  secondo i banchieri tedeschi), ed altre cose che francamente forse conviene non esplorare (almeno per chi come me preferisce tutto sommato l’Italia all’Argentina ed al Venezuela). NOTA E

-          +EUROPA invece propone una rapida discesa del deficit e del debito, partendo da un rigoroso blocco del livello complessivo della spesa pubblica, che si avvicina più alla sig.ra Thatcher che al prof. Mario Monti (anche per altri risvolti socio-economici del programma), e che potrebbe creare non pochi grattacapi agli alleati con cui “+Europa” dovesse collaborare, a partire dal PD, abituati a ben altre logiche di mediazione sociale (senza le quali, per altro, non si capisce se una linea come quella di “+Europa” riuscirebbe ad imporsi e ad essere applicata); su questa base l’Italia dovrebbe affiancarsi da protagonista a Francia e Germania per una ambiziosa marcia in avanti del federalismo europeo (a due velocità, rispetto ai paesi più euroscettici).  



In tutti gli altri programmi si riscontra una rimozione o banalizzazione dei problemi del deficit annuale e del debito accumulato, in nome delle aspettative di sviluppo indotte dalle politiche economiche proposte, che eleverebbero l’incremento del PIL in misura tale da ridurre progressivamente il peso del debito, malgrado il conclamato incremento delle spese previste. In particolare:

-          Il programma comune del Centro-Destra ignora rigorosamente le parole “debito” e “deficit”, si contrappone alle “politiche di austerità”, intende rivedere i trattati europei, anteponendo una pregiudiziale di sovranità nazionale, ed associa ad abbondanti spese per investimenti, pensioni, sanità, famiglie anche un vigoroso progetto di abbattimento delle tasse a carico dei più ricchi e dei debiti verso il fisco. (Il tutto non meriterebbe un serio commento, tranne per il fatto che questa coalizione ha raggiunto il massimo relativo dei consensi elettorali, oltre il 35% degli elettori votanti).

-          INSIEME, pur dichiarandosi europeista (con intendimenti simili a PD e +Europa), trascura felicemente la questione del debito, scaricandola forse ‘per competenza’ alla lista principale con cui sono alleati, cioè al PD, ma suggerisce comunque un bell’allungamento della lista delle spese (sia pure in direzione sociale ed ambientale);

-          Anche LIBERI E UGUALI ha licenziato a metà febbraio 2018 un programma ufficiale (quello da me commentato) totalmente privo di quantificazioni macro-economiche, rimediando poi con un documento aggiuntivo che giustifica brillanti successi del PIL in funzione della mole di investimenti pubblici che propone di attivare, nel solco esplicito di un keynesismo di cui forse oggi mancano le condizioni (soprattutto se a muoversi in tal senso fosse la sola Italia, con il suo 132% iniziale di rapporto debito/PIL); LEU auspica un’Europa “più democratica e solidale”, meno intergovernativa e più euro-parlamentare;

-          Il PD ipotizza un quadro dinamico più ragionevole: 3,5% annuo di incremento del PIL, costante per alcuni anni, di cui 2% nominale – ovvero inflazione – e 1,5% effettivo (ma a mio avviso non è corretto fondare un programma su di un solo scenario, piuttosto ottimistico, a fronte di un ventaglio di diverse prospettive che la realtà potrebbe riservare); va dato atto al PD di un approccio gradualistico, cioè di non voler anteporre il carico da 90 delle sue promesse (assegni familiari, riduzione del “cuneo fiscale”, aumento del reddito di inclusione e del fondo sanitario, ecc.) agli equilibri macroeconomici in ambito europeo (attualmente il “fiscal compact”), che il PD vuole emendare ma non scardinare, nell’ambito di una evoluzione dell’Europa verso “Unione fiscale, sociale e difesa comune”;

-          Il M5S dice testualmente “RIDUZIONE DEL RAPPORTO DEBITO PUBBLICO/PIL DI 40 PUNTI IN 10 ANNI;

Più ricchezza grazie a maggiori investimenti in deficit, ad alto moltiplicatore e con maggiore occupazione; Riduzione spese improduttive; Tagli agli sprechi; Lotta alla grande evasione fiscale” (con un occhio di riguardo, quindi, verso la ‘piccola’ evasione fiscale?), il tutto a partire – oltre agli investimenti , tra cui “2 nuovi carceri” da ingenti spese correnti per il reddito di cittadinanza, gli aiuti alle famiglie (“pannolini” compresi, non si specifica se riciclabili), la sanità, le pensioni, i centri per l’impiego, ecc. Dopo tanto tuonar, tace ora su Euro ed Europa.





DISUGUAGLIANZE, DISOCCUPAZIONE, FISCO. (FINANZA INTERNAZIONALE)

Si tratta di questioni abbastanza ampliamente dibattute, cui dedico pertanto brevi cenni (del Centro-Destra ho già detto nel precedente paragrafo), tranne per quanto riguarda la finanza internazionale, oggetto invero di scarse attenzioni, malgrado il gran parlare di banche e banchieri negli anni trascorsi:

-          Il M5S, oltre al reddito di cittadinanza con “flex-security” propone: “Riduzione delle aliquote Irpef,  Niente tasse per redditi fino a 10mila euro,  Manovra choc per le piccole e medie imprese: riduzione del cuneo fiscale e riduzione drastica dell’Irap,  Abolizione reale degli studi di settore, dello split payment, dello spesometro e di Equitalia,  Inversione dell’onere della prova: il cittadino è onesto fino a prova contraria”; per la finanza non va oltre il confine di Chiasso, rivendicando “Risarcimenti ai risparmiatori truffati; Creazione della Procura nazionale per i reati bancari;  Riforma bancaria Glass Steagall act contro le speculazioni”;

-          Il PD propone una ampia serie di aggiustamenti all’assetto attuale, di cui rivendica i progressi ottenuti rispetto agli anni più bui della crisi: aumento del “reddito di inclusione” e degli assegni familiari, diminuzione del “cuneo fiscale” in favore del lavoro stabile, “buonuscita compensatoria” al termine dei contratti temporanei, indennità di disoccupazione a scala europea, salario minimo per legge per chi è fuori dai contratti nazionali; meno IRES e più aiuti per la conversione tecnologica delle imprese, con un “fondo unico” per gestire la trasformazione produttiva;

-          +EUROPA associa maggiori provvidenze per i disoccupati con una riforma fiscale che alleggerisca l’IRPEF e l’IRES (persone e imprese), aumentando invece l’IVA e ripristinando l’IMU sulla prima casa, in un quadro complessivo di ulteriori privatizzazioni e liberalizzazioni (ad esempio a favore di piattaforme come UBER); a livello europeo propone una “corporate tax” uniforme e la costituzione di un vero “Fondo Monetario Europeo” con finalità anti-cicliche;

-          Con un profilo più solidarista, anche INSIEME affida ai costituendi “Stati Uniti d’Europa” compiti di ammortizzazione sociale rispetto ai problemi indotti dalla globalizzazione;

-          LEU si propone una ambiziosa riforma fiscale, con una nuova imposta patrimoniale sugli immobili (che riassorba l’IMU, reintroducendola sulla prima casa) e sui capitali “superiori alla media”,  diminuendo invece l’IRPEF sui redditi bassi (e migliorandone la progressività) e le tasse di registro, ed auspica a livello europeo una tassazione uniforme  sui profitti, anche dei colossi del web, e la “Tobin tax” contro i movimenti trasnazionali rapidi di capitali; punta inoltre sul reddito di inclusione e sugli assegni familiari;

-          POT-POP analogamente chiede patrimoniale e IRPEF più progressiva, nonché un tetto a stipendi e premi dei super-manager, contrasto alla elusione fiscale delle imprese multinazionali, ri-nazionalizzazione di Banca d’Italia e Cassa DDPP e dei settori privatizzati, “separazione tra banche di risparmio e di affari”; nonché un reddito minimo garantito (anche per prestazioni intrinsecamente saltuarie, come nel campo culturale).

(A margine di questa breve carrellata, rilevo una generale disattenzione all’emersione del lavoro in nero, salvo che nella proposta del PD per il voucher-badanti – presente anche nel programma M5S - ; noto inoltre, a fronte di  una probabile -e talora auspicata- ripresa di una inflazione controllata, la mancanza in tutti programmi di automatismi per l’adeguamento degli scaglioni IRPEF all’incremento nominale dei redditi, anche se è stato in gran parte il “fiscal drag” dei decenni trascorsi, corretto sempre poco, tardi e male,  a spostare gran parte del peso fiscale sui redditi dei ceti medio-bassi).



Più in generale il tema delle disuguaglianze (su cui mi pare ben opportuna la recente nascita di un apposito FORUM NOTA F) è presente nei termini di provvidenze in favore delle fasce deboli, in parte come diffusione di strumenti  formativi, ed in piccola parte come riequilibrio fiscale a carico dei più ricchi (solo LEU e POT-POL), ma quasi mai (solo in POT-POL) come problema di per sé, perché altera consumi e investimenti che i redditi alti indirizzano a consumi ostentativi (trainando così per imitazione tutti gli altri) e investimenti finanziari (che vagano per il mondo e alimentano la spirale perversa del denaro che crea denaro) e perché polarizza il potere politico tra chi decide la vita degli altri e chi può solo subire le decisioni altrui.





DIRITTI (E DOVERI)

Prima di concludere questa sintetica rassegna (sarebbe ciclopico per me - e illeggibile per i pur pazienti lettori - esaminare tutti gli argomenti presenti nei vari programmi) mi sembra interessante guardare come i programmi partitici trattano i diritti soggettivi delle persone, perché anche di questo è in realtà intessuta la sostenibilità complessiva delle proposte in campo.

Il M5Stelle non assume i diritti come trama del suo programma, però si occupa delle condizioni materiali di disoccupati, pensionandi, pensionati-al-minimo e mamme, e si preoccupa inoltre di difendere le partite IVA dalla burocrazia fiscale.

Anche il Centro-Destra si dedica soprattutto alle condizioni materiali di poveri, pensionandi, pensionati e famiglie, nonché ampliamente dei diritti degli imputati (purché italiani), della libertà di uso del contante, e della libertà di scelta di scuole e sanità, anche private.

Il campo tradizionale dei diritti civili è quindi appannaggio delle liste di centro e centro-sinistra, a partire dal cosiddetto ‘ius soli’ (cittadinanza in favore dei giovani immigrati scolarizzati) e con diverse accentuazioni, in parte scontate (il PD più cauto su fine vita e adozioni da parte di coppie unisex, e tuttora contrario a riesaminare il cosiddetto ‘art. 18’ cioè il reintegro in azienda dei dipendenti irregolarmente licenziati) ed in parte invece degne di specifica annotazione:

-          POTERE-AL-POPOLO intende superare, oltre all’ergastolo, anche il regime carcerario “41 bis” (trattando più umanamente i boss mafiosi, ma consentendo forse loro più capacità di comando anche dal carcere);

-          LIBERI E UGUALI punta molto sui diritti all’istruzione, arrivando alla gratuità generalizzata delle tasse universitarie (che molti hanno criticato, perché nell’attuale stratificazione sociale favorisce maggiormente le famiglie ricche, con qualche analogia alla abolizione dell’IMU, giustamente vituperata a sinistra) NOTA G

-          Il PD introdurrebbe un interessante diritto alla formazione permanente, da far valere in vari momenti della vita lavorativa (similmente anche il M5S garantisce “formazione continua a chi perde l’occupazione”) ed un insieme di diritti e provvidenze per i non-autosufficienti (presente anche in LEU);

-          POT-POP, LEU e INSIEME affermano anche il diritto alla casa, da soddisfare mettendo mano, in varie forme, al patrimonio edilizio sfitto e inutilizzato.

Quasi nessuno invece dice nulla sui “doveri”: il PD prevede per i giovani un esiguo servizio civile universale di un mese, che INSIEME eleverebbe a 6 mesi.





CONCLUSIONI (NECESSARIAMENTE PARZIALI)

Trarre conclusioni da queste comparazioni è difficile, sia per la parzialità delle mie letture (parziale perché non esaustiva e parziale perchè inevitabilmente “di parte”) , sia per la prevalente natura propagandistica dei programmi stessi, sia infine per lo schiacciante peso che gli esiti delle stesse elezioni sovrappongono ai testi pre-elettorali (ed in particolare sull’arco dei partiti di centro-sinistra e sinistra, cui io più ho dato spazio, per l’articolazione dei programmi stessi e per il mio interesse sui loro temi e su tale campo, ma uscito nettamente sconfitto dal voto popolare).

Tuttavia mi sembra importante rilevare che manca in generale una prospettiva di lungo termine, che è invece indispensabile per affrontare con il dovuto respiro ed accumulo di investimenti le problematiche ambientali di scala planetaria e le peculiarità nazionali in materia, e la contestuale crisi del lavoro, come abbiamo cercato di indicare con molti articoli di UTOPIA2, ed in particolare nei cicli di Fulvio Fagiani ed interlocutori su cambio climatico, sostenibilità della crescita e riorganizzazione del lavoro e nei miei interventi su suolo, prevenzione  sismica e rigenerazione urbana.

In correlazione a tale scarsa assunzione di responsabilità strategiche, emerge una palese difficoltà ad esplicitare agli elettori i possibili costi che le necessarie correzioni al ’modello di sviluppo’ potranno e dovranno comportare anche nel ‘modello dei consumi’.

E se simile leggerezza connota, qual più e qual meno, i programmi di centro-sinistra (ed anche di sinistra), maggiore è la mia preoccupazione a fronte delle tendenze emergenti dalle forze politiche che hanno prevalso in queste elezioni (pur non essendo forze facilmente componibili in una maggioranza organica):

-          il MoVimento 5Stelle che – pur partendo nella sua breve storia da diffuse istanze ambientaliste - stinge tali origini nella vaghezza dei suoi 20 punti “né di destra né di sinistra” e non affronta i nodi sostanziali del modello di crescita e della re-distribuzione delle risorse, pensando di reperire tutto quanto occorre negli “sprechi della casta”;

-          il Centro-Destra (oramai invero Destra-Centro) che parte da tutt’altre priorità, sovraniste, xenofobe, sviluppiste ed anti-egualitarie, condite da demagogiche promesse su pensioni e povertà, attorno a cui il verde giardinetto dell’ambiente dovrebbe germogliare incontaminato (salvo colpirlo con una raffica di condoni edilizi, ed anche fiscali, minando così le risorse finanziarie pubbliche necessarie, già falcidiate dalla “flat tax”).

Un esito elettorale, che - oltre a preoccupare tutti i soggetti interessati alla ‘stabilità’ italiana, nonché la residua opinione pubblica di centro-sinistra e sinistra, - preoccupa doppiamente chi abbia a cuore la sostenibilità ambientale e sociale del Paese e del Pianeta, sostenibilità che esce provata già dal difficoltoso assemblaggio dei programmi degli schieramenti ‘progressisti’ sconfitti.

Si profila un cammino in salita e contro-corrente, per il quale diventa decisivo non solo riflettere sui contenuti, ma approfondire le problematiche, divenute esplosivamente centrali nella sequenza degli esiti elettorali nelle principali democrazie occidentali (Brexit, USA, Francia, ma anche Catalunya, Germania, Austria, area di Visegrad’), del rapporto tra comunicazione e consenso, tra informazione e formazione, tra marketing politico a breve termine e strategie politiche, tra ‘populismo’ e democrazia, su cui anche UTOPIA21 dovrà ritornare.





NOTE:



A - Così anche Alessandro Rosina su www.neodemos.info e su GreenReport  per il tema dei giovani e del lavoro



B – in sostanza, questi organismi si comportano in po’ come i Re Magi: non tornano da Erode, il sovrano elettore, che finisce così per fare strage di ‘programmi innocenti’, non essendogli rivelato quali sono i programmi ‘più colpevoli’



C - solo la Coalizione-per-il-Clima ha riferito di un generico interessamento ed assenso dei partiti coinvolti, evidenziando però “Dai partiti di destra e centro destra finora nessun cenno di risposta”12, mentre Salviamo-il-Paesaggio, che ha incalzato i partiti con il suo disegno di legge solo  a  partire da febbraio, in data 25-02 ha reso note alcune risposte parziali,13 promettendo per il 1° marzo una conferenza stampa conclusiva, il cui esito però non è tuttora riscontrabile sul sito dell’organizzazione.



D – in una lettera a ‘Repubblica’ dopo i fattacci di Macerata, Emma Bonino, nel rivendicare la bontà in generale delle sue proposte sull’immigrazione, con ingressi regolati attraverso canali umanitari e permessi provvisori e la ricerca di lavoro, imputava alla scarsa convinzione del contrasto ideologico da parte della sinistra il dilagare delle opinioni xenofobe e razziste, portando come prova la loro diffusione “sproporziona le” rispetto ai flussi effettivi dei migranti. In effetti è vero che le paure verso i diversi sono maggiori “nelle campagne e nelle valli” che non nelle città e nelle metropoli, ma mi sembra miope non vedere che tutta questa reazione anti-migranti, pur irrazionale ed irrazionalmente distribuita, nasce comunque da problemi oggettivi nella capacità di integrazione che l’Italia ha finora dimostrato, con esiti migliori forse solo nei “programmi SPRAR”, non a caso però accettati e svolti solo da un quarto dei Comuni italiani. Forse le energie dei “progressisti” vanno concentrati più qui che non nella capacità di contro-propaganda.



E – Occorre però rammentare che il programma di Potere-al-Popolo, obiettivamente minoritario, non mira ad una immediata gestione dello Stato, ma a far crescere il “controllo popolare”, ovvero “una palestra dove le classi popolari si abituano a esercitare il potere di decidere, autogovernarsi e autodeterminarsi, mettendo in discussione le istituzioni e i meccanismi che le governano.” Cioè le premesse per una marcia antagonistica piuttosto lunga (e a mio avviso rispettabile per la sua chiarezza, ma non per la usa concreta attuabilità, che mi pare manchi oggi nella società italiana, fuori da una ristretta cerchia di “avanguardie”). Da qui “un’altra Europa”.



F – il Forum Disuguaglianze e Diversità è stato di recente formato da 8 organizzazioni (Fondazione Lelio Basso, ActionAid, Caritas italiana, Cittadinanzattiva, Dedalus cooperativa sociale, Fondazione di comunità di Messina, Legambiente e Uisp) e un gruppo di studiosi, tra cui  Fabrizio Barca, Enrico Giovannini e Flavia Terribile dell'ASviS:

“Il divario tra ricchi e meno abbienti è in crescita dagli anni ’70. Bisogna smettere di pensare che l'aumento delle disuguaglianze sia l'effetto inevitabile di cambiamenti fuori del nostro controllo. Piuttosto è il risultato di scelte politiche, culturali ed economiche.”




G - Non ha rilevanza generale, ma mi ha particolarmente colpito per il suo carattere corporativo, la rivendicazione di LEU in favore di stipendi di livello europeo per la sola categoria degli insegnanti: e i metalmeccanici? Oppure gli altri laureati nella pubblica amministrazione?





Fonti:

1 – Massimiliano Panarari “LA TELEVISIONE TORNATA PROTAGONISTA” su “La Stampa”

2 - asvis.it/.../elezioni-asvis-ai-politici-lo-sviluppo-sostenibile-entri-nei-programmi-elettorali


4 - coalizioneclima.it/politiche-2018-coalizione-clima/



7 - https://www.greenme.it › Informarsi › Ambiente


9 - https://www.greenme.it › Vivere › Costume & Società




























UTOPIA 21 - MARZO 2018 - EDITORIALE: LAVORO PER TUTTI?




A partire da un sogno impossibile di organica equità sociale, una riflessione aperta sui molteplici aspetti della ‘crisi del lavoro’, dalle sue origini storiche al suo difficile futuro già in atto.



Riassunto:

il mito originario di una comunità egualitaria e la realtà storica delle divisioni sociali;

la divaricazione tra lavori retribuiti, prestazioni non retribuite e bisogni sociali inevasi;

le criticità del lavoro salariato e le sparse tendenze a nuove forme di organizzazione sociale e lavorativa;

i limiti dei correttivi sociali tra organizzazione territoriale delle amministrazioni pubbliche e sviluppo anarchico della libertà di impresa, anche nelle sue forme più responsabili, sullo sfondo della differenziata diffusione dei diritti individuali;

domande aperte per Utopia21.



C’è un sogno che so di non poter fare, neppure nel sonno, perché troppo palesemente utopistico e semplicistico, ma che mi sembra utile per impostare un ragionamento radicale sulla questione del lavoro:

il sogno di una comunità che distribuisce in modo equo ogni fatica, al fine di soddisfare i bisogni di tutti (possibilmente tenendo conto anche dei bisogni dei posteri, e quindi degli squilibri ambientali che ingenera l’esistenza della “razza umana”). 



In questa visione il lavoro includerebbe la sommatoria di tutte produzioni di oggetti e di servizi, oggi forniti dal mercato e dalla pubblica amministrazione (scremando oggetti e servizi inutili e/o nocivi), nonché le attività private di cura (di sé, dei figli, degli inabili, degli anziani) e di auto-produzione/auto-consumo, che non passano dalla monetizzazione; concettualmente potrebbero rientrarvi anche le attività formative (incluso il ruolo dei discenti), in quanto finalizzate al ciclo lavorativo; e, proseguendo, pure il riposo ed il tempo-libero, in quanto complementari e funzionali al tempo-di-lavoro (un tempo si diceva “la riproduzione della forza-lavoro).



La comunità sarebbe molto presa dalle discussioni per distribuire al meglio i pieni e i vuoti, su come conciliare le diverse propensioni personali e le varie esigenze collettive; nonché dalle discussioni sul modo di decidere, in modo diretto o delegato, sarebbe costretta ad inventare regole comunicative, e poi una sfera politica, e una giudiziaria, e una poliziesca… però, in linea di principio, potrebbe orientarsi verso la ricerca della ‘felicità’ per tutti (anche se ognuno può vederla a modo suo) e per tutti potrebbe essere cercata non solo fuori dal lavoro ma anche dentro al lavoroNOTA A, riducendo al minino i turni di ‘corvée’ per le mansioni indesiderate e massimizzando la distribuzione delle mansioni più gratificanti.



E qui interrompo il sogno-non-autorizzato, perché non servono altri fanta-dettagli, soprattutto se la comunità immaginaria inizia ad occuparsi di religione, sesso, famiglia e procreazione, droghe leggere e pesanti, dei delitti e delle pene…  (anche se da bambino avevo scritto una costituzione per la repubblica italo-indiana dei miei soldatini, che avevano anche una Officina Italo-Indiana Meccanica Edile Tessile – OIIMET - e dunque in qualche misura sono recidivo).



Perché ben sappiamo di non vivere in comunità locali autosufficienti (o con limitato interscambio con l’esterno) e con ridotto numero di persone in grado di conoscersi direttamente: una situazione che solo in parte emerge dalla preistoria (e per nulla dalla successiva storia documentale) e che gli etnologi hanno rincorso negli ultimi angoli sperduti del pianeta, ritrovandovi però più di frequente tribù gerarchizzate e violente (o pacificate militarmente) che non la mitica ‘età dell’oro” e della concordia (a partire dalla condizione subalterna delle donne). 1,2,3,4,29 e NOTA B



E’ indubbio che alle origini arcaiche delle odierne culture occidentali vi siano state (già nel periodo neolitico e poi nell’età del ferro) strutture sociali differenziate, con predominanza di signorie militari (ad esempio, la casa in cui abito sorge sopra un tessuto ‘ordinario’ di una antica necropoli ‘golasecchiana’, ma cento metri più in là è stata rinvenuta una ben più rilevante ‘tomba del guerriero’, il tutto risalente a 2,5 millenni addietro): tale era l’assetto, esplicitamente classista, delle grandi civiltà greco-romane (e precedenti in Mesopotamia ed Egitto) e poi dei regni barbarici, così come delle repubbliche aristocratiche di origine medievale.



Ed anche prima della ‘globalizzazione’ dei recenti decenni, in Occidente (e non solo) si viveva in società notevolmente complesse, stratificate socialmente tra padroni/servi, proprietari/non proprietari, cittadini/non cittadini, ricchi/poveri, e differenziate nelle mille specializzazioni professionali, crescenti dalle campagne alle città, che delle campagne   erano e sono il conflittuale complemento.



(A proposito di campagne, pure il mito delle comunità rurali sviluppate e resistenti dal medioevo nelle valli alpine ed altrove5,29, con l’assemblea dei capi-famiglia che decidono sotto l’albero o attorno al tavolo di pietra, richiede approfondimenti sia riguardo alla frequente gerarchia di censo tra i capi-famiglia, sia soprattutto riguardo ai soggetti esclusi e subalterni: donne, figli cadetti, servi, stranieri; sia ancora riguardo all’esercizio della forza, che non era affatto trascurabile, ad esempio, nei Cantoni Svizzeri, pacifici non certo da sempre).



Il processo di emancipazione, spesso contrastato e quindi violento, che ha portato alla liberazione parziale di ceti subalterni e di popoli dominati, rispetto alla piramide imperiale, feudale e coloniale, negli ultimi secoli, e la grande fucina dello sviluppo capitalistico ed industriale, hanno plasmato situazioni ancora più complesse ed interconnesse, in cui – tra l’altro – malgrado una innegabile ‘diffusione del potere’, si è del tutto cancellato il carattere unitario degli sforzi umani, volti a soddisfare i bisogni, tra quelli classificati ‘lavorativi’ (per lo più retribuiti in varie forme e misure) e quelli ‘gratuiti’, sia privati (in ambito familiare) sia sociali (volontariato); con oscillante in mezzo il ’settore pubblico’, che include per lo più prestazioni retribuite per risolvere fabbisogni collettivi (difesa, amministrazione, istruzione, salute, ecc.). 



A fronte della evidente ed endemica crisi del lavoro salariato nei paesi più sviluppati (disoccupazione, sottoccupazione, precarietà) 6,7,8,9,29, e della annunciata rarefazione ulteriore per effetto delle innovazioni tecnologiche10 ed organizzative/culturali11, appare difficile ricomprendere in un ragionevole tessuto le considerazioni sul ‘lavoro’ con quelle sui ‘lavori’ che invece risultano comunque necessari per rispondere alle necessità accumulate ed emergenti nelle società contemporanee: necessità immateriali (cura delle alienazioni, delle depressioni, delle solitudini) e necessità materiali (abitazioni per chi ne è privo, disinquinamenti  e riconversione ecologica e prevenzione sismica/idrogeologica per le abitazioni esistenti e per i territori).



Le criticità del vigente modello di produzione e di distribuzione e consumo delle risorse fanno emergere già potenziali correttivi, effettivamente praticati, da quel che resta (ma non è poco) dello stato sociale alla cooperazioneNOTA C, dalla secolare lotta per la riduzione degli orari di lavoro al suo difficile proseguimento ai tempi nostri10,12 E NOTA D, dai contratti di solidarietà ai ‘lavori socialmente utili’, dal volontariato organizzato nel ‘terzo settore’ alle ‘banche del tempo’, dalla rivalutazione del lavoro domestico alla gestione di ‘orti sociali’, dai gruppi di acquisto solidali all’agricoltura a chilometro zero (tutti quanti temi meritevoli di singoli approfondimenti, in parte già avviati su UTOPIA21).

Una forma esplicita di socialismo è d’altronde a mio avviso insita nel pubblico impiego, laddove questo non degenera in burocrazia e clientelismo, perché vede impegnati a risolvere problemi collettivi numerosi lavoratori retribuiti con salari medi, a prescindere dal maggior valore ‘di mercato’ delle loro prestazioni (insegnamento, ricerca, sanità; taccio degli urbanisti per evitare postumi conflitti di interesse).

E si affacciano proposte interessanti, dall’alternanza scuola-lavoro al servizio civile, che potrebbero coniugare il sostegno al reddito e all’occupazione con l’educazione permanente e con principi di responsabilità collettiva verso i beni comuni (responsabilità che viene meno, a mio avviso, nelle scorciatoie del tipo “reddito di cittadinanza”6,7,8,13,29); altre proposte interessanti sono presenti ne “Il nuovo spirito del capitalismo” di  Boltanski-Chiapello14,15, tra le quali la ricerca di un superamento della dicotomia tra “contratto di lavoro” e “contratto commerciale” verso un nuovo “contratto di attività”, e nell’articolo di Fulvio Fagiani sul “Futuro del lavoro” in questo stesso numero di Utopia21.



(Mentre mi sembra una fuga illusoria l’ipotesi ‘bucolica’ della decrescita come interpretata da Maurizio Pallante,16 con le donne in casa a curare i bambini - in antitesi agli asili-nido - e gli uomini a curare i propri orticelli: immagino soprattutto frotte di adolescenti in fuga da questi villaggi regressivi, senza curarsi né dei fratellini né degli orticelli).



Molti fili da tessere, ma non emerge ancora un progetto organico e risolutivo, né un soggetto sociale e/o politico capace di svilupparlo, attualizzando la lunga marcia dell’emancipazione sociale cui sopra ho accennato.



Le difficoltà nascono innanzitutto dalla nota concentrazione delle risorse e delle decisioni, ed ancor prima delle informazioni e delle conoscenze, in centri di potere finanziari (in parte occultati nei paradisi fiscali) ed aziendali, spesso monopolistici (vedi Amazon, Facebook, Google) che travalicano gli stati nazionali e le loro faticose aggregazioni (Europa, ONU, ecc.); e dalla contestuale paralisi delle rappresentanze politiche, soprattutto se di tradizioni democratiche e socialiste (gli stati oligarchici  e dittatoriali se la cavano più agilmente), emersa anche in relazione con la frammentazione sociale oggettiva e ‘linguistica’ degli stessi ceti subalterni, che sono tali anche culturalmente e quindi in parte vittime dei condizionamenti, non solo pubblicitari. 17,18,19



Ma sono insite anche altresì nella (ineliminabile?) diarchia tra la struttura della pubblica amministrazione (che – soprattutto nelle sue unità locali –  recepisce, organizza e soddisfa in parte i bisogni collettivi: convogliando, nel bene e nel male, in Europa, quasi la metà del ‘PIL’, avendo spesso però perduto un orizzonte strategico, nei mille rivoli, anche clientelari, della spesa pubblica) e le strutture ‘anarchiche’ delle imprese (non importa se private od anche pubbliche, ove sopravvivono).



Infatti  le imprese, che pure – oltre a rispondere alla loro missione di produrre beni e servizi, con orizzonti necessariamente non-locali –NOTA E costituiscono oggettivamente un campo di socialità (pur meno che in passato: dai rapporti di colleganza alle sindacalizzazione) ed inoltre attivano alcune non trascurabili iniziative di beneficio collettivo (dal remoto paternalismo dei dopo-lavoro, mutue  e case-operaie, culminato nel modello OlivettiNOTA A all’attuale moderno welfare aziendale): spazi che potrebbero essere incrementati, confidando verso (o costringendo verso) una maggior responsabilità sociale delle imprese, ponendo a loro carico, ad esempio, la riqualificazione ed il ricollocamento degli addetti in esubero (Boltanski-Chaipello)14,15, oppure il risarcimento verso i danni ambientali anche pregressi; ma con qualche rischio di ulteriori divaricazioni tra lavoratori ‘protetti’ o non protetti’ da idonei contratti; nonché di subalternità alle suddette missioni aziendali che – per loro natura – da un lato sono tendenzialmente ‘importatrici’ ed ‘esportatrici’ (e quindi comportano consumi energetici, trasporti fisici, invadenza economica e colonizzazioni culturali), per altro verso sono sempre difficilmente rispettose dell’ambiente in quanto mirano a ‘trasformare’ (almeno fino a quando non si sarà instaurata una perfetta ‘economia circolare’).NOTA E



Nel contempo la difficoltà di ri-programmare organicamente qualsivoglia politica distributiva di lavoro e di risorse, a qualunque scala geo-politica, ma a maggior ragione alla scala ‘locale’ si deve misurare non solo con la varietà e vivacità delle imprese (inclusa la ‘libertà di intraprendere’ da parte dei singoli lavoratori/auto-imprenditori), ma in generale con tutti i diritti e le libertà delle persone e soprattutto con i (differenziati) diritti alla mobilità, che sono massimi per i soggetti ‘single’, ricchi ed istruiti (vedi ancora Boltanski-Chiapello)14,15 , minori per le famiglie e per i meno-ricchi e meno-istruiti, minimi, ma non nulli, per i migranti ed i profughi; nonché  con la ormai inveterata ‘libertà dei consumatori’, indicativa comunque di una variabilità dei bisogni nel tempo e nello spazio: il che rende problematico il perseguimento di politiche ridistributive ed inclusive, soprattutto su basi geografiche circoscritte (il socialismo in un solo paese, da intendersi in questo caso come ‘paesello’, come nel caso di Marinaleda, in Andalusia NOTA C).



(Problemi che infatti ha attraversato anche la teoria dei ‘soviet’ – di fabbrica o territoriali? - nella evoluzione/involuzione del socialismo reale, conferendo infine ogni potere al Partito ed al Soviet Supremo).



Tuttavia da qualche parte occorrerà pur iniziare: per non lasciare confinati in un sogno, oppure nelle encicliche papali, l’equità sociale ed i bisogni collettivi (tra cui l’ambiente).

Di questo stiamo cercando di occuparci su UTOPIA21 (articoli di Fagiani, interviste a Biffi ed a Demichelis, recensioni su Mason, Bregman, Dardot-Laval, Boltanski-Chiapello, Becchetti) ed in parallelo nel Festival dell’Utopia di Varese.

E continueremo nei prossimi numeri, tra l’altro raccontando gli albori della moderna cooperazione nel nostro territorio.

Allargando inoltre il confronto, per quanto le nostre modeste forze ed i graditi collaboratori ci consentiranno, ai temi attigui della ‘democrazia economica’ e della responsabilità di impresa, della ‘democrazia reputazionale’ e dell’economia circolare, ed anche della ‘democrazia-in-quanto-tale’ e della ricerca del benessere e della felicità. 



NOTA A – con la definizione di “endoponia” Aldo Capitini inseriva la ricerca della felicità anche nel lavoro, e non solo nella liberazione dal lavoro, nella sua visione di una rivoluzione nonviolenta, del “controllo dal basso” e della “onnicrazia”; rammento il discorso dalla sua voce, ma non trovo al momento la fonte editoriale precisa tra le sue opere degli anni ’50 e ’6020 (forse solo sul bollettino “Azione Nonviolenta”?): datazione significativa, perché evidenzia la divergenza dalle correnti principali della sinistra, che allora individuavano come strumento principale di emancipazione – seppur attraverso vie legali – la ‘presa del potere’ statale e la nazionalizzazione o socializzazione dei mezzi di produzione; nonché la distanza dall’illuminismo paternalista di Olivetti (anche se Capitini pubblicava parte delle sue opere presso le edizioni di Comunità), che – pur circondandosi di psicologi e sociologi per comprendere e attenuare il problema - non ha mai osato smentire la dura oggettività del lavoro ripetitivo alla catena di montaggio: si veda il romanzo di Ottiero Ottieri “Donnarumma all’assalto”. 21 (Senza la pretesa di liquidare con queste due parole il fenomeno Olivetti).22

 

NOTA B – in tal senso ad esempio Diamond 1,2,3 da me recensito su UTOPIA21 di maggio 2017; parzialmente divergenti le ricerche di Graeber4,29, testi su cui intendo tornare in prossimi numeri di UTOPIA2.



NOTA C – oltre alla storia della cooperazione parallela al movimento operaio in Europa negli ultimi 2 secoli (su cui torneremo con interviste mirate a emblematiche storie nel varesotto) appare significativa l’esperienza di cooperativa agricola e civica in corso nel comune andaluso di Marinaleda.22



NOTA D – la riduzione dell’orario di lavoro è un tema classico del movimento operaio, attraverso le tappe storiche delle 8 ore al giorno e delle 40 ore settimanali; andare oltre pare difficile soprattutto in Italia, dopo il noto conflitto tra il 1° governo Prodi e il partito di Rifondazione Comunista di Bertinotti, che sbandierò l’obiettivo delle 35 ore ottenendo però solo la caduta di quel governo nel 1998; più avanti è andata la Francia, con la legge sulle 35 ore (seppur rimessa in discussione), e la Germania, dove il rinnovo dei contratti dei metalmeccanici, già consolidati a 35 ore, sta definendo in questi giorni una nuova opzione temporanea a 28 ore settimanali per i lavoratori che lo richiedono, riprendo però anche l’opzione delle 40 ore, sempre per una parte dei lavoratori e su base volontaria; la questione è ben rappresentata da Agostinelli12, mentre l’intervista di Fagiani a Biffi10 espone con chiarezza l’obiezione relativa alla elevata specializzazione delle mansioni, che renderebbe difficile una generalizzazione delle riduzioni di orario nei moderni cicli produttivi.



NOTA E -  Anche nelle esperienze socialiste (non so in quelle estreme, tipo il regime di Pol Pot in Cambogia negli ultimi anni ’70), l’impresa, ancorché di proprietà pubblica, è sempre rimasta come elemento centrale per la produzione di beni, e nei vari modelli capitalistici le imprese, oltre ad espandersi sempre più anche nella produzione di servizi, esprimono una evidente capacità di egemonia sociale ed in parte anche politica (incluse le mitiche piccole e medie imprese). Il che non esclude ovviamente che nell’interesse pubblico non possano e debbano essere controllate, tendenzialmente, dall’alto, da parte dello Stato (più facilmente, ad esempio, in Cina), e dal basso, da parte dei lavoratori come da parte dei consumatori (tema in parte affrontato da Becchetti23,24 e su cui occorrerà tornare). Non mi convince però la visione pacificata dell’equilibrio ‘territorialista’ di Magnaghi28,29, fondato sulla piena valorizzazione delle risorse locali, perché a mio avviso sottovaluta i conflitti insiti comunque nel rapporto capitale-lavoro e nei mercati globali a cui le imprese locali solo in parte possono sottrarsi. Conflitti con cui deve misurarsi anche lo sforzo –spesso ipotizzato a scala locale ed ‘urbana’28 - di trasformare l’economia da ‘lineare’ a ‘circolare’ piegando in tal senso la logica delle aziende



Fonti:

1. Jared Diamond “IL TERZO SCIMPANZÉ - Ascesa e caduta del primate homo sapiens” Bollati Boringhieri, Torino 1994 e 2006

2. Jared Diamond “ARMI, ACCIAIO E MALATTIE - Breve storia degli ultimi tredicimila anni” – Einaudi, Torino 1997

3. Aldo Vecchi, recensioni sui testi 1 e 2 in “UTOPIA21” maggio 2017

4. David Graeber  “DEBITO. I PRIMI 5.000 ANNI” - Il Saggiatore, Milano 2012

5. Gèrard Delille  “L’ECONOMIA DI DIO. Famiglia e mercato tra cristianesimo, ebraismo, Islam”  - Salerno Editrice, Roma 2013

6.           Paul Mason - “POSTCAPITALISMO – Una guida al nostro futuro” – Saggiatore, Milano 2015

7. Aldo Vecchi, recensione sul testo 6 in “UTOPIA21” marzo 2017

8. Guy  Standing “PRECARI. La nuova classe esplosiva” - Il Mulino, Bologna 2012

9. Fulvio Fagiani “IL FUTURO DEL LAVORO TRA AUTOMAZIONE E PIATTAFORME – 1^ PARTE” in “UTOPIA21” gennaio 2018

10. Fulvio Fagiani “CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON ALFREDO BIFFI” in “UTOPIA21” novembre 2017

11. Fulvio Fagiani “CONVERSAZIONE-INTERVISTA CON LELIO DEMICHELIS” in “UTOPIA21” settembre 2017

12. Mario Agostinelli “LIBERAZIONE DEL ‘TEMPO PROPRIO’ ATTRAVERSO LA RIDUZIONE DELL’ORARIO” settembre 2017 www.workingclass.it

13. Giovanni Perazzoli “CONTRO LA MISERIA – viaggio nell’Europa del nuovo welfare” - Laterza,  Bari 2014

14. Luc Boltanski e Eve Chiapello “IL NUOVO SPIRITO DEL CAPITALISMO” – Mimesis, Milano/Udine 2014

15. Aldo Vecchi, recensione sul testo 14 in “UTOPIA21” gennaio 2018

16. Maurizio Pallante “LA DECRESCITA FELICE. La qualità della vita non dipende dal PIL” – Editori Riuniti, Roma 2005

17. Herbert Marcuse “L' UOMO A UNA DIMENSIONE” – Einaudi, Torino riedizione 1999

18. Dardot, Laval “LA NUOVA RAGIONE DEL MONDO – DeriveApprodi, 2013

19. Fulvio Fagiani, recensione sul testo 18 in “UTOPIA21” novembre 2017

20. Aldo Capitini “LE RAGIONI DELLA NONVIOLENZA: ANTOLOGIA DEGLI SCRITTI”, a cura di Mario Martini, Edizioni ETS, Pisa, 2004

21. Ottiero Ottieri “DONNARUMMA ALL'ASSALTO” Bompiani, Milano 1959 (ristampa: Garzanti)

22. Douglas Hamilton “MARINALEDA, IL PAESE DOVE NON ESISTE DISOCCUPAZIONE” settembre 2016 su www.vita.it

24. Lorenzo Becchetti “CAPIRE L’ECONOMIA IN SETTE PASSI” - Minimum fax, Roma 2016

25. Aldo Vecchi, recensione sul testo 24 in “UTOPIA21” settembre 2017

26. Alberto Magnaghi “IL PROGETTO LOCALE – verso la coscienza di luogo” Bollati Boringhieri, Torino 2000 e 2011

27. Aldo Vecchi, recensione sul testo 26 in “UTOPIA21” luglio 2017, all’interno dell’articolo “IL DIBATTITO SULLA CRESCITA E SULLA SOSTENIBILITA’ DEI FENOMENI URBANI E METROPOLITANI (PARTE 2^)”

28. Gabriella Pultrone “CITTA’ AL CENTRO DELLA ‘RIVOLUZIONE CIRCOLARE’: DALLA CRISI NUOVA OPPORTUNITA’ DI RINASCITA” in “URBANISTICA INFORMAZIONI –  SPECIAL ISSUE n° 272 (atti della 10^ giornata di studi INU, Napoli dicembre 2017) – da pag. 295 (l’indice del fascicolo è inattendibile)

29. Aldo Vecchi, recensione sui precedenti testi 4,5,8,13 su questo blog  “relativamente, sì”, in appositi POST e nella pagina ULTERIORI LETTURE