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giovedì 19 novembre 2020

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2020: L’ENCICLICA “FRATELLI TUTTI”

 


Un riassunto, con pochi commenti, della nuova Enciclica di Papa Francesco, che attualizza il messaggio evangelico (e francescano) di “amore verso il prossimo” in un proclama di “diritti senza frontiere” ed in un appello all’impegno concreto di pace e carità per i credenti di tutte le religioni (e anche per i non credenti)

 

Sommario:

-       struttura e indice dell’enciclica

-       ispirazioni e riferimenti

-       al centro: la parabola del Buon Samaritano

-       “le ombre di un mondo chiuso”

-       la visione antropologica e le prospettive di riscatto

-       i diritti fondamentali: senza frontiere

-       l’auspicio di un nuovo ordine internazionale

-       la funzione sociale della proprietà e la gestione dei conflitti

-       il “che fare” per i credenti (e per gli uomini di buona volontà)

-       appelli, preghiere e citazioni finali

-       due nodi critici: relativismo e ruolo dei non-credenti; e una postilla ‘utopistica’

in corsivo i commenti e le annotazioni più personali

legenda: “testo enciclica” “idem con «citazioni da altre fonti»“ ‘virgolettato mio’

 

 

STRUTTURE ED INDICE DELL’ENCICLICA 1

(da Wikipedia): L'enciclica è suddivisa in otto capitoli e 287 punti; il documento si conclude con due preghiere: una «al Creatore» e l’altra «cristiana ecumenica» per infondere «uno spirito di fratelli».

Capitolo I - Le ombre di un mondo chiuso

Capitolo II - Un estraneo sulla strada

Capitolo III - Pensare e generare un mondo aperto

Capitolo IV - Un cuore aperto al mondo intero

Capitolo V - La migliore politica

Capitolo VI - Dialogo e amicizia sociale

Capitolo VII - Percorsi di un nuovo incontro

Capitolo VIII - Le religioni al servizio della fraternità nel mondo

In conclusione anche l’appello congiunto con il Grande Iman Ahmad Al-Tayyeb .

 

ISPIRAZIONI E RIFERIMENTI

 

L’Enciclica “Fratelli tutti” di Papa Francesco, come la precedente “Laudato sì”, cui è strettamente connessa, prende spunto dalla figura e dalle parole di Francesco di Assisi (e pertanto da una lettura radicale del messaggio evangelico) e in particolare dall’episodio della visita in amicizia al Sultano d’Egitto (in tempi di crociate): Francesco d’Assisi “non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di Dio”.

Papa Francesco suggerisce quasi un parallelismo con la sua recente convergenza in Abu Dhabi con il Grande Iman (del Cairo) Ahmad Al-Tayyeb per ricordare - nella preghiera e in un documento comuni - che Dio «ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro» (così come il testo Laudato-sì era maturato dal dialogo con il Patriarca ortodosso Bartolomeo).

 

La nuova enciclica è orientata anche al “dialogo con tutte le persone di buona volontà”, ma è indirizzata soprattutto ai credenti (in primis ai cristiani), per confermare un articolato messaggio di priorità verso l’amore per gli ultimi e verso la fratellanza universale rispetto agli altri contenuti della dottrina e della pratica religiose; uso “confermare” perché il testo bergogliano è intessuto – su 75 pagine – di un paio di centinaia di richiami o citazioni di precedenti testi o discorsi dello stesso Papa, rafforzati, ove opportuno, da citazioni di altre fonti, tra cui – oltre ovviamente alle Sacre Scritture, soprattutto del Nuovo Testamento - :

-       Padri della Chiesa e pochi Santi (Agostino e pochi altri);

-       precedenti Papi, non a caso da Giovanni XXIII in poi (salvo 2 eccezioni) [A] e soprattutto gli ultimi due predecessori, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI;

-       Conferenze Episcopali, quasi solo extraeuropee;

-       pochissimi scrittori e pensatori laici, da Virgilio e Cicerone      a Paul Ricoeur al cantante Vinicius de Moraes (più qualche gesuita);

-       (il tutto più facilmente leggibile se le note fossero a piè di pagina…)

(Dentro al testo, nel finale, l’Enciclica richiama esplicitamente i messaggi di Francesco d’Assisi, M.L. King, Gandhi, D. Tutu e C.de Foucauld). [B]

 

 

 

AL CENTRO: LA PARABOLA DEL BUON SAMARITANO

 

Al centro di tale discorso evangelico (e collocato nel Capitolo 2 “Un estraneo sulla strada”) sta una puntuale esposizione-commento della parabola del “Buon Samaritano”, in cui Papa Francesco sottolinea da un lato l’indifferenza verso il ferito (vittima di banditi), che giace in strada, da parte di “un Sacerdote e di un Levita” (cioè due figure religiose ufficiali) e d’altro lato il solerte soccorso da parte di un “Samaritano” (cioè di uno straniero, considerato impuro in quel territorio tra Gerico e Gerusalemme).

Avvicinando la responsabilità omissiva dei religiosi indifferenti a quella aggressiva degli stessi banditi, Papa Francesco cerca di smuovere le coscienze del clero e dei fedeli, evidenziando nel resto dell’enciclica quali siano i fratelli feriti di oggi (da chi fugge da guerre e cataclismi ai migranti economici, a quelli che soffrono di fame ‘a casa loro’; dalle varie vittime della globalizzazione e precarizzazione agli emarginati per ogni altra sorta di “scarto” da parte dell’attuale assetto socioeconomico).

A margine della parabola, il Papa osserva anche che il Samaritano, per concludere l’intervento umanitario, si avvalse – a sue spese – del normale funzionamento di una locanda, e ne prende spunto per intrecciare un ragionamento tra carità diretta e carità “istituzionale”, che viene poi sviluppato nell’enciclica fino ad esaltare la “buona politica” come strumento efficace ed insostituibile per praticare l’amore verso il prossimo.

E fino a fustigare esplicitamente quei cattolici che – per paura del diverso – scelgono di appoggiare le formazioni politiche sovraniste e/o populiste con contenuti xenofobi, razzisti e comunque di egoismo sociale.

 

 

 

“LE OMBRE DI UN MONDO CHIUSO”

 

Il richiamo evangelico è infatti puntualmente calato nella attualità storico-politica, tratteggiata da Papa Francesco nel lungo primo Capitolo “Le ombre di un mondo chiuso” (che a mio avviso merita una lettura integrale), e poi ripresa più avanti, che tento di riassumere schematicamente in questi termini:

-       globalizzazione e crisi delle funzioni dei singoli stati; passi indietro nel multilateralismo (tranne in parte l’Europa ed il Sud America), tensioni politico-militari che si concretizzano in una “3^ guerra mondiale a pezzi”, con vittime civili e profughi (e terrorismo ammantato di false motivazioni religiose);

-       priorità al profitto che comprime il valore del lavoro [C][D] e genera nuove povertà e “scarti umani” (“periferie esistenziali”), con discriminazioni verso donne, poveri, migranti, anche con forme di schiavitù e commercio di esseri umani (o di loro organi);

-       formazioni politiche manipolatrici, che gestiscono una falsa razionalità economica “di mercato” e/o alimentano odio e paure xenofobe;

-       nonché:

o   nei paesi sviluppati: progresso materiale e decadenza etica; perdita del senso storico  e ’presentismo’, individualismo consumista, solitudine-disillusione-cinismo (con un lungo ‘zoom’ sulla comunicazione ‘social’ e sull’informazione) (ed un altro sulla Pandemia, che non è castigo, ma “la realtà stessa che geme e si ribella”, immagine tratta da Virgilio) (e qualche accenno alla irreligiosità e allo scarso ascolto prestato a chi non è o divo o politico o scienziato);

o   nei paesi poveri: colonialismo culturale (ed economico), imposto o importato per imitazione da parte delle élites locali, con disprezzo per le culture tradizionali; difficoltà per uno sviluppo delle potenzialità locali che alimenta i flussi migratori.

 

 

LA VISIONE ANTROPOLOGICA E LE PROSPETTIVE DI RISCATTO

 

A fronte di tale quadro, e di una valutazione antropologica complessiva che contempla:

-        “l’inclinazione dell’essere umano a chiudersi nell’immanenza del proprio io, del proprio gruppo, dei propri interessi meschini …da che l’uomo è uomo…”ovvero “concupiscenza”, che “però è possibile dominare …con l’aiuto di Dio” (senza la tradizionale impalcatura – rileverei - di peccati originali, redenzioni e salvezze)

-       che “…la società è più della mera somma degli individui …” e che “..la parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali.”… “È una categoria mitica…”

i punti salienti dell’Enciclica sono (a mio parere):

-       A - una proclamazione dei diritti fondamentali da assicurare a tutti gli uomini (su questa terra, non nel regno dei cieli, come si usava nel cattolicesimo tradizionale),

-       B - una visione tendenziale di riorganizzazione della società e di un nuovo ordine mondiale, (e la messa al bando della guerra e della pena di morte),

-       C – un riequilibrio degli assetti socioeconomici, con funzione sociale della proprietà, perseguibile attraverso una realistica ‘teoria dei conflitti’,

-       D - i compiti dei credenti (e - un po’ meno - anche degli altri uomini di buona volontà[E]) per conseguire tali obiettivi tramite una versione espansa della carità, che include educazione, comunicazione, pratica sociale ed infine “buona politica”.

 

Nello sviluppo, assai dettagliato, di tali direttrici, segnalo e riassumo (spesso con parole mie) i seguenti passaggi:

 

 

I DIRITTI FONDAMENTALI: SENZA FRONTIERE

 

A – richiamando i contenuti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’ONU (1948), l’Enciclica insiste soprattutto sul concetto di “diritti senza frontiere”, per rendere effettivi tali diritti universalmente, cioè, malgrado l’esistenza delle frontiere; da ciò:

- la dignità di tutte le persone e di tutte le culture, comprese quelle periferiche e ancestrali; in diversi passi del testo si cerca di contemperare l’importanza delle identità culturali di partenza – contro ogni astrazione di cosmopolitismo – con la positività dell’apertura al confronto, al diverso, alla evoluzione sociale;

- il diritto a non emigrare, bensì allo “sviluppo integrale”, con opportunità economiche locali che oggi non sono garantite dai mercati, per cui necessitano opportuni interventi degli stati; e nel contempo il diritto a emigrare (finché non saranno date tali condizioni); e verso i migranti è dovere “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”.

Ed ancora il diritto al lavoro, che conferisce dignità e fa partecipi della cura del pianeta, e non solo all’assistenza, che è comunque necessaria nelle emergenze.

Infine, nel condannare la pena di morte, l’Enciclica richiama anche la dignità umana del colpevole, compreso il peggiore degli assassini.

 

 

L’AUSPICIO DI UN NUOVO ORDINE INTERNAZIONALE

 

B – l’Enciclica ritiene necessarie vigorose rettifiche al processo di globalizzazione: proprio perché “il mondo è di tutti”, ogni nazione è corresponsabile, ed in particolare le più ricche devono farsi carico dei problemi di quelle più povere (ad esempio accogliendo i migranti ed aiutando gli sviluppi endogeni, anziché sfruttarne le risorse approfittando del sostegno di regimi corrotti); a maggior ragione sono inaccettabili rilevanti sperequazioni tra regioni di uno stesso Stato.

La strada da percorrere (o da rintracciare, perché si va perdendo in questi ultimi anni) è quella degli accordi multilaterali (e non di quelli bilaterali preferiti da Stati ed Imprese più forti), e meglio ancora se tramite la crescita di integrazioni a scala continentale, come quella europea, ed in parte quella sud-americana: nella direzione di “un ordinamento mondiale giuridico, politico ed economico” che “«incrementi e orienti la collaborazione internazionale verso lo sviluppo solidale di tutti i popoli»”

Con obiettivi minimi ineludibili quali la eliminazione della fame del mondo e della tratta neo-schiavi (e soprattutto delle neo-schiave), l’orizzonte non è quello della uniformità, bensì del pluralismo e della complementarità (esaltando la bellezza della “biodiversità culturale umana”: è meglio un “poliedro” che una liscia “sfera”).

“L’aiuto reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti. Un Paese che progredisce sulla base del proprio originale substrato culturale è un tesoro per tutta l’umanità. Abbiamo bisogno di far crescere la consapevolezza che oggi o ci salviamo tutti o nessuno si salva. La povertà, il degrado, le sofferenze di una zona della terra sono un tacito terreno di coltura di problemi che alla fine toccheranno tutto il pianeta. Se ci preoccupa l’estinzione di alcune specie, dovrebbe assillarci il pensiero che dovunque ci sono persone e popoli che non sviluppano il loro potenziale e la loro bellezza a causa della povertà o di altri limiti strutturali. Perché questo finisce per impoverirci tutti.”

In tale visione, Papa Francesco, esaltando – ancora a partire dalla carta dell’ONU – tutte le possibilità di dialogo diplomatico (e soprattutto di dialogo umano) e segnalando gli esiti negativi di tutti gli interventi militari (anche quando presentati come “umanitari”), propone un definitivo superamento della teorie della “guerra giusta”, che pure era stata sistematizzata nei catechismi cattolici.

 

 

LA FUNZIONE SOCIALE DELLA PROPRIETA’ E LA GESTIONE DEI CONFLITTI

 

C -  riprendendo il Magistero dei suoi recenti predecessori, e soprattutto di Giovanni Paolo II [F] , Papa Francesco esplicita con vigore il principio della funzione sociale della proprietà, diritto che non va (più) considerato come “assoluto”, bensì “secondario”, subordinato al concetto “dell’uso comune dei beni creati per tutti”, che “è il «primo principio di tutto l’ordinamento etico sociale»” ed “è un diritto naturale, originario e prioritario”.

lo sviluppo non dev’essere orientato all’accumulazione crescente di pochi, bensì deve assicurare «i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle nazioni e dei popoli». Il diritto di alcuni alla libertà di impresa o di mercato non può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri; e neppure al di sopra del rispetto dell’ambiente, poiché «chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti».

In questa prospettiva, le “…capacità degli imprenditori, che sono un dono di Dio, dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso delle altre persone e al superamento della miseria, specialmente attraverso la creazione di opportunità di lavoro diversificate.”

Mentre ogni individuo deve comprendere che non è possibile esaudire ogni suo desiderio, senza calpestare desideri e interessi degli altri.

 

L’Enciclica non entra nel dettaglio delle riforme da apportare alla governance delle imprese oppure alle politiche pubbliche di fisco e welfare, promuove invece un metodo “artigianale” per costruire la pace sociale, non ignorando i conflitti tra i diversi interessi, ma partendo proprio dalla consapevolezza di tali conflitti (insiti nelle attuali ingiustizie, ma anche nelle necessarie riforme).

Papa Francesco indica come l’egoismo sociale innesca violenza e rivolte, e sia invece doveroso costruire nuovi assetti attraverso un dialogo in cui gli oppressi e gli ultimi possano divenire protagonisti, con la loro dignità ed il loro linguaggio.

Pur elogiando la mitezza, la “gentilezza” e la capacità di ascoltare e comprendere i punti di vista degli avversari, Papa Francesco – diffidando degli accordi superficiali e delle “false tolleranze” – invita a sopportare i “conflitti inevitabili”, dentro i quali però occorre anche “schierarsi”.

“Siamo chiamati ad amare tutti, senza eccezioni, però amare un oppressore non significa consentire che continui ad essere tale; e neppure fargli pensare che ciò che fa è accettabile. Al contrario, il modo buono di amarlo è cercare in vari modi di farlo smettere di opprimere, è togliergli quel potere che non sa usare e che lo deforma come essere umano.

Perdonare non vuol dire permettere che continuino a calpestare la dignità propria e altrui, o lasciare che un criminale continui a delinquere. Chi patisce ingiustizia deve difendere con forza i diritti suoi e della sua famiglia, proprio perché deve custodire la dignità che gli è stata data, una dignità che Dio ama.”

(Non ho trovato nel testo esortazioni alla applicazione letterale del motto evangelico di “porgere l’altra guancia).

(Non mi è chiaro quanto gli insegnamenti di Papa Francesco sulla gestione dei conflitti siano applicabili nei confronti della guerra, quando è il nemico a minacciarla o condurla contro di noi).

 

 

IL “CHE FARE” PER I CREDENTI (E PER GLI UOMINI DI BUONA VOLONTA’)

 

D – Per quanto riguarda più specificamente il comportamento dei volonterosi (più o meno credenti), l’Enciclica prende le distanze da quei “…credenti che pensano che la loro grandezza consista nell’imporre le proprie ideologie agli altri, o nella difesa violenta della verità, o in grandi dimostrazioni di forza.” Viceversa “…l’amore implica … qualcosa di più che una serie di azioni benefiche. Le azioni derivano da un’unione che inclina sempre più verso l’altro considerandolo prezioso, degno, gradito e bello, al di là delle apparenze fisiche o morali. L’amore all’altro per quello che è ci spinge a cercare il meglio per la sua vita. Solo coltivando questo modo di relazionarci renderemo possibile l’amicizia sociale che non esclude nessuno e la fraternità aperta a tutti.”

Fraternità che va oltre il rispetto per la libertà degli altri e l’equità sociale.

“La solidarietà si esprime concretamente nel servizio, che può assumere forme molto diverse nel modo di farsi carico degli altri. Il servizio è «in gran parte, avere cura della fragilità. Servire significa avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo». … “il servizio guarda sempre il volto del fratello, tocca la sua carne, sente la sua prossimità fino in alcuni casi a “soffrirla”, e cerca la promozione del fratello. per tale ragione il servizio non è mai ideologico, dal momento che non serve idee, ma persone».

Solidarietà … è pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. è anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. è far fronte agli effetti distruttori dell’impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari».

Pertanto nel ragionamento papale i compiti dei volonterosi si stemperano nei ruoli che l’Enciclica assegna:

- da un lato ai suddetti “movimenti popolari” (che sono “poeti sociali”, che fanno politica non “verso i poveri”, ma “con i poveri” e “dei poveri”)

- e d’altro lato alle istituzioni ed alla “buona politica” (che riconosce nel popolo “persone” e non solo voti o individui; la politica – con tutti i rischi del caso - può essere una “forma altissima di carità”, e “…anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza”): il che ci rimanda a quanto da me riassunto nei punti B e C.

(Ometto, per motivi di spazio le indicazioni papali relative alla educazione, alla comunicazione, all’informazione).

 

Più specifici per i credenti mi sembrano gli appelli alla “gentilezza” ed al “perdono”, che è scelta auspicabile, ma personale, e mai può essere imposto, tantomeno in una forzata “riconciliazione generale, pretendendo di chiudere le ferite per decreto o di coprire le ingiustizie con un manto di oblio. Chi può arrogarsi il diritto di perdonare in nome degli altri?”.

In particolare da mai dimenticare la shoah; ma anche hiroshima e nagasaki; e lo schiavismo“ e tanti altri fatti storici che ci fanno vergognare di essere umani. Vanno ricordati sempre, sempre nuovamente, senza stancarci e senza anestetizzarci.”

 

APPELLI, PREGHIERE E CITAZIONI FINALI

 

Nel rammarico che “al processo di globalizzazione…” manchi “…ancora il contributo profetico e spirituale dell’unità tra tutti i cristiani”, Papa Francesco nel finale invita alla collaborazione tra tutte le religioni: “i credenti hanno bisogno di trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri. Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che pensano diversamente. […] Perché tanto più profonda, solida e ricca è un’identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare contributo». Come credenti ci vediamo provocati a tornare alle nostre fonti per concentrarci sull’essenziale: l’adorazione di dio e l’amore del prossimo, in modo tale che alcuni aspetti della nostra dottrina, fuori dal loro contesto, non finiscano per alimentare forme di disprezzo, di odio, di xenofobia, di negazione dell’altro. La verità è che la violenza non trova base alcuna nelle convinzioni religiose fondamentali, bensì nelle loro deformazioni.”

 

Su questi temi infatti l’Enciclica si conclude con il testo dell’appello concordato con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con un rimando – come da me già  anticipato in premessa - all’ispirazione tratta da “San Francesco d’Assisi, e anche da altri fratelli che non sono cattolici: Martin Luther King, Desmond Tutu [G], il mahatma Gandhi e molti altri”, nonché da Charles de Foucauld; seguono due originali preghiere di stampo ecumenico e fraterno.

 

 

DUE NODI CRITICI: RELATIVISMO E RUOLO DEI NON-CREDENTI; E UNA POSTILLA “UTOPISTICA”

 

Con tutto il rispetto dovuto all’autorevole Autore, mi permetto di esporre le seguenti osservazioni (oltre a quelle spicciole sopra segnalate:

-       l’Enciclica si dichiara esplicitamente contraria al “relativismo”, anche se in materia religiosa abbassa di molto la soglia di esclusivismo della fede cattolica, partendo dal Concilio Vaticano 2° (e, mi pare, anche dal Cardinal Martini):  “la Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni, e «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che […] non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» “; contro il “fissismo etico …i principi morali fondamentali e universalmente validi possono dar luogo a diverse normative pratiche”

Altrove, in campi più laici, afferma che “nessuno potrà possedere tutta la verità”, ma più volte indica la “verità” (storica oppure ‘sociale’), come cardine per la costruzione degli auspicati percorsi di pace e di coesione.

Personalmente mi trovo un po’ smarrito in questa polarizzazione, tra apparente oggettività della “verità” e benedizione del pluralismo, che risale al dibattito tra Socrate e i Sofisti (e poi giù giù nei secoli fino a Maurizio Ferraris e  Gianni Vattimo) ed a mio avviso richiederebbe una precisazione (forse solo linguistica) che non si limiti a condannare in toto il “relativismo”, salvo applicarlo di fatto, e proprio in materia di Fede;

-       Mi lasciano perplesso inoltre le affermazioni “Come credenti pensiamo che, senza un’apertura al Padre di tutti, non ci possano essere ragioni solide e stabili per l’appello alla fraternità. Siamo convinti che «soltanto con questa coscienza di figli che non sono orfani si può vivere in pace fra noi». Perché «la ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità»”.

Se storicamente è vero che della triade illuminista “libertà-uguaglianza-fraternità” quest’ultima ha avuto la peggio nel concreto affermarsi dei regimi, sia borghesi sia socialisti, maturati dopo le rivoluzioni francese nel 1789 e russa nel 1917 (ma anche la storia della cristianità fino ad allora non risulta troppo evangelica, come riconosce la stessa Enciclica, facendo autocritica per schiavismo, colonialismo e fondamentalismo), mi pare che invece frammenti di vera fraternità si siano palesati sia nella complessa storia del movimento operaio sia nella più recente storia delle Organizzazioni Non-Governative e del volontariato laico (Medici-Senza-Frontiere, Emergency, Oxfam, ecc.).

Né credo che sia impossibile fondare tale fraternità laica su un piano strettamente teorico (vedi Bertrand Russel, Danilo Dolci, oppure un “religioso agnostico” come Aldo Capitini).

 

Da ultimo, come redattore di Utopia21, prendo atto che l’Enciclica usa raramente la parola “utopia” ed esclusivamente come sinonimo di “desiderio socio-politico impossibile da realizzare”.

Nel frattempo invece considero il testo di Papa Francesco – al di là della divergenza linguistica – come altamente utopico (o se si vuole profetico), ma nel senso di quella “utopia realizzabile” di cui si occupa questa rivista.

[av1] 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Papa Francesco 1° - LETTERA ENCICLICA “FRATELLI TUTTI” DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA FRATERNITÀ E L'AMICIZIA SOCIALE - http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html

 



[A] Nicola I (nono secolo) e Pio XI (quest’ultimo in una esaltazione del ruolo dei politici, malgrado parlasse nel 1931, in pieno Fascismo).

[B] Il sottotesto, ad uso del confronto esplicito o sotterraneo dentro la Chiesa cattolica, potrebbe essere. ‘Se non l’avete ancora capito, il discorso evangelico è questo, ed in piena continuità’.

[C] Il che, assieme alla vantata frequentazione dell’Iman del Cairo e all’apertura alle coppie omosessuali, aumenterà probabilmente l’impopolarità di papa Francesco in tali settori del ‘popolo cristiano’.

 

[D] Su questi aspetti si sviluppa il contributo di Mario Agostinelli, in questo stesso “speciale” di Utopia21, novembre 2020

[E] Riprendo questo argomento nel mio commento, all’ultimo paragrafo

[F] Papa Francesco mostra un certo stupore per quanto poco sia stata compresa questa posizione di Papa Giovanni Paolo 2°: personalmente credo che una evidente priorità di Karol Wojtyla all’abbattimento del comunismo (sia quello reale, sia il movimento che – ad esempio in America Latina – tentava di “abolire lo stato delle cose presenti”) abbia distolto l’attenzione dall’elaborazione teologica sui limiti della proprietà; ben più efficace mi sembrò quel Papa nel messaggio di opposizione alla guerra, soprattutto USA&C. contro Irak.

[G] Manca invece Nelson Mandela.


 [av1]

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