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giovedì 19 novembre 2020

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2020: ALDO SCHIAVONE E IL PROGRESSO

 Una rapida storia della specie umana e delle sue trasformazioni biologiche, tecnologiche e socio-politiche, che ne evidenza il contraddittorio “progresso”, con i rischi e le potenzialità aperte in questo presente e futuro. Con una post-fazione sulla Pandemia.

 

”Progresso”1 di Aldo Schiavone è un testo breve, scritto in modo chiaro e brillante, che – dopo aver puntualmente rievocato la “recente” parabola della stessa idea di progresso, emersa dal Rinascimento all’Illuminismo e magnificata ed infine avversata attraverso le vicende del Novecento - riepiloga l’intera storia della specie umana, dagli albori biologici (non ne ripercorro le tappe in questa recensione), e ne ricava infine la constatazione di un effettivo, duplice e contradditorio, progresso (progresso da un punto di vista esclusivamente umano, non certo di altre specie):

-       l’evoluzione, sia genetica che culturale, che ha modificato le condizioni materiali di vita, accelerando negli ultimi secoli e decenni fino ad una trasformazione tecnologica sempre più rapida e pervasiva, tale da lambire artificialmente la stessa struttura genetica, perché “siamo sul punto di staccare completamente la vita dell’umano dalla naturalità della specie”;

-       le faticosa rincorsa del pensiero (religioso, filosofico, politico) e delle organizzazioni socio-politiche nel controllare, gestire e governare tali trasformazioni, valorizzandone comunque l’intima umanissima natura di scoperte potenzialmente utili al vivere civile.

 

Secondo l’Autore, “lo scompenso che stiamo vivendo … è il rovesciamento speculare di ---  quanto accaduto nella storia dell’antichità greco-romana, dove fu invece la tecnica a ristagnare e rimanere indietro [1], rispetto all’esplosione … di altri saperi” ecc.; fino a costituire un “… primato schiacciante dell’io interiore e del legame politico … sugli aspetti materiali dell’esistenza”; mentre  “una gerarchia rigidissima di ruoli e di funzioni … era indispensabile, nelle condizioni produttive delle società antiche per … poter assicurare almeno ad alcune ristrette minoranze il tempo e le risorse necessarie per lo sviluppo di una cultura superiore…”.

 

Il che comporta una sorta di indiretta ‘giustificazione storica’ di schiavismo e maschilismo, perché per Schiavone solo il moderno livello di sviluppo delle forze produttive avrebbe determinato le condizioni per poter immaginare (ed in parte anche praticare) l’universalismo dei diritti.

 

In questa visione, esplicitamente orientata in senso “progressista” ma non lineare, anzi  aperta a considerare la dialettica di tutte le biforcazioni passate e presenti della evoluzione biologica e della storia, fenomeni come il nazismo e la Shoah, oppure il fallimento comunista, o ancora le tragiche applicazioni e le incombenti minacce delle armi nucleari, sono considerati come temporanee sfasature e prevalenze delle brute forze dello sviluppo tecnico, rispetto ad un umanesimo in affanno, che comunque ha saputo circoscriverli ed in parte superarli.

Infatti nel senso comune della stra-grande maggioranza dei contemporanei i deliri totalitari e razzisti sono da condannare, così come soprusi largamente condivisi in passato (colonialismo, e schiavismo), e le armi nucleari – di fatto - non sono più state usate dopo Hiroshima e Nagasaki.

 

Parimenti, secondo Schiavone, le principali problematiche di questi ultimi decenni, dalla globalizzazione alla crisi delle democrazie, fino al rischio climatico-ambientale (e pandemico, in una post-fazione aggiunta al testo già pronto all’inizio del 2020), non sono ineluttabili ed insuperabili, ma richiedono un salto di paradigma nel pensiero e nella prassi socio-politica, paragonabile a quello – elaborato in un paio di secoli – che si rese necessario per fronteggiare e umanizzare la “rivoluzione industriale”.

 

Meno convincente mi sembra il testo nel tentativo di delineare i contenuti di questa svolta, auspicabile, ma non scontata: se il pensiero dell’era industriale ha variamente elaborato come pilastri l’individuo liberale e la persona neo-cristiana (ripresi deformati nello stesso collettivismo socialista), occorrerebbe approdare, secondo Schiavone, ad una ”concezione impersonale”, che contempli alla radice sia l’io che il noi (un noi universalista e non localista), l’uomo e le altre specie ed il resto della natura: “L’economia globale, che rimane più che mai un modo dell’organizzazione capitalistica del mondo, e dunque essa stessa una forma storica destinata prima o poi a esaurirsi, esige, per potersi riequilibrare, di essere messa a confronto con una soggettività altrettanto globale: che non può essere costituita se non dall’impersonalità dell’umano nel suo complesso”.

 

“Un’impersonalità che si fa soggetto … - conclude Schiavone – ma che … deve costruire la propria soggettività soltanto per inclusione…”.

Primo corollario postulato dall’Autore è che sul delicato fronte della manipolazione genetica “..ogni ipotesi di modifica ereditariamente trasmissibile … possa essere presa in considerazione solo se fruibile, in condizioni di assoluta parità, da parte di tutto l’umano.”

 

Una ricerca che mi sembra assomigli a quella di papa Francesco sulla fratellanza umana e la cura del pianeta, oppure di Marc Auge’ verso il “planetarismo” 2,3, ed anche all’insegnamento dei grandi non-violenti, come Gandhi, M.L. King e Mandela (nonché l’attuale dibattito sull’etica della transizione, ben raccontato da Fulvio Fagiani su Utopia21 di settembre 4): ma non ho capito quanto aiuti in queste direzioni il nuovo concetto di “impersonalità”, che di primo acchito assume un sapore di fredda terzietà, piuttosto che di afflato fraterno.

 

Interessante mi è sembrata anche la post-fazione sulla Pandemia Coronavirus, in cui Schiavone, nel confutare la tesi secondo cui la presente pandemia deriverebbe dall’essere “andati troppo oltre nel sottomettere la natura alla tecnica”, rammenta che quando “la natura era intatta nella sua presunta sacralità, si moriva come mosche … massacri accettati dal senso comune come eventi inevitabili, ‘naturali’ “ …”l’esistenza quotidiana nelle campagne europee … era di una durezza spaventosa, anche senza epidemie. E quando queste si scatenavano – senza medici, senza ospedali, senza medicine, senza disinfezione, ‘senza tecnica’ – accadeva l’inimmaginabile”.

L’Autore non nega che “l’economia capitalistica – questa, non la tecnica in quanto tale – possiede intrinseci tratti rapinosi e predatori, che tendono a moltiplicare …squilibri e ferite sociali e ambientali di vastità imprevedibili”

Evidenzia però il valore che oggi si tende a conferire ad ogni singola vita, il che ci fa giustamente considerare insufficiente la capacità raggiunta di prevenire e curare (pur altissima rispetto ad un recente passato, dalla Spagnola all’Asiatica).

L’Autore pertanto auspica una adeguata collaborazione mondiale per elevare tali livelli, ma coglie anche il costituirsi di embrioni positivi, sia nella cooperazione internazionale tra medici e scienziati, sia nella – seppur contraddittoria – condivisione dei “protocolli” di comportamento da parte delle istituzioni e delle popolazioni dei diversi paesi.

 

aldovecchi@hotmail.it

 

 

Fonti:

1.    Aldo Schiavone – PROGRESSO – Il Mulino, Bologna 2020

2.    Marc Augé - UN ALTRO MONDO È POSSIBILE - Torino, Codice edizioni, 2017

3.    Aldo Vecchi – UN ALTRO MONDO È POSSIBILE, PER MARC AUGÈ – SU utopia21, GENNAIO 2028 - https://drive.google.com/file/d/15pVwRQGfv1YgVwfggi8FofhkUeQZY8qx/view.

Fulvio Fagiani – DIBATTITO SULLA TRANSIZIONE ETICA – su UTOPIA21, settembre 2020 - https://drive.google.com/file/d/1XdZ4VyLAywGkHbQI0XdgNGFIQXkRA9b5/view


[1] Il compito è impari, perché Schiavone proprio di storia antica è tra i sommi conoscitori, ma mi permetterei di avanzare il dubbio che “dopo l’introduzione della metallurgia” il mondo greco-romano NON sia entrato in una stasi tecnologica, anche se le classi dirigenti acculturate poco se ne occupavano (per lo meno negli scritti a noi rimasti): mi riferisco alle trasformazioni riscontrabili nell’archeologia – tra il V secolo avanti Cristo ed il IV dopo Cristo - nel modo di costruire (ne testimonia tra gli altri il Colosseo), di urbanizzare e colonizzare (acquedotti e fognature; ponti e strade), di manipolare e conservare gli alimenti (vedi ad esempio la cittadella operosa di Baelo Claudia, per produrre dal pesce atlantico il ‘garum’ per la metropoli romana), di navigare e di  commerciare (vedi la complessità delle vestigia archeologiche di Ostia).

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