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domenica 10 luglio 2022

UTOPIA21 - LUGLIO 2022: MANZINI: PROSSIMITA’ E CURA PER LA CITTA’ DELLE DISTANZE

 

MANZINI: PROSSIMITA’ E CURA

PER LA CITTA’ DELLE DISTANZE

di Aldo Vecchi

 

Il testo di Ezio Manzini “Abitare la prossimità – idee per la città dei 15 minuti” unisce il rigore teorico con la esemplificazione pratica della “innovazione sociale”: ma solleva grandi interrogativi (non solo miei)

 

Sommario:

-       i contenuti del libro

-       il dibattito alla “Casa della Cultura” di Milano

-       alcune mie ulteriori annotazioni

 

 

I CONTENUTI DEL LIBRO

 

Il testo di Ezio Manzini 1, semplice ma profondo, si incontra con il dibattito in corso sulla “città dei 15 minuti”, ma ‘venendo da lontano e guardando lontano’.

Il peculiare percorso dell’Autore, ingegnere e architetto, docente (emerito) al Politecnico di Milano ed altrove, che – partendo dalla tecnologia dei materiali – ha attraversato il disegno industriale, indagandone la sostenibilità ambientale ed approdando al “design dei servizi” ed al dialogo con le comunità innovative, può aiutare a spiegare il punto di vista ‘rifondativo’ con cui affronta i temi della città contemporanea, pur nutrendosi debitamente della bibliografia disciplinare di sociologi ed urbanisti.

Il testo procede in parallelo su due binari:

-       da un lato una analisi - di rigore ‘cartesiano’ - sui concetti generali di “prossimità”, “funzionale” e “relazionale” (geografica, sociale, cognitiva, organizzativa, istituzionale), e di “cura”, sanitaria e sociale, sullo sfondo degli spazi urbani contemporanei ed anche delle comunicazioni virtuali (queste poi approfondite in un “box” ed in un capitolo autonomo di Ivana Pais, che mette in luce le ambiguità relative alle ‘piattaforme’ telematiche);

-       d’altro lato la concretezza di esempi specifici di riqualificazione dei servizi e delle relazioni umane a scala locale, tra Barcellona e Milano, tra Parigi e l’Inghilterra (Southwark), formalizzate come “schede” (di cui due firmate da altri autori): esempi che sorreggono, sottraendola all’utopia, una proposta finale di metodo, “progettare in prossimità e per la prossimità”, da applicare sia agli spazi fisici – a partire dagli spazi collettivi – sia alle relazioni interpersonali e sociali.

 

Riassumo brevemente alcuni caratteri di tali esperienze di “innovazione sociale” assunte da Manzini come emblematiche:

-       le “Superilles” di Barcellona consistono innanzitutto in una riorganizzazione del traffico veicolare, aggregando a 9 a 9 gli isolati del ‘Plan Cerda’ e facendo scorrere solo all’esterno i percorsi a lunga distanza; con partecipazione popolare sul riuso degli spazi stradali ‘liberati’ dalle auto; e come base fisica per un decentramento sistematico dei servizi urbani e sociali (affiancati anche dai “Radars”, volontari di riferimento assistenziale);

-       Parigi tenta, in una situazione assai più complessa, di radicare lo slogan dei “15 minuti” in nuove istituzioni locali, tra cui le ‘portinerie di vicinato’ e i cortili delle scuole aperte al quartiere;

-       “Circle” di Southwark è una rete di assistenza per anziani e persone sole fondata sulla cooperazione, fallita e poi rifondata con un maggior sostegno pubblico; abbastanza simile è l’esperienza milanese di WeMi, che – con il sostegno di una fondazione bancaria - tende a intrecciare i servizi telematici civici con una rete di presidi decentrati (esercizi commerciali e/o sedi di associazioni)

-       “NoLo”, ovvero Nord Loreto, è un insieme di iniziative locali, stratificate a partire da una banale “pagina di Facebook”, per cercare una nuova identità solidale in un quartiere milanese come via Padova e dintorni, prossimo alle aree centrali, ma stigmatizzato come difficile per la sua eterogeneità multi-etnica;

-       Fondazione Housing Sociale, sempre a Milano, e sempre con sostengo da fondazioni bancarie, precostituisce in modalità virtuale legami orizzontali tra inquilini ed assegnatari di un intervento di edilizia residenziale fin da prima della fase di cantiere (imitata in questo anche da una società immobiliare privata: con successo anche nella crescita dei prezzi…).

 

L’assunto di fondo di Manzini è che:

-       la razionalità economicista della modernità, puntando su economie di scala e grandi strutture monofunzionali, ha prodotto la “città delle distanze”, che l’utente deve continuamente e nevroticamente percorrere per ricucire i separati brandelli della propria vita (lavoro, istruzione, riposo, cura, svago); processo che nel contempo ha inevitabilmente sventrato i vecchi equilibri delle prossimità locali (borghi, quartieri);

-       l’innovazione telematica (spinta dalla recente esperienza pandemica) tende a superare in parte tali separazioni, proponendo uno schema “tutto a casa e da casa”,

una “non-città” in cui il singolo individuo nella sua singola cella abitativa fornisce lavoro e acquista merci e servizi (facendo correre i dati sulle reti ed i corrieri ed i rider sulle strade); assimilando a questo schema anche i servizi pubblici, impersonali e lontani; il tutto accelerato nell’esperienza pandemica;

-       l’alternativa possibile è una nuova “città delle prossimità”, dove si ricostruiscano a scala locale le relazioni necessarie a soddisfare i bisogni di cura ed utili per migliorare la qualità della vita, utilizzando a tal fine anche gli strumenti informatici e le ‘piattaforme’; mentre “non si può tornare indietro” alla vecchia prossimità.

 

Il terreno di scontro tra tali scenari divergenti è attraversato da altre polarità concettuali, non solo di tipo ‘spaziale’, tra locale e globale, tra reti brevi e reti lunghe, tra decentramento e concentrazione, ma anche relative ai soggetti sociali e alle loro organizzazioni, tra ‘comunità’ e ‘società’, tra ‘beni comuni’ e ‘beni pubblici’, tra iniziative ‘dal basso’ e programmazione ‘dall’alto’.

In particolare l’Autore è interessato al difficile passaggio tra la fase nascente delle nuove forme di iniziativa sociale, fondata sulla generosità dei volontari, e la loro possibile ‘istituzionalizzazione’, necessaria per la sopravvivenza organizzativa, a fronte del variabile ricambio delle persone disponibili.

 

 

IL DIBATTITO ALLA “CASA DELLA CULTURA” DI MILANO

 

Il testo di Manzini è stato scelto dal professor Riboldazzi per il primo dibattito della stagione 2022 di “Città Bene Comune”, alla Casa della Cultura di Milano, ed è stato sottoposto ad un attento esame, già nella presentazione scritta del suddetto Curatore, sia dai tre “discussant” invitati, gli urbanisti Alessandro Balducci e Maurizio Tira, e la sociologa Sonia Stefanizzi.2,3

Trascurando qui gli elogi (che poco aggiungono a quanto da me già esposto) riepilogherei come segue, nell’insieme, le principali critiche emerse (senza scendere nei dettagli, perché il testo introduttivo di Riboldazzi e l’intera video-registrazione del dibattito sono disponibili on-line):

-       sopravvalutazione delle ‘situazioni di nicchia’ positive in un contesto strutturalmente tendente all’atomizzazione sociale e alla formazione sì di nuove comunità, ma chiuse ed identitarie, e spesso conflittuali,

-       rischio di coprire con la cooperazione volontaria, ma non per tutti, i vuoti del welfare pubblico, che invece devono comunque garantire universalmente i diritti ai vari servizi; e nel contempo sottovalutazione di quanto di buono possono fare i pubblici poteri;

-       rischio di favorire, in caso di successo delle comunità solidali, effetti indesiderati sia di esclusione sociale sia di “gentrification”, con aumento dei valori immobiliari ed espulsione dei soggetti meno abbienti,

-       più in generale la schematicità delle ipotesi di nuove prossimità locali (’15 minuti’) nella complessità dei territori metropolitani (a partire dalle reti della mobilità).

Il dibattito del 3 maggio – con il ritorno dei relatori e del pubblico ‘in presenza’ – ha registrato anche alcuni interventi degli astanti, tra cui mi è sembrato acuto quello di Arturo Lanzani, che ha rilevato come alla retorica dei ’15 minuti’ corrisponda una reale priorità degli investimenti per la mobilità collettiva che privilegia invece i collegamenti veloci tra le diverse aree metropolitane, configurando un ben diverso assetto delle relazioni ‘urbane’.

 

Il professor Manzini ha validamente replicato, assumendo come valide tutte le critiche, ma rivendicando la positività della ricerca dei nuclei di socialità alternativa, come fondamentale possibile base per modificare le tendenze maggioritarie in atto, facendosi carico di tutti i rischi segnalati; e soprattutto rifiutando qualunque logica “peggiorista”, quando risulti possibile conseguire miglioramenti anche solo parziali e locali.

 

 

ALCUNE MIE ULTERIORI ANNOTAZIONI

 

Condividendo (con lo stesso Manzini, d’altronde, a quanto risulta dal dibattito) gran parte delle critiche sopra riassunte, mi permetto di specificare alcuni ulteriori rilievi:

-       nella trattazione a tutto tondo della “prossimità” non figura alcun cenno al concetto cristiano di “prossimo”, recentemente rinverdito con efficacia da Papa Francesco, che ha posto la parabola del Buon Samaritano a fondamento della sua enciclica “Fratelli tutti”: pur constatando la prevalente secolarizzazione della società italiana, soprattutto nelle grandi città, mi sembra però che il retaggio antropologico della cultura cristiana sia un fenomeno non trascurabile, anche da un’angolatura laica e che nei quartieri (ed a maggior ragione nei centri minori delle provincie) meriti di essere indagato quanto la dimensione religiosa (e concretamente  gli oratori, l’associazionismo, le attività caritative) costituisca tuttora elemento di socializzazione, ed in particolare come e quanto – in relazione ai messaggi di ritorno al vangelo da parte di Papa Bergoglio – tali esperienze si connotino come inclusive di quei “prossimi” un po’ remoti (come il Samaritano), perché separati dagli steccati confessionali (islamici in primis) e/o dagli stigmi sociali (gli “ultimi” di vario tipo); studiando nel contempo il comportamento (identitario od inclusivo) delle comunità religiose ed etniche estranee al tradizionale tessuto sociale ‘italico-post-cristiano’;

-       nel testo si afferma più volte che “non si può tornare indietro” rispetto agli antichi assetti della prossimità di vicinato, ma non viene mai approfondito il ‘perché’, cui accennano invece gli altri partecipanti al dibattito, con Riboldazzi che sostiene (riferendosi anche alle nuove comunità): “Le comunità circoscritte, quelle dove tutti si conoscono, dove c’è chi si accorge di te, dei tuoi bisogni, o quelle dove, --- sono anche quelle dove il controllo sociale è più facile. Dove l’autodeterminazione e le libertà individuali sono maggiormente condizionabili, comprimibili.” A mio avviso questa riflessione è importante, perché a sconvolgere il vecchio modo di vivere (dove pure le condizioni di lavoro imponevano pesanti movimenti di pendolarità o di ‘transumanza’) non è stata solo la meccanizzazione dei trasporti ed in particolare la motorizzazione privata, ma anche fenomeni, molecolari e nel contempo di massa, sia di ricerca di nuove forme di benessere, sia di rifiuto degli angusti confini del ‘controllo sociale’, tipici dei paesi, ma anche dei quartieri periferici più coesi; il che costituisce una base materiale del liberismo, ma non esclude la ricerca di nuove socialità: ben conoscendo però le pulsioni soggettive che sono in gioco;

-       un’altra affermazione indimostrata, a fianco del condivisibile giudizio che le forme di assistenza umanizzate e personalizzate (meglio ancora se responsabilizzanti in ambiti di cooperazione)  sono nettamente migliori di quelle burocratiche e impersonali, è che le tendenze demografiche e socio-economiche rendano comunque impossibile un welfare capillare ed universale a carico della spesa pubblica (come invece rivendicato da Riboldazzi): a fronte di oggettive e crescenti difficoltà, a mio avviso invece occorre considerare, con le reciproche interferenze:

o   la possibile inversione di tendenza sulla natalità, già sperimentata da altre nazioni europee, da combinare con una più saggia gestione delle immigrazioni,

o   il possibile capovolgimento delle politiche fiscali (vedi le proposte di Atkinson, Piketty, Oxfam e Forum Disuguaglianze 4), purtroppo non ancora ri-sperimentate dopo il ‘trentennio glorioso’ 1945-1975,

o   la necessaria e possibile flessibilità delle età lavorative (congedi genitoriali, educazione permanente, vecchiaia più attiva) connessa allo spostamento progressivo del lavoro dalle attività di produzione di  merci e servizi commerciali (ove subentra pesantemente l’automazione) alle attività di servizio alle persone (dove l’automazione è più difficile e meno gradita dagli utenti); il che può incontrarsi con lo sviluppo del ‘terzo settore’ (perché mi sembra meglio retribuire volontari motivati, magari già ‘ritirati dal lavoro’, che non assistere con sussidi disoccupati  e pensionati inattivi).

 

aldovecchi@hotmail.it

Fonti:

1.    Ezio Manzini – ABITARE LA PROSSIMITÀ. IDEE PER LA CITTÀ DEI 15 MINUTI – EGEA, Milano 2021

2.    Renzo Riboldazzi - ABITARE LA PROSSIMITÀ (MA NON TROPPO) - Introduzione all'incontro e commento al libro di Ezio Manzini https://www.casadellacultura.it/1327/abitare-la-prossimit-agrave-ma-non-troppo-

3.    INCONTRO ALLA CASA DELLA CULTURA DI MILANO PER “CITTA’ BENE COMUNE” – 3 maggio 2022 https://www.youtube.com/watch?v=yW3JKYdIWEA

4.    Aldo Vecchi – DISUGUAGLIANZE – Quaderno n° 16 di Utopia 21, novembre 2020

https://drive.google.com/file/d/1cID_Kyxo-J-CxwdIcNiaJr_vXmEXuEWk/view?usp=sharing

 

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