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venerdì 21 gennaio 2022

UTOPIA21 - GENNAIO 2022: PIKETTY RITORNA CON UNA BREVE STORIA DELL’UGUAGLIANZA

 

Le nuove accentuazioni del pensiero di Piketty, dalle solide basi statistiche storiche agli auspici di un nuovo socialismo mondiale

 

Sommario:

-       analisi storica

-       alternativa possibile

-       una questione di metodo

-       breve commento

 

 

Dopo i grandi successi di “Il capitale nel XXI secolo”1 e “Capitale ed ideologie”2 Thomas Piketty ha pubblicato nel 2021 un volume più agile, “Breve storia dell’uguaglianza”3 (di poco più di 200 pagine), con cui sostanzialmente conferma le sue analisi e proposte, pertanto rimando alle precedenti recensioni4,5 per i principali contenuti, limitandomi a commentare gli aspetti che risultano più innovativi.

 

Nella sua nuova opera Piketty sposta l’accento, in senso “ottimistico”, sulla tendenza di fondo verso un minor divario sociale, da fine Settecento in qua (pur con i peggioramenti degli ultimi decenni), e quindi inserisce nel titolo l’uguaglianza e non le disuguaglianze.

Tale tendenza all’uguaglianza, assai differenziata nel tempo e nello spazio, non risulta quasi mai essere il frutto di una pacifica evoluzione, bensì l’effetto di lotte e conflitti, guerre e crisi, sempre attraverso bivi e biforcazioni tra i diversi esiti storici possibili.

 

 

ANALISI STORICA

 

Nella descrizione storica, che ancora una volta raccomando per la chiarezza didascalica, qui incrementata dalla brevità del testo, oltre alle consuete periodizzazioni ed ai consueti raffronti geografici sulla stratificazione di ricchezza e povertà, sono focalizzati in particolare:

-       la grande tratta transatlantica degli schiavi e la conseguente accumulazione di capitali (e di sofferenze) nel continente americano, tra la latitudine del Brasile e quella del Sud degli USA, con epicentro ad Haiti e nelle Antille Francesi (Guadalupa, Martinica) ed Inglesi (Giamaica, Barbados), dove furono ammassati oltre 1 milione di schiavi (il doppio di USA e Brasile assommati), con una concentrazione attorno all’80% della popolazione insediata in tali isole; con la conseguente facilità delle rivolte, le prime innescate dalle speranze nella Rivoluzione Francese a fine ‘700: a seguire la repressione napoleonica e borbonica, fino all’accordo del 1825, che scaricò però sulla neonata Repubblica di Haiti gli enormi costi degli indennizzi ai proprietari degli schiavi (debito rimasto in capo agli Haitiani per oltre un secolo); simili indennizzi furono sopportati invece, per i territori inglesi, dal debito pubblico della stessa Gran Bretagna (per alcuni decenni) e furono ipotizzati negli USA, ma poi cancellati dagli esiti della guerra di Secessione (lasciando però di fatto gli ex-schiavi in balia dei loro padroni); d’altronde in Prussia, Austro-Ungheria e Russia l’affrancamento dei “servi della gleba nel corso dell’Ottocento fu pagato di fatto in parte dagli stessi servi “liberati”.

-       i grandi flussi finanziari derivanti dallo sfruttamento coloniale, che al di là della retorica della “civilizzazione”, contemplava da un lato il mantenimento dell’apparato pubblico coloniale – oltre che tramite i lavori forzati - con le risorse fiscali locali (soprattutto imposte indirette, gravanti su tutti i colonizzati, anche i più poveri) e con benefici riservati più ai colonizzatori (es. scuole superiori) che non ai colonizzati (esclusi, ad esempio, da tali scuole), e dall’altro l’estrazione di profitti da parte delle compagnie private, trasferite nei mercati finanziari delle “madre-patrie” (con accumulazioni di surplus che indussero, tra l’altro, alla prima guerra mondiale): flussi nell’ordine tra il 5% ed il 10% del reddito nazionale di Francia ed Inghilterra, sempre ad esempio, tra fine Ottocento ed inizio Novecento;

-       la riduzione della polarizzazione delle ricchezze, ed ancor più dei redditi, nei paesi ricchi, tra inizio del Novecento e seconda metà del secolo, sia pure con controtendenze (soprattutto negli USA) dopo il 1980, con la formazione di una "classe media patrimoniale” (che possiede la propria abitazione e qualcosa di più) e si colloca tra il 10% più ricco (che detiene gli assetti finanziari ed il relativo potere) ed il 50% più povero;

-       le caratteristiche talvolta impreviste ed imprevedibili delle ‘svolte’ sociopolitiche, non meccanicamente derivabili dalle preesistenti condizioni, oggettive e soggettive, e non solo per le improvvise accelerazioni indotte da eventi traumatici come le guerre: ne sono esempio da un lato le accelerazioni ugualitarie in Svezia, a cavallo della prima guerra mondiale, cui la Svezia non ha però partecipato, a partire da una situazione consolidata di forte impronta classista (ad esempio i diritti di voto proporzionali al censo, per cui in alcuni comuni un solo proprietario poteva decidere contro tutti gli altri concittadini), e d’altro lato le politiche drasticamente ridistributive sui patrimoni attuate nella Francia post-bellica, sia dopo il 1918, sia dopo il 1945, in ambedue i casi da parte di maggioranze politiche di destra o di unità nazionale (analogamente importanti indirizzi della Germania Federale negli anni ’50, pur a governo democristiano). Senza trascurare però – in tutti questi frangenti – il peso incombente della pur remota Rivoluzione Russa e del susseguente regime sovietico.

 

 

ALTERNATIVA POSSIBILE

 

L’Autore ipotizza che nel XXI secolo stiano maturando le condizioni per vigorose correzioni egualitarie verso forme di socialismo (democratico, partecipato, federale, ecologista e “meticcio”), ma mette in guardia contro attese deterministiche, che si fondino sulla sola pressione dei movimenti, ritenendo invece rilevanti ed indispensabili

-       sia l’attenzione agli aspetti politico-istituzionali dei conflitti,

-       sia il contributo teorico sui possibili assetti alternativi rispetto all’attuale sistema capitalistico (anche riguardo alla variante più statalista ed autoritaria della Cina “comunista”).

Evidenziando come tali proiezioni siano necessarie sia per rendere credibile l’alternativa stessa (contro l’inerzia del “non c’è alternativa”), sia per fugare il ricordo dei fallimenti del sistema centralista sovietico.

 

I capisaldi del pensiero di Piketty sull’orizzonte di questa nuova “Società giusta” sono gli stessi del 2020 (vedi a pag. 10 delle mia recensione 5), ovvero:

-       accesso universale all’istruzione ed al welfare, con uso solo ‘tattico’ delle quote a protezione delle minoranze (per non irrigidire i fenomeni identitari)

-       tassazioni iper-progressive su redditi, patrimoni e successioni, nonché sui consumi carbonici (con effetti positivi anche sullo sviluppo, come nel secondo dopoguerra),

-       assegnazione di una dote ereditaria minima a tutti i cittadini (al 25° anno di età),

-       partecipazione maggioritaria dei lavoratori (direttamente o tramite fondi mobiliari) alla direzione delle grandi e medie imprese, con limitazioni all’influenza dei singoli (grandi) azionisti,

-       riforma anti-plutocratica del finanziamento ai partiti e del controllo sui media.

Attorno a questo schema, che comporta “uno smantellamento graduale dell’economia di mercato” (pag. 144 e 148)[A], il nuovo testo approfondisce soprattutto:

-       la crescita di un settore pubblico-sociale nei settori istruzione, sanità, trasporti, energia,

-       l’assunzione garantita dei giovani, istruiti dal sistema formativo pubblico, in imprese pubbliche, sociali o private (tali garanzie rafforzano anche più in generale il potere contrattuale dei lavoratori dipendenti),

-       il confinamento delle piccole imprese private negli ambiti artigianato commercio e turismo,

-       modalità di diritti crescenti per i lavoratori stabili e per gli inquilini rispetto alle proprietà di aziende ed immobili.

 

Inoltre – allargando meglio le proprie visioni ad una scala mondiale – Piketty ipotizza una trasformazione dell’assetto internazionale del commercio e della finanza, con l’assegnazione automatica ai paesi poveri di gran parte dei proventi dell’auspicata tassazione sulle imprese multinazionali (in aggiunta agli aiuti degli stati ricchi e delle Organizzazioni non Governative) ed una certa dose di “sovranismo solidale” per correggere – anche in senso eco-climatico –  le storture della globalizzazione e dei ”trattati ineguali” (quelli che riservano condizioni di favore ai paesi ricchi ed alle multinazionali),

Trattati, sostiene Piketty, che vanno superati oppure stracciati, per una indispensabile discontinuità con i restanti retaggi neo-coloniali, che porti anche i Paesi Poveri ad una capacità di entrate fiscali (transnazionali e locali) tali da poter assicurare la formazione di “stati sociali”, con spesa pubblica vicina al 50% del reddito nazionale, come avviene per i paesi ricchi (mentre i bilanci attuali dei paesi poveri galleggiano attorno al 10-15% del PIL, come erano gli stati occidentali ai tempi dell’Ancient regime); capovolgendo le spinte liberiste del “Washington consensus” degli ultimi decenni (privatizzazioni dei servizi e libero scambio ad oltranza);

Il riequilibrio internazionale (inteso anche come grande risarcimento per le rapine del colonialismo e dello schiavismo, e declinato in funzione della ’giustizia climatica’) andrebbe perseguito anche attraverso nuove forme di rappresentanza parlamentare “transnazionale”, che in precedenza Piketty aveva proposto per l’Europa e qui tende a trasporre a scala più globale, a mio avviso in termini ancora alquanto fumosi.

In tali orizzonti, l’Autore affronta anche i temi della moneta e del debito, oscillando a mio avviso – tra una prospettiva lineare di ‘gestione sociale’ delle banche centrali, che potrebbero emettere moneta con una certa allegria (come già stanno facendo nell’ultimo decennio, però a beneficio dello ‘stato di cose presente’), avendo come unico limite pragmatico i pericoli di inflazione, ed una prospettiva più conflittuale di abbattimento dei debiti, similmente a quanto accaduto a seguito dei traumi bellici del 1914-18 e del 1939-45, attraverso inflazione, svalutazioni, imposizioni straordinarie (oltre agli effetti diretti delle distruzioni belliche).[B]

 

 

UNA QUESTIONE DI METODO

 

Nel presentare le sue tabelle ed i suoi grafici, spesso assai comunicativi anche senza attingere ai testi correlati, in cui le variabili socio-economiche sono ripartite per segmenti ‘astratti’ della popolazione (l’1% oppure il 10% più ricco; il 50% oppure il 10% più povero, ecc.: “decili” e “centili”) l’Autore esplicita e motiva le proprie preferenze in favore dell’analisi – di volta in volta – su singoli indicatori semplici (ricchezza, reddito, imposte, flussi finanziari internazionali, istruzione, ecc.), perché immediatamente ‘parlanti’, nella battaglia politica e comunicativa, rispetto agli indicatori composti su cui si fondano invece il BES (indice di Benessere Equo e Solidale) e gli obiettivi ONU 2030.

Preferenza su cui concordo volentieri, richiamando i dubbi da me espressi commentando per l’appunto le ricerche sul BES 6 e le elaborazioni dell’ASviS 7 sui Goals ONU 2030.[C]

 

 

BREVE COMMENTO

 

Tanto Piketty conferma le sue ipotesi, quanto mi pare necessario ribadire le mie valutazioni critiche, per il cui sviluppo esteso rimando alla recensione del 2020, salvo esplicitare quanto segue:

-       l’Autore richiama qua e là le tematiche ecologiche e climatiche, ma mi pare che manchi di cogliere il nesso tra la grande vicenda dello sviluppo industriale e della connessa parziale riduzione delle disuguaglianze ed il grande contestuale saccheggio delle risorse naturali del Pianeta terra, a partire dalle energie fossili; ed anche in prospettiva mi sembra che si accinga ad auspicare una equa de-carbonizzazione, senza affrontare il tema del limite delle risorse e le problematiche della biodiversità;

-       nel suo testo rimane sostanzialmente eluso il nodo della soggettività e della organizzazione dei movimenti che potrebbero condurre alle radicali riforme delineate e dettagliate: tanto nei Paesi Ricchi quanto nei Paesi Poveri;

-       in particolare non ho letto nessuna valutazione sulle basi sociali di massa delle pericolose tendenze sovraniste in atto in Occidente (ed anche altrove) ed ho invece riscontrato una superficiale constatazione della sconfitta del Trumpismo, il cui persistente radicamento nella società americana a mio avviso invece costituisce una serissima preoccupazione (a proposito di ‘bivi e biforcazioni’);

-       analogamente il pur pregevole tentativo di analisi del peculiare assetto capitalistico con permanenze stataliste del regime cinese mi pare che sfumi nell’inconsistente auspicio che a sfidarlo non sia l’attuale Occidente Plutocratico, bensì l’atteso Socialismo Partecipato Democratico Federale Ecologista Meticcio (e se invece a sfidarlo – o ad imitarlo - fosse il peggior sovranismo populista?).

 

aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1.    Thomas Piketty – IL CAPITALE NEL XXI SECOLO – Bompiani, Milano 2014

2.    Thomas Piketty – CAPITALE E IDEOLOGIE – La Nave di Teseo, Milano 2020

3.    Thomas Piketty - BREVE STORIA DELL’UGUAGLIANZA - La Nave di Teseo, Milano 2021

4.    Aldo Vecchi - PIKETTY: IL CAPITALE NEL XXI SECOLO (E PRECEDENTI).

su UTOPIA21, novembre 2017 –

https://drive.google.com/file/d/1WZmz9PbHh5jhkCufdzqQM05Ud4MNDalq/view

5.    Aldo Vecchi - THOMAS PIKETTY TRA CAPITALE E IDEOLOGIE – su UTOPIA2, settembre 2020 https://drive.google.com/file/d/1N8EnkPrDH9NuGemC1iTv-B7CVzaxqWYr/view?usp=sharing

6.    Aldo Vecchi - IL B.E.S. COMPIE 10 ANNI (MA PASSA INOSSERVATO) – su UTOPIA21, maggio 2021 –

https://drive.google.com/file/d/1BBIzX56j7zfpCfH_W6aYVJFLUPrvFjGK/view?usp=sharing

7.    Aldo Vecchi - I RAPPORTI ASVIS 2020 E I TERRITORI – su UTOPIA21, marzo 2021- https://drive.google.com/file/d/1ah-wVbDE_u-1DBMIet-ouSfLvoZnCB6-/view?usp=sharing

8.    https://urbanpromo.it/2021/urbanpromo-green/partecipare/

 



[A] In “Capitale e ideologia”2 Piketty si proponeva invece solo (e più coerentemente?) di “superare il capitalismo e la proprietà privata”, affidando di fatto ancora un ruolo importante al “mercato”.

[B] Manovre storiche, talora più inique, segnala l’Autore, come per l’impoverimento dei piccoli risparmiatori francesi, altre più eque, come nel caso della ricostruzione in Germania Ovest negli anni 50, con correttivi appostiti proprio per i piccoli risparmiatori e con la clemenza degli altri Paesi occidentali sui debiti di guerra – a differenza dagli anni ’20 - ; e spesso con una corrispondenza ‘sociale’ tra perdite e guadagni, come nel caso del blocco degli affitti, che impoverisce la proprietà, ma contemporaneamente arricchisce l’inquilinato.

[C] Dubbi che ritrovo rafforzati dopo aver seguito in differita le sessioni di UrbanPromo 2021 8 gestiti dalla SIEV, Società Italiana di Estimo e Valutazione, in cui prevalgono le costruzioni di matrici multifattoriali (talora affiancate da tentativi di trovare corrispettivi monetari ai valori di uso di carattere sociale), quasi che la sofisticatezza delle elaborazioni ne costituisse garanzia di scientificità.

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