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domenica 28 novembre 2021

UTOPIA21 - NOVEMBRE 2021: ALCUNE OSSERVAZIONI SUL TESTO DaD DI ANTONIO BALISTRERI

 

ALCUNE OSSERVAZIONI SUL TESTO DaD

DI ANTONIO BALISTRERI


Il testo DaD di Antonio Balistreri (in “Solitudine Digitale”, con Fulvio Fagiani)1 squaderna ampiamente le problematiche relative alla Didattica a Distanza (DaD) e della Didattica nell’Era Digitale (DED?), ma trascura a mio avviso le peculiarità degli apprendimenti relativi alla sfera manuale-pratica-artistica (ed anche ginnica-corporale), che già tradizionalmente nella scuola hanno un ruolo marginale e che sono risultati evidentemente compressi e snaturati nella DaD (anche oltre il più generale sacrificio degli aspetti di socializzazione ed interazione fisica ed emotiva che la DaD ha comportato).

 

Mentre mi pare che vada meglio indagato in qual modo tali apprendimenti possano trasformarsi – positivamente o negativamente – in un ambito Digitale, modalità di trasformazione che evidentemente è diversa da quella che coinvolge frontalmente gli apprendimenti di tipo teorico, per i quali la navigazione in Internet e la immensa disponibilità di fonti scritte ed audio-video può avere un impatto assai rilevante: il copia-incolla può portare alla facile compilazione di un nuovo testo, od alla applicazione risolutiva di formule e algoritmi, ma non altrettanto alla esecuzione (conforme oppure creativa) di gesti ed azioni (tanto in campo ginnico quanto in campo tecnico oppure artistico), pur facilitabili da video tutoriali e da altri strumenti digitali di elaborazione e di auto-correzione.

 

La questione degli apprendimenti manuali-pratici-artistici (e ginnico-corporali) mi sembra importante, tanto quanto un approccio induttivo nella ricerca di norme linguistiche e di leggi scientifiche[A], perché dovrebbero essere gli elementi specifici di una didattica di tipo maieutico, soprattutto nel tentativo di cogliere le potenzialità – spesso nascoste – di consistenti minoranze di allievi (non necessariamente coincidenti con quelli con un retroterra familiare di minor scolarizzazione), che risultano o sembrano refrattari alla ‘normale’ disciplina scolastica, e che attraverso il ‘gancio’ di una propensione o passione specifica possono essere coinvolti in una più generale affezione all’apprendimento.

La maieutica, che Balistreri – con il nome di “classe rovesciata” – propone come correttivo[B] alla didattica tradizionale per affrontare la problematica del contesto digitale che ormai pervade gli allievi[C], nella mia esperienza personale era già apparsa comunque come una alternativa sostanziale e superiore: non mi riferisco solo alla vicenda universitaria, che ho raccontato con Anna Vailati nel recente articolo “Architettura Milano 1968-71, ecc.“, ma anche ai miei precedenti studi liceali, di cui ho dimenticato molto, ma non le poche occasioni di approccio “sperimentale”: quali un assistente di fisica che – previa colletta tra gli studenti per ammortizzare il possibile esito  negativo – lanciava una noce contro una finestra postulando la rottura della noce anziché  del vetro, ed una prova a sorpresa di biologia, in cui dovevamo ipotizzare la causa di una antica epidemia, sulla scorta di una descrizione giornalistica dell’epoca su sintomi e condizioni al contorno.  

 

Al di là delle mie personali predilezioni, e mettendo comunque in guardia sulle difficoltà della maieutica, quali:

-       la maieutica per pochi, come quella da noi sperimentata nella “Sperimentazione della Facoltà di Architettura di Milano al 1968, di fatto escludente per molti discenti,

-       la maieutica che riflette pedissequamente il pensiero del Docente (difetto che ho purtroppo constatato, ad esempio, in un filmato su Danilo Dolci, da lui stesso promosso; pur con tutto il rispetto dovuto al Maestro in questione),

mi pare che il vero problema sia come una didattica rovesciata divenga possibile per una scuola di massa (dove a mio avviso è quanto mai necessaria, proprio per l’eterogeneità degli allievi, come sopra accennato, e per il soverchiante contesto digitale, come suggerisce Balistreri): perché ritengo che comporti un forte impegno quantitativo e qualitativo di docenti preparati e di altre risorse al contorno, da quelle umane (docenti di sostegno individuale ed assistenti di gruppo, che potrebbero essere insegnanti in formazione) a quelle materiali (non solo interfacce digitali, ma – per l’appunto – laboratori per attività manuali-pratiche-artistiche (anche musicali, teatrali, ecc.) e spazi per motricità ginnico-sportiva-coreutica: meglio se connessi ad una seria rivisitazione dell’alternanza scuola-lavoro, a mio avviso finora male applicata e ingiustamente bistrattata dagli ‘umanisti elitari’, ovvero ‘quelli che il Classico…’).

 

Ne vedo cioè un motivo specifico in più per rivendicare risorse per il sistema pubblico di formazione: all’opposto della rassegnazione alla scuola tradizionale cui sembra orientata la presentazione pubblicitaria del testo di Mastrocola e Ricolfi “Il danno scolastico” (che francamente non ho letto e difficilmente leggerò per un consolidato pregiudizio avverso al secondo autore): “L’istruzione democratica, facile e di scarsa qualità nata per salvare i più deboli allarga il solco tra ceti alti e bassi” . Ci si può battere invece per una “istruzione democratica”, ma di alta qualità?

 

aldovecchi@hotmail.it

Fonti

1.    Antonio G.Balistreri e Fulvio Fagiani – SOLITUDINE DIGITALE. DAD E SMART WORKING. IL FUTURO DEL DIGITALE A SCUOLA E AL LAVORO – Asterios, Trieste 2021 - Il libro è acquistabile in libreria e può essere scaricato dal sito www.volantiniasterios.it, al prezzo di 3€, in formato pdf non protetto, liberamente distribuibile.

2.    Anna Maria Vailati e Aldo Vecchi - FACOLTÀ DI ARCHITETTURA, MILANO, 1968-1971: LE 2 UTOPIE CHE ABBIAMO ATTRAVERSATO – su Utopia21, settembre 2021 https://drive.google.com/file/d/1y-1G9dVnwBCyJJ3HVBYm8aU_mNSrmAzz/view?usp=sharing

 



[A] In proposito, mi sembra riduttiva l’affermazione di Balistreri – “Pensiero è soltanto quell’attività mentale che procede in modo lineare e logico-deduttivo”

[B] Non ho ben compreso se complementare od alternativo, nel testo di Balistreri; in ambedue i casi la funzione correttiva affidata da Balistreri al docente come ‘pilota della navigazione in Internet’ nella parte finale del testo mi pare che smentisca l’affermazione iniziale, un po’ categorica, su Internet come ‘mezzo che condiziona l’uso’

[C] Non intendo banalizzare la rivoluzione digitale, che probabilmente nella formazione e trasmissione del sapere costituisce una svolta di portata paragonabile alle precedenti introduzioni della scrittura e poi della stampa: però mi permetterei di segnalare anche il ripetersi – prima di Internet, ma in determinate condizioni storiche – di alcuni “archetipi sociali”, quali l’autodidatta seriale ma de-strutturato (vedi in Jean Paul Sartre “La nausea”, 1938), lo studente facoltoso ma svogliato (il “Giovin Signore” di Giuseppe Parini, secolo XVIII) ed il banale “studente scopiazzatore” (ora facilitato dalla funzione “incolla”: prima era costretto a sussumere in parte i testi trascrivendoli), che tutti noi abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.

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