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mercoledì 11 luglio 2018

UTOPIA21 - LUGLIO 2018: DEBITO E DEMOCRAZIA SECONDO DAVID GRAEBER




In due diversi testi, pubblicati in Italia nel 2012, una proposta di lettura alternativa dei rapporti, sociali e politici dall’antichità alla crisi attuale, con l’ambizione di individuare nel debito la chiave di lettura fondamentale e di demistificare la democrazia occidentale

Riassunto:
Parte 1^: DEBITO
Le mistificazioni sul baratto e sulla moneta nelle società antiche
La cultura originaria del dono e del dovere impagabile
La nascita ed il declino degli imperi “assiali”
Medioevi e moderni imperialismi
La pervasività del debito nelle società attuali
Debitori di tutto il mondo unitevi?
Parte 2^: DEMOCRAZIA
La falsa continuità della democrazia da Atene all’Illuminismo
L’ignoranza occidentale su altre forme di potere diffuso nella Storia degli altri continenti
La negazione degli influssi subiti dall’Occidente (Cina, Irochesi, Pirati Atlantici…)
I limiti intrinseci della moderna democrazia, insiti nelle disuguaglianze sociali e nella sopraffazione delle minoranze, nonché nel monopolio della Forza
L’ipotesi di una alternativa anarchica di piccole comunità
Mia difesa della democrazia europea, in quanto stato di diritto, in quanto patto sociale ed in quanto territorio della laicità


PARTE 1^: DEBITO

“DEBITO - I PRIMI 5000 ANNI” 1 dell’antropologo americano David Graeber ha avuto notorietà nel 2012, sia perché l’Autore - entrato in contrasto con il sistema accademico - è considerato un ispiratore del movimento Occupy Wall Street, sia perché il tema del debito è risultato centrale nella lunga crisi economica e sociale che sta attraversando l’Occidente.

Graeber propone “un affascinante viaggio nella storia delle diverse civiltà”, entro cui ”pone in serio dubbio l’esistenza stessa del baratto come modello di rapporto commerciale dominante” 2 e quindi l’astrattezza del concetto di “mercato” (come scambio teoricamente tra eguali), su cui si fondano le discipline economiche e nel suo insieme la cultura egemone dell’Occidente (sia nella variante neo-liberista, che – secondo  Graeber – nelle modalità subalterne fatte proprie dal “movimento operaio”).

L’Autore soprattutto impiega il suo sapere antropologico, riferito sia alle civiltà antiche sia alle tribù primordiali esplorate negli ultimi decenni, per dimostrare quanto il baratto risulti marginale (limitato a parte degli scambi esterni alle comunità) rispetto ad assetti sociali impostati sulla comunanza delle risorse, sulla autorità “morale” e sugli incroci di “doveri” non quantificabili, ovvero di “debiti impagabili” (dall’amore materno/paterno/filiale alla riconoscenza per chi ti ha salvato la vita), che presentano pesanti smagliature solo nel trattamento da riservare al “nemico” (estraneo alla tribù), il quale può anche divenire schiavo ed essere considerato, conteggiato e scambiato come “numero” e non come “persona” (in tal modo, tra l’altro, lo schiavismo europeo nell’Africa nera riuscì ad avvalersi delle strutture tribali – al tempo stesso destabilizzandole - per approvvigionarsi di schiavi)
Graeber definisce tali società “econome umane”, cui contrappone (schematizzo) le economie dello scambio, soprattutto se monetario, in cui prevale la spersonalizzazione dei rapporti, la quantificazione dei debiti e il venir meno del criterio di onorabilità per l’accesso al credito.

Mi sembra meno convincente (per la forse eccessiva ricerca di paralleli e convergenze) l’ampio affresco storico con raffronti internazionali sull’intero pianeta, così riassumibile:
-          Antichità (tra l’altro, in Mesopotamia): come estensione del tempio e del palazzo, fondati sull’amministrazione dei beni comuni e sugli scambi di lavoro e cibo, emergono attorno al 3000 avanti Cristo anche i mercati ed i mercanti (nonché il prestito ad interesse), soprattutto in funzione del “commercio estero”, mentre ai margini si organizzano tribù di pastori/predoni antagonisti (inclusi coloro che sfuggono dalle città per evitare la servitù per debito);
-          Imperi assiali (quasi contemporaneamente, dall’800 avanti Cristo al 600 dopo Cristo, nel Mediterraneo, in India, in Cina), caratterizzati da militarismo, schiavismo, monete coniate in metalli preziosi (per il soldo agli eserciti e la spendibilità immediata anche in luoghi remoti e tra sconosciuti) e dallo sviluppo di pensieri “speculativi” (sia nel senso di una filosofia laica, sia in quello del calcolo di convenienza);     
-          Periodi “medievali” successivi, con forme statali ed economiche più labili e “locali”, in cui le antiche monete restano come unità di conto, ma non circolano, e si diffondono invece forme cartacee di regolazione di debiti e crediti, mentre le grandi religioni (ed anche le rivolte contadine, in Cina) mettono in discussione schiavitù ed usura, con il grande sviluppo dei mercati e mercanti mussulmani, attorno all’Oceano Indiano, liberi dalle ingerenze dello stato ed operanti sulla fiducia e l’assenza di prestiti ad interesse e viceversa con lo sviluppo pre-capitalistico dei grandi templi buddisti, imprese collettive e tesaurizzatrici;
-          Imperi coloniali e capitalistici “moderni” (dal 1450 d.C.), con il ritorno dei grandi eserciti, della monetazione metallica e della schiavitù (riservata, per i cristiani, alle razze inferiori ed esercitata in prevalenza fuori Europa) e con il progressivo “sdoganamento” dell’usura (sia per gli Ebrei che per i Cristiani, con le Riforme protestanti a fare da traino), fino all’affermarsi del paradigma indiscusso della presenza costante del prestito ad interesse (e più modernamente con il connesso dogma della “crescita del PIL”); interessante vedere l’inizio della globalizzazione, dal 16^ secolo, con il flusso massiccio di argento dall’Europa e dall’Africa, e poi dalle Americhe, verso la Cina, bisognosa di moneta metallica ed esportatrice di merci pregiate;
-          Età contemporanea o dell’incertezza (parole mie) ovvero “L’inizio di qualcosa ancora da definire”, a partire dall’abbandono americano della convertibilità dollaro-oro (1971) e la diffusione del debito privato (che i poveri però devono vivere come “colpa”, mentre banchieri e speculatori si fanno rimborsare dagli stati) e pubblico, questo motivato e sorretto – per gli USA – dall’esercizio della loro forza militare mondiale.

Mi sembra molto valido il punto di vista non-euro-centrico dell’intero panorama geo-storico e l’approccio dialettico, che evidenzia i conflitti e le crisi, opponendosi a visioni tradizionali di sviluppo lineare e di progressismo ottimista e superando lo schematismo del Marx di “Forme economiche precapitalistiche” (da correlare però alle limitate conoscenze storiche ed archeologiche del tempo).
Meno valida invece la spiegazione della svolta capitalistica dell’Occidente cristiano (aggravata del traduttore che propone “avarizia” in luogo di “avidità”, probabilmente “greed” nel testo originale) che – anche prima della legittimazione luterana e calvinista del prestito ad interesse - ha visto svilupparsi nel suo ambito il successo economico e politico-militare dei banchieri (a partire da Firenze e Genova) e  nonché forti correnti di imperialismo predatorio già prima del Rinascimento, con l’intreccio tra Crociate e repubbliche marinare/corsare, e poi – anche in piena area cattolica -  con l’imperialismo coloniale. 
Ancor meno convincente mi è sembrata la parte finale, che – forse anche per un’ottica nord-americana, che contempla sindacati deboli, proletari militaristi e indebitamento di massa – sottovaluta di fatto la contraddizione tra lavoro salariato e capitale (non solo in Occidente, ma nelle nuove città-fabbriche dell’ex “terzo mondo”), evidenziando - a mio avviso eccessivamente - gli sconfinamenti del primo nel ritorno allo schiavismo e del secondo nella pura rapina “a mano armata” (nel senso del sostegno politico-militare), e privilegiando la questione del debito, non tanto come struttura macro-economica (vedi invece Luciano Gallino 3-4), ma soprattutto a livello antropologico: la ricchezza come dono di Dio e il debito come colpa da espiare
Ad esempio evidenzia l’iniquità dei debiti di studio per gli studenti universitari anglo-sassoni, proponendo come via d’uscita (destabilizzante) l’azzeramento dei debiti stessi e non considerando altre alternative nell’ambito della ridistribuzione del reddito, quali la rivendicazione di salari più alti per i genitori oppure di borse di studio e/o gratuità degli studi superiori (perché comunque, secondo Graeber, il capitalismo non potrebbe soddisfare richieste universaliste, senza andare in crisi).
“Debitori di tutto il mondo unitevi” sembra essere la parola d’ordine per la rivolta anticapitalista ed anti-statuale tratteggiata da Graeber, per ora solo in negativo: per l’Autore è preliminare demolire il paradigma culturale del baratto e del debito; dove andremo lo si scoprirà poi; forse a partire dall’Irak, dove il prestito ad interesse è stato inventato nel 4000 a.C. e poi sospeso per mille anni dai mussulmani; forse altrove.

L’insieme del messaggio mi sembra molto stimolante sotto il profilo culturale, come sollecitazione a rivisitare molte categorie del pensiero corrente esercitando una sorta di “microfisica del potere economico”; poco convincente sotto il profilo della proposta politica, perché se è vero che non si vedono in campo valide alternative di riformismo radicale adeguate alle dimensioni della crisi del finanz-capitalismo (vedi mia nota ai limiti della linea Gallino 3-4), pare difficile generalizzare come modello la rivolta dei contadini-debitori che incendiano il municipio con i registri dei debiti, oppure accontentarsi di un anarchismo de-costruttore, rinviando ad un domani imprecisato gli indirizzi per ricucire il tessuto sociale, cioè accelerare la crisi, in quanto ineluttabile, e prepararsi culturalmente alle bellezze di un nuovo medioevo.


PARTE 2^: DEMOCRAZIA

L’altro testo di Graeber, “Critica della democrazia occidentale” (risalente al 2007, ma tradotto in Italia solo nel 2012), pur essendo più esile, offre spunti interessanti, ed in parte per me nuovi, di lettura storica dei sistemi politici, anche se a mio avviso si chiude infine in una visione anarchica di scarsa prospettiva.

Nella rassegna storica presentata da Graeber emergono:
a)        la confutazione della pretesa continuità di un “modello occidentale”  da Atene a Roma e poi dal Rinascimento all’Illuminismo, a partire dai limiti stessi della democrazia ateniese (sessista, schiavista, ostracista, bellicista, ecc.) e considerando poi anzi:
- il disprezzo della democrazia in molte fasi della storia dell’Occidente, dalla stessa Roma al Cristianesimo, e poi nelle fasi iniziali delle rivoluzioni liberali,
- la sistematica repressione dei movimenti democratici nelle colonie degli imperi occidentali;
b)        la negazione del monopolio occidentale dei valori democratici, con il richiamo invece ad altre fasi e luoghi di potere diffuso, quali l’antica Mesopotamia, alcuni interstizi tra India e mondo Mussulmano, l’assetto delle tribù Maya dopo la distruzione dell’omonimo impero;
c)         il disvelamento di specifici influssi esterni, nella formazione dei moderni stati occidentali, alternativi a quelli ideologicamente sbandierati (Atene e Roma repubblicana), e solo in parte ammessi od ammissibili dagli storici ufficiali, tra cui sugli stati nazionali europei l’influenza dell’impero cinese e sui nascenti Stati Americani gli influssi sia della federazione degli irochesi (in particolare con il loro modello educativo non-repressivo) sia della stessa comunità dei pirati atlantici.

Nel suo ragionamento di fondo emerge a mio avviso una giusta critica ai limiti teorici della stessa democrazia, in quanto “voto a maggioranza tra eguali”, sia per la frequente irrealtà della presupposta uguaglianza, sia per la violenza implicita nella decisione a maggioranza (suo limite esemplare l’ostracismo verso le minoranze).
Secondo Graeber tale assetto comporta o la diffusione del potere armato tra tutti i partecipanti al potere democratico, oppure un potere armato concentrato nello Stato per rendere effettive le decisioni della maggioranza.
Ne consegue una visione anarchica, che contempla la diffusione ugualitaria del potere in piccole comunità assembleari, dove si pratichi la ricerca del massimo consenso e della tendenziale unanimità, e si evitino le “spaccature” che prima o poi evocano la vendetta dei perdenti.
E al di sopra nessuna delega, nessuno stato, nessuna burocrazia.

Apprezzo questa attenzione all’inclusione (vedi Luigi Bobbio6 ed altri) ma non condivido questa visione “zapatista” che non prospetta nessun orizzonte di convivenza per i grandi gruppi sociali che la storia ha prodotto (vedi anche la mia recensione su Magnaghi 7-8); come burocrate, seppure in pensione, mi sentirei inoltre assai disoccupato...
Mi sembra inoltre che la visione di Graeber, forse anche perché americano, trascuri parecchio la nostra esperienza europea:
-           di democrazia come stato di diritto (vedi Costituzione Italiana) e non solo come regime di decisioni a maggioranza: e quindi connotata innanzitutto da uno statuto dei diritti, sia delle persone che delle comunità, in particolare se minoritarie;
-           della democrazia come “patto sociale”, gestito storicamente dai corpi intermedi e capace in qualche misura di rendere organici i conflitti (di classe e non solo) e di far loro sopravvivere la convivenza statuale;
-           nonché la fondamentale conquista illuminista della laicità (seppure radicata in alcuni aspetti della stessa etica cristiana), che differenzia parecchio l’Occidente da altre storie seppur interessanti di diffusione del potere in altre civiltà.

Suggerirei infine di non farsi fuorviare dalla prefazione all’edizione italiana,  di Stefano Boni, che piega il pensiero di Graeber in direzione assai più “antagonista”, con motivazioni poco condivisibili (del tipo, schematizzando: “lo scontro è necessario perché altrimenti i media non ci vedono”); poco condivisibili soprattutto per chi, come me, ha attraversato l’estremismo degli anni ’70 con sofferenza e qualche consapevolezza.



Fonti:
1.    David Graeber  “DEBITO - I PRIMI 5000 ANNI” – Il Saggiatore, Milano 2012
2.    Recensione di “Debito- i primi 5000 anni su “l’Unità” di Alessandro Bertante (luglio 2012)
3.    Luciano Gallino “FINANZ-CAPITALISMO” – Einaudi, Torino 2011
4.    Commento a “FINANZ-CAPITALISMO su questo blog – PAG. I^ FILOSOFIA-SOCIOLOGIA-ECONOMIA
5.    David Graeber “CRITICA DELLA DEMOCRAZIA OCCIDENTALE. NUOVI MOVIMENTI, CRISI DELLO STATO, DEMOCRAZIA DIRETTA” – Eleuthera, Milano  2012
6.    Luigi Bobbio “LA DEMOCRAZIA NON ABITA A GORDIO. STUDIO SUI PROCESSI DECISIONALI POLITICO-AMMINISTRATIVI”  - Franco Angeli, Milano 1996
7.    Alberto Magnaghi “IL PROGETTO LOCALE – VERSO LA COSCIENZA DI LUOGO” Bollati Boringhieri, Torino 2000 e 2011
8.    Aldo Vecchi “IL DIBATTITO SULLA CRESCITA E SULLA SOSTENIBILITA’ DEI FENOMENI URBANI E METROPOLITANI (PARTE 2^) su “UTOPIA21”, luglio  2017https://drive.google.com/file/d/0BzaFw8WEAEgYbVVSYVBVQ3M0bEU/view?usp=sharing

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