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domenica 28 novembre 2021

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2021: INTERVISTA AD ADRIANO FANCHINI: 40 ANNI TRA SIAI E AGUSTA

 

INTERVISTA AD ADRIANO FANCHINI:

40 ANNI TRA SIAI E AGUSTA


Con riferimento alle altre interviste attinenti al movimento operaio nella zona “insubrica” che abbiamo pubblicato su Utopia21 1, l’esperienza di Adriano Fanchini come operaio e sindacalista nel gruppo Agusta (che ha assorbito anche gran parte della storica SIAI Marchetti); e anche nei suoi rapporti con il territorio e l’ambiente.

 

D. = domanda

R. = risposta

In corsivo i commenti più personali

 

D. LaTua esperienza di lavoro (e anche di sindacalista) tra Siai Marchetti ed Agusta è durata quarant’anni…

 

R. Sì, ho iniziato a lavorare giusto 50 anni fa, nel novembre 1971, e sono rimasto nell’azienda di Vergiate, fino al 2011 (tranne un breve periodo in aspettativa, in cui ho fatto il funzionario del Partito Comunista)

 

D. Prima hai seguito un percorso scolastico?

 

R. Sì, all’Istituto Tecnico Industriale, prima a Borgomanero e poi nella nascente sezione staccata di Arona, dove eravamo solo una classe, isolata in un condominio, con mezzo laboratorio nel sottoscala: una situazione poco stimolante, che forse ha contributio a farmi smettere dopo 2 anni (anche per motivi di famiglia): ma mi resta il rammarico di non aver proseguito

 

D. Erano anni di movimento tra gli studenti, anche a Borgomanero e ad Arona?

 

R. Sì, in alcuni mesi si faceva soprattutto sciopero… Già da prima ero iscritto alla Federazione Giovanile Comunista, a Castelletto Ticino, ma il confronto con i “movimenti” apriva la mente a nuove prospettive, allora  non c’erano steccati, nei paesi tra PCI e altri gruppi di sinistra: ad Arona c’erano rapporti e anche contrasti con le altre scuole (al Liceo c’erano anche studenti di destra)

 

D. Ma avete avuto contatti anche con le Marcelline (scuola magistrale femminile confessionale) ?

 

R. Una volta cercammo di fare un volantinaggio, ricordo che ero insieme a Tom Capuano1, e che i genitori delle allieve non erano particolarmente contenti….

 

D. E’ stato difficile farsi assumere alla SIAI?

 

R. No: bastava compilare una domanda, e tagliarsi i capelli, perché alla Direttrice del Personale non andavano i”capelloni”.

 

D. Allora la SIAI era in espansione?

 

R. Si, alla fine degli anni ’70 arrivò ad avere 3.000 dipendenti, la maggioranza a Vergiate, circa 1000 a Sesto (dove c’erano anche gli uffici della Direzione), 400 tra Borgomanero (meccanica) e Malpensa (assitenza) e inoltre quasi 300 nel distaccamento in Libia, per gli ottimi rapporti commerciali con il Gheddafi di allora

 

D. Perché poi arrivò la crisi della SIAI?

 

R. Penso soprattutto per motivi politici, di strategie dei gruppi di potere nelle “Partecipazioni Statali”: il gruppo Agusta, con cui la SIAI già collaborava per gli elicotteri, non aveva interesse per l’ala fissa, ed i modelli di aerei da addestramento della SIAI, di oggettiva miglior qualità, non riuscirono a soppiantare nelle forniture all’Aviazione italiana qeulli dell’AerMacchi. Il gruppo dirigente SIAI stava con il PSI, quello AerMacchi con la Dc, e vinse la DC. Si può anche dire, però, che la tecnologia SIAI sta per avere una rivincita postuma, perché il parco progetti e le migliori mestranze sono state assorbite dalla Macchi di Venegono, ed il prossimo modello Macchi che userà l’Aviazione (comprese le Frecce Tricolori) assomiglierà tremendamente al fantasma del SIAI S211…

 

D. Tornando al Tuo ingresso in fabbrica, com’era il processo di formazione? Ti è servito qualcosa il biennio dell’ITIS?

 

R. In quegli anni la SIAI non si impegnava in una attività di formazione, perché con le sue migliori condizioni contrattuali e salariali, attraeva di fatto gli operai che si erano specializzati nelle piccole fabbriche della zona. Nel mio caso fui fortunato, perché mi misero al reparto Attrezzeria, dove c’era da imparare sul campo dagli operai più anziani a fare operazioni delicate, dagli stampi alla carpenteria per le linee di produzione, perché allora l’azienda era abituata ad essere autosufficiente, grazie alla altissima professionalità di questi “maestri”, tra cui vorrei ricordare soprattutto Romano Zeni, di Sesto Calende…

 

D. Persona molto conosciuta e apprezzato anche fuori dalla fabbrica: con gli altri del gruppo Anziani Siai ha ottenuto che – in un territorio ormai privo di grandi fabbriche – la “Sirena della SIAI” continui a suonare alle 7.55 dei giorni feriali

 

R. La sento anch’io da Castelletto: quando lavoravo mi pesava un po’, perché al mattino si ha anche voglia di dormire, ma adesso è quasi un buon ricordo.

 

D. Ti ho interrotto sulla formazione…(aggiungo per i lettori che invece, nei decenni precedenti, la SIAI si era distinta per i suoi corsi di disegno, anche serali)

 

R. Il lavoro in Attrezzeria, ma anche in Modellistica (modelli in legno dei pezzi di aereo o di elicottero, che poi le macchine rilevavano e in parallelo riproducevano, ad esempio, sull’alluminio), era fondato sul disegno, sulla conoscenza dei materiali (l’aeronautica per forza di cose doveva stare all’avanguardia nella ricerca) e poi anche sulla manualità; quel po’ di disegno tecnico e di esercitazioni in officina con la lima dell’ITIS mi sono anche tornate utili; poi, per esempio, a saldare ho imparato guardando i saldatori che realizzavano i nostri “attrezzi”. Tutto questo è poi cambiato dagli anni ’90, sia per l’introduzione delle macchine a controllo numerico e di materiali come il carbonio e il titanio, sia per le scelte di Agusta, che preferisce esternalizzare gli stampi e quant’altro a imprese esterne, di fatto controllate dal gruppo, e che costituiscono parte dell’ “indotto aeronautico” della nostra zona, molte imprese con elevate certificazioni di qualità. Io però ero ormai passato al “Controllo Qualità” (anche lì imparando da colleghi anziani di altissima competenza).

 

D. Qual’era il panorama politico-sindacale dei dipendenti SIAI negli anni ’70?

 

R. La maggioranza erano aderenti alla FIM-CISl, un po’ perché venivano da territori dominati dalla Democrazia Cristiana, e un po’ per il prestigio dei sindacalisti FIM, anziani che venivano dalla tradizione della Commissione Interna (aggiungi che nel dopoguerra una parte dei quadri della FIOM era stata allontanata per motivi politici, a partire da Albino Caletti,il “Capitano Bruno”; anche mio padre, Mario, da operaio SIAI era passato a fare il sindacalista per la Camera del Lavoro di Novara, e poi per diverse categorie della CGIL). Alla FIM aderiva anche un gruppetto, che allora si era formato, di Avanguardia Operaia. Poi con il ricambio generazionale e l’ingresso di molti giovani, come me, la FIOM divenne maggioritaria (anche se curiosamente una parte della UILM era costituita da iscritti al PCI…): c’era l’importantissima novità dello Statuto dei Lavoratori e la fondazione dei Consigli di Fabbrica.

 

D. E anche Tu sei stato eletto delegato?

 

R. Si, dopo qualche mese; successivamente sono entrato anche nell’Esecutivo (perché il Consiglio intero contava una cinquantina di delegati); e a volte andavo a tenere assemblee nelle piccole e medie aziende della “zona Laghi”

 

D. Anche in SIAI si svilupparono le conquiste degli anni ’70?

 

R. Sì, a mio avviso furono anni di trasformazioni rivoluzionarie, come l’abolizione del cottimo, che era ancorato a tempi di lavorazione assurdi, punitivi per la media degli operai, e però talora invece dannosi per la effettiva produttività, come riuscimmo a dimostrare all’azienda.

E riuscimmo invece ad impostare una seria contrattazione collettiva sul cosiddetto “inquadramento unico”, rivedendo mansioni e “carriere”: allora i Delegati avevano un monte-ore, che si distribuivano (e se le ore non bastavano, il Consiglio si riuniva dopo la giornata di lavoro), ma così continuavano a lavorare nei reparti in contatto con i lavoratori…

 

D. Allora sì, dopo: meno?

 

R. Secondo me le attuali Rappresentanze Sindacali Unitarie hanno perso questo contatto, i Rappresentanti sono distaccati a tempo pieno e gestiscono contrattazioni individuali, ad esempio per i passaggi di livello, per garantirsi il consenso elettorale, quasi una specie di voti di scambio…

 

D. Ti ho interrotto sulle conquiste degli anni ‘70

 

R. Altra battaglia fondamentale, anche sotto l’aspetto umano e  culturale, fu il superamento dell’indennità per lavorazioni nocive, che “monetizzava” la permanenza dei lavoratori in ambienti malsani e pericolosi: costringemmo la SIAI a rifare come si deve i reparti verniciatura e incollaggi, con tutte le aerazioni  necessarie ed i controlli sulla salute.

 

D. Ma poi questa spinta si è interrotta…

 

R. Penso che nella seconda metà degli anni ’70 sia improvvisamente divenuto centrale il tema del terrorismo, anche prima del sequestro Moro: pure in SIAI ci furono alcuni episodi di sabotaggio, a macchinari ed a prodotti, ed un attentato incendiario ad una automobile di un dirigente, che per fortuna andò a fuoco senza esplodere e innescare altri effetti a catena. La preoccupazione del Consiglio di Fabbrica era quella di isolare i fiancheggiatori del terrorismo (collaborando anche con la Direzione) e sviluppare la battaglia politica e culturale per la difesa delle istituzioni democratiche, senza dimenticare la dialettica sindacale e gli interessi dei lavoratori. Ma non fu facile, e da lì si spezzò in qualche misura il legame tra la sinistra parlamentare e una parte dei lavoratori.

 

D. Anch’io come militante di sinistra, di fronte al sequestro Moro ebbi l’impressione che in qualche modo le Brigate Rosse ci avessero privato della possibilità di continuare la lotta poilitica, nei termini in cui si svolgeva prima.

 

R. E’ una impressione che condivido. Tutto fu poi più difficile anche per il Partito Comunista: Berlinguer, che a mio avviso aveva detto cose giustissime sulla “austerità”, si trovò nelle strettoie della nuova alleanza tra DC e PSI e di battaglie giuste ma impossibili come la vertenza FIAT del 1980. Poi però, con la sua morte, subimmo anche il peso di non avere dei leader alla sua altezza (in parallelo penso che abbia pesato dall’altra parte la perdita di Moro come guida autorevole e intelligente): dopo la transizione di Natta, Occhetto sollevò speranze, ma si rivelò una delusione

 

D. La prima di molte?

 

R. Forse: d’altronde dall’altra parte si affermò il “C.A.F.” con Craxi Andreotti e Forlani…

 

D. E poi Berlusconi…Tornando alla SIAI, vorrei raccontarTi un’esperienza personale: tra il 74 ed il 76 frequentavo abitualmente i cancelli della Siai, sia a Sesto che a Vergiate, per “fare intervento politico” per Lotta Continua (che alla IGNIS era presente all’interno), con scarsi risultati in generale (stante la forte affezione degli operai Siai all’azienda e/o al PCI e sindacato), tranne due episodi, uno di forte attenzione, quando esponemmo una mostra sulle condizioni abitative di molti operai (legata a rivendicazioni specifiche sulle case popolari) e l’altro invece quando distribuimmo un volantino contro l’industria bellica, che fu particolarmente malvisto…

 

R. All’inizio degli anni ’70 la condizione abitativa di molti operai era ancora drammatica: ricordo un gruppo di immigrati da Salerno che vivevano a Vergiate in una specie di dormitorio, ed al sabato venivano a lavarsi ai Bagni Pubblici di Castelletto.

Sulla questione dell’industria bellica, come sindacato abbiamo spinto più volte per la priorità a modelli di aeromobili per uso civile [1], ma se prevaleva il contrario non c’era quasi nessuno in grado di rifiutarsi: ricordo solo un “intermedio” (figura contratuale tra l’operaio e l’impiegato) che si dimise dal posto di lavoro su questo tema, perché era un testimone di Geova, molto coerente con la sua fede

 

D. Verso la conclusione dell’intervista, vorrei chiederTi un po’ dei Tuoi rapporti con il territorio, a partire da Castelletto Ticino, e del Tuo impegno per l’ambiente, anche fuori dalla fabbrica

 

R. Sappiamo tutti quanto ora la situazione generale sia difficile, per l’intero pianeta. A livello locale si è fatto qualcosa, e personalmente me ne sono occupato, oltre che come “utente” dei boschi o del lago e del fiume, come Consigliere e Assessore Comunale e anche come Assessore del Parco Ticino (piemontese). Per esempio si è fatto molto per le acque, già dagli anni ’70, con il piano regionale dei depuratori per l’area dei laghi (in ritardo invece sulla sponda lombarda del Lago Maggiore), e in qualche misura per l’aria o la fauna: ma poi scappano disastri come quella dei cinghiali (a mio avviso per colpa degli stessi cacciatori) o parimenti dei “pesci siluro”, che saranno scappati da qualche laghetto artificiale e ora scorazzano da padroni nelle acque del Ticino

 

D. E le dolenti note dell’urbanisitca e del consumo di suolo (che ho anche misurato di persona,  come tecnico del Comune di Castelletto nel biennio cruciale 1979-81)

 

R. Certamente ci sono stati errori storici nel governo del territorio, anche da parte della sinistra, tra il dopoguerra ed il 1980: ma proprio negli anni ’70 si era aperta una discussione positiva, in particolare quando era assessore Franco Paracchini 1, per un miglior controllo di fenomeni come gli insediamenti lungo la Statale del Sempione. Però il rovesciamento delle alleanze da parte di un nuovo gruppo dirigente del PSI, portò al comando una coalizione di interessi, con effetti devastanti, non solo sul Sempione, ma anche con la disseminazione di “zone miste”, sparpagliate nelle campagne, con fabbrichette e villette. A guardar bene, la devastazione fu ancora più grave per il bilancio comunale, che dopo un decennio di scelte sbagliate (ad esempio il mancato “secondo depuratore”, con tutte le opere di collettamento, da buttar via perché avrebbe inquinato le sorgenti dell’acquedotto, oppure l’impianto di compostaggio progettato all’insaputa dei consiglieri comunali e dei cittadini) si concluse con debiti fuori bilancio per 1,7 miliardi di Lire. Cosicchè la sinistra tornò in Giunta, con un pezzo di Democrazia Cristiana, per metterci le pezze, vendendo addirittura la farmacia comunale e tornando faticosamente in pareggio. E sull’urbanistica un po’ meno peggio, con molti buoi ormai scappati: ma ho l’impressione che anche la prossima revisione del Piano Regolatore sia attesa per soddisfare alcuni appetiti immobiliari…

 

 

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.    Aldo Vecchi – INTERVISTE SUL MOVIMENTO OPERAIO (IN AREA INSUBRICA) – Quaderno 30 di Utopia21, ottobre 202

https://drive.google.com/file/d/16AV33_pkUzHgGoUwDYgSrsYvsIURfWjU/view?usp=sharing



[1] La SIAI aveva già vissuto dal 1945 una difficile fase di riconversione radicale da industria bellica a produzioni civile (le più disparate: imbarcazioni, vagoni ferroviari), imposta anche dal trattato di pace dopo la rovinosa sconfitta del nazi-fascismo: riconversione che comportò anche il licenziamento di numerosi lavoratori, gestito all’inizio dallo stesso Consiglio di Gestione uscito dalla Resistenza. Sulla vicenda ho raccolto fonti orali (ad esempio i primi a stare a casa erano quelli meno poveri, perché possedevano almeno una mucca), ma non ho trovato una ricostruzione storica adeguata, che invece meriterebbe, come la vicenda dei vetrai di Sesto Calende 1

 

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