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giovedì 27 settembre 2018

UTOPIA21 - SETTEMBRE 2018: EDITORIALE - GOVERNO DEL CAMBIAMENTO?


GOVERNO DEL CAMBIAMENTO?
di Aldo Vecchi e Fulvio Fagiani

Utopia21 pone attenzione prioritariamente alle prospettive di fondo, rispetto alla cronaca, e si tiene abitualmente fuori dalla mischia polemica quotidiana; ma la Redazione ritiene che il “Governo del Cambiamento” (ed il consenso di cui gode nel Paese) mettano in luce questioni di grande portata (per altro percepibili a scala mondiale), che richiedono valutazioni, anche su diversi piani di lettura, esplicitate in questo editoriale a doppia firma.

da pag. 1 a pag. 6 il testo di Aldo Vecchi
“SE QUESTO E’ IL CAMBIAMENTO”

Riassunto:
Metodi
Contenuti programmatici
Asse politico

da pag. 7 a pag. 9 il testo di Fulvio Fagiani
“LA NOTTE IN CUI TUTTE LE VACCHE SONO…GRIGIE”

Riassunto:
Il ribaltamento mezzi-fini nella politica corrente.
Nella notte tutte le vacche sono grigie.
Continuità e discontinuità.
Una visione del futuro


SE QUESTO E’ IL CAMBIAMENTO
di Aldo Vecchi
Riassunto:
Metodi
Contenuti programmatici
Asse politico

METODI

A fronte della faticosa gestazione del nuovo governo 5Stelle/Lega, molti commentatori hanno già evidenziato le anomalie di metodo rispetto al dettato costituzionale (da ultimo riguardo al rispetto del ruolo del Presidente della Repubblica nella nomina sia del Primo che degli altri Ministri); mi pare di poter sottolineare che in questi comportamenti affiorano molte analogie con le abitudini in atto nella cosiddetta Prima Repubblica per la formazione di governi di coalizione (abitudini attenuate ma non scomparse nel periodo delle leggi elettorali maggioritarie, tra il 1994 ed il 2013, cosiddetta Seconda Repubblica):

- gli accordi di governo comportavano lunghe negoziazioni preliminari sui programmi (e non solo sulle “poltrone”: un ministero del Bilancio affidato al socialista Antonio Giolitti, negli anni 60 o 70, ad esempio, implicava precise, seppure poi spesso disattese, concessioni della DC in materia di politica economica), anche se non assumevano la forma quasi privatistica del “contratto”, ma quella più sfumata delle “dichiarazioni programmatiche” (la riduzione di 7 decenni di storia repubblicana ad un mero balletto di poltrone mi sembrerebbe una inaccettabile caricatura);

- il “manuale Cencelli” per la spartizione ed il bilanciamento delle cariche parlamentari, governative e sotto-governative vigeva allora come vige oggi, perché è una oggettiva legge della politica, salvo che dagli anni ’40 ad oggi nessuno aveva promesso di trasmettere tutte le trattative in diretta streaming, mentre oggi chi lo ha promesso ha anche poi rapidamente cancellato tale dogma;

- il ventilato “comitato di conciliazione” tra gli alleati di governo per dirimere eventuali controversie, assomiglia parecchio, in sostanza, alla tradizione delle “verifiche di maggioranza” in cui i maggiorenti dei partiti sottoponevano Governi e Ministri (ma anche Sindaci e Assessori, ecc., un po’ meno dopo le leggi sull’elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti di Regione).

Quanto sopra a mio avviso può attenuare lo scandalo per gli strappi istituzionali (anche se vigilare è comunque opportuno da parte dell’opinione pubblica, che ad oggi però può contare sul Presidente  Mattarella), ma evidenzia quanto poco di nuovo ci sia – sotto questo profilo – nel conclamato “Governo di Cambiamento”.


CONTENUTI PROGRAMMATICI

Riguardo ai contenuti, la maggior parte dei commentatori (tra cui gli autorevoli professori Cottarelli e Perotti) ne ha già evidenziato la probabile insostenibilità economica, che potrebbe tradursi in una insostenibilità sociale quando l’Italia cominciasse a risentire dei contraccolpi finanziari evocati dall’allegro ricorso ad un ulteriore indebitamento, anche se a breve termine potrà prevalere il consenso demagogico alle diverse promesse elettorali enunciate. Il “cambiamento” promesso è vasto, resta da vedere quanto sarà attuabile e quanto (poco?) sarà apprezzabile; perché propone alcuni rimedi agli effetti del neo-liberismo (vedi anche nel primo decreto sul Lavoro, alquanto pasticciato, ma molto propagandato), mentre ne rafforza gli elementi strutturali (disuguaglianze).

Anche se l’evidenza delle cose, dette, fatte e non-fatte, dal solo Ministro degli Interni, in queste prime settimane, qualifica a sufficienza il “Governo del Cambiamento”, ho ritenuto doveroso (anche con riferimento al mio testo di raffronto sui programmi elettorali) compiere una mia valutazione analitica sulla ‘sostenibilità ambientale’ del Contratto di Governo attraverso la lettura del testo ufficiale1 siglato dalle due forze politiche e fatto proprio dal Presidente del Consiglio, e quindi dal Parlamento.

La discriminante dell’UMANITÀ emerge a chiare lettere anche dal testo, e non solo dalla priorità mostrata dal Governo nel respingere profughi e migranti e nel criminalizzare le Organizzazioni Non Governative impegnate nei salvataggi dei naufraghi nel Mar Libico: “UMANITÀ” che non compare mai quale soggetto unitario, titolare dei problemi globali del pianeta Terra (ci sono solo “gli italiani”, oppure “i cittadini”), ed “UMANITÀ” che si esclude di provare come sentimento portante ed empatia nei confronti degli ultimi della Terra, né per accoglierli quando bussano alle nostre porte (i richiedenti asilo visti come dovere mal sopportato, da ripartire con gli altri paesi europei, migranti visti come “la minaccia dal fronte meridionale alla sicurezza della nazione”), né per “aiutarli a casa loro”, perché dei programmi di cooperazione internazionale non vi è traccia nel contratto, troppo impegnato sul benessere “dei cittadini”.
A mio avvio senza compartecipazione con l’intera umanità non esiste una vera sostenibilità ambientale, e non solo per motivi di equità, ma anche perché l’aggravamento degli squilibri internazionali alla lunga non giova né alla stabilità politica (e quindi alla sicurezza militare) né alla implementazione delle politiche ecologiche.

Altra questione fondamentale è quella delle DISUGUAGLIANZE SOCIALI, che nel Contratto sono esaminate solo verso il basso, prospettando ai disoccupati (italiani) il reddito di cittadinanza ed il sostegno nella ricerca del lavoro, il salario minimo e la riaffermazione dei diritti sociali fondamentali (istruzione e sanità; acqua pubblica; NOTA: non invece la casa, l’informazione, l’energia), ma volutamente ignorate verso l’alto, con 3 sole eccezioni:

- la ricerca di una tassazione dei colossi multinazionali del web, ma isolata da una visione complessiva sia del ruolo monopolistico e manipolatorio (sui nostri dati) da parte di tali imprese, sia del controllo fiscale su tutte le multinazionali e sul connesso problema dei ‘paradisi fiscali’;

- i privilegi della ‘casta dei politici in pensione’ (vitalizi) e dell’attigua ‘casta dei pensionati d’oro’ (la cui auspicabile eliminazione produrrà pochi quattrini, mentre il denunciarli ha fruttato milioni di voti…).

La contestuale promessa della “flat tax”, cioè dell’abbattimento delle aliquote progressive nelle imposte sui redditi,  equivale alla proclamazione della SANTITÀ DI TUTTI GLI ALTRI PRIVILEGI SOCIALI, derivanti da rendita o da profitto, dagli altissimi  stipendi dei manager e dai proventi delle speculazioni finanziarie, perché, apparentemente, non sono soldi ‘tolti ai cittadini’ (salvo promettere a parte di questi privilegiati anche convenienti forme di condono fiscale, queste sì a spese degli altri cittadini, che spero in tal caso scendano in piazza gridando “Onestà, Onestà”).
E senza lotta alle disuguaglianze, sempre a mio avviso, non c’è sostenibilità ambientale, non solo per motivi etici, ma perché il pianeta Terra non potrà sopportare a lungo l’espansione di consumi opulenti, né il sistema finanziario subire l’accumulo senza fine di ricchezze finanziarie ‘vaganti’ (soprattutto se vagano ‘off shore’).

Tralascerei, benché decisiva, la questione della COMPATIBILITÀ ECONOMICA delle promesse di governo rispetto alle risorse disponibili, perché argomento già dissezionato da molti autorevoli commentatori (forse tra questi va contemplato anche il ministro dell’Economia Tria, i cui  pacati ragionamenti sembrano estranei agli slanci della compagine del suo stesso governo: vedremo in queste settimane  chi scriverà la ‘Finanziaria’ e cosa ci scriverà dentro): ma il conflitto tra le facili promesse e la dura realtà economica non mina la sostenibilità ambientale solo sul fronte della stabilità dei prezzi e dei risparmi (a mio avviso non c’è sostenibilità ambientale senza sostenibilità socio-economica, e non possono esserci priorità ecologiche di spesa se franano le finanze pubbliche), ma anche nella prospettiva (per altro, credo, fallace) di un rilancio della crescita del PIL oltre il 3% annuo, in un paese già sviluppato, misura che renderebbe forse credibili le ipotesi di diminuzione del debito pur attraverso un temporaneo maggior ‘deficit spending’ (un keynesismo assai fuori contesto), ma minaccerebbe in sostanza la stessa compatibilità ambientale in quanto fondato su un eccesso di ‘consumi opulenti’.

E qui vengo al punto specifico del paragrafo ambientale del Patto di Governo, che risulta decorosamente scritto (con positivi accenni allo stop al consumo di suolo, ai trasporti pubblici, alla prevenzione idro-geologica – ma non a quella anti-sismica - ), però imperniandosi su un concetto di ‘ECONOMIA CIRCOLARE’ che prevede, per le risorse non rinnovabili, un obbligo di investimenti compensativi per la ricerca di risorse alternative (e rinnovabili), ma non mette in discussione il tabù della CRESCITA INFINITA (il tema della ’decrescita felice’, echeggiato dal M5Stelle dei primordi, si è estinto lungo il percorso di avvicinamento alla governabilità, ben prima di associarsi alle armate leghiste): così ai trasporti pubblici sembra affiancarsi una allegra simpatia verso i veicoli privati, purché elettrici, e gli allarmi per le problematiche di manutenzione del territorio (fragilità idro-geologica e sismica) non si coniugano con la necessità di ingenti e prioritari investimenti pubblici (od agevolati), investimenti non quantificati dal Patto, ed a mio avviso non compatibili con le promesse di tassazione non progressiva e di sostegno ai consumi privati (anche attraverso il reddito di cittadinanza).

Per finire questa carrellata sui punti nodali del Patto e della sua sostenibilità (mi riservo di commentare successivamente altri temi presenti nel Patto, ma che non a caso sono stati ignorati in Parlamento e rimangono marginali nel confronto mediatico, come democrazia diretta, scuola, università) mi sembra che la carenza più vistosa sia quella sulla VISIONE INTERNAZIONALE: nel documento l’Italia appare vessata dall’Europa (e si elencano puntigliosamente le possibili rivendicazioni, in parte anche condivisibili) e minacciata a Sud dai gommoni dei migranti; in questa chiave la Russia è solo un cliente commerciale per il ns. export agroalimentare, da liberare dalle sanzioni, ed un possibile alleato ‘contro il terrorismo’ (tranne evidentemente quello dei suoi amici governativi siriani, ceceni o egiziani).
Non si coglie nulla di quanto tragicamente sta avvenendo nel mondo, riguardo al ritorno ai nazionalismi, dalle guerre commerciali/daziarie alla nuova corsa agli armamenti, riguardo al rafforzarsi dell’autoritarismo in regimi formalmente democratici, come la Turchia e la suddetta Russia, oppure formalmente ‘comunisti’, come la grande potenza cinese, riguardo all’incancrenirsi delle tensioni in Medio Oriente (malgrado la sconfitta dell’ISIS), riguardo all’affanno delle democrazie in America Latina, per non parlare dell’Africa, e nemmeno sulla pericolosità della presidenza Trump, con particolare attenzione all’abbandono delle opzioni ambientaliste sul cambio climatico, ed anche – a mio modesto avviso -  alla permanenza di basi americane (non basi “NATO”) in Italia, al comando di un megalomane imprevedibile e fuori dalla sovranità italiana (dove va a finire il sovranismo?); nonché allo strapotere dei nuovi monopoli del web, delle imprese multinazionali e della grande finanza.

E’ rispetto a questa realtà che andrebbe definito il ruolo dell’Italia in Europa, ed il ruolo dell’Europa nel mondo (e non solo per le grandi questioni della pace, del clima, dell’energia, ma anche di conseguenza per gli indirizzi di politica industriale e di politica della ricerca), mentre mi pare abbastanza trascurabile il possibile ruolo autonomo della sola Italia in questo tipo di mondo: a che vale strappare dai partners europei uno 0,5% di deficit in deroga oppure il trasferimento di una quota di richiedenti asilo, se non si contrasta (o forse lo si auspica?) il possibile tracollo del disegno complessivo dell’Europa e del suo insostituibile posto nel mondo come faro dei diritti/del diritto e della coesistenza pacifica, dell’ambientalismo  e dell’inclusione sociale (meglio se un po’ di più di quella sopravvissuta alla crisi)?
Quale sarà la “sostenibilità ambientale” di un mondo senza una seria unità europea? Assai precaria ed improbabile, ancora a mio avviso.


ASSE POLITICO

Mi pare invece che si possa esprimere di già qualche giudizio sull’asse politico del contratto programmatico tra Lega e 5Stelle, valutando ciò che effettivamente unisce le 2 componenti, oltre alla semplice sommatoria delle rispettive istanze programmatiche (pur talora contraddittorie), che ciascuna parte cerca di far valere dalle postazioni ministeriali conquistate (Salvini agli Interni contro i migranti; Di Maio al Lavoro per il reddito di cittadinanza, ecc. ecc. ecc.).

Per una valutazione di questo genere, a mio avviso occorre risalire a monte della crisi economica dell’ultimo decennio, e cioè alle radici del declino delle democrazie parlamentari (nonché in particolare delle forze politiche socialdemocratiche) e degli stessi stati nazionali, manifestatosi sul finire del Novecento, a fronte della globalizzazione e dell’offensiva neo-liberista.

Le risposte tentate, con qualche parziale successo dagli anni ’90 fino a ieri, dal multiforme schieramento del Centro-Sinistra italiano, sono consistite da un lato nel rafforzamento delle istituzioni sovranazionali (Europa innanzitutto, ovvero una nuova sovranità condivisa e con dimensioni adeguate al mondo contemporaneo, ma anche ONU, WTO, ecc.) e dall’altro lato in una riforma del sistema politico nazionale (primarie, leggi elettorali maggioritarie, bipartitismo, aggiornamenti della Costituzione). Senza una sostanziale alternativa, ma solo parziali attenuazioni, rispetto alle politiche economiche neo-liberiste: subalternità in parte subita prima di Renzi, rivendicata ed esibita con Renzi.

Alle loro origini, i due movimenti, che ora convergono al Governo, hanno incarnato invece due divergenti possibili correttivi:
- la Lega, quando era Nord, aveva raccolto l’egoismo sociale delle provincie più ricche sotto le bandiere delle identità locali e del federalismo (non antagonistico alla ”Europa delle Regioni”, ma contrapposto a “Roma Ladrona”),
- i 5Stelle, allo stato nascente, avevano polarizzato il rancore diffuso contro “la casta” in direzione della democrazia diretta (uno-vale-uno, i portavoce a rotazione, la diretta streaming, le votazioni in rete).

Entrambe queste posizioni sono state progressivamente o repentinamente abbandonate e superate, senza un granché di spiegazioni (anche se permane un ministro senza portafoglio “alla democrazia diretta”, e talvolta circa quarantamila fedelissimi della piattaforma Rousseau vengono chiamati a ratificare le scelte dei vertici del non-partito, decidendo per conto di milioni di elettori), assumendo come elemento unificante e caratterizzante la contrapposizione allo spirito solidaristico sovranazionale, ed in particolare verso l’Europa e verso i profughi e migranti.
In particolare il cemento sovranista che unisce Lega e 5Stelle (e sull’onda dell’entusiasmo anti-europeo, attrae anche i Fratelli d’Italia) si alimenta del disagio provocato dalla crisi e lo indirizza “contro la Germania”, fomentando un vittimismo nazionalista che ricorda (spero ripetendola in farsa, e non in tragedia) la sindrome della “vittoria mutilata”, che dopo la prima guerra mondiale polarizzò l’insoddisfazione dei combattenti-e-reduci verso i complotti delle potenze dominanti (Francia, Gran Bretagna, USA).
(Dimenticando che il più grande debito pubblico d’Europa è stato accumulato nei decenni dagli stessi Italiani, votando Andreotti&C, Craxi, e da ultimo Berlusconi).

Non escludo che il declino della democrazia rappresentativa e del welfare state (sullo sfondo dei limiti ecologici del pianeta) comporti la ricerca di nuove strade (democrazia inclusiva di piccole comunità in orizzonti universalisti pacifici?); il ritorno al nazionalismo va nella direzione opposta e reazionaria: è di certo un “cambiamento”, di certo non è il mio “cambiamento”.

Fonti:
1.                                                             https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/18/governo-m5s-lega-il-contratto-di-governo-versione-definitiva-del-testo/4364587/
LA NOTTE IN CUI TUTTE LE VACCHE SONO…GRIGIE
di Fulvio Fagiani

Riassunto:

Il ribaltamento mezzi-fini nella politica corrente.
Nella notte tutte le vacche sono grigie.
Continuità e discontinuità.
Una visione del futuro



Integro le puntuali osservazioni di Aldo Vecchi con le mie, che muovono dal piano di lettura che mi è più congeniale, quelle del lungo termine, grande assente dal discorso pubblico odierno.
Parto da una domanda che molti si pongono: perché la politica, intesa come prerogativa di ogni cittadino partecipe del destino della polis, ha abbandonato da anni l’ambizione di interpretare e progettare la società futura ed è progressivamente scivolata verso una forma spettacolare, molto simile ad una partita di calcio in cui ventidue si scontrano sul campo, ricorrendo volentieri ad interventi fallosi e violenti, e gli altri affollano le curve dello stadio avendo a disposizione un’unica scelta: tifare per l’una o per l’altra squadra, ricorrendo a loro volta al repertorio di insulti, aggressione e odio tipico degli ultras?
Questa forma peculiare di spettacolo calca svariati palcoscenici, dalle ‘shitstorm’ dei social, ai talk show televisivi e alle discussioni, sempre più rare per la verità, nei luoghi della vita quotidiana.
Il linguaggio, non sorprende, è molto povero, infarcito di slogan ripetuti fino allo sfinimento, i contenuti non hanno alcun riferimento a visioni d’insieme, ma sono puri espedienti retorici per incoraggiare la formazione di cui si porta la maglietta o si sventola la bandiera.
In piena assonanza la politica esercitata dai professionisti è ridotta a pura ricerca del consenso, in lotta perenne con la coerenza sia di logica interna che, soprattutto, di corrispondenza con i fatti, volta ad un obiettivo predominante che è l’autopromozione di questo o quel gruppo dirigente (con tutte le riserve nell’usare il termine ‘dirigente’).
Avendo ribaltato fini e mezzi, perché il partito o la corrente o l’occasionale leader, da mezzo è diventato fine, non stupisce che quando si affaccia al governo questa politica abbia scarsa somiglianza con la fatica del governare e si riduca ad un’inesausta campagna di comunicazione con dosi sempre più insopportabili di propaganda.
Io penso che una delle cause consista nel processo storico che - con gli eventi della fine del secolo scorso, la caduta dei regimi comunisti, la liberalizzazione dei movimenti di capitale e la conseguente finanziarizzazione dell’economia, l’incontrastata affermazione dell’ideologia e delle pratiche neoliberiste e l’eclisse della socialdemocrazia - ha condotto al pensiero unico: siamo tutti diversi ma pensiamo, più o meno, le stesse cose.
Siamo entrati nelle notte in cui tutte le vacche sono grigie.
Quasi tutte uguali perché il pensiero unico non ammette deviazioni: la buona vita è perseguibile solo con una crescente disponibilità di beni materiali, l’orizzonte unico della società è la crescita economica come che sia, che può essere conseguita grazie agli indiscutibili comandamenti scritti nelle Tavole della Legge: precarizzazione del lavoro, riduzione delle tasse, mani libere per le imprese, bando a qualunque intervento pubblico sia nel dirigere le vicende economiche che in politiche redistributive.
Le vacche, però, non sono tutte nere, ma hanno diverse gradazioni e sfumature di grigio (finora).
Così c’è chi asseconda e promuove l’erezione di muri, il consolidamento dei confini, la rottura delle solidarietà internazionali e l’irrisione delle istituzioni sovranazionali, e chi, invece, mantiene ancora una fiducia nella solidarietà internazionale e nelle architetture sovranazionali, chi vuole i respingimenti e chi predica l’accoglienza, chi inclina per comminare la pena di morte senza processo purché entro le mura di casa, e chi è ancora affezionato al monopolio statale della violenza e ad una società governata dal diritto, chi irride alla cultura, intrinsecamente salottiera e radical-chic, e chi non si vergogna ancora di leggere qualche libro.
Fino al paradosso del governo anti-establishment di Donald Trump, dove si è ministri solo se possessori di patrimoni miliardari.
Non sono affatto indifferente alle gradazioni di grigio, tutt’altro: tra le alternative che ho illustrato sono ben convinto delle seconde e di quanto siano costitutive di una società vivibile.
Ma la continuità con presupposti indiscutibili di ogni consorzio civile e del sorgere stesso della società moderna, come il diritto, la triade della Rivoluzione francese (ricordo ai distratti che c’è anche la fraternitè), la diffusione e l’incoraggiamento della cultura, non deve nasconderci che in molti altri campi abbiamo bisogno di profonde discontinuità, o, detto in altri termini, nessuno dei governi, del cambiamento o meno, neanche lontanamente si  è mostrato all’altezza del compito, né probabilmente lo ha mai avuto presente.
Significa avere una stella polare che orienti il cammino, attorno ai temi di cui ragioniamo fin dal primo numero di UTOPIA21:
·         Le emergenze ambientali, dal clima alla perdita di biodiversità, dalle risorse vitali come acqua, suolo e cibo al consumo delle risorse1, come sono definiti dagli accordi internazionali (COP21 di Parigi piuttosto che SDG – Obiettivi dello sviluppo sostenibile) o dalla comunità scientifica (confini planetari);
·         La disuguaglianza tra paesi ricchi e paesi poveri, e tra ricchi e poveri all’interno dei paesi;
·         La prospettiva di una società capace di auto-limitazione, se proprio ci fa paura il termine decrescita2;
·         La dimensione inestricabilmente planetaria dei problemi che dobbiamo fronteggiare;
·         Le questioni della transizione e della governance di fenomeni globali, di cui ci occupiamo estesamente in questo numero.
Solo entro questa cornice è possibile collocare, capire e provare ad affrontare i singoli problemi e cucire una visione d’insieme del futuro (un’Utopia) che orienti il cammino e le scelte di più breve periodo.
Possiamo chiamare questo percorso l’elaborazione culturale che precede logicamente qualunque costruzione politica: senza di essa la politica brancola nel buio e si riduce, come è appunto oggi, a mera occupazione del potere, assecondamento degli interessi dei più forti e alimentazione delle paure e del rancore degli strati più deboli della società.
Per questo ho sempre guardato con molto sospetto alle retoriche del “cambiamento” che imperversano in ogni campagna elettorale e si accavallano l’una sull’altra, dove tutto cambia perché nulla cambi, dove un linguaggio sempre più degradato e omologato banalizza la realtà, la rappresenta in forme distorte e la occulta, per approdare a improbabili parole d’ordine, regolarmente sconfessate dalle effettive azioni di governo.
Non si pensi che questa concentrazione sulla visione ci lasci impotenti di fronte alle sfide dell’attualità, come sognatori destinati ad essere travolti dal corso dei fatti.
Anche in UTOPIA21, che pure è dedita espressamente all’elaborazione della componente culturale e ‘di sfondo’, non abbiamo mancato di avanzare proposte praticabili nel breve-medio periodo, dal consumo di suolo all’agricoltura sostenibile, dalla macroeconomia (spostamento della spesa globale dai consumi agli investimenti, investimenti pazienti e rigenerativi nelle grandi infrastrutture dell’energia, della mobilità sostenibile, dei dati, nel territorio e negli edifici, nuovo protagonismo del pubblico) alla formazione.
Con questo doppio binario, di lavoro sul piano culturale per l’elaborazione della prospettiva e di progettazioni e sperimentazioni concrete, possiamo sperare di dare il nostro modesto contributo per passare finalmente dalla notte delle vacche grigie ad un luminoso mattino di vacche multicolori.



Fonti.

1.    Quaderno di UTOPIA21 n.1 – Le emergenze ambientali -
2.    Quaderno di UTOPIA21 n.6 – Crescita o decrescita -

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