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mercoledì 22 gennaio 2020

UTOPIA21 - GENNAIO 2020: ORDINE E DISORDINE URBANO, A PARTIRE DA FRANCESCO INDOVINA




Una recensione impropria, che riassume brevemente il testo “Ordine e disordine nella città contemporanea” 1 e sviluppa piuttosto i pensieri indotti da questo testo, molto stimolante ma per l’appunto assai discutibile.

Sommario:
-     l’articolazione e i contenuti del testo (anche citando altrui recensioni)
- la dialettica tra ordine e disordine, alternativamente poli negativi o positivi, e la perorazione finale in difesa della pianificazione
-  mie critiche alla perorazione: poco coraggiosa, poco aggiornata (o fiduciosa), poco lungimirante
-    mie critiche puntuali a taluni elementi di analisi
-    sul florilegio di citazioni
   (in corsivo le parti più personali)

L’Autore del testo: Francesco Indovina (1933), giurista ed economista, già docente di Pianificazione Territoriale presso lo IUAV (Venezia) ed ancora docente ad Alghero, già direttore della rivista  "Archivio di studi urbani e regionali", con un passato politico dallo PSI allo PSIUP e poi al Manifesto

Per le illustrazioni, vedi l'articolo sul sito www.universauser.it

Il tema mi è sembrato assai stimolante, soprattutto per chi – come me – ha ricoperto il ruolo di funzionario pubblico, e quindi anche di sistematica applicazione delle norme (norme che in parte ha anche contribuito a definire), avendo alle spalle una giovinezza talora “rivoluzionaria”, e quindi in parte di critica e di violazione di alcune norme, ritenute ingiuste (propensione alla critica per altro sviluppata anche in età matura).


L’ARTICOLAZIONE E I CONTENUTI DEL TESTO (ANCHE CITANDO ALTRUI RECENSIONI)

Come ha scritto l’urbanista e accademica Patrizia Gabellini 2 “La formula scelta da Indovina è di scandire il discorso in tre parti e due intermezzi: la prima parte dedicata all'Ordine come concepito e perseguito dagli urbanisti nel tempo lungo; la seconda dedicata al Disordine come esito di processi socio-economici; la terza all'Azione, ovvero al modo di porsi dell'autore stesso di fronte al tema sollevato. I due intermezzi sono costituiti da altrettanti ‘florilegi’ (successioni di citazioni: 32 nel primo e 10 nel secondo florilegio), elegante modo per accostare liberamente ‘fiore’ a ‘fiore’ con grande libertà interpretativa (libertà dichiarata).”

Come ha meglio dettagliato il geografo (e politico) catalano Oriol Nel.lo 3 “Indovina sviluppa il suo saggio, come impongono i canoni della dialettica, in tre capitoli.
Dedica il primo alla volontà di ordine urbanistico e alle sue concretizzazioni nel corso della
storia della città contemporanea: da Ebenezer Howard e Le Corbusier all'urbanistica riformista italiana della fine del secolo scorso.
Il secondo capitolo, invece, si concentra sul disordine urbano, le sue cause e le sue conseguenze sulla funzionalità e l'equità della città.
L'epilogo costituisce invece la rivendicazione di una diversa urbanistica: ovvero quella che, senza rinunciare all'aspirazione di raggiungere forme di ordine urbano più giuste, efficienti e sostenibili, è consapevole dell'impossibilità (e dell'inopportunità) di cancellare i conflitti. Il superamento della contrapposizione tra ordine e disordine si deve dunque raggiungere, per Indovina, non con una chimerica imposizione assoluta di uno stato sull'altro, bensì mediante un costante governo delle trasformazioni economiche, sociali e urbane.”


LA DIALETTICA TRA ORDINE E DISORDINE, ALTERNATIVAMENTE POLI NEGATIVI O POSITIVI,  E LA PERORAZIONE FINALE IN DIFESA DELLA PIANIFICAZIONE

In diverse parti del testo, infatti, Indovina esplicita la complessa dialettica tra l’ordine ed il disordine (urbani),  esplicitando la possibilità che una condizione di ordine possa essere ingiusta (perché conserva i privilegi di alcuni, ad esempio nella distribuzione delle proprietà fondiarie) e opportunamente messa in crisi da nascenti spinte al disordine, e viceversa che sia invece il disordine a privilegiare interessi di parte a danno di un vigente ordine che tutela i più deboli (ad esempio una occupazione abusiva di uno spazio pubblico); evidenziando sempre le corrispondenze non univoche tra potere politico/potere economico/struttura sociale ed assetti urbani.

In particolare, nella trasformazione irrisolta tra “città moderna” e “città contemporanea”, Indovina vede la prima “caratterizzata da contrasti sociali ed economici … spesso piazza di conflitti…” come “un mix variegato e ricco, talvolta esplosivo”, mentre la seconda “con la sua rafforzata tendenza alla polarizzazione, accompagnata dalla frammentazione sociale …. appare costituita da strati sociali non comunicanti neanche conflittualmente …. determinando un contesto generale di insicurezza…”        

Ma nell’insieme l’Autore, pur esprimendo comprensione e simpatia per le “pratiche sociali”, legali e talvolta illegali, che rimettono in discussione i canoni consolidati e che caratterizzano la città come ambiente vitale e vivace, propone infine una apologia della pianificazione, pianificazione che però andrebbe emendata da talune distorsioni ed errori (al livello politico, a quello tecnico ed a quello amministrativo), e riproposta in modo adeguato per affrontare le problematiche della ”città contemporanea”, quali ad esempio l’adattamento climatico, l’immigrazione, la sicurezza, i divari generazionali, ecc. (riassumo i principali tra i 9 “temi emergenti” del capitolo 4 della 3^ parte).

(Il tutto comunque in un’ottica eurocentrica o addirittura “all'interno del perimetro della dimensione nazionale”, come osserva criticamente anche lo studioso e pianificatore ‘terzo-mondista’ Marcello Balbo 4, richiamando nella sua recensione le diverse tendenze delle città e delle megalopoli degli altri continenti).


MIE CRITICHE ALLA PERORAZIONE: POCO CORAGGIOSA, POCO AGGIORNATA (O FIDUCIOSA), POCO LUNGIMIRANTE

A parte le specifiche divergenze di analisi che mi permetterò di evidenziare nella seconda parte di questa recensione, la sommessa perorazione di Indovina in difesa della pianificazione, posizione che pure condivido nei suoi sommi capi, non mi convince essenzialmente per i seguenti motivi:

-       perché mi sembra poco coraggiosa, e non adeguata alle sfide che attendono l’umanità [A]: l’argomento del mutamento climatico ed ambientale è affrontato da Indovina solo a pag. 182 e seguenti (quasi alla fine del libro), e limitatamente ai problemi di adattamento degli organismi urbani ai possibili “eventi estremi”, mentre a mio avviso i rischi di estinzione delle condizioni di vita in larga parte del Pianeta,  connessi al cambio climatico, comportano un nuovo grande criterio di “ordine” nell’intero ciclo della gestione del territorio, in tutti gli aspetti produttivi ed insediativi della vita umana, in territori dove si fatica a distinguere tra “città” e “campagna”, con una necessaria ed inedita preponderanza del momento collettivo (eguaglianza e fraternità) rispetto al momento individuale (senza totalitarismi, alcune libertà andranno necessariamente compresse, a partire dalla “libertà di inquinare”);

-       Perché mi sembra poco aggiornata (o poco fiduciosa) su recenti elementi positivi della legislazione europea e nazionale, quali l’obbligo di sviluppare serie forme di partecipazione popolare nelle procedure di formazione di quasi tutte le forme di pianificazione paesaggistica, territoriale ed urbana  (nonché delle principali opere pubbliche) attraverso le Valutazioni Ambientali Strategiche e la Valutazioni di Impatto Ambientale (con le dovute “sintesi non-tecniche”).
Tale obbligo (spesso purtroppo ridotto a mero adempimento burocratico) non può colmare “d’ufficio” lo scollamento tra cittadini ed istituzioni, ma almeno vale la pena di provarci: con la necessaria umiltà con cui  il “sapere tecnico” ed il “potere politico” (ed il sotto-potere amministrativo), trovando nuove forme di comunicazione (argomento questo abbozzato correttamente anche da Indovina), devono  riguadagnare la necessaria credibilità presso “il popolo sovrano”; anche affinché cessi di essere un “popolo sovranista”, oscillante tra l’invettiva e la delega in bianco ai demagoghi ed agli aspiranti ”uomini forti”.

-       Perché mi sembra poco aperta ad innovazioni radicali (che coinvolgano i legislatori) in direzione di una maggior efficacia sociale ed ambientale della pianificazione (intesa come azione complessiva di enti locali opportunamente riformati) e al tempo stesso di una concentrazione degli sforzi sugli obiettivi prioritari (suolo, aria, acque, cibo, biodiversità, lavoro…..), monitorando i risultati parziali e mantenendo flessibili gli strumenti; l’Autore ci rammenta nel finale che la pianificazione “non può modificare la struttura sociale… non può evitare le discriminazioni e le sperequazioni prodotte dal sistema sociale”, e ciò è senz’altro vero per i tradizionali piani urbanistici [B] , ma mi sembra una moderata utopia ipotizzare che, per esempio, – pur nell’ambito del vigente sistema capitalistico – il potere locale (opportunamente potenziato) possa progettare, in tutt’uno, l’adeguamento della rete dei servizi scolastici sia come spazi fisici che come servizi alle famiglie, allocando le risorse necessarie per i bisogni formativi delle varie fasce di età e le varie componenti etniche e sociali di un territorio (a partire dalle ‘periferie’); analoghi esempi si possono ipotizzare integrando piani della mobilità con le politiche tariffarie e con la fiscalità sull’auto, oppure gli interventi sulle abitazioni sociali con le politiche attive per il lavoro (come per altro già si fa in alcune parti d’Europa e anche di Italia).


MIE CRITICHE PUNTUALI A TALUNI ELEMENTI DI ANALISI

Colgo inoltre pretesto dal libro di Indovina, per puntualizzare, in contradditorio, alcune sue valutazioni analitiche:

-       CITTA’ ANTICA: pur non essendo un vero e proprio trattato storico, il testo di Indovina introduce la dinamica tra “città moderna” e “città contemporanea” sullo sfondo di una introduzione storica, risalendo a Ippodamo [C] ed a Vitruvio, dando sostanzialmente per scontato che nella città “antica” le trasformazioni fossero molto lente e stazionarie: criterio che a mio avviso sottovaluta la enorme instabilità data innanzitutto da pestilenze, guerre, invasioni e saccheggi e poi di frequente comunque dalle componenti sociali: si pensi ai disordini ed anche agli “ordini” religiosi dal medioevo alle riforme protestanti; ma anche ad alcune fasi straordinarie di rapida innovazione urbana, come la Roma di Nerone e poi quella degli Imperatori Flavii.

-       ESEMPI DI “ORDINE”: le esemplificazioni su cui l’Autore si sofferma sono la  “addizione” di Ferrara Estense (Rossetti), la ricostruzione di Lisbona Illuminista (Pombal) e la ristrutturazione di Parigi Ottocentesca (Haussmann), che hanno in comune sia l’intervento su organismi urbani esistenti, sia la determinazione solo parziale delle forme architettoniche da realizzare, e quindi (opportunamente) assomigliano abbastanza ai compiti dell’urbanistica contemporanea, quasi sempre condizionata (anche in bene) dalle preesistenze e dalle permanenze. Ciò limita (forse utilmente) la riflessione alla perenne tensione tra un possibile ordine progettuale ed un certo disordine comunque preesistente; tale rassegna non contempla quindi, volutamente, i tentativi storici di impostazione di un “ordine urbano totale” (almeno fisico, e con la presunzione di domare le diversità della sottostante natura e quella della fluttuante società) che è invece tipico delle “città di fondazione”, di diverse epoche, talune delle quali sono state anche completate e  sono rimaste poi così invariate nei secoli successivi [D]. Casi limite che però potrebbero arricchire le verifiche sulle modalità dell’insorgere del “disordine”, sia nei modi di uso dei manufatti edilizi che nella loro trasformazione.


Figura 1 – la cittadina di Richelieu (1800 abitanti), Indre et Loire, Francia

-       STATICITA’ DELLA CAMPAGNA: parimenti, in antitesi all’effervescenza della città, dove molte scelte di uso del suolo sono sempre possibili, l’Autore enfatizza la staticità della campagna, dove le scelte colturali (e quindi anche quelle insediative) sono in gran parte determinate da oggettive condizioni geografiche e geo-pedologiche: mi sembra errato trascurare la continua mutevolezza del suolo agricolo, in quanto comunque “naturale”, e le interazioni, anche rapide, tra eventi atmosferici/evoluzioni colturali/andamenti di mercato/eventi socio-politici (si pensi alla varie carestie, alla peronospera ed alla fillossera, alla Peste Nera; a disboscamenti, bonifiche ed opere irrigue, ed ai fenomeni opposti; ma anche all’introduzione in Europa dei vegetali provenienti dall’Oriente, dal riso alla filiera della seta e dalle Americhe, dal pomodoro alla patata).

-       ORDINI ESPLICITI ED ORDINI IMPLICITI: mi pare che il testo si occupi soprattutto dell’ordine urbano in quanto definito dai Piani o comunque dagli ordinamenti, mentre sarebbe interessante allargare la riflessione anche a quel livello primario di regolazione della convivenza civile (e quindi anche edilizia ed urbana) che sta a monte delle norme formalizzate.
Penso agli “usi e consuetudini” interiorizzati dagli individui, fino ad un certo grado di sviluppo della complessità sociale, nell’ambito di società molto coese (ed anche repressive, anche se non necessariamente autoritarie), non solo primitive, ma anche ad esempio nei nostri territori montani, dai villaggi Walser ai masi Tirolesi. L’ordine “spontaneo” di cui tratta mirabilmente Gianfranco Caniggia(&C) 5, e che tende ad estinguersi con lo sviluppo della stessa auto-coscienza progettuale, con la divisione sociale del lavoro, ed in particolare con il mercato capitalistico.

Figura 2 – Abaco sui  modelli di formazione del tessuto urbano, da Caniggia&Maffei, “Lettura dell’edilizia di base”- 1979

Ritengo sia utile valutare se alla radice della società e dei suoi conflitti non vi sia solo il disordine spontaneo ed egoista, con la necessità di un ordine che si impone da sopra e “dall’esterno” (salvo la miracolosa ricomposizione spontanea nel mercato, in cui credono tuttora molti – troppi? - seguaci di Adam Smith), ma anche qualche traccia di un ordine intrinseco all’essere sociale dell’umanità: probabilmente diverso da luogo a luogo e da tempo in tempo (motivo per cui è oggi appare più facile fare urbanistica in Svizzera che non in Sicilia; ai tempi di Ippodamo forse era vero il contrario).

-       EMANCIPAZIONE INTERROTTA? – in una nota, ma senza sviluppare ulteriormente il concetto, Indovina riporta un importante affermazione di Rodotà sulla dialettica ordine/disordine nel campo del diritto e lungo l’evoluzione della società a partire dall’ “ancient régime”: “…la conquista del diritto di territori prima affidati unicamente alla regola religiosa o all’imperativo etico o alla conformità sociale o al dato naturalistico …. costituiva… una forma di liberazione da regole costrittive che, proprio perché imposte da entità astratte … non erano modificabili con un atto della volontà. La legge, invece, come opera consapevole dell’uomo, rimane nella sua disponibilità…”
Che rapporto c’è tra questa fiducia illuministica in una progressiva laicizzazione e razionalizzazione dell’Ordine Giuridico (e perciò sociale ed istituzionale) e la realtà odierna di crisi della democrazia e di disordine ‘non polarizzato’, che Indovina tratteggia (senza approfondirla) come connotato tipico della città contemporanea (e della difficoltà di governarla)?
Nel testo si trova qualche accenno a Zagrebelsky e ad Urbinati, ad altri autori stranieri e – un po’ malvolentieri – a Bauman, ma mi sembra manchi una adeguata trattazione di tale problematica di grande attualità (che nel nostro piccolo di Utopia21 abbiamo cercato di affrontare sotto l’impreciso nome di ‘populismo’).
Con il rischio di brancolare un po’ acciecati nel difficile scenario della contemporaneità.

-       MORTE DEL LAVORO – Nel descrivere la città contemporanea e le tendenze in atto, pur in un quadro dialettico riguardo alla trasformazione dalla città “moderna”, l’Autore mi sembra indulgere eccessivamente in favore dell’ipotesi della prossima estinzione del lavoro [E] “Il capitale finanziario non sembra aver bisogno di masse di operai da sfruttare, … ma soltanto di algoritmi intelligenti… Le produzioni materiali, che continuano ad esserci, non sono più significative rispetto all’intera valorizzazione del capitale…. La fabbrica senza operai è una prospettiva non più teorica….le città … non sono più la sede della grande concentrazione di lavoro e capitale (fatta eccezione di alcuni paesi, che diventano tendenzialmente i produttori mondiali)…”
A parte la condivisibile e pesante parentesi, che in realtà include gran parte del mondo (vedi sopra la critica di Balbo), mi permetterei di affermare che
a)    – anche per il domani – la produzione materiale resterà comunque passaggio determinante per la valorizzazione delle merci (ma anche di molti prodotti ‘immateriali’), perché senza di esse tali merci (e anche molti prodotti ‘immateriali’) nemmeno sussistono: i moderni operai, ridotti di numero e trasformati nella qualità (o nascosti nelle cantine del quarto mondo), più o meno pagati, restano necessari per produrre, far funzionare e manutenere tutte le macchine automatiche del nuovo capitalismo
b)    – almeno per l’oggi – non è vero che la produzione materiale è stata espulsa dalla città, ma solo dalle sue aree centrali o neo-centrali: prendendo ad esempio Milano (fenomeno urbano che a mio avviso non finisce al confine comunale con Bresso e con Cormano, ma spesso travalica il confine amministrativo della stessa “città metropolitana”), malgrado la globalizzazione ed il decentramento produttivo, la “città” continua a contenere rilevanti attività manifatturiere, anche se disperse nel territorio metropolitano, perché non esistono più le grandi fabbriche del Novecento, ma esiste ancora una miriade di piccole fabbriche.
Ho apprezzato invece la lettura pluralista che Indovina propone per i fenomeni di segregazione sociale, specifici della città contemporanea (pur con il dovuto richiamo a Saskia Sassens 6), e però differenziati da luogo a luogo, con la permanenza in Italia ed in Europa di una consistente libertà di movimento – ad esempio – dei giovani di diversi ceti sociali nelle aree centrali pedonalizzate (il fenomeno della movida), e conseguente promiscuità delle offerte di consumo (ad esempio a Milano il negozio a prezzi popolari di HM  a fianco della più esclusiva Rinascente); aree da cui però ovviamente i ceti subalterni rimangono esclusi quando si tratta del ‘dove abitare’.  


SUL FLORILEGIO DI CITAZIONI

Quanto ai florilegi di citazioni che – come giustamente rileva Nel.lo “offrono una panoramica particolarmente suggestiva che delizierà il lettore” – mi permetto però di osservare che – terminato il piacere letterario, e accettando (e forse apprezzando, perché li conosco) la prevalenza di autori italiani (come censurato invece da Balbo) – mi restano pesanti dubbi:
-       sulla rappresentatività dei testi estratti (ed ancor più dei riassunti che li precedono nel capitolo 3 della parte prima) rispetto al percorso culturale ed operativo di taluni autori: ad esempio (già ho detto nella nota B sugli “antichi maestri”, come Piccinato, Astengo e Bottoni):
o    Magnaghi appare inchiodato ad una visione molto utopistica della “federazione di villaggi”, non considerando sue elaborazioni più mature come “Il progetto locale” 7,8 del 2001 e 2011 (o più immature, come “La città fabbrica” 9) e quelle della più ampia “scuola territorialista”;
o   Benevolo viene evocato per una sua tarda visione meta-storica e non per ricordare le sue ferree convinzioni sulla indispensabile acquisizione preventiva alla mano pubblica dei suoli da trasformare, sulla operatività immediata dei piani generali e sul ruolo degli uffici di piano (ben ribaditi nel servizio commemorativo su “Urbanistica” n° 158 10);
o   analogamente risultano impoverite le proposte, invece sempre molto concrete, di Campos Venuti 8 (mentre è dato il giusto rilievo ed una adeguata esposizione soprattutto a De Carlo ed a Secchi, forse anche a Salzano);
-       sulla esclusione dei teorici che di recente più hanno focalizzato propriamente la questione del disordine della città contemporanea, da Stefano Boeri ad Arturo Lanzani, da Ennio Nonni al ‘Tactical Urbanism’ 8.

Per finire mi permetto di segnalare che – a dispetto del prestigio accademico dell’Autore, così come della casa editrice Franco Angeli – , nel testo ci si imbatte in numerosi refusi (in media uno per pagina) e che anche il controllo della forma espressiva non sempre risulta convincente: una freudiana rivincita del “disordine”?

Fonti:
1.        Francesco Indovina – ORDINE E DISORDINE NELLA CITTA’ CONTEMPORANEA – Franco Angeli, Milano 2017
2.        Patrizia Gabellini - UN NUOVO LESSICO PER UN NUOVO ORDINE URBANO - in “città-bene-comune”, ottobre 2018 - http://www.casadellacultura.it/806/un-nuovo-lessico-per-un-nuovo-ordine-urbano
3.        Oriol Nel.lo - DELL'ORDINE E DEL DISORDINE URBANO - in “città-bene-comune”, dicembre 2018 - http://www.casadellacultura.it/832/dell-ordine-e-del-disordine-urbano
4.        Marcello Balbo - DISORDINE? IL PROBLEMA È LA DISUGUAGLIANZA - in “città-bene-comune”, settembre 2018 - http://www.casadellacultura.it/779/disordine-il-problema-egrave-la-disuguaglianza
5.        Gianfranco Caniggia e Gian Luigi Maffei – LETTURA DELL’EDILIZIA DI BASE – Marsilio, Venezia 1979
6.        Saskia Sassens - LE CITTÀ NELL'ECONOMIA GLOBALE – Il Mulino, Bologna 2010
7.        Alberto Magnaghi - IL PROGETTO LOCALE: VERSO LA COSCIENZA DI LUOGO – Bollati Boringhieri – Milano 2010
8.        Aldo Vecchi - PROBLEMATICHE DELLA SOSTENIBILITA’, DAL FABBRICATO AL TERRITORIO (parte III) – Quaderno n° 5/2018 di “UTOPIA 21” –  https://www.universauser.it/i-quaderni/quaderno-5-sostenibilita-dal-fabbricato-al-territorio.html
9.        Alberto Magnaghi, Augusto Perelli, Riccardo Sarfatti, Cesare Stevan - LA CITTA' FABBRICA. CONTRIBUTI PER UN'ANALISI DI CLASSE DEL TERRITORIO - Clup, Milano 1970
10.     Autori Vari – RICORDANDO LEONARDO BENEVOLO – su “Urbanistica” n° 158, pubblicata nel novembre 2017


[A] Con riferimento al mio articolo di settembre  su Utopia21 “SUOLO, TERRITORIO, URBANISTICA: A CHE PUNTO E’ IL DIBATTITO” , in cui mi chiedevo tra l’altro in che direzione si muovesse l’Istituto Nazionale di Urbanistica dopo il Congresso di Riva del Garda, colgo l’occasione per segnalare l’intervista al nuovo presidente Talia su Urbanistica Informazioni n° 283, dove si confermano le buone intenzioni dell’Istituto, soprattutto riguardo al ruolo dell’INU e degli urbanisti, di certo sensibili ai problemi ambientali, ma non si coglie la necessità di una svolta nella gestione del territorio che sia all’altezza della complessiva sfida posta all’umanità dal cambio climatico, che la stessa umanità sta provocando

[B] Non intendo riesumare la fiducia quasi ingenua nell’urbanistica come soluzione di ogni problema (quale traspare nelle citazioni che Indovina estrae da Piccinato, Astengo e Bottoni; citazioni datate che pertanto non riflettono il pensiero più maturo di personaggi quali Astengo e Bottoni, che ho avuto l’onore di incontrare quando erano per l’appunto più che maturi), bensì rivendicare la possibilità che la pianificazione urbana e territoriale sia opportunamente integrata con altre importanti leve del potere pubblico in campo sociale ed economico.
[C] Non ricordavo che Aristotele, unica fonte storica specifica su Ippodamo da Mileto, usasse una prosa da ‘giornalista di colore’, segnalandoci del proto-urbanista la “folta zazzera e gli ornamenti costosi … la veste pesante … anche durante la stagione estiva…”
[D] Di città fondate ex-novo nella campagna è ricca non solo la storia antica, in particolare greca e romana, ma anche quella dell’ultimo millennio (città medioevali – tra cui Borgomanero, in cui per caso nacqui – , rinascimentali, barocche, illuministe; coloniali e post-coloniali, come le capitali Washington, Canberra, Brasilia, Chandigarth…; e poi le new-towns e le villes nouvelles, ecc.) Particolarmente interessanti alcuni insediamenti, più piccoli, che sono rimasti anche fisicamente  “cristallizzati”, quali – a mia memoria visuale –  i borghi sabaudi di Stupinigi e di Venaria, quelli sabaudi/devozionali di Vicoforte e di Oropa, la cittadina di Richelieu (voluta dall’omonimo cardinale e ministro, rimasta intatta tranne il suo stesso castello, radicalmente raso al suolo dalla Rivoluzione: un massimo del Disordine contro un massimo dell’Ordine) e le “cittadelle” militari progettate da Vauban, come quella di Besancon, tutte caratterizzate anche da rigorose simmetrie ortogonali.
[E] Sul tema dell’automazione e della estinzione/non estinzione del lavoro Utopia21 si è largamente occupata, da ultimo commentando il dialogo tra Maurizio Ferraris e Lelio Demichelis, ed in diversi interventi di Fulvio Fagiani

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