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sabato 28 maggio 2022

UTOPIA21- MAGGIO 2022: L’ALBA DI TUTTO, SECONDO GRAEBER E WENGROW

 

“Una nuova storia dell’umanità” è il sottotitolo ed è l’ambizione del saggio “L’alba di tutto” di Graeber e Wengrow: con pretesa di ricavarne nuove prospettive di “libertà” antagonistiche ai moderni Stati. Stimolanti, a mio avviso, ma non pienamente convincenti.

 

 

Sommario:

-       premessa

-       il dispotismo cerealicolo non era un passaggio obbligato

-       la variabilita’ delle trasformazioni tra paleolitico e neolitico

-       le liberta’ fondamentali

 

 

PREMESSA

 

David Graeber, antropologo americano di cui già ho recensito importanti testi sul debito e sulla democrazia 1, è prematuramente scomparso nel 2020, poco prima della pubblicazione del saggio “L’alba di tutto – una nuova storia dell’umanità” 2, realizzato, nel corso di dieci anni di ricerche e confronti, con l’archeologo inglese David Wengrow.

L’intreccio delle rispettive competenze ha spinto i due autori a riscrivere ex-novo la “storia dell’umanità”, soprattutto in contrapposizione allo schematismo delle interpretazioni lineari sulla successione evolutiva dal periodo paleolitico dei “cacciatori e raccoglitori” (secondo gli Autori anche “foraggiatori”) al periodo neolitico degli allevatori e coltivatori, e quindi sulla ineluttabilità del passaggio a società fortemente gerarchiche e centralizzate.

Tale schematismo, secondo i due David, è ampiamente superato da gran parte delle singole ricerche archeologiche (che si vanno estendendo a territori in precedenza non esplorati) ed antropologiche (finalmente più libere dagli stereotipi eurocentrici), ma la settorializzazione specialistica degli studiosi accademici li inibisce dal trarne le conseguenze generali.

 

Le vicende e le culture raccontate ne “L’alba di tutto” spaziano nei millenni e nei continenti, con una particolare predilezione per le Americhe pre-colombiane, spesso però per come sono state riferite dai coloni e in particolare dai missionari gesuiti, di frequente scandalizzati dai costumi indigeni, ma altrettanto curiosi e meticolosi nel riferire quanto tramandato nelle  memorie orali di quei popoli.

Il tramite della ‘penna occidentale’ riguarda anche il ‘pezzo forte’ del testo di Graeber&Wengrow , e cioè l’irridente confronto tra la ‘cultura francese’ e quella ‘wendat’ del “filosofo-statista” Kondiaronk (capo indiano del nord-est, ribattezzato letterariamente “Adario”), come narrata dall’esule ed ex–militare coloniale francese Louis-Armand Lahontan all’inizio del ‘700: Graeber&Wengrow comunque respingono il dubbio che nel “Dialogo curioso” tra Lahontan e Adario prevalga il pensiero del francese e che l’attribuzione al ‘selvaggio’ delle pesanti critiche all’ancien régime sia una opportunistica dissimulazione da parte di Lahontan, come in altri testi dell’epoca (come le più famose “Lettere persiane” di Montesquieu), ed anzi trasferiscono a Kondiaronk gran parte dei meriti dell’illuminismo (con particolare accanimento verso Jean Jacques Rousseau 3, bilanciato però da altrettanto accanimento verso Thomas Hobbes).

 

 

LA VARIABILITA’ DELLE TRASFORMAZIONI TRA PALEOLITICO E NEOLITICO

 

Nel ricco campionario sulla pluralità dei percorsi millenari di trasformazione delle culture e degli insediamenti pre-agricoli e/o protoagricoli (che non mi pare ragionevole riassumere analiticamente, data l’estensione del testo), gli Autori sottolineano tra l’altro:

-       l’abbondanza di risorse ‘spontanee’ disponibili per alcune popolazioni antiche, che non trova conferme per le poche tribù ‘selvagge’ sopravvissute ai nostri tempi (e quindi esaminabili in diretta dagli antropologi), perché sospinte ai margini dall’invadenza prima dei neolitici prevaricatori e poi dai ‘moderni’ colonizzatori;

-       la fluidità stagionale dei ruoli sociali in molte popolazioni semi-nomadi, che hanno centralizzazione e gerarchie per la stagione della caccia (o della guerra) ed invece dispersione e assenza di capi nella stagione più stanziale;

-       la differenziazione e talvolta la contrapposizione (ovvero “schismogenesi”) di costumi e organizzazione sociale tra ‘tribù’ contigue nei territori (e quindi nelle potenziali risorse) e di comune radice etnica: ad esempio dalla California a Nord si affiancavano popolazioni schiaviste ad altre decisamente anti-schiaviste (con in mezzo un gruppo semi-schiavista, un po’ pentito di avere un tempo soggiogato schiavi di pelle chiara, e che perciò individuarono nei feroci coloni bianchi il ritorno vendicativo delle loro antiche vittime…)

-       l’intreccio tra ascendenze familiari dirette e appartenenze a ‘clan’ intertribali, tali da consentire a singoli individui la migrazione protetta anche a lunghe distanze ed a favorire matrimoni esogamici, superando confini linguistici ed etnici;

-       la forte mobilità di singoli e gruppi, a scala continentale, connessa a motivi ludici e/o rituali;

-       la circolazione, anche a largo raggio, di oggetti di prestigio come “doni” (e non come scambio monetario) e la loro accumulazione, spesso sepolta nelle tombe e non ereditaria;

-       l’importanza di volta in volta del gioco e/o dello sport, dei banchetti e delle rappresentazioni teatrali, delle arti visive e delle accumulazioni dei suddetti beni prestigiosi, degli scontri bellici e talora dei sacrifici umani, nella formazione di èlites, spesso però non permanenti oppure sistematicamente oggetto di scherno per limitarne il consolidamento come ‘potere politico’;

-       un ruolo variabile delle donne, non sempre subalterne (in particolare vengono rivalutate alcune scoperte di Maria Gimbutas [A] sulle società matriarcali, pur circoscrivendole rispetto alle generalizzazioni imputate negli ultimi anni a tale studiosa)

-       la gerarchia delle sepolture, talora presente, ma spesso non corrispondente a ruoli di potere, bensì a qualità sciamaniche di corpi particolari o deformi.

In questi vari contesti sociali, l’agricoltura è spesso sperimentata, quasi ”per gioco”, con diversi casi di abbandono e ritorno alle pratiche di caccia e pesca, e raccolta di specie vegetali spontanee [B].

 

 

IL DISPOTISMO CEREALICOLO NON ERA UN PASSAGGIO OBBLIGATO

 

Passando alla preistoria neolitica-agricola e poi alle culture metalliche, i due Autori tendono ad evidenziare, in diversi continenti, il passaggio attraverso fasi non caratterizzate da una netta polarizzazione classista/autoritaria bensì dalla compresenza di organizzazioni collettive con assetti sociali relativamente egualitari, e talvolta con élites religiose prive di arricchimento ed accumulazione privata ed ereditaria: sia nelle fasi nascenti di talune culture (ad esempio nella Mesopotamia sumerica e pre-imperiale, nel Messico pre-Azteco, nell’area Andina pre-Incas, nella valle dell’Indo) sia in fasi post-rivoluzionarie, finora misconosciute come “periodi oscuri” o “ere intermedie”, come nell’Alto Egitto e nella Cina urbana di Taosi. 

 

Attraverso tali esempi, i due David tendono

-       da un lato ad evidenziare l’assenza di automatismi che colleghino le condizioni ambientali, materiali e colturali a specifici assetti socio-politici (e nel concreto a negare la coincidenza tra agricoltura cerealicola intensiva e dispotismo schiavistico)

-       d’altro lato a mettere in discussione il concetto di “stato”, che nella concezione contemporanea tende a retrodatare ed a cristallizzare “ab aeternum” la compresenza di tre elementi fondamentali, e cioè

o   il “monopolio dell’uso legittimo della forza coercitiva”, entro dati confini territoriali

o   la pervasività delle strutture burocratiche (connesse alla appropriazione centralizzata di informazioni e conoscenza)

o   la legittimazione del potere tramite “carisma”.

Elementi che invece, secondo gli Autori, nella lunga storia dell’umanità (ed anche nei secoli appena trascorsi) sono talora presenti solo parzialmente, ovvero uno o due di essi.

 

Prima di arrivare alle conclusioni, l’Alba-di-Tutto si sofferma a lungo sulle dinamiche insediative e socio-politiche del Nord America pre-colombiano, ed in particolare:

-       sulla cultura cerealicola e quasi-imperiale dei Cahokia nella valle del Mississippi, caratterizzata da enormi costruzioni con valenze rituali e con espansione/ripetizione ‘coloniale’ in territori limitrofi, il tutto però concluso e abbandonato nell’arco di tre/quattro secoli dopo il mille d.C., probabilmente per fughe liberatorie da parte dei sudditi e delle tribu’/clienti, tornate a pratiche pre-agricole o proto-agricole semi-nomadi negli ampli territori circostanti

-       sul complesso equilibrio delle popolazioni proto-agricole e ‘repubblicane’ del nord-est – tra cui il wendat Kondiaronk di cui sopra – popolazioni che hanno a lungo convissuto con bassa conflittualità ai margini delle prime colonizzazioni francesi e inglesi (prima del grande genocidio yankee), e contrassegnate da elevata complessità istituzionale (regolata da minuziose tradizioni orali e da una pratica di ampio confronto deliberativo), divisione del lavoro non classista e solidale, moderata propensione alla guerra (non quindi comunque una società pacifica ed egualitaria).

 

 

LE LIBERTA’ FONDAMENTALI

 

Dal raffronto tra queste due polarità etniche (che non si incontrarono, ma giunsero a scambiarsi prodotti simbolici), quasi un ideale passaggio di testimone, ‘all’indietro’ secondo i consueti schemi evolutivi, ed invece ‘in avanti’ nella lettura di Graeber e Wendrow, l’Alba-di-Tutto ricava una sorta di paradigma libertario, cui dovrebbero essere sottoposti gli assetti sociali, per interrogarli sul loro grado di accettabilità (che parrebbe accrescersi in un assieme di comunità locali autogestite e rette da ‘democrazia deliberante’, quella che cerca sempre l’unanimità e rifugge dalle votazioni a maggioranza [C]):

1 – “la libertà di allontanarsi dal proprio ambiente o di trasferirsi”

2 – “la libertà di ignorare gli ordini impartiti da altri o di disobbedire”

3 – “la libertà di plasmare realtà sociali inedite o di oscillare tra situazioni diverse”.

 

Prima di commentare nel merito le 3 singole libertà (e quindi l’assunto finale del testo), mi permetterei di rilevare che – diversamente dalle tre caratteristiche dello stato moderno, sopra esposte – questa triade non mi pare fondata su una equivalente base scientifica, bensì solo sulle deduzioni da limitati esempi storici, deduzioni controvertibili quanto le schematizzazioni contestate dagli Autori stessi alle precedenti “storie dell’umanità” fondate su pregiudizi “evolutivi”.

 

Quanto al merito delle 3 libertà, mi limiterei ad un paradossale constatazione: ammesso e non concesso che costituiscano un paradigma di valutazione condivisibile (perché non invece la triade “liberté, egalitè, fraternitè, con una fraternita estesa a tutti i viventi?), a me sembra che - in un contesto planetario di 7 miliardi di uomini, con quasi 200 stati “moderni” che includono il 90% dell’umanità, inquinando a man bassa, a fronte di rispettabili ma  sparute minoranze di “foraggiatori” -  il massimo effettivo delle 3 libertà si possa raggiungere dentro i meno peggiori tra gli stessi stati moderni (in Svezia ad esempio), dove:

-       c’è libertà di movimento a scala continentale (ed anche una moderata apertura alle immigrazioni, in condizioni paritarie); mentre mancano oggi, comunque ed ovunque, gli illimitati spazi delle praterie nordamericane prima di Colombo;

-       gli ordini cui obbedire sono definiti da leggi, spesso impugnabili in giudizio di costituzionalità; è talora riconosciuta l’obiezione di coscienza; le disobbedienze sono sanzionate solo in parte e con pene miti e contestabili in un tribunale indipendente dal governo;

-       plasmare realtà sociali inedite (od oscillare ecc.) può comportare qualche rischio di repressione, ma non è impedito alla radice; in particolare chi agisce per riconciliare l’uomo con la biosfera (cosa di più “inedito”) può trovare ascolto (es. Greta Thunberg) e forse anche speranza di successo, piegando allo scopo gli stessi “stati moderni” (chi altrimenti? Le sole comunità locali? 5).

 

Poiché però non credo che viviamo nel migliore dei mondi possibili, questo mio attacco frontale “per paradosso” non esclude che la ricerca storica e la critica antropologica allo “Stato” delle cose presenti possano apportare utili strumenti per modificare – anche conflittualmente -  le ingiustizie della modernità, dalle strutture capitaliste ai condizionamenti ideologici/informativi, dalla produzione energivora alla distruzione della biodiversità, dalla guerra alla alienazione quotidiana: soprattutto dimostrando che non esiste a-priori una sola soluzione possibile, e sperimentando “realtà sociali inedite” e comunità locali alternative deliberanti, ove opportuno disobbedienti.

Confermando le mie critiche alle precedenti opere di Graeber, dubito però che siano utili e praticabili su larga scala formulette rituali del tipo:

-       ‘fuga nomade’, che mi ricordano l’irresponsabilità maschile/adolescenziale ed a-sociale della Beat Generation più che non il matriarcato di Maria Gimbutas (vedi anche la mia recensione critica a Maffesoli 6);

-       ‘disobbedienza a prescindere’, che apre ad un movimentismo senza un serio confronto sui fini (ad esempio la salvezza ecologica dell’umanità oppure l’emancipazione delle masse dallo sfruttamento capitalistico);

-       ‘unanimità’, come unica forma di tutela delle minoranze (cui resta in alternativa la fuga nomade?), escludendo altre forme di dialettica democratica fondata sulla tolleranza del dissenso.

Formule che a mio avviso contraddicono la necessità primaria della responsabilità sociale e della solidarietà come base per effettive alternative.

 

Un’altra critica, più marginale, al libro di Graeber&Wendgrow, riguarda il modo sprezzante con cui – soprattutto nella parte iniziale – vengono trattati i portatori di diverse teorie, da  Yuval Noah Harari a Jared Diamond 7,8 (il quale per parte sua confessa apriori il proprio “schematismo”), oppure quanti di recente si agitano contro le disuguaglianze[D], tutti assimilati dagli Autori all’ipocrisia del Word Economic Forum di Davos, che si occuperebbe solo di una cosmesi redistributiva; mentre solo Graeber&Wengrow avrebbero capito che le differenze di reddito dipendono da differenze di ruolo e potere ecc., dimenticando così un paio di secoli di pensiero socialista e da ultimo trascurando il pensiero di Atkinson e Piketty 9, che invece a mio parere ben connettono le proposte di pre-distribuzione e ri-distribuzione con l’analisi dei meccanismi di dominio, di sfruttamento e di accumulazione.

 aldovecchi@hotmail.it

 

Fonti:

1.    Aldo Vecchi  – DEBITO E DEMOCRAZIA SECONDO DAVID GRAEBER – su Utopia21, luglio 2018 - https://drive.google.com/file/d/17H_Bf-dfnpmq4_9i49pFXkJimBhx4AVJ/view?usp=sharing

2.    David Graeber e David Wengrow – L’ALBA DI TUTTO. UNA NUOVA STORIA DELL'UMANITÀ – Rizzoli, Milano 2021

3.    David A. Bell - UNA STORIA DELL’UMANITÀ SCRITTA IN MANIERA IMPERFETTA – su Domani, 21 dicembre 2021 - https://www.editorialedomani.it/idee/david-graeber-david-wengrow-the-dawn-of-everything-libri-hq1sj7i

4.    Aldo Vecchi – AUTOCOSCIENZA DELL’ANTROPOCENE?  - su Utopia21, maggio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1EuYTGH_NXnuDREbrHnAtrG3dI0YMktti/view?usp=sharing

5.    Fulvio Fagiani - LA GLOBALIZZAZIONE E IL LOCALE – NOTE SU ‘PRINCIPIO TERRITORIALE’ DI ALBERTO MAGNAGHI – su Utopia21, marzo 2021 -

https://drive.google.com/file/d/1UZ3G8HpmYfkmB60RZ9owWH41juxDJGuW/view?usp=sharing

6.    Aldo Vecchi - IL NOMADISMO SECONDO MICHEL MAFFESOLI - http://aldomarcovecchi.blogspot.com/2014/10/il-nomadismo-secondo-michel-maffesoli.html

7.    Aldo Vecchi - "L’UOMO COME TERZO SCIMPANZÈ DI JARED DIAMOND” – su Utopia21, maggio 2017 - https://drive.google.com/file/d/1cqpyaJluVHss_C_9pxT49M5lyzxf3vgp/view?usp=sharing

8.    Aldo Vecchi - “ARMI ACCIAIO E MALATTIE” DI JARED DIAMOND” - su Utopia21, maggio 2017 - https://drive.google.com/file/d/1zMxsJNyg9GTYyMPR0CnTBGpQzWkFPoui/view?usp=sharing

9.    Aldo Vecchi - PIKETTY RITORNA CON UNA BREVE STORIA DELL’UGUAGLIANZA – su Utopia21, gennaio 2022 https://drive.google.com/file/d/1SiK8L0h64SYgiwNbwmxoeO72KD5ymzPf/view?usp=sharing

 



[A] (da Wikipedia) Marija Gimbutas (Vilnius, 23 gennaio 1921 – Los Angeles, 2 febbraio 1994) è stata un'archeologa e linguista lituana. Studiò le culture del neolitico e dell'età del bronzo dell’Europa Antica, espressione da lei introdotta. I lavori pubblicati tra il 1946 e il 1971 introdussero nuovi punti di vista nell'ambito della linguistica e dell'interpretazione della mitologia.

[B] Ciò smentisce una mia incauta e recente affermazione “non mi risultano significative retrocessioni alle culture paleolitiche” 4. Se di fronte agli esempi documentati da Graeber e Wengrow devo convenire che non vi sia ineluttabilità evolutiva verso il neolitico/agrario, la svolta mi sembra però confermata nei grandi numeri.

 

[C] Una simile regola, nei racconti raccolti dal solito religioso spagnolo e riportati da Graber&Wendrow, vigeva nella popolazione dei Tlaxcala, che discussero a lungo se appoggiare Cortes contro le prepotenze dell’impero azteco, favorevoli i giovani e contrari i più saggi anziani: la mediazione unanime infine raggiunta fu quella di ricorrere ad un espediente, ovvero invitare Cortes alla loro assemblea, ed ivi cercare di farlo assassinare da minori alleati, ‘scaricabili’ in caso di insuccesso, come poi avvenne. Ed avvenne quindi che Tlaxcala e alleati sconfissero gli Atzechi insieme a Cortes, e subirono poi la feroce dominazione spagnola nei secoli seguenti (festeggiando così le conseguenze del machiavellico unanimismo)

[D] Il disagio degli Autori rispetto all’egualitarismo deriva forse dalla carenza di esempi positivi nella galassia delle culture pre-agricole e post-agricole da loro valorizzate, in cui si arriva alla mancanza di dispotismo e di schiavismo, e ad una attenuazione del classismo, ma per lo più permangono altre differenze di condizione sociale, più o meno ereditarie: un orizzonte più anti-autoritario che socialista.

UTOPIA21 - MAGGIO 2022: AUMENTARE LE SPESE MILITARI?

 


Qualche approfondimento e qualche domanda, tra il realismo e le  utopie, del disarmo e dell’Europa

 

 

Sommario:

-       la svolta verso la maggior spesa militare

-       com’erano le previsioni di spesa prima della guerra

-       uno sguardo comparativo internazionale

-       alcune considerazioni e domande

 

 

LA SVOLTA VERSO LA MAGGIOR SPESA MILITARE

 

Nel dibattito improvvisato sull’aumento delle spese militari sono emerse valutazioni e posizioni che meritano qualche approfondimento.

Andando a ruota del governo tedesco (la cui decisione fa più notizia, sia per le dimensioni economiche del bilancio tedesco, sia per la peculiare ‘storia militare’ della Germania) il Governo Draghi ha enunciato la volontà di procedere, a partire dalla Legge Finanziaria per il 2023, ad elevare la spesa militare al 2% del Prodotto Interno Lordo nazionale, a fronte di un incidenza attuale assai inferiore (attorno all’1,4%).

Collegata emotivamente e propagandisticamente alla guerra di invasione della Federazione Russa in Ucraina, la tendenza alla maggior spesa – prontamente avallata da un voto parlamentare –  risponde anche a ripetute sollecitazioni da parte degli USA (in particolare già sotto la presidenza Trump) ad ottemperare ad un indirizzo assunto collegialmente dai paesi aderenti alla NATO nel 2014 (dopo l’annessione russa della Crimea), e successivamente ribadito nei successivi vertici NATO, con orizzonte al 2024.

 

Poiché l’impegno corrisponde a circa 10 miliardi di € annui in più (da 25 a 35), da reperire o tagliando altre spese (sociali?) o introducendo nuove tasse oppure ampliando ancora il debito nazionale, è evidente la preoccupazione, che ha colto anche qualche forza politica, all’indomani dell’ordine del giorno approvato dalla Camera dei Deputati quasi all’unanimità. Anche se nei giorni successivi si è parlato di diluire l’incremento fino al 2028 (pertanto con un aumento medio di 1,5 miliardi ogni anno per 6 anni, anziché di 5 miliardi in ciascuno dei prossimi 2 anni), l’incidenza della nuova spesa resta rilevante, come si verificherà nei prossimi mesi, redigendo la legge Finanziaria per il 2023.

Infatti il Documento di Economia e Finanza (DEF) per il 2023, appena varato dal Consiglio dei Ministri 1 (documento cui non compete di disaggregare già la spesa pubblica complessiva), non prevede sfondamenti né verso le tasse né verso il debito; e se la risoluzione con cui il Parlamento ha approvato il DEF tra il 19 e il 20 aprile apre la strada ad un ulteriore “scostamento di bilancio”, non accenna però a finalizzarla alle suddette spese militari, bensì a tutt’altro, dai pressanti impegni contro il caro-energia a generici indirizzi a favore di ricerca, imprese, lavoro, istruzione e sanità (nonché con specifici dettagli per una estensione del bonus 110% per le case unifamiliari) 2 .

 

 

COM’ERANO LE PREVISIONI DI SPESA PRIMA DELLA GUERRA

 

A fronte di molti disinvolti sostenitori del necessario adeguamento delle spese militari alla soglia del 2% di PIL che hanno cercato di minimizzare l’importanza della decisione con l’argomento “si tratta solo di rispettare impegni già assunti” [1], mi preme evidenziare che invece sono stati lo stesso Governo e lo stesso Parlamento, nella  recente approvazione della legge Finanziaria per il 2022, a trascurare platealmente tale impegno, confermando pressoché invariato l’importo delle spese per la “Difesa e sicurezza del territorio”, come si può leggere nel seguente estratto dalla Gazzetta Ufficiale 3 (cui vanno aggiunti altri 700-800 milioni dalla voce 32 “servizi istituzionali e generali delle amministrazioni pubbliche”, ma anche qui senza significativi aumenti nell’ambito del triennio 2022-2024). 

 

 

 

 

UNO SGUARDO COMPARATIVO INTERNAZIONALE

 

Sgomberato il campo dagli automatismi e dai “meri adempimenti di impegni pregressi”, si tratta di valutare l’opportunità e l’efficacia di questa decisione innovativa (che – come dicevo – appare quindi come una risposta alla crisi ucraina), in relazione ai propri criteri di giudizio, ma guardando anche al contesto internazionale delle spese militari.

A tal fine, attingendovi tramite Wikipedia 4, riproduco per estratto una tabella (con link all’intero), purtroppo aggiornata solo al 2009/2014, redatta dall’organismo indipendente svedese SIPRI [2], sulla spesa militare assoluta e sull’incidenza rispetto ai PIL dei singoli stati (sono comunque assai interessanti i rapporti annuali SIPRI 5,6):

 

 

 

Sempre da fonte SIPRI, rielaborata da ”Il Sole-24 ore” 7, riporto le seguenti stime, aggiornate al 2020 per i primi 10 Stati in ordine di spesa assoluta (in miliardi di dollari):

 

USA

766

 

ARABIA SAUDITA

55

CINA

245

 

FRANCIA

52

INDIA

73

 

GERMANIA

52

RUSSIA

66

 

GIAPPONE

48

REGNO UNITO

58

 

COREA DEL SUD

46

 

Rispetto al decennio precedente spiccano gli incrementi di Cina e India (nonché il valore assoluto degli USA).

 

I dati in esame richiedono alcune considerazioni generali (in parte rilevate dallo stesso SIPRI), del tipo:

-       probabilmente non tutti gli Stati mostrano uguale trasparenza nella classificazione delle proprie spese (e addirittura già nel calcolo del PIL),

-       mentre i prezzi degli armamenti moderni sono tendenzialmente omogenei nel quadro internazionale, così non è per il “soldo”, cioè per gli stipendi dei soldati, e pure per le spese generiche di vettovagliamento e approvvigionamento,

-       a parità di potenziale propensione pacifica di un singolo stato, le oggettive e soggettive esigenze di difesa variano a seconda del vicinato che si ritrova, ma anche della propria estensione e conformazione (l’Australia sembra messa meglio della Corea del Sud, ad esempio, come vicinato, e peggio come estensione),

-       anche se appare utile per svolgere confronti, la logica intrinseca della tabella (così come della direttiva NATO della spesa militare al 2% del PIL) è che più uno stato è ricco di PIL più può spendere per il suo esercito: logica obiettivamente alquanto “plutocratica”…

 

 

ALCUNE CONSIDERAZIONI E DOMANDE

 

Considerato quanto sopra, appare comunque abbastanza chiaro che – circoscrivendo il confronto a U.S.A., Federazione Russa e Stati Europei (quindi con prezzi abbastanza omogenei, da ‘nord del mondo’, anche se gli stipendi russi sono probabilmente assai più bassi, e quindi consentono più numerose truppe)  le singole nazioni europee, attorno al 2%, risultano come gusci di noce in mezzo a due ganasce di ferro (attorno al 4%): diversa sarebbe la valutazione sulle spese assolute (con l’intera Unione Europea oltre i 300 milioni, vicina agli USA e molto più alta della Russia), ma al momento l’Europa non ha (ancora) un esercito ed una politica militare comune (se non come NATO, e quindi subalterna alla oggettiva prevalenza americana).

 

Per questa volta pertanto non mi sono pertanto allineato con Papa Francesco, che ha prontamente stigmatizzato gli intendimenti di maggior spesa militare di Germania e Italia, ma senza rapportarli alla ‘concorrenza’ di amici e nemici (che già spendono più del doppio), mentre ho condiviso la successiva ‘rettifica’ (se si può ipotizzare che un papa si rettifichi…) di parziale comprensione del Papa verso gli Stati che si riarmano, e però si dimostrano prigionieri di una “logica caina”: cainismo da cui invece, dice il Papa (ed anch’io nel mio piccolo concordo) si deve uscire, riprendendo la difficile strada del disarmo.

 

Francamente in questo momento però non so da dove potrà riprendere la strada verso il disarmo, multilaterale e bilanciato [3]: mi piacerebbe che la pace - che ad un certo punto, prima o poi, subentrerà alla guerra in atto - possa costituire una fase di ripensamento complessivo dei rapporti internazionali (includendo una riforma democratica dell’ONU, senza diritti di veto per le antiche potenze); pace, disarmo e “governance globale democratica” che sono inoltre indispensabili per riprendere il cammino verso una equa transizione ecologica (e contrastare il disastro climatico/ambientale) 8,9,10,11,12; ma al momento, come mia personale speranza, mi accontenterei anche di quelle mezze paci (armistizi, tregue, cessate il fuoco) che salvano molte vite e rimandano le soluzioni a tempi migliori (possibilmente senza nel contempo umiliare ed opprimere la popolazione del paese aggredito, che è l’Ucraina).

 

Non credo nemmeno che per sperare nel disarmo futuro occorra passare da un immediato riarmo italo-tedesco.

Mi pare invece che la questione nazionale delle spese militari vada subordinata alla più complessa questione della Difesa Europea, che a sua volta richiede forse preliminarmente una svolta federale dell’Unione Europea, o almeno del suo nocciolo centrale, superando i diritti di veto dei singoli stati (a maggior ragione se nel frattempo l’Unione si allargasse ad Est, verso Ucraina, Moldavia e Georgia, e nei Balcani).

 

E che quindi come cittadini europei ci si debba chiedere (come già hanno fatto altri commentatori ed anche qualche politico [4] e come accennavo in precedenti articoli 13,14):

-       siamo disposti a cedere sovranità nazionale in materia militare?

-       cosa significa riorganizzare la politica di difesa in termini federali? (a spanne mi sembra spendendo di meno e non spendendo di più) [5]

-       una Difesa Comune Europea, ma per quali politiche?

-       l’Europa “ripudia la guerra”?

-       come si ripudia la guerra con vicini aggressivi (Russia) ed amici ingombranti (USA)?

-       e con partner/rivali quanto meno ‘enigmatici’ (Cina)?

Nonché: cosa c’entrano con la nostra sovranità (nazionale od europea) le basi “americane” (non della Nato, ma degli USA) tuttora presenti in Italia e Germania, potenze sconfitte nella lontana seconda guerra mondiale?

 

Senza rispondere a simili domande, mi pare che aumentare le spese militari dal 2023 (in ambito NATO) sia più che altro una scelta politico-simbolica di “fedeltà atlantica”: non so quanto deterrente verso l’aggressività russa, ma certamente assai proficua per il complesso industrial-militare, nazionale ed estero (e per noi varesotti, anche “locale”, vista la rilevante presenza in questo territorio di Leonardo/Agusta/Aermacchi).[6]

                                                                                                     

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.       https://temi.camera.it/leg18/provvedimento/il-documento-di-economia-e-finanza-def-2022.html

2.       https://ageei.eu/ecco-cosa-dice-la-risoluzione-di-maggioranza-al-def-approvata-alla-camera/

3.       https://www.mef.gov.it/focus/Legge-di-Bilancio-2022/

4.       https://it.wikipedia.org/wiki/Stati_per_spesa_militare

5.       https://www.sipri.org/sites/default/files/2021-10/yb21_summary_ita.pdf

6.       https://www.sipri.org/sites/default/files/2020-09/yb20_summary_ita.pdf

7.       https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/02/27/le-spese-militari-aumentate-del-93-nellultimo-decennio-paesi-piu-armati/

8.       Fulvio Fagiani - GOVERNARE IL SISTEMA TERRA – su Utopia21, maggio 2019  https://drive.google.com/file/d/1fQtaIqS6XXpc0yaH9HCXkk279X2IJVBV/view?usp=sharing

9.       Fulvio Fagiani – POLITICHE E GOVERNANCE PER LA SOSTENIBILITÀ - su Utopia21, maggio 2021 - https://drive.google.com/file/d/1v9fTpUR9vwy7BJKBPJUtfnZS6F7YCHMd/view?usp=sharing

10.    Fulvio Fagiani – LA DEMOCRAZIA E LA SOSTENIBILITÀ, COMPATIBILITÀ,     CONTRADDIZIONI -  su Utopia21, marzo 2022 - https://drive.google.com/file/d/14xa6xJXO8n37ld1NKlA36HldkX2fyBN8/view?usp=sharing

11.    Fulvio Fagiani – LA COSTITUZIONE DELLA TERRA DI LUIGI FERRAJOLI - su Utopia21, marzo 2022 - https://drive.google.com/file/d/11-wTOnt0VmFCwHVC52w7sna8ehCvj0Xc/view?usp=sharing

12.    Fulvio Fagiani – DISCUSSIONE (riferita ai 2 precedenti articoli) - su Utopia21, marzo 2022 - https://drive.google.com/file/d/1vAtOCUJizZRpOWrr0IoML8MYaieUk8a6/view?usp=sharing

13.    Aldo Vecchi  - LA CONSULTAZIONE SUL FUTURO DELL’EUROPA – su Utopia21, luglio 2021 https://drive.google.com/file/d/1Ctey-OLABoVDjzUKxt-gzSV1WOi2F9ze/view?usp=sharing

14.    Aldo Vecchi - GUERRA, PACE, AMBIENTE E NONVIOLENZA – su Utopia21, marzo 2022 - https://drive.google.com/file/d/1rniZaTobeyHCWvx-fQ5wx-HctLBKqs1W/view?usp=sharing

 



[1] Tra questi sostenitori mi ha colpito la presenza dell’on. Piero Fassino, che abitualmente mi pare più aderente alla realtà dei fatti.

[2] L'Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (IIRPS, in inglese Stockholm International Peace Research Institute, SIPRI)

[3] Vedi anche l’appello internazionale degli scienziati, promosso da Carlo Rovelli, per una riduzione multilaterale e progressiva delle spese militari (2% annuo), sfortunatamente lanciato appena prima dell’inizio delle “operazioni militari speciali” putiniane.

[4]  Romano Prodi, ad esempio, ha dichiarato: “Questi aumenti di spesa si fanno solo quando si è fatta una politica estera e di difesa comune. E sono molto preoccupato del fatto che la Germania abbia enormemente aumentato il suo bilancio. Fare prima questo e poi vedere chissà quando una politica europea comune è pericoloso. Ci allontaniamo dalla politica europea condivisa”.

[5] D’altronde in questa direzione si è pronunciato lo stesso Presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel corso della conferenza-stampa a Washington l’11 maggio, recependo – seppur ancora senza alcun atto formale – un orientamento trasversale maturato tra i partiti della maggioranza, dopo gli entusiasmi iniziali verso l’aumento delle spese comunque al 2% del PIL. Questo articolo è stato chiuso prima del dibattito parlamentare previsto per il  giorno 19 maggio 2022.

[6] A proposito di risvolti economici, tra i fautori della maggior spesa militare si sono distinti alcuni commentatori (non ricordo più chi su “La Repubblica”) che ne hanno esaltato le potenziali ricadute positive sia dirette (domanda interna) sia indirette (ricerca): ho in questo caso apprezzato, sempre su “La Repubblica” del 15 aprile, l’articolo di Tito Boeri e Roberto Perotti, che semplicemente contrappone l’ipotesi che ricadute assai maggiori s conseguano investendo direttamente in ricerca civile ed in spesa pubblica sociale.